Sabbath pt.2
«Ѐ stato... interessante» commentò Labhraidh, sogghignando mentre mi trascinava sul prato, dove decine di fate stavano già danzando sotto la luce delle stelle.
«Avrei preferito evitare tutta questa drammaticità. Mi è sembrato di essere finita dritta nel centro di una soap opera» borbottai, ondeggiando a ritmo di musica con la fronte posata sul torace del mio migliore amico.
«La drammaticità, purtroppo, è una proprietà intrinseca di Grania; quando c'è lei non la si può evitare».
«Sono fortunata ad avere te, Labhraidh» mormorai, con il cuore traboccante di riconoscenza per il mio migliore amico.
Il ragazzo arrossì e si scompigliò distrattamente i capelli castani: «La cosa è reciproca, Row. Dopotutto, siamo una bella squadra noi due».
«Manca solo Michan all'appello» borbottai, cercando di immaginare cosa stesse facendo in quel momento il nostro amico.
«Già. Mi manca» mormorò Labhraidh, sospirando fra i miei capelli.
Conscia del fatto che egli aveva abbandonato la sua famiglia e i suoi amici pur di seguirmi nelle Terre Oscure, lo strinsi più forte, cercando di infondergli tutto l'affetto che provavo per lui.
«Detesto interrompere questo toccante momento, ma...» la profonda voce di Morven mi graffiò le orecchie, «...Posso avere l'onore?».
Mi voltai e mi ritrovai di fronte il Principe con la mano protesa verso di me, in un muto invito a danzare.
Impallidii e lo stomaco mi si torse in una fastidiosa morsa, ma raddrizzai le spalle e balbettai: «C-certo, mio Principe, sarebbe un onore».
«Buona fortuna» mi sussurrò all'orecchio Labhraidh e quando il suo caldo corpo si staccò dal mio rabbrividii impaurita, desiderando solo afferrare la mano del mio migliore amico e correre il più lontano possibile da Morven.
Le gelide dita del Principe si strinsero fra le mie ed io rabbrividii, assoggettata dai suoi lupeschi occhi gialli.
«Complimenti per l'idea, mezzosangue» mormorò con voce roca, soffusa come un ringhio d'avvertimento, «Erano secoli che qualcuno non metteva Domhnall con le spalle al muro».
Distolsi lo sguardo dalle sue iridi gialle e borbottai: «Io volevo solamente... non essere lasciata sola con i Maledetti. Non sarei sopravvissuta un mese fuori dalle mura» pigolai, cercando di fargli tenerezza. Non dovetti nemmeno fingere di essere terrorizzata, in quanto anche il solo pensare a quelle figure scheletriche e deformi mi aveva causato un intenso brivido lungo la schiena.
Morven mi rivolse un ghigno cospiratorio, come se fosse a conoscenza di tutti i miei oscuri segreti, e mi avvertì: «Spero tu abbia ben pensato a cosa significhi diventare la moglie di Domhnall».
Io aggrottai le sopracciglia, confusa, e il suo sorriso si fece più marcato: «Lui era... ossessionato da Saraid. Lei era già la Signora di Murias quando lui venne al mondo, ma ciò non gli impedì di innamorarsi perdutamente di lei. Crebbe con la sola idea di prenderla in moglie, una volta raggiunta l'età adatta».
«Lei però stava con Lùg» osservai, stranita dalla piega che aveva preso la conversazione.
«Fra Lùg e Saraid le cose non sono mai state... semplici. Pare che prima della guerra lui l'avesse addirittura lasciata, quindi Domhnall aveva creduto di avere finalmente una chance. Quando però Lùg e Saraid tornarono dal Regno Umano, vittoriosi e di nuovo insieme, Domhnall... beh, diciamo che non la prese bene. Arrivò ad odiarla con tutto se stesso».
«Perché mi stai dicendo tutto questo?» domandai confusa.
Morven si fece serio: «Perché Domhnall potrebbe volerti in moglie per amarti, come avrebbe voluto amare lei... oppure per vendicarsi. L'odio e l'amore hanno confini estremamente labili, Rowan».
Rabbrividii, non riuscendo a decidere cosa fosse peggio: ricevere l'indesiderato amore del Principe e doverlo assecondare, oppure sopportare il suo odio e le sue vessazioni per il resto della mia vita.
«Io non sono lei, e questo Domhnall lo sa» mormorai, sperando che le mie parole corrispondessero a verità.
«Lo spero per te, mezzosangue».
Le sue mani mi condussero in un altro passo di danza e, quando tornai di nuovo al suo fianco, stretta al suo ampio torace perennemente avvolto dal mantello nero, domandai: «Com'è morta? Aveva le sue legioni di Non Morti, aveva Lùg al suo fianco, era amata. Cosa l'ha uccisa?».
«Un pugnale» mormorò Morven, «Lùg la trovò esanime nella loro camera da letto... non si seppe mai l'identità dell'assassino».
«Un... pugnale?» ripetei, incredula che un banale pugnale avesse messo fine alla vita di una delle fate più potenti ad aver mai camminato nel mondo.
Morven sorrise amaramente: «Ci piace credere di essere immortali, ma la verità è che siamo solo più difficili da uccidere».
Il Principe mi lasciò andare una mano e, rapido come un lupo, agguantò un cameriere dai capelli chiari come la luna. Gli carezzò la gola e, fissandomi con i suoi occhi di un giallo magnetico, continuò: «È per questo che ci piace mordere gli umani...».
Un'affilata unghia strisciò sulla pallida pelle del collo del cameriere e una sottile linea cremisi luccicò sotto la luce delle torce.
«Nulla ti fa sentire immortale quanto l'idea di avere potere di vita o di morte su un altro essere vivente» mormorò, e le sue dita si strinsero con più forza alle mie, tirandomi più vicina a sé.
Fissai come rapita la goccia di sangue scivolare lungo la carotide del cameriere e mi tornò in mente la volta in cui avevo bevuto da Donegal... l'energia che avevo percepito fluire dal suo corpo al mio, la magia sfrigolare nelle mie vene, l'inebriante sensazione di invincibilità che il suo sangue mi aveva trasmesso.
Sapevo di cosa stava parlando Morven, l'avevo provato io stessa.
Allungai le dita e sfiorai il collo dell'umano.
I miei polpastrelli si imbrattarono di rosso e l'odore ferroso del sangue mi invase le narici... ma il disgusto non arrivò.
Ipnotizzata dal vivo colore che pareva pulsare sotto la luce della luna, mi portai le dita alla bocca, ma una voce mi bloccò: «Rowan».
Distolsi a fatica lo sguardo dal sangue cremisi e, quando infine sollevai lo sguardo, mi ritrovai a fissare le iridi grigie di Rìan. Il ragazzo era comparso al mio fianco silenzioso come un fantasma e in quel momento sostava immobile a pochi centimetri da me, bellissimo nel suo mantello nero che risaltava in modo quasi innaturale i suoi occhi chiari.
Una sequela di emozioni i attraversò il petto: senso di colpa per essermi fatta trovare in quel modo, vergogna bruciante, imbarazzo. Abbassai gli occhi, attendendo la sfuriata, ma quella non arrivò mai: quando sollevai lo sguardo, mi accorsi che l'attenzione di Rìan non era concentrata su di me, quanto piuttosto sul sangue cremisi che mi imbrattava i polpastrelli.
«Che sta succedendo qui?» domandò gelido, fissando Morven con la mascella contratta.
Le rosse e carnose labbra del Principe si distesero in un sorriso che lasciò intravvedere gli affilati canini ed egli mi accarezzò una guancia in un gesto quasi affettuoso; poi le sue dita mi sfiorarono le labbra e qui le sue unghie affondarono nella mia carne.
Sussultai per il dolore e percepii un rigagnolo bollente scivolare lungo la mia pelle.
«Che diavolo state facendo?» ringhiai, trattenendomi a stento dall'imprecare contro il Principe. Mi portai una mano alle labbra ma le dita di Rìan si strinsero attorno al mio polso, bloccandomi: «Lascia fare a me» mormorò, avvicinandomisi.
L'uomo passò delicatamente il pollice sul mio labbro spaccato e i suoi occhi seguirono attentamente ogni movimento delle sue dita.
I calli delle sue mani sulla mia pelle mi sembrarono familiari ma allo stesso tempo estranei, e il calore del suo corpo mi fece ricordare ciò che eravamo stati ma che non eravamo più.
Con le pupille dilatate a tal punto da inghiottire quasi completamente il grigio delle iridi, lui mi posò una mano sulla guancia e, per qualche secondo di troppo, credetti che egli mi avrebbe baciata.
Il mio cuore mancò un battito ed io mi irrigidii, con lo stomaco stretto in una morsa di panico, non sapendo come fuggire dal suo sguardo bramoso.
Rìan socchiuse le palpebre e strinse la mandibola, inspirando profondamente dal naso; quando riaprì gli occhi, ogni traccia di desiderio era sparito dal suo sguardo: indietreggiò rapidamente di un paio di passi e nascose le mani dietro la schiena, senza guardarmi.
Morven ridacchiò divertito, fissando Rìan con sufficienza: «Sei veramente uno sciocco, ragazzo... potresti avere ciò che desideri, se solo lo volessi, ma tu sei così... ostinato» mormorò, e i suoi occhi di lupo mi fissarono con insistenza.
Arrossii sotto il suo sguardo penetrante e fissai la mia attenzione su Rìan, cercando di capire se Morven avesse detto veramente quello che mi era parso di sentire... se avesse veramente parlato di me. Di Rìan che voleva me. L'uomo, però, non reagì: chinò la testa e, rapido com'era arrivato e silenzioso come un'ombra, fuggì fra la folla, dileguandosi.
«Che cosa... gli avete fatto?» domandai, incredula di fronte all'atteggiamento remissivo di Rìan.
Il Principe mi rivolse un ghigno perverso e mi fece l'occhiolino: «Credo non ti abbia ancora dimenticata, sai?».
Arrossii di nuovo, ma raddrizzai le spalle e sbottai: «Smettetela di prendervi gioco di lui... o di me. Non è affatto divertente».
«Per me lo è, dolcezza» mormorò egli con voce suadente, poi afferrò la mia mano e se la portò alle labbra. Prima che potessi rendermi conto delle sue intenzioni, la sua lingua lambì il mio dito e le sue labbra carnose si strinsero attorno alla mia carne... ed egli leccò via dalla mia pelle il sangue cremisi del cameriere, fissandomi con un'espressione indecifrabile negli occhi gialli.
Rabbrividii vistosamente, sentendomi in pericolo, ma l'intensità del suo sguardo risvegliò qualcosa dentro di me: i miei occhi corsero al cameriere, che era rimasto immobile e inerme al nostro fianco, con lo sguardo vitreo e una mano posata distrattamente sulla ferita al collo.
Una sottile linea cremisi scorreva fra le sue dita, scivolando lungo la gola e scomparendo oltre la livrea bianca, ed io a quella vista percepii di nuovo il desiderio che mi aveva bruciata poco prima.
«Tu lo brami...» mormorò la voce suadente di Morven e il suo respiro caldo si infranse contro la pelle bagnata delle mie dita, «Lo leggo nei tuoi occhi, lo vedo scritto sulla tua pelle».
«No» negai fermamente, distogliendo lo sguardo dal giovane cameriere.
«Oh, avanti» mi schernì Morven, «Non ha senso che tu menta con me... ammettilo».
Rimasi in silenzio, sapendo che, nel profondo, Morven non aveva torto: ero stata io a bere da Donegal, settimane prima, e, da quel momento in poi, la vista del sangue mi... intrigava. Una pulsione oscura mi spingeva a desiderarlo e, nonostante non avessi mai fatto nulla per assecondarla, la sentivo sempre presente, vibrante sottopelle. Avevo provato l'euforia che derivava dal bere la linfa vitale degli esseri viventi e non ero ipocrita al punto tale da negare che mi fosse piaciuto, eppure... eppure non riuscivo a scollarmi di dosso l'idea che quell'atto fosse sbagliato.
Per l'ennesima volta mi tornò alla mente il sogno di sangue e violenza che avevo fatto alcune settimane prima e ogni fremito di desiderio fu annegato in una marea di gelido disgusto. Indietreggiai di qualche passo e scossi la testa: «No. Io non... non voglio questo».
«Peccato» mormorò Morven, per poi rivolgermi un sogghigno compiaciuto: «Verrai da me quando avrai bisogno di essere potente... E fidati di me, ragazzina, ne avrai bisogno molto presto».
«Cosa intendete dire?» indagai.
Il sorriso del Principe si fece più ampio: «Forse non te ne dovrei parlare, ma... sai com'è, mi piace rivelare segreti» ridacchiò divertito.
I suoi occhi gialli scrutarono la folla ed io, seguendo il suo sguardo, individuai Domhnall parlare in modo affettato con Grania in un angolo del giardino, fra cespugli di campanule argentate.
«Inoltre, il tuo – forse – futuro marito sembra troppo impegnato per prestarci attenzione» osservò Morven facendomi l'occhiolino.
«Parlate, ve ne prego» lo spronai, cercando di mantenere le formalità anche se tutto ciò che avrei voluto fare sarebbe stato scuotere violentemente il Principe Morven e carpire tutti i suoi segreti.
«Quest'oggi è giunto un corvo da Falias» mormorò lui, scrutando attentamente il mio viso in cerca del minimo cambiamento nella mia espressione.
«E?».
«E pare che Alistair e Daireen abbiano trovato... qualcosa, al Castello Nero».
«Qualcosa cosa?».
«Qualcosa che richiede esplicitamente la tua presenza, mezzosangue» mormorò Morven e la sua voce suadente mi mandò i brividi lungo la schiena.
«Che significa?» borbottai, sentendo la paura montare nel petto come l'onda di uno tsunami, pronta a travolgere tutto.
«Credo significhi che al tuo antenato, il caro vecchio Dagda, piaccia sorprenderci anche dopo essere sparito dal mondo per più di trecento Fuochi Celesti» ipotizzò Morven, fissandomi come se volesse scavare dentro le mie parti più intime e oscure.
«Credete davvero che Dagda...».
Il Principe non mi lasciò finire di parlare: «Non lo credo, ne sono sicuro. Dagda era un maledetto enigma vivente, e adorava questo genere di... sorprese. E fidati di me, mezzosangue, quando ti dico che per ciò che verrà avrai bisogno di ben più che un cameriere carino» sogghignò, accennando all'umano che ancora attendeva pazientemente con una mano posata distrattamente sul collo.
Morven mi si avvicinò silenzioso come una pantera e, carezzandomi la punta della treccia, mi sussurrò all'orecchio: «Vieni da me, quando ti servirò... so gestire il tuo ragazzetto, saprò gestire anche te».
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