Partenze
Buonaseraa! Oggi doppio aggiornamento perché ho deciso di separare il capitolo in due, altrimenti sarebbe stato troppo lungo e pesante.
A presto!
***
Mi svegliai con la testa che pulsava e con la bocca asciutta come un deserto.
Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra ed io rotolai sul letto, cercando di districarmi fra le lenzuola di seta nera. Raggiunsi un bicchiere d'acqua posato sul comodino e, senza nemmeno mettermi seduta, ingollai l'intero contenuto, beandomi della freschezza del liquido che scivolava lungo la mia gola.
«Maledizione» borbottai, massaggiandomi distrattamente le tempie con il cervello che ancora combatteva per liberarsi dagli ultimi stralci di sonno.
«Maledizione!» strillai di nuovo, non appena la mia testa si riempì di immagini della sera precedente.
Lùg.
Avevo quasi chiesto a Lùg di mordermi, anzi... l'avevo quasi implorato.
Nella mia mente avevo visto così chiaramente i suoi canini affondare nel mio collo che quasi mi domandai se non fosse successo davvero.
Le sue mani bollenti erano scivolate sul mio corpo e io mi sciolta fra le sue braccia; mi ero toccata sotto il suo sguardo di ghiaccio.
Un profondo senso di vergogna mi infiammò le guance ed io piagnucolai: «No, no, no, non è successo davvero!».
Non potevo essere stata così stupida, così disgustosamente debole, così succube dei miei oscuri desideri.
Era colpa di quella maledetta cerimonia, ne ero certa: bere il sangue di Domhnall aveva risvegliato qualcosa dentro di me, ed io ero stata talmente stupida da ignorare i sintomi e peggiorare la situazione annegando nell'alcol e acconsentendo a bere quell'orribile miscela dalla botte... Gli dèi soli sapevano cosa ci fosse dentro quel liquido, e come il mio corpo aveva reagito ad esso.
Rabbrividii e mi trascinai la coperta sulle spalle, infossandomi nel letto e desiderando solo poter diventare un tutt'uno con il materasso.
Presi un profondo respiro e scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee.
Sarebbe potuta andare peggio, mi dissi, cercando di convincere me stessa a vedere il bicchiere mezzo pieno. Dopotutto, avrei potuto farmi mordere da Morven o dal Fae del pub, e risvegliarmi nuda nel loro letto e con mezzo litro di sangue in meno nel corpo... invece io mi ero semplicemente addormentata su uno dei divanetti del pub.
Mi ero addormentata con la guancia spalmata su un appiccicoso tavolino ed ero tornata a casa da sola, sulle mie gambe.
Tutto ciò che era accaduto era stato solo un sogno... uno stupidissimo sogno, un incubo, ma che comunque non avrebbe avuto nessuna ripercussione nella vita reale.
Emisi un lento sospiro e mi alzai dal letto, vestendomi con gesti meccanici senza prestare attenzione agli indumenti che stavo indossando.
Quando scesi a fare colazione nella saletta che Domhnall aveva preparato per gli ospiti, vi trovai Rìan e Grania che chiacchieravano mestamente davanti ad una tazza di tè. Di Labhraidh non vi era traccia e nemmeno di Morven, ma vi erano cinque dei suoi uomini, perennemente avvolti nelle pesanti cappe nere.
«Com'è stata la festa?» mi domandò Rìan, studiando le occhiaie scure sotto i miei occhi e la mia pelle pallida.
Per qualche secondo di troppo rimasi incantata a fissarlo, non capacitandomi di come fosse possibile che egli fosse così simile a quel bastardo di Lùg, ma poi mi ricossi e borbottai: «Bene, bene. Mi sono addormentata su un tavolino» aggiunsi, sperando che dicendo ad alta voce quelle parole servisse a inculcarmele nel cranio e a farle credere vere persino a me stessa.
«Non dev'essere stata una festa molto divertente, allora» osservò Grania con un sorrisetto; io mi accasciai su una delle poltroncine e borbottai: «In realtà lo era... avevo solo bevuto troppo».
Gli occhi di Rìan mi studiarono con disapprovazione ma l'uomo tenne la bocca chiusa, sapendo perfettamente quanto in quel momento non avessi bisogno del suo giudizio né di una lezione circa la mia irresponsabilità.
«Avete visto Labhraidh?» domandai dopo aver masticato a lungo un boccone di pane al miele.
Volevo trovare il mio amico e scusarmi per il modo in cui l'avevo trattato la sera precedente; i sensi di colpa mi stavano stritolando il petto in una morsa che mi rendeva difficile anche respirare.
«Credo sia ancora in camera sua... noi non l'abbiamo visto» rispose Rìan ed io, dopo averlo ringraziato con un sorriso, tornai al piano di sopra con un bicchiere di latte e un dolcetto alle mele, sperando che portargli la colazione a letto lo ammorbidisse nei miei confronti.
Mi fermai davanti alla soglia e bussai lievemente; non sentendo alcun rumore provenire dalla stanza, aprii piano la porta, sperando di non svegliarlo.
Quando però i miei occhi si adattarono alla penombra della stanza, per poco non lasciai cadere il bicchiere di latte in terra: mi ritrovai infatti a fissare Labhraidh steso nell'immenso letto matrimoniale, i suoi arti semiscoperti e intrecciati a quelli di due donne, una delle quali era la fata dai capelli rosa confetto con la quale lo avevo visto la sera precedente.
«Ma bravo» sussurrai distrattamente, facendo retromarcia e chiudendomi silenziosamente la porta alle spalle.
Rimasi qualche istante ferma in corridoio, con un sorrisetto divertito in faccia, poi sorseggiai distrattamente il latte che avevo preso per lui e tornai al piano di sotto, sogghignando.
«Passato una piacevole nottata?» mi domandò Domhnall, comparendo alle mie spalle e facendomi trasalire tanto che rischiai di farmi scivolare il piattino di dolcetti dalle dita.
«Per Dagda!» strillai, «Mi avete quasi fatto venire un infarto!», poi mi portai una mano al petto e, voltandomi verso il Principe, borbottai: «Sì, ho... tutto bene, grazie».
«Mi hanno detto che avete bevuto dalla Botte degli Dèi» osservò il Principe con un sogghigno, poi il suo sguardo curioso si fissò su di me ed egli aggiunse: «Vi siete divertita?».
«N-no» balbettai, avvampando, «Per nulla».
Lui aggrottò le sopracciglia: «Peccato. Nella maggior parte dei casi, noi fate apprezziamo le esperienze generate dal Nettare... per alcuni, però, possono essere un po' intense» aggiunse ammiccando.
Sollevai gli occhi al cielo e trattenni a stento un'imprecazione: io mi ero praticamente sciolta fra le braccia del Generale e lui la chiamava "esperienza un po' intensa"... con quale audacia.
«Non è stato per nulla divertente e me ne sono andata subito a letto» mugugnai quindi, cercando ti cambiare rapidamente argomento ed evitando lo sguardo nero di Domhnall nel vano tentativo di non arrossire sotto i suoi occhi attenti.
«Avete fatto bene a dormire, visto il lungo viaggio che ci attende» osservò quindi il Principe, offrendomi il braccio e scortandomi giù per le scale.
«Viaggio? Che viaggio?».
«Oh, quello per raggiungere il Castello Nero... partiremo oggi al calar del sole» disse lui semplicemente, con un mesto sorriso sul bel viso truccato.
Mi ammutolii per qualche istante e solo in quel momento mi resi conto di non avere per nulla voglia di andarmene da Murias: avevo trovato protezione e conforto fra le mura della città, e l'idea di privarmene mi metteva quasi a disagio.
«Vi consiglio di approfittare ora dei comfort della città, perché per i prossimi dieci giorni non incontreremo altro che alberi e prati» aggiunse il Principe, al ché una smorfia sconsolata mi incurvò le labbra: «Credevo che spostarsi nel vostro mondo fosse... rapido. Avete quegli archi magici che vi trasportano da una parte all'altra del Principato, no?» domandai in tono speranzoso.
«L'arco che ci metteva in comunicazione con Velias è andato distrutto nell'ultima guerra, quindi l'unico modo per raggiungere quella che era la nostra capitale è a cavallo. Non possiamo nemmeno volarci con i grifoni, perché le povere bestie sono terrorizzate da quel posto e si rifiutano di avvicinarsi».
Un brivido di primordiale paura mi scivolò lungo la schiena: un posto al quale gli animali non si volevano avvicinare non era un posto in cui avrebbero dovuto andare gli esseri umani, nemmeno per sogno.
«Che ne è stato dell'umano che avete mandato a Velias? Non dovremmo aspettare che ritorni?» domandai tentando di temporeggiare, improvvisamente spaventata dal viaggio e, soprattutto, dalla sua meta.
«Oh, il ribelle si sta recando al Castello Nero con una tabella di marcia molto... serrata» Domhnall ridacchiò e il suono che gli uscì dalla gola mi parve lo stridulo richiamo di un avvoltoio, «Dovrebbe arrivare sul posto fra cinque giorni, e la sua guardia ha l'ordine di informarmi circa la sua salute tramite un messaggio di fuoco entro e non oltre il giorno successivo. In base a ciò che dirà il messaggio decideremo se proseguire alla volta di Velias o se tornare a Murias».
«Non era più semplice aspettare di ricevere il resoconto della guardia, prima di partire?» indagai, perplessa.
«A quanto pare no» ribadì Domhnall, «Il Principe Alistair è stato molto... insistente, nella sua missiva: la vostra presenza è stata richiesta con effetto immediato, il che è piuttosto singolare. Ammetto di essere sinceramente incuriosito dalla faccenda... e dal vostro ruolo in tutto ciò» aggiunse, scrutandomi attentamente con i suoi occhi abissali.
Feci spallucce e cercai di mascherare l'ansia che aveva iniziato ad attorcigliarmi le budella: «Mi sto chiedendo la stessa cosa da settimane, Principe, mi creda» borbottai, stringendo convulsamente il braccio della fata.
Domhnall si limitò a rivolgermi un sorrisetto indulgente, ma i suoi occhi continuarono a scrutarmi con un'intensità inquietante, quasi come se egli stesse cercando di scavarmi l'anima e assorbire ogni mio piccolo segreto.
«Lo scopriremo insieme, mia cara» disse infine e, avvicinandomisi tanto che il suo caldo fiato mi soffiò via i capelli dal collo, mormorò: «Velias pullula di misteri da svelare».
Fu così che quella giornata si trasformò in una caotica organizzazione di preparativi per il viaggio, sia per me e Labharidh, che eravamo diretti a Velias, sia per Rìan e Grania, che invece sarebbero partiti per Gorias, dove Rìan avrebbe sostenuto la prova di cittadinanza.
Quando infine il sole stava per tramontare al di là delle scoscese pendici del fiordo, ci ritrovammo tutti e quattro nella sala principale del palazzo, carichi di bagagli e agghindati con abiti comodi e mantelli di pelliccia.
«Buona fortuna, allora» esordii, fissando Rìan con apprensione.
L'uomo era sempre bellissimo, con quei capelli biondo grano e quegli occhi grigio tempesta che tanto avevo amato, ma qualcosa nel suo sguardo non mi convinceva. Rìan, sempre così coraggioso e stoico, in quel momento pareva quasi... spaventato.
Strinsi la sua mano con la mia e cercai di rassicurarlo: «Andrà bene, vedrai. Morven è un coglione un po' troppo egocentrico, ma ha giurato che ti avrebbe fatto uscire incolume dalla prova... io voglio credergli».
«Apprezzo l'ottimismo» rispose l'uomo, rivolgendomi un sorriso non troppo convincente, che però era pur sempre un sorriso.
«Cercherò di raggiungerti appena sistemata questa cosa della cittadinanza» aggiunse poi, «Non ho intenzione di restare a Gorias nemmeno un giorno in più del dovuto».
«Grazie» mormorai, «Mi farebbe piacere».
«Nel frattempo, scrivimi. Ogni giorno, al tramonto, scrivimi almeno due righe per dirmi dove sei e se stai bene... Sarò lontano, ma ci sarò».
Annuii, deglutendo il groppo che mi stringeva la gola in una morsa che mi impediva di parlare. Le sue parole, la sua richiesta... mi sembravano quasi un addio.
«Ci vediamo presto, amico» si intromise quindi Labhraidh, dando una pacca sulla spalla di Rìan.
«Tienila d'occhio» lo ammonì l'uomo, e il mio migliore amico gli strizzò l'occhiolino: «Io la tengo sempre d'occhio».
«Stammi bene, Grania» mi sforzai quindi di dire alla donna, che era rimasta in disparte alle spalle di Rìan, silenziosa come un'ombra nel suo mantello nero come l'inchiostro.
Lei mi rivolse un sorriso piuttosto tirato e, dondolandosi sui talloni con fare quasi timido, disse: «Mi assicurerò che lui stia bene».
«Oh, ehm, grazie» replicai impacciata, ricambiando il sorriso.
Ad interrompere il nostro imbarazzante scambio di battute ci pensò Morven, il quale entrò nella sala insieme a Domhnall e, camminando ad ampie falcate con gli occhi dorati fisse su di me, mi disse: «Vienimi a trovare qualche volta, mezzosangue... Gorias è bellissima in questa stagione».
«Volentieri, Principe» mentii, «Sarebbe un immenso piacere».
Lui fece schioccare la lingua con disappunto, non apprezzando la mia freddezza nei suoi confronti; poi lanciò un'occhiata disinteressata nella direzione di Rìan e Grania e ordinò: «Forza, bambini, è ora di andare».
Senza degnarci più di uno sguardo, si voltò e se ne andò dalla fortezza di Murias.
Rìan e Grania ci salutarono brevemente un'ultima volta, poi corsero dietro a Morven e scomparvero fra le prime ombre della sera.
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