Terre Lontane


Il sole stava sorgendo sulle Terre Lontane.

Il cielo a oriente era di un'intensa sfumatura rosa pastello e, quando i primi raggi strisciarono placidi sull'immensa massa di acqua scura, scaglie dorate apparvero nel mare, facendolo brillare di turchese.

In un silenzio attonito ammirai il cielo farsi via via più aranciato, e il sole rosso iniziò la sua lenta salita.

Lo stridio dei gabbiani si unì al lento sciabordio delle onde contro la prua della nave, ed io osservai con occhi pieni di meraviglia il nero profilo della costa che andava schiarendosi, illuminato da una soffusa luce brillante.

Il litorale distava una manciata di chilometri e terminava con un promontorio che si gettava a picco sul mare, con una scarpata rocciosa di diverse decine di metri.

«Dove siamo?».

La cristallina voce di Grania interruppe il contemplativo silenzio che aveva avvolto la nave fino a quel momento.

Mi riscossi e, distogliendo lo sguardo dalla brulla costa, rivolsi le mie attenzioni alla futura moglie di Rían.

La donna portava i rossi capelli sciolti e i suoi occhi castani, stretti in due sottili fessure, scrutavano guardinghi la terraferma.

Nessuno le rispose, tutti troppo presi nel rimirare il panorama e a rimuginare sugli eventi appena trascorsi.

Ce l'avevamo fatta.

Era incredibile anche solo da pensare, eppure... eppure eravamo sfuggiti a Lúg e a Finvarra.

Avevamo appena oltrepassato la Porta fra i mondi, la prima a venire aperta da millenni, ed eravamo giunti nelle Terre Lontane, luogo di origine delle fate e della magia.

Vi fu un movimento alla mia destra e io rimasi ad osservare Rían che, con gesti lenti e moderati, si avvicinava alla porta antincendio che dava sul ponte della nave, la quale era stata sprangata poco prima per evitare che vi fossero inconvenienti mentre oltrepassavamo la Porta.

L'uomo spinse la barra rossa e un soffio di brezza salmastra si intrufolò dalla porta socchiusa, gonfiando i suoi capelli biondi e soffiandoglieli lontano dal viso.

Un sorriso comparve sul suo volto e, con un luccichio incredulo negli occhi, l'uomo ci disse: «Fa... Fa caldo!».

Si tolse il giaccone invernale – che lo aveva protetto dal gelo artico che aveva aggredito la nave nel mondo umano – e, lanciandolo dietro di sé, uscì sul ponte...

... E fu accerchiato.

Cinque uomini dalle spade sguainate gli furono addosso e lui si ritrovò una spessa lama lucente a pochi millimetri dalla carotide.

«Rían!» strillò Grania con il panico nella voce e, estraendo la spada dal fodero, si lanciò oltre la soglia.

Non fece nemmeno in tempo a raggiungere il suo amato che la daga le fu strappata di mano da una mano invisibile e venne scagliata contro il pavimento piastrellato del ponte con una violenza inaudita, tanto che la punta della lama riuscì a scalfire il lastricato.

Un uomo, alto almeno due metri e con indosso una spessa armatura d'acciaio, le si parò davanti e le sollevò lentamente il mento con l'affilata spada che brandiva con estrema sicurezza.

Grania rabbrividì e sollevò lentamente le mani oltre la testa in segno di resa.

«Cosa avevi intenzione di fare con quell'ago, ragazzina?» ringhiò l'uomo che ancora le puntava la lama alla gola, lanciando un'occhiata di scherno alla daga di Grania, ormai rovinata e abbandonata sul pavimento.

La donna lo fissò con gli occhi nocciola spalancati come quelli di un cerbiatto di fronte ai fari di un'automobile, ma non gli rispose, apparentemente troppo spaventata per farlo.

«Rispondimi» ordinò di nuovo l'energumeno avvicinando il viso a quello di lei, la quale indietreggiò impercettibilmente con un tremito nelle ginocchia.

«Che sta dicendo?» sussurrò Labhraidh al mio orecchio, ed io mi resi conto solo in quel momento che l'uomo stava parlando l'antica lingua delle fate, che io avevo inspiegabilmente imparato nel Regno di Finvarra.

«Sei muta?» tuonò di nuovo l'uomo, incalzandola con la punta della daga.

Grania sussultò e una perlina di sangue comparve sulla sua altrimenti immacolata pelle candida.

A quella vista, l'uomo inspirò profondamente: «Una mortale» sentenziò, e un risolino compiaciuto squassò la sua gabbia toracica.

Con il cuore che scalpitava nel petto, feci un paio di passi verso la porta, rendendomi conto che né Rían né Grania erano in grado di comunicare con i cinque uomini e che necessitavano il mio aiuto, ma, proprio mentre mi accingevo a oltrepassare la soglia, Conneleugh si materializzò a qualche passo da Rían.

«Abbassate le armi, soldati. Loro sono con me» esordì, sorridendo candidamente ai cinque energumeni.

«Conneleugh?» l'uomo che stava tenendo sotto scacco Rían si voltò leggermente verso il ragazzino, e riuscii finalmente a vedere il suo volto.

La sua pelle era del colore del caramello, e i suoi capelli blu zaffiro erano raccolti in una spessa treccia che partiva dalla parte centrale della testa e gli scivolava oltre le spalle.

Le sue labbra, in quel momento arricciate in un'espressione incredula, erano carnose e scure, e i suoi occhi, sgranati nel riconoscere Conneleugh, erano di un'impossibile sfumatura di verde bosco.

«Ciao, Eoghann» lo salutò Conneleugh, sorridendo in modo affabile.

«Credevamo tutti fossi morto da qualche millennio» borbottò Eoghann, abbassando la lama dal collo di Grania e facendo cenno ai suoi soldati di liberare Rían.

Un ghigno deformò il volto giovane di Conneleugh: «Sarei tornato prima, ma sono stato... trattenuto» mormorò, lanciando un'occhiata divertita a noi altri, che lo stavamo fissando da dietro il vetro della nave.

Seguendo il suo sguardo, Eoghann aggrottò le sopracciglia: «I mortali sono un dono per i Principi?».

La stridula risata di Conneleugh vibrò nell'aria e mi diede i brividi.

«No, purtroppo no. Questi mortali... chiedono udienza ai Quattro Principi» spiegò, sogghignando.

«Udienza?» latrò Eoghann, sganasciandosi dalle risate e rinfoderando la lama nel fodero che portava legato dietro la schiena.

Conneleugh sorrise, poi tornò serio: «Si sono appellati ai vecchi Accordi... e portano con loro la Spada, la Lancia e il Calderone».

Alle sue parole, Eoghann ammutolì.

«Ne sei sicuro?» indagò, scrutando in viso Rían e Grania e volgendo poi lo sguardo a noi, come se potesse vederci oltre il vetro oscurato.

«Sì» si limitò a rispondere Conneleugh, incrociando le ossute braccia al petto e fissando il soldato con espressione ferma.

«Lo comunicherò ad Alastair. Fino a quel momento, non muovetevi da qui. E voi...» ingiunse Eoghann fissando i suoi uomini, «...Sorvegliateli» ordinò e, dopo essersi aggiustato le placche dell'armatura che indossava, spiccò un balzo e scomparve nel cielo.

I suoi quattro uomini arretrarono lentamente e si posizionarono sul ponte in modo tale da riuscire a tenere ogni movimento sott'occhio.

Rían e Grania rientrarono in fretta e furia sottocoperta: lui era infuriato come raramente l'avevo visto, mentre lei, pallida e smunta, non faceva che toccarsi il collo nel punto in cui la lama le aveva scalfito la pelle.

«Che cazzo di accoglienza» ringhiò Rían in direzione di Conneleugh, per poi aggiungere: «Ora, mi spieghi che cosa diavolo vi siete detti?».

Mentre la fata ragguagliava Rían circa ciò che lui e Eoghann si erano detti, io fissai ostentatamente fuori dalla finestra finché non trovai la sagoma lucente del soldato nel cielo, la cui armatura brillava colpita dai primi raggi del sole.

«Dove sta andando?» domandai, vedendo la fata virare nel cielo e abbassarsi oltre il promontorio.

«Ad avvertire Alastair, il Principe di Falias» mi rispose Conneleugh, avvicinandomisi e fissando insieme a me Eoghann scomparire oltre la costa.

«Lo conosci? Il principe, dico» specificai, lanciando un'occhiata distratta alla fata.

«Oh, sì» sorrise lui, «Alastair è un lontano parente. Se volete rimanere qui e avere la protezione dei Principi, la prima cosa è ingraziarsi Alastair: è il più... moderato, fra tutti e quattro, ed è un progressista. Sarà interessato a voi e, se saprete giocare bene le vostre carte, potreste ottenere il suo appoggio» mi spiegò, parlando apertamente – per la prima volta da che ci aveva accennato alle Terre Lontane – del suo sovrano.

Notando che Conneleugh pareva ben disposto al dialogo, gli domandai: «Come funziona? Gli raccontiamo la nostra storia strappalacrime, lui si commuove e diventiamo suoi... sudditi?».

Una risatina sciocca squassò il petto della fata: «Certo che no, ragazza. In primo luogo, per rimanere nei nostri territori avrete bisogno dell'approvazione di tutti e quattro i Principi... e ti assicuro che mettere d'accordo i Principati di Luce e quelli Oscuri non sarà una passeggiata».

«Sono confusa» borbottai, lanciando un'occhiataccia a Conneleugh e maledicendo il suo parlare sempre in modo tanto astruso.

La fata sbuffò scocciata e alzò gli occhi al cielo: «Sei troppo curiosa e invadente» borbottò, ma poi continuò: «Le Terre Lontane sono divise in due continenti: quello meridionale, dove siamo ora, chiamato , e quello settentrionale, noto come Dorchadas».

Aggrottando le sopracciglia nel riconoscere due parole in antico irlandese, domandai: «Luce e Oscurità? I vostri continenti si chiamano Luce e Oscurità?».

Il lungo sospiro di Conneleugh mi fece chiaramente intendere quanto le mie domande lo stessero tediando: «Sì, ragazza, Luce e Oscurità. Qui da noi non funziona come nel tuo mondo: a Éadrom – Luce, appunto – ogni giorno dell'anno ha diciotto ore di sole e sei ore di buio; mentre su Dochadas – Oscurità – ogni giorno ha diciotto ore di oscurità e sei ore di luce. Per questo i miei antenati li chiamarono in quel modo. Banale, non credi?» commentò, arrotolandosi un ricciolo nero sull'indice e osservandomi attentamente con i suoi occhi color ebano.

«Ma com'è... possibile?» indagai di nuovo con espressione confusa, «La rotazione della Terra dovrebbe...».

Conneleugh, ormai al massimo della sopportazione, mi interruppe: «Senti, ragazzina, qui a nessuno interessano queste cose. Per quanto ne so io, il mio sole può essere diverso dal tuo sole, e il mio mondo può essere su un pianeta diverso dal tuo. Qui le cose strane succedono spesso – perché sai, qui da noi la magia è ovunque... e non è quel baluardo di magia che ancora esiste nel tuo mondo, no, bella mia, qui abbiamo veri e propri fenomeni magici, che non possono essere fermati né compresi – quindi non cercare di raccapezzarti con queste sciocchezze intellettuali. Soprattutto, se ci tieni tanto a farlo, fallo lontano da me» sbottò, irritato, e se ne andò a grandi falcate fuori dalla nave.

Perplessa di fronte al suo improvviso scatto d'ira, lo osservai marciare con ampie falcate lungo il ponte e intavolare conversazione con i quattro soldati dalla pelle scura che erano rimasti a sorvegliarci.

«Quello è tutto matto» sentenziai, massaggiandomi gli occhi e distogliendo lo sguardo dal mare cristallino, che iniziava a rifulgere in modo assai fastidioso a causa dei raggi solari sempre più intensi.

«Mi rallegra sapere che siamo nelle sue mani» scherzò Labhraidh, ma dall'espressione del suo viso trasparì chiaramente quant'egli fosse in realtà preoccupato.

«A me terrorizza» ammisi candidamente, osservando con occhio critico il ragazzino dai ricci neri scherzare pacificamente con i quattro soldati.

«A me terrorizza tutto il resto» borbottò Labhraidh, e i suoi occhi scuri corsero alla vicina costa, ora di un rigoglioso verde bosco.

«Forse saranno magnanimi... forse ci aiuteranno» tentai, cercando inutilmente di alleggerire la tensione.

«Forse invece ci mangeranno per cena» ribadì lui, incrociando le braccia al petto.

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, cercando in tutti i modi di non pensare a quella possibilità.

«Quanto pensi ci metta?» mi domandò dopo qualche istante il mio migliore amico, interrompendo il silenzio di cui mi ero circondata nell'osservare l'orizzonte.

«Eh?» domandai, voltandomi verso di lui.

Il ragazzo si passò una mano fra i capelli scuri e mi spiegò: «Quel tizio, quello con l'armatura. Quanto pensi ci voglia, prima che torni con il responso del suo principe?».

«Non ne ho idea. Forse qualche ora, o forse qualche giorno. Preferirei fosse qualche giorno, se proprio devo essere sincera. L'idea di... di lasciare questa nave non mi alletta per niente» ammisi sottovoce, stringendomi nelle spalle.

Labhraidh mi circondò la vita con un braccio e mi trasse al suo fianco.

Il calore del suo corpo dissipò i brividi che mi avevano scosso la schiena, e il suo mento sui miei capelli mi infuse una meravigliosa sensazione di calma.

«Nulla mi può più spaventare davvero, non dopo Lúg» mormorò egli, e la sua voce rotta vibrò contro i miei capelli.

Mi allontanai di qualche passo e sollevai gli occhi su di lui: «Stai... bene, Labhraidh?».

Un sorriso spento gli distese le labbra: «Le poche volte che riesco a dormire vedo il suo volto. Vedo il suo ghigno perverso poco prima che mi tagliasse la gola, vedo il tuo volto esangue... e poi l'oscurità. Un mare di oscurità silenziosa, finché la tua voce non mi riporta indietro» ammise in un sussurro, e lo sentii rabbrividire contro di me.

Circondai il suo petto ampio e muscoloso con le mie braccia e posai l'orecchio contro il suo torace, laddove sapevo vi fosse impressa la mia mano, ascoltando il lento battere del suo cuore.

«Mi dispiace» sussurrai.

«Come sei sopravvissuta a lui, nei tumuli? Come hai fatto a... sopportarlo?» il ringhio basso di Labhraidh, carico di odio, mi diede i brividi.

«Sono stata fortunata» mormorai di rimando, rammentando come Dagda fosse giunto in mio aiuto quando più ne avevo bisogno, tirandomi fuori dai tumuli prima che impazzissi.

«Lo ucciderò» sentenziò dopo qualche minuto di riflessione il mio migliore amico.

«Dovrai metterti in coda, allora. Credo tu non sia il solo a volerlo morto» ribadii, e un debole sogghigno comparve sul suo volto.

«Chi credi che...» iniziò, per poi interrompersi e sussurrare: «È tornato, Row».

Mi voltai nella direzione che stava fissando lui e, sul ponte vicino ai suoi uomini, vidi atterrare Eoghann.

Non appena notai Conneleugh avvicinarsi a lui mi affrettai verso la porta antincendio, volendo origliare in prima persona la conversazione.

«Rowan, per gli dei, dove vai?» sibilò Rían, affrettandosi dietro di me, seguito a poca distanza da Labhraidh.

«Lasciala andare. Voglio sapere se quel bastardo di Conneleugh ci vuole fottere» lo riprese Labhraidh, esprimendo senza remore la poca fiducia che nutriva nei confronti della fata.

Con i due uomini alle calcagna mi lanciai oltre la soglia, comparendo sul ponte giusto in tempo per udire Eoghann dire: «Alastair ha accettato di ricevervi, e ha informato del vostro arrivo anche gli altri tre Principi. Egli attende a palazzo i tre possessori dei Tesori d'Irlanda e un rappresentante... vi concede anche un ospite a testa da portare in onore della festa di Litha di questa sera, come segno di amicizia».

Aggrottai la fronte, confusa dalle sue parole: la festa di Litha si festeggiava il giorno del Solstizio d'Estate, il ventuno di giugno... che per noi era avvenuto il giorno precedente.

I miei occhi corsero subito su Labhraidh: «Credi sia possibile... che oggi sia di nuovo il Solstizio?» domandai, spiegandogli in fretta la situazione.

«Effettivamente abbiamo attraversato la porta al tramonto e siamo comparsi qui all'alba. Potrebbe essere l'alba del ventuno, invece che quella del ventidue» osservò lui, facendo spallucce con espressione perplessa.

Se Labhraidh aveva ragione, allora significava che non solo avevamo viaggiato nello spazio... ma – seppur di poco – anche nel tempo.

Pochi istanti dopo, Conneleugh tornò da noi e riportò a tutti ciò che io già sapevo, aggiungendo anche che il Principe ci attendeva per il pranzo.

«Chi sarà il vostro rappresentante?» domandò distrattamente la fata, scrutandoci uno ad uno con i suoi occhi profondi come pozzi.

Della quarantina di persone che affollavano la stanza, solo una voce si levò con convinzione: «Io, ovviamente. Chi altri, se no?».

Daghain marciò con le spalle dritte e la testa alta verso Conneleugh, fissandolo dall'alto in basso con un certo disprezzo nello sguardo.

«Un momento, Daghain, non sta a te decidere...» tentò debolmente il capo clan dei Dukko, con il volto rosso dalla rabbia.

«Oh, ma stai zitto per una buona volta» ringhiò mia nonna, «Io sono stata capoclan, sono estremamente potente, ho affrontato le fate e ne ho pure ammazzate un paio, prima di uscirne sconfitta. Per di più ho centoventisette anni, quindi anche se dovessi crepare non sarebbe una gran perdita. Tu pensi davvero che vi sia qualcuno con più qualifiche di me, ometto che non sei altro?» abbaiò, fulminando il malcapitato con gli occhi verdi che ardevano come il fuoco.

Il capo clan dei Dukko evitò il suo sguardo e se ne andò ad ampie falcate, sbattendo la porta nell'abbandonare la stanza.

Il ghigno sul viso di mia nonna si fece più marcato, quasi predatorio.

«Tremenda» sussurrò Labhraidh al mio orecchio, ed io sghignazzai nel notare il sadico compiacimento sul viso rugoso di Daghain.

«Qualcun altro ha da ridire?» inquisì mia nonna, lanciando uno sguardo altezzoso agli astanti, e, rendendosi conto che nessuno aveva intenzione di opporsi alla sua decisione, aggiunse: «Bene, allora io mi porto dietro il moccioso capo clan dei Gancanagh».

«Come?» sbottò Solamh, sentendosi tirato in causa, e in quel momento vidi la sua bionda testa fare capolino da un divanetto seminascosto dietro una colonna.

«Sei un capoclan, e sei quello che mi sta meno antipatico. Quindi sarai il mio... accompagnatore personale, moccioso» gongolò Daghain, ridacchiando divertita.

«Che gli dei mi salvino» borbottò lui e, dopo essersi alzato dalla poltroncina e stiracchiato come un gatto, aggiunse: «Ti trovo particolarmente agguerrita oggi, Daghain, e non sono sicuro sia un bene».

Mia nonna scoprì i denti in una velata minaccia, e Solamh sollevò le mani in aria in segno di resa: «Okay, okay. Mi metto a tacere, prima che tu mi leghi la lingua con un incantesimo» la anticipò, sollevando gli occhi al cielo.

Mentre i due battibeccavano amichevolmente, io mi distrassi con un pensiero che stava punzecchiando la mia mente da ormai una decina di minuti.

Mi avvicinai a Conneleugh e, aggrottando le sopracciglia, dissi: «Hai detto che questa sera il Principe festeggerà Litha».

Conneleugh sollevò lo sguardo da ragazzino su di me e i suoi occhi neri mi fissarono, morti come quelli di un pesce: «E allora?» domandò secco.

«E allora...» mormorai, grattandomi la testa, «...anche noi festeggiamo Litha: per noi cade nel giorno dell'Equinozio d'estate, quando nell'emisfero boreale abbiamo il giorno più lungo dell'anno. In questo mondo, però... in questo emisfero mi hai detto che ogni giorno ha diciotto ore di luce, come se fosse sempre il Solstizio. Quindi voi perché diavolo festeggiate Litha?» sbottai, arrovellandomi le meningi nel tentativo di ricordare qualcosa a proposito delle lezioni di geografia astronomica che seguivo nel mio mondo.

Conneleugh sbuffò stizzito e un ricciolo nero gli cadde davanti agli occhi: «Tu sei veramente una creatura fastidiosa, erede di Dagda» sibilò, scocciato.

«Noi a Litha e a Jul...» intuii stesse parlando del nome che in quel mondo avevano attribuito al nostro Yule, «...celebriamo la Luna Blu. Oestara e Mabon sono per le Lune di Sangue» concluse in modo spiccio.

Aggrottai le sopracciglia, confusa ed estremamente perplessa: «La vostra luna cambia colore?».

«La vostra no?» ribatté Conneleugh, fissandomi con quei suoi occhi neri così vuoti e così freddi.

Borbottai qualcosa di indistinto e mi sfregai le dita sulle tempie, come per mitigare la confusione che mi stava affollando la mente. Quello che mi aveva riferito Conneleugh non aveva senso... non per il mio cervello umano, per lo meno.

«Nipote!» il ringhio di Daghain mi riscosse dai miei disordinati pensieri, ed io sussultai.

Vidi che al suo fianco vi erano già Solamh, Rían con Grania e Donegal con Neacht, così afferrai Labhraidh per la manica della felpa e borbottai: «Arrivo, arrivo».

«Ti porti dietro il morto?» domandò con un ghigno lei, ed io rimasi a fissarla come un'ebete, sbattendo le palpebre un paio di volte di troppo, incredula di fronte al suo dark humor completamente fuori luogo.

«Luogotenente zombie a rapporto, butta bisbetica» ribadì però il mio migliore amico, mimando un saluto militare e dando prova – per l'ennesima volta – della sua straordinaria capacità di avere sempre la battuta pronta.

Mia nonna ghignò contenta: «Ora che il... dream team è al completo...» ridacchiò, soddisfatta dalla sua stessa battuta; poi sollevò gli occhi su Eoghann, il quale la stava fissando con espressione rapita, e domandò: «Dove si va?».

ivere

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top