Saraid
«Per gli dèi, Rowan!» esclamò Labhraidh afferrandomi tre secondi prima che mi spiccicassi con la faccia sul pavimento.
«S-scusa» bofonchiai rivolta a Saraid, «Credo di aver bevuto troppo».
Mi passai una mano gelata sul volto e desiderai solo potermi nascondere sotto le coperte per il resto della serata, ubriaca e triste.
«Non ti preoccupare» Saraid mi sorrise, «Non mi piacevano nemmeno questi stivali» aggiunse con un sorrisetto che le fece comparire una fossetta sulla guancia sinistra, identica a quella che avevo io.
«Come stai?» mi domandò poi, scrutandomi con apprensione.
Assottigliai le labbra e mormorai con voce incolore: «Una meraviglia».
«Volevo ringraziarti» proseguì lei, non cogliendo il sarcasmo nella mia voce, «Mi hai riportata in vita... non credevo che ci fosse qualcuno in grado di fare una cosa simile».
La scrutai per qualche secondo, perplessa, ma poi compresi che... che lei non sapeva che io ero a conoscenza del fatto che lei aveva resuscitato Lùg, e che stava cercando di mantenere segreto il suo passato; così io decisi di tenere l'informazione per me: «Oh, ehm, prego» mi limitai a borbottare.
«Non sei di molte parole» mi fece presente Saraid, scrutandomi incuriosita.
«Oh, qui ti sbagli» si intromise Labhraidh, strizzandomi l'occhiolino, «L'hai solo conosciuta in un momento no».
«In un... momento no?» domandò lei, confusa.
Sollevai la mano e le mostrai il mio palmo nudo: «Ho perso la mia magia per riportarti indietro, quindi... quindi perdonami, se non sono molto in vena di chiacchiere» sbottai con acidità, lasciando che la rabbia parlasse per me.
La mia antenata ebbe almeno la decenza di arrossire. Abbassando poi gli occhi a terra mormorò: «Mi dispiace tanto... davvero, dal profondo del cuore. Se posso esserti utile in qualunque modo... ti devo la vita».
La scrutai attentamente e rimasi dubbiosa: Saraid sembrava quasi... sincera. Affettuosa. Umana.
«A meno che tu non mi possa restituire i miei poteri no, non c'è nulla che tu possa fare per me» biascicai, sbuffando sconsolata.
La fata rimase in silenzio qualche istante, poi chiese: «Come mi avete trovata?».
«Dagda ci ha portati da te» rispose prontamente Labhraidh.
«Mio...» Saraid esitò, sorpresa, «...mio padre è tornato in questo mondo?».
Scossi la testa: «No; ha solo parlato attraverso un falò durante la celebrazione del Solstizio».
«Sei veramente sua figlia? La figlia di Dagda?» sussurrò quindi Labhraidh, scrutandola con uno sguardo che brillava di ammirazione e reverenza.
Saraid ridacchiò, un suono argentino che la fece apparire ancora più bella, e rispose: «Sì, certo. Lui era...» si interruppe con lo sguardo perso oltre le mie spalle.
Le sue labbra rosee si aprirono in un'espressione di pura sorpresa e i suoi occhi luccicarono di lacrime. Mi voltai per scoprire cosa avesse attirato la sua attenzione e feci una smorfia quando mi accorsi che ciò – o meglio, chi – aveva calamitato il suo sguardo era Rìan in persona.
L'uomo vide che lo stavamo fissando tutti, così si avvicinò a noi e, leggermente imbarazzato e con le guance rosse, borbottò: «Ciao... che fate?».
«Per gli dèi» sussurrò Saraid, facendo un passo nella sua direzione. Sollevò una mano e, quando i suoi polpastrelli sfiorarono il viso di Rìan, lei domandò: «Lùg?».
Studiai la sua espressione, in cerca del terrore che avrebbe dovuto assalirla nel credere di trovarsi di fronte al proprio assassino, ma non trovai altro che stupore e incredulità.
Rìan mi lanciò un'occhiata stranita e indietreggiò di un passo: «Mi chiamo Rìan» la corresse, «Tu invece devi essere... Saraid, l'antenata di Rowan» osservò poi, e sentii il suo sguardo addosso mentre scrutava alternativamente me e lei.
La fata rimase imbambolata a fissarlo per qualche istante, poi balbettò: «M-molto piacere. Scusami, credevo... credevo fossi qualcun altro».
«Lùg, certo» la voce di Rìan era priva di qualsiasi calore, «Non sono un suo grande ammiratore, purtroppo».
La testa di Saraid scattò verso l'alto con una rapidità inaspettata e il suo sguardo si fece affilato: «L'hai conosciuto? È ancora vivo?».
«Lo era quando lo abbiamo lasciato nel mondo degli umani» rispose Rìan con la mascella contratta.
«Lùg è nel regno degli umani?!».
«Non lo sarà ancora per molto... ha giurato di venire a prenderci, insieme a Finvarra. Ha un conto in sospeso con me e, in particolar modo, con Rowan» spiegò Rìan con espressione cupa.
Gli occhi scuri di Saraid si posarono su di me e mi fissarono con circospezione, poi lei mormorò lentamente: «Se avete qualche problema con Lùg, io vi posso aiutare. So essere molto... convincente, e so che lui mi ascolterà».
Mi domandai se fosse vero: come avrebbe reagito il Generale alla notizia del ritorno della sua donna? La amava ancora e sarebbe corso da lei o... o avrebbe cercato di ucciderla di nuovo, come avevo visto nel mio sogno?
«Quel bastardo non ascolterà una parola, non finché non riavrà la sua Lancia e i suoi giocattolini» sibilò Rìan, irrigidendo la mascella e scurendosi in viso mentre mi lanciava un'occhiata rapida.
Una risatina argentina scivolò dalle labbra di Saraid: «Fidati, Rìan, Lùg darà retta a me» disse con sicurezza, poi aggiunse: «La sua Lancia non è ancora stata trovata?».
«Oh, eccome se è stata trovata» Rìan sogghignò, «Rowan ha trovato la Lancia e l'ha data a me... ora sono io il suo possessore».
Saraid focalizzò la sua attenzione su di me e il suo sguardo – così identico a quello che vedevo ogni mattina allo specchio – mi mise a disagio. Lei mi sorrise e le punte dei suoi canini brillarono debolmente sotto la luce delle torce ad olio della taverna: «Sei piena di sorprese, mia giovane discendente» commentò gioviale.
I suoi occhi corsero poi rapidamente alle mie dita ma, trovandole nude, i suoi lineamenti si incupirono: «Non hai con te il mio... anello?» mi domandò con apprensione.
Per un secondo mi balenò per la mente l'idea di mentirle, ma poi soffocai quell'istinto ed estrassi da sotto i vestiti la catenina alla quale era legato il monile in questione. Vidi gli occhi di Saraid illuminarsi nel vedere il Calderone di Dagda e lei allungò una mano verso il mio collo, come per arraffare il ciondolo, ma io fui più rapida: feci ricadere l'anello fra i seni e richiusi rapidamente la camicetta, sottraendomi al tocco della mia antenata.
«Scusa» borbottai poi, notando chiaramente l'irritazione nel volto di Saraid, «Non mi piace quando la gente mi tocca, o tocca ciò che è mio» spiegai, attendendo la sua reazione.
Lei assottigliò lo sguardo e una smorfia le incurvò le labbra: «Non volevo... rubarlo» esitò, lanciandomi un'occhiataccia, «Ma quell'anello è stato mio prima di essere tuo, ed io ci sono molto affezionata».
«Oggi ho già perso troppe cose che erano mie» sbottai, «Quindi non chiedermi di darti anche il mio anello, per favore».
Saraid parve capire l'antifona, infatti incurvò leggermente le spalle e la tensione abbandonò i suoi lineamenti: «Hai ragione, ti chiedo scusa» prese un profondo respiro e il suo petto, leggermente più prosperoso del mio, si gonfiò sotto la scollatura del vestito blu: «Sono ancora un po' scombussolata; non era mia intenzione essere così... sgradevole» mormorò.
La squadrai per qualche secondo, non riuscendo a capire le sue intenzioni, ma poi mi arresi e borbottai: «Non fa niente, siamo entrambe provate dagli ultimi giorni. Forse dovremmo riposarci un po', prima di affrontare di nuovo questa conversazione».
Lei mi sorrise riconoscente ma, prima che potesse dire alcunché, Labhraidh cercò di cambiare argomento: «Posso chiederti se... se è vero che sei in grado di evocare legioni di soldati morti?» domandò e, dal tremore nella sua voce, compresi che egli moriva dalla voglia di porle quella precisa domanda da giorni e che, se la risposta fosse stata affermativa, Saraid sarebbe diventata la sua fata preferita in assoluto.
La mia antenata raddrizzò impercettibilmente le spalle e parve assumere una posizione più rigida, quasi militaresca, e disse con orgoglio: «Sì, ero in grado di farlo... dovrei ancora essere in grado di farlo. Vorrei testare i miei poteri domattina, se vuoi venire ad assistere sei il benvenuto» aggiunse poi, rivolgendogli un sorriso sbarazzino e facendogli l'occhiolino.
«Verrò sicuramente!» gongolò Labhraidh, con gli occhi luccicanti d'interesse.
Sollevai gli occhi al cielo e fui quasi contenta quando, un paio di minuti dopo, Saraid ci salutò in fretta e corse dietro ad Alistair, che aveva appena terminato una conversazione con alcuni avventori della taverna e si stava dirigendo al piano superiore.
«Non sono convinta che mi piaccia» borbottai, tenendo lo sguardo fisso sulle esili spalle della mia antenata e sulla tua testa castana, che saliva con grazia le scale.
«È rimasta letteralmente morta per millenni, Rowan, dalle un po' di tregua!» cercò di scherzare Rìan, ma io non sorrisi, anzi, protestai: «Hai visto il modo in cui ha cercato di strapparmi l'anello?!».
«Era il suo anello, Row... di suo padre. Il dio Dagda, hai presente? Ci credo che abbia voluto riprenderselo, è un cimelio di famiglia!» si intromise anche Labhraidh, dando manforte a Rìan.
Feci una smorfia poco convinta e brontolai: «Se lo dite voi».
«Beh, questa giornata è stata un vero schifo» sentenziai poco dopo e, con la testa che ancora fischiava a causa dell'alcol e la stanchezza che mi appesantiva le palpebre, aggiunsi: «Quindi io me ne torno a letto. Se sono fortunata, domattina mi sveglierò scoprendo di aver solo avuto un orribile incubo».
Nonostante avessi dormito per cinque giorni di fila, ero a dir poco stremata: volevo soltanto rannicchiarmi sotto le coperte e dormire per altre dodici ore senza dover pensare ai miei poteri perduti... ma c'era un'altra ragione che mi spingeva a volermi rintanare nei sogni: sapevo, con una sicurezza che rasentava il cento per cento, che quella notte Lùg sarebbe venuto da me e che, forse, avrebbe dato alcune risposte alle innumerevoli domande che affollavano la mia mente.
Fu così che, svegliandomi nel cuore della notte per via del violento sbattere delle ante della finestra e del cupo fischiare del vento, non mi spaventai quando una voce vibrò nell'oscurità e mi salutò con un pacato: «Buonasera, Rowan».
Mi voltai lentamente nella direzione dalla quale proveniva la voce e lo individuai subito.
Il Generale era in piedi, appoggiato alla cassettiera vicina alla finestra, e un raggio lunare che filtrava dai vetri lo inondava, facendo risplendere d'argento i suoi lunghi capelli ed evidenziando il bianco puro della tunica che indossava. Aveva le braccia incrociate sul petto ed era immobile come una statua, intento a scrutarmi con occhi attenti.
Mi misi a sedere lentamente e, stringendo al petto il cuscino, balbettai: «La...l'hai uccisa? Saraid, l'hai... uccisa tu?».
Lùg fece schioccare la lingua e una smorfia scoprì i suoi acuminati canini, che brillarono della luce della luna in un tacito avvertimento.
«Non dovresti curiosare nei sogni degli altri, sai? È da maleducati» mormorò lui, ignorando la mia domanda.
«Non l'ho fatto apposta!» squittii, «Sei tu quello con la capacità di entrare nei sogni altrui, non io!» protestai, indietreggiando lentamente verso la testiera del letto.
Il Generale si limitò a inclinare la testa su un lato e, fissandomi con sguardo affilato, domandò: «Da quanto tempo partecipi ai miei incubi?».
«Abbastanza da sapere che tu hai ucciso Saraid» sibilai, non lasciando che lui cambiasse discorso.
«Perché è quello che è successo nella realtà, non è così?» lo attaccai di nuovo, «L'hai assassinata in quel letto. Le hai piantato un pugnale nel cuore».
Lùg sospirò in modo quasi teatrale e allargò le braccia in un gesto esasperato: «E va bene... L'ho fatto, sì. L'ho uccisa» ammise, e la sua espressione rimase impassibile mentre aggiungeva: «E ho adorato ogni secondo di quel momento».
«C-come... perché?» balbettai, incredula, cercando inutilmente di rallentare il battito impazzito del mio cuore.
«Perché mi ero stancato di lei» rispose in tono incolore, «Perché sono un bastardo senza cuore» aggiunse monocorde, fissandomi con occhi vuoti come quelli di un cadavere.
«Non dire stronzate» sibilai, fulminandolo con lo sguardo «Dimmi la verità».
Lùg si scostò dalla cassettiera e fece un passo verso il letto, uscendo dal cono di luce e venendo immediatamente avvolto dalle tenebre.
«A cosa ti serve la verità, Rowan?» mormorò, e la sua voce guizzò nel buio come il sibilo di un serpente.
«La amavi» ignorai la sua domanda e lo incalzai, nonostante fossi ben conscia del rischio che stavo correndo: «So che la amavi, quindi perché l'hai uccisa?».
Una risatina fredda e maligna strisciò nella stanza: «Perché cerchi di giustificare le mie azioni, Mezzosangue?» domandò in un sussurro Lùg, «Perché non accetti il fatto che io... che io possa averla uccisa per puro divertimento?».
«Perché non è la verità» mi bloccai, stringendo con più forza il cuscino al petto, come se potesse proteggermi qualora Lùg avesse deciso di attaccarmi.
«E a cosa ti serve sapere questa fantomatica... Verità?» mi incalzò lui, la sua voce sempre più vicina.
Allungai rapidamente una mano sul comodino e cercai a tentoni la lampada ad olio che sapevo essere posata vicino al muro, ma le mani mi tremavano troppo perché riuscissi ad accenderla.
Percepii le dita fredde del Generale sfiorarmi la mano e mi ritrassi spaventata, ma lui si limitò ad accendere un fiammifero e ad usarlo per far funzionare la lampada ad olio.
L'aranciato bagliore della fiammella rischiarò la stanza e i miei occhi si posarono su Lùg, in piedi sopra di me, intento a scrutarmi con espressione quasi divertita negli occhi grigi accesi dal fuoco.
In quel momento, fissando le sue iridi argentee e il suo aspetto ferino, da predatore, mi resi conto di una cosa: se egli aveva davvero ucciso Saraid, allora forse non era un punto a mio favore l'averla appena riportata in vita. Proprio per nulla.
Lùg aveva giurato di non volermi più uccidere e che mi avrebbe protetta, ma io non ero sciocca al punto tale da fidarmi della sua parola, anzi... conoscendolo meglio, ero giunta alla conclusione che egli fosse veramente feroce. Se era diventato Generale delle fate era solo perché possedeva una spietatezza innata che gli garantiva la capacità di ottenere tutto ciò che si prefissava, indipendentemente da chi o cosa si fosse frapposto fra lui e il suo obbiettivo.
Io avevo resuscitato qualcuno che lui aveva ucciso, e non avrei potuto prevedere quale sarebbe stata la sua reazione.
Fu questo ragionamento che mi indusse a mentire.
Mentii in faccia al Generale delle fate, e lo feci con tanta convinzione che quasi credetti alle mie stesse menzogne: «Voglio sapere il motivo per cui l'hai uccisa perché io... perché stavo iniziando a fidarmi di te» blaterai, poi ebbi un'idea: «Ho un... problema, e ti avrei chiesto di aiutarmi con questo mio... problema, ma non posso farlo se ho il terrore che tu mi possa uccidere come hai fatto con lei».
Un sorrisetto illuminò il volto di Lùg: «Te l'ho detto, Rowan, non ho alcuna intenzione di ucciderti» mormorò, sfiorandomi una ciocca di capelli in modo quasi impercettibile.
«Ma dimmi, qual è questo tuo... problema?».
Deglutii la morsa che mi stringeva la gola e sussurrai: «Ho perso i miei poteri».
Non avrei detto a Lùg che Saraid era tornata, ma avrei sicuramente cercato di sfruttare le conoscenze del Generale, se ciò fosse servito ad aiutarmi a riottenere la mia magia.
Le sue sopracciglia bionde schizzarono verso l'alto e la sua fronte si increspò di rughe: «Hai ucciso di nuovo Conneleugh?!».
Una mezza risata mi uscì a sorpresa dalle labbra, ma la soffocai subito e borbottai: «No, questa volta no. Ho solo... usato troppa magia. Davvero, davvero troppa».
«Che cosa hai fatto?» mi domandò Lùg chinandosi su di me.
Raddrizzai le spalle e lo fissai dritto negli occhi: «Perché hai ucciso Saraid?».
Una smorfia gli increspò le labbra ed io sbottai: «Esattamente, bello. Tu hai i tuoi segreti e io ho i miei; quindi, non chiedermi nulla se non intendi darmi anche una risposta. Ora...» presi un profondo respiro: «Mi vuoi aiutare oppure no?».
Lùg assottigliò gli occhi: «Stai diventando brava a trattare con le fate, mezzosangue, devo darti più credito» sibilò in un tono mi avrebbe fatto rabbrividire dal terrore se non fosse stato per il sorrisetto divertito che gli incurvava le labbra sottili.
«Questi poteri, allora?» domandò poi, raddrizzandosi e appoggiandosi contro l'armadio al fianco del letto, facendo scricchiolare il legno con un cigolio sinistro.
Mi schiarii la gola e, lisciando la ruvida coperta che avevo in grembo, borbottai: «Sono andati. Ho sentito uno squarcio al petto e poi... e poi ero vuota».
Lùg mi scrutò in silenzio per qualche secondo, poi i suoi occhi corsero ai miei polsi: «Ti hanno fatto indossare delle catene azzurre? Ti hanno fatto toccare una pietra azzurra?».
Scossi la testa, e vidi le sue spalle rilassarsi: «Bene» mormorò, «Questo è un buon inizio».
La mia mente corse indietro, a quelli che sembravano secoli prima ma che in realtà erano solo alcuni mesi prima, e rividi con chiarezza le Catene del Supplizio che avevano deprivato Brecc O'Malley dei suoi poteri: «Esistono anche qui?» rabbrividii, «Le catene che risucchiano i poteri?».
Le iridi di Lùg si accesero di un odio bruciante: «Oh, sì» ringhiò, «Gli umani ci hanno dato diversi problemi durante la guerra, usando quelle pietre maledette. Risucchiano i poteri dei mezzosangue e indeboliscono quelli delle fate, tanto che sono necessari diversi mesi prima che le fate riescano ad avere di nuovo il pieno controllo sulla loro magia».
«Io non ho toccato nulla del genere, però» osservai, rannicchiandomi con le ginocchia strette al petto.
Lùg si spostò una bionda ciocca di capelli dietro l'orecchio e rifletté: «Ci sono fate che hanno perso la vita per aver osato troppo con la magia; altre, invece, si sono semplicemente... prosciugate. Hanno dato fondo a tutto il loro potere e si sono spente come fiammelle in una tempesta, lasciandosi morire di inedia. Spesso il trauma della perdita è troppo grande da superare».
Pensai a Domhnall, inerme nel letto dell'osteria da ormai cinque giorni, e una fitta di compatimento mi strinse il cuore... e mi resi conto che io avrei potuto essere come lui.
Mi immaginai una vita senza poteri, una vita senza più sentire l'euforia della magia che mi cantava nelle vene, e la sensazione di vuoto che avevo al petto si fece quasi dolorosa, tanto che gli occhi iniziarono a pizzicarmi di lacrime trattenute a stento.
«Aiutami» annaspai, arpionandomi il petto e affondando le dita nel cotone del pigiama che indossavo, «Ti prego, Lùg... aiutami».
Lui rimase in silenzio qualche secondo, scrutandomi con attenzione da sotto le lunghe ciglia bionde, poi mormorò: «Potrei non esserne in grado, Mezzosangue. Se tu avessi effettivamente dato fondo a tutta la tua magia, non potrei fare nulla per aiutarti».
«Come faccio a sapere? Come posso capire se... se c'è ancora qualcosa, dentro di me?» rantolai, con la gola stretta in una morsa d'angoscia.
Egli osservò la mia espressione implorante e un sorrisetto comparve sul suo volto: «Sei davvero così disperata, mezzosangue?».
«Tu non lo saresti?» ringhiai, «Sei stato nei tumuli... quindi sai cosa significa non avere nemmeno un briciolo di magia. Vorresti vivere in quel modo, Generale? Oppure muoveresti mari e monti pur di recuperare ciò che hai perso?».
Lùg rimase a fissarmi a lungo, studiando i miei occhi lucidi e le mie labbra straziate dai denti, infine mormorò: «Posso aiutarti a scoprire se possiedi ancora qualche potere, e, qualora ci fosse effettivamente della magia residua in te, potrei aiutarti a farla emergere».
Il sollievo fu tanto intenso da farmi girare la testa.
«Fallo» sussurrai, stringendo le mani a pugno per impedirgli di vedere il tremore diffuso alle mie mani, «Qualunque cosa tu debba fare, falla».
«Per quanto apprezzi vederti così... disponibile nei miei confronti, non è così semplice» mormorò lui, staccandosi dall'armadio e avvicinandosi al mio letto, «Io non posso fare nulla da qui. I sogni non sono reali, non davvero, il che significa che io non posso aiutarti da qui».
Mi mordicchiai il labbro, sentendo puzza di inganno: «Cosa mi stai chiedendo?».
Un sorriso lascivo illuminò i lineamenti di Lùg e lui, per qualche secondo, apparve come un angelo bellissimo mandato dagli dèi in persona: «Ti sto chiedendo di evocarmi, Rowan O'Brien» mormorò con voce burrosa.
Mi irrigidii e un brivido di gelo mi scivolò lungo la spina dorsale.
«E-evocarti?» balbettai, sperando di aver capito male.
Lui annuì e, troneggiando su di me come un angelo vendicatore, mi sorrise: «Tu evocami, mezzosangue, e io potrò aiutarti».
Cercando di ignorare la voce nella mia testa che ululava come una sirena, ammonendomi circa l'evidentissima trappola tesami dal Generale, io mormorai: «Non so come si evoca una persona viva! Non ho nemmeno la magia necessaria a farlo!».
Lùg si chinò verso di me e mi rivolse un ghigno che fece baluginare i suoi canini alla luce della lampada ad olio: «Va' a Gorias con il Principe Morven» mormorò, «Una volta lì, ti dirò come evocarmi... e ti potrò aiutare».
«Come?» sbottai, «Come saprai se ho ancora i miei poteri? Come mi aiuterai a riottenerli?».
Lùg inspirò l'odore dei miei capelli: «Sono un Segugio, mezzosangue, e so cosa cercare... fidati di me, quando dico che se tu hai ancora qualche goccia di magia nelle vene io lo saprò» mormorò con voce melliflua, sfiorandomi il profilo del volto con le nocche della sua mano.
Rabbrividii e quasi non mi accorsi che la mia vista si era fatta sfocata.
«Pensa alla mia proposta, mezzosangue...» il sussurro di Lùg arrivò flebile alle mie orecchie ed io iniziai a sentire il mio corpo che si stava svegliando: percepii il cuscino morbido sotto la mia guancia e il peso della coperta sopra di me.
Appena prima che la luce si infiltrasse sotto le mie palpebre frementi, un ultimo bisbiglio provenne dal sogno: «Passa una buona giornata, Rowan», poi mi ritrovai a fissare la camera inondata dal sole dell'alba.
***
Bentrovatiii! Cosa ne pensate di questo capitolo e della proposta di Lúg? Fidarsi o non fidarsi del temuto Generale?
E finalmente abbiamo visto qualcosina a proposito di Saraid... Nel prossimo capitolo vedremo qualcosa in più su questo nuovo personaggio, ma intanto voi cosa ne pensate?
A presto😘
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