Ospiti
«No. Assolutamente no».
Il Principe Domhnall mi sbatté la porta del suo ufficio in faccia.
Fui tentata di fuggire nella mia camera a nascondermi, umiliata dall'occhiata raggelante che mi aveva rivolto poco prima, ma invece raddrizzai le spalle e, dopo aver preso un profondo respiro, bussai nuovamente alla sua porta.
«Non sto bluffando, Principe» dissi, cercando di modulare la voce in modo tale che risultasse fredda e tagliente quasi quanto quella di Lúg.
«Non andrò dalla Veggente se voi non mi darete questa sicurezza. Non posso rischiare di essere esiliata per una luna, non dopo aver visto dal vivo i Maledetti» continuai, parlando con il legno scheggiato della porta.
Vi fu un rumore di chiavi nella serratura, e il volto di Domhnall ricomparve sull'uscio: «Chi vi ha dato queste informazioni?» latrò, gli occhi stretti in due fessure sospettose.
«Le ho lette in un libro della biblioteca, mio Principe, e ho anche letto della procedura... matrimoniale» mentii, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Quindi siete a conoscenza di ciò che mi state chiedendo, vero? Sapete quanto sia alto il tasso di mortalità di questa procedura?».
«Lo so... ma voi, dopotutto, siete uno Spezzacuori: potete fermare i cuori e farli ripartire a vostro piacimento, come mi avete mostrato a Falias» gli ricordai, azzardandomi addirittura a fare un passo nella sua direzione.
Dohmnall incrociò le braccia al petto e la bianca camicia che indossava mise in evidenza i suoi muscolosi bicipiti.
«Questa è la cosa più folle che mi sia mai stata chiesta» sentenziò dopo avermi osservata per un lungo momento, aggiungendo: «E potrei farvi giustiziare anche solo per avermi fatto questa proposta».
«Volete la mia testa?» domandai, «Prendetevela, allora: preferisco morire per mano vostra che essere trasformata in uno di quegli esseri che infestano le foreste» lo incitai, chinando il capo al suo cospetto.
Il silenzio aleggiò per qualche secondo nel corridoio, poi percepii le fredde dita di Domhnall stringermi il mento, imponendomi di sollevare la testa di nuovo.
Il Principe mi studiò con i suoi occhi scuri, spaventosi e brillanti nelle orbite truccate di nero, poi sussurrò: «Credevo che voi somigliaste a Saraid solo nell'aspetto...ma ora sono tenuto a credere che vi sia di più: il vostro temperamento mi ricorda il suo fuoco».
Il rispetto che percepivo nella sua voce mi fece domandare, per l'ennesima volta, quanto dovesse essere stata straordinaria la mia antenata: tutti, a Murias, la amavano e la veneravano come una dea; il Principe stesso la stimava; e Lúg pareva un fantasma ogni qualvolta accennava a lei.
«È un sì?» domandai, cercando di scacciare le immagini di Saraid dalla mia mente.
«È un forse» rispose Domhnall, lasciandomi andare il mento e passandosi la mano sulla guancia velata da un filo di barba scura.
«Ci devo pensare, e mi devo informare presso i Saggi della Città Sacra. Ti farò sapere nei prossimi giorni» mormorò.
Chinai il capo in segno di ringraziamento e feci per andarmene, quando lui disse: «Rowan, fra tre giorni sarà notte di Luna Nera, che noi Principi del Nord celebriamo con una ricorrenza nota come Sabbath. Ho invitato Morven a Murias, e ci terrei che tu partecipassi al banchetto».
Sbattei un paio di volte le palpebre, perplessa dalla sua improvvisa cordialità, ma annuii con un cenno secco e mormorai: «Ne sarei onorata, mio Principe».
«Bene. Verrà anche il ragazzo Mezzosangue, ma ci terrei se tu passassi del tempo anche con il Principe Morven» aggiunse, poi scomparve all'interno dello studio e mi chiuse la porta in faccia per la seconda volta.
«Rìan? Rìan verrà a Murias?» borbottai fra me e me, pestando i piedi sulle scale con molta più forza del dovuto.
Non lo vedevo e non lo sentivo ormai da più di tre settimane e, incredibilmente, non avevo sentito la sua mancanza... ma al solo nominare il suo nome, il mio cuore aveva comunque fatto una capriola nel petto.
Mi domandai se egli si fosse ambientato a Gorias così come ci eravamo ambientati io e Labhraidh a Murias, e il prurito della curiosità mi stuzzicò il cervello: non vedevo l'ora di potergli parlare per farmi raccontare come avesse passato le ultime tre settimane.
Rimuginando su Rìan e fantasticando circa il Sabbath che mi aspettava da lì a tre giorni, scesi in salone e quasi non mi accorsi del pesante silenzio che avvolgeva l'ambiente come una fitta cappa di nebbia.
«Rowan!» la voce di Labhraidh mi richiamò con un concitato sussurro, e io individuai il mio migliore amico staccarsi da un fitto capannello di fate e avvicinarmisi con il viso pallido.
«L'hanno trovata» mormorò, stringendomi la mano, «La cameriera che ti ha abbandonata nel bosco, l'hanno trovata questa mattina».
La donna bionda che ci aveva ingannati la notte dell'attacco, infatti, era scomparsa non appena i Maledetti si erano ritirati nella foresta: era sparita senza lasciare alcuna traccia, così Domhnall aveva incaricato una decina di fate di mettersi sulle sue tracce e riportarla al palazzo, viva.
Ci erano voluti più giorni del previsto ma, alla fine, i soldati di Domhnall erano riusciti nel loro intento: al centro della sala, attorniata da fate che la osservavano impietose, vi era l'umana, pallida, sporca e insanguinata.
Era in ginocchio sul freddo pavimento di marmo, con la testa china e gli unti e aggrovigliati capelli biondi calati davanti al viso come una matassa informe.
Alle sue spalle, vi era il capitano delle guardie con una frusta in mano.
Un sibilo acuto sferzò l'aria e la scudisciata fece accasciare la donna a terra, esponendo agli occhi del pubblico una schiena ossuta e martoriata dalle frustate.
Mi tornò alla mente l'orribile sogno che avevo fatto diverse notti prima e il volto di Rìan si sovrappose a quello della cameriera, deformato da una smorfia di dolore e umiliato nel peggior modo possibile dalla me del sogno. Il suo urlo straziato mi invase le orecchie e un conato di vomito mi strinse la bocca dello stomaco, così indietreggiai di diversi passi e distolsi lo sguardo dalla scena.
«Che stanno facendo?» domandai stupidamente, con la voce incrinata dal disgusto.
«Lei non parla, così loro stanno diventando... creativi» mormorò Labhraidh, verde in viso.
«Sono dei barbari» sibilai, eppure, nel momento esatto in cui pronunciavo quelle parole, l'umana sollevò gli occhi azzurri ed io riuscii a separare l'immagine di Rìan del mio sogno dalla realtà.
Osservai in silenzio la donna, il suo viso smunto apparentemente tranquillo, come se le scudisciate sulla sua schiena non la scalfissero minimamente, osservai i suoi occhi pallidi e gelidi, e il mio cuore si indurì.
Quell'umana mi aveva stordita e scaricata nella foresta in mezzo ai Maledetti senza una ragione, senza che le avessi mai fatto un torto, aveva tramortito Labhraidh e ucciso un ragazzo umano che aveva cercato di avvertire una guardia del palazzo.
Quell'umana non meritava la mia compassione.
Meritava tutto ciò che le fate avevano in serbo per lei.
«Chi ti ha mandata?».
La gelida voce del capitano delle guardie sferzò l'aria e, dopo un minuto di assordante silenzio, fu seguita da un'altra sferzata.
«Hai agito da sola?» continuò la fata, e il suo braccio si mosse implacabile, guidando la frusta con una forza bruta.
L'umana rimase immobile, taciturna, come se la sua schiena non stesse sanguinando sul pavimento di marmo, come se i suoi muscoli non stessero venendo maciullati da una frusta di cuoio.
«Non parlerà» si intromise qualcuno.
La frusta si fermò e il capitano delle guardie rispose: «Allora la attende l'Aquila di Sangue».
Un sibilo collettivo percorse la folla e la fata continuò: «La esporremo in piazza, così che i suoi amici ribelli sappiano che fine ha fatto la loro amichetta. Perché è questo che sei, vero? Una sporca ribelle» mormorò, glaciale.
Egli le girò intorno, studiandola con occhi dorati come l'oro fuso, e le afferrò la matassa informe di capelli biondi, sollevandole la testa affinché lei lo guardasse negli occhi: «Hai colpito la ragazza mezzosangue perché credevi fosse Saraid? Colei che massacrò i tuoi antenati? Dimmi, sciocca umana, i tuoi amici ribelli sono talmente idioti da non sapere che Saraid è morta da almeno cento Fuochi Celesti?».
«Sono identiche» ringhiò la donna fra i denti, sputando sangue ai piedi del capitano della guardia, «Credevo che le informazioni che abbiamo fossero sbagliate».
Avanzai di qualche metro, incredula di fronte a quell'ammissione, e i miei passi attirarono l'attenzione dell'umana, la quale sollevò lo sguardo su di me e, fissandomi con occhi morti come quelli di un pesce, sibilò: «Non mi importa se sei lei o se sei la sua reincarnazione o gli dei soli sanno cos'altro, io ti prometto che ti troveremo e ti uccideremo. Le tue mani sono sporche del sangue del mio popolo e il tuo Calderone è una maledizione da estirpare dal mondo».
Mi irrigidii di fronte a quelle accuse, ma mi intimai di avanzare e mi acquattai di fronte a lei. Fissandola con un ghigno crudele, sussurrai: «Tu morirai», poi sfiorai l'anello che mi pendeva fra i seni e, facendolo rigirare fra le dita lentamente in modo tale che i suoi occhi fossero calamitati su di esso, aggiunsi: «E se decidessi di non parlare con noi, io potrei decidere di provare questo bel gingillo che ho al collo. Non ho mai intrappolato un'anima al suo interno, ma potrei cominciare con la tua».
La mia minaccia parve avere l'effetto sperato, infatti la donna impallidì e si ritrasse da me con uno scatto terrorizzato.
Quando vidi l'espressione nei suoi occhi mi sentii una persona orribile, senz'anima e senza cuore, ma mantenni uno sguardo di ferro e feci cenno al capitano delle guardie di procedere.
«Allora, umana? Per chi lavori?» le domandò la fata.
La donna non distolse lo sguardo da me quando balbettò: «Non... non lo so! Mi ha reclutata un... un tale... si fa chiamare Osso, ma non l'ho mai visto».
«E come avrebbe fatto a reclutarti, questo tale Osso?».
«Usa delle... delle monete di ferro. Sono... incantate, credo. Compaiono delle scritte... dei comandi. E sul mio conto sono stati accreditati diecimila szey non appena sono arrivata qui».
La donna andò avanti a parlare per una buona mezz'ora, incalzata dalle domande del capitano, ma le sue risposte erano vaghe e sconnesse. Apparentemente, l'umana si era affidata a questo Osso nella speranza di fare tanti soldi in poco tempo, convinta di dover soltanto spiare il Principe e riferire notizie, finché non le era giunto l'ordine di farmi sparire nel bosco durante la notte dell'attacco.
La cosa inquietante era che non appariva chiaro se l'ordine fosse giunto ad attacco già iniziato, oppure prima... il che poteva significare solo che Osso, o chi altri ci fosse a capo dei ribelli, conoscesse in anticipo i movimenti dei Maledetti.
A interrogatorio concluso, il capitano decise che la sua collaborazione le aveva risparmiato una morte fra atroci sofferenze: sarebbe morta, sì, ma in modo rapido.
Me ne andai prima che la fata le tagliasse la gola.
Il cadavere della cameriera rimase esposto nella piazza principale per tre giorni e tre notti, ma fu rimosso appena prima dell'arrivo degli ospiti da Gorias. Dalla torre sud del castello osservai i soldati del Principe tornare alla fortezza con il cadavere ormai macilento avvolto in un sacco di iuta, per poi proseguire verso la foresta per liberarsene. Non appena le loro scure sagome furono scomparse nel fitto del bosco, tre navi nere come l'ebano apparvero nel fiordo, avanzando veloci sull'acqua immobile dell'insenatura.
Le tre imbarcazioni erano snelle e slanciate, con acuminati rostri e alti alberi maestri, e sfoggiavano immense vele nere recanti uno stemma rosso rubino, che pareva prendere vita nella fredda brezza del nord.
Osservai le navi attraccare in porto e, mentre il sole iniziava a calare oltre le scogliere a picco sul fiordo incendiando l'acqua della baia d'arancio e di violetto, l'equipaggio iniziò a scendere, ammassandosi sul molo come numerose e minuscole formichine.
Non appena le prime carrozze iniziarono a risalire la brulla collina che conduceva al palazzo, io abbandonai la mia postazione sulla torretta e iniziai a dirigermi verso il salone per poter accogliere gli ospiti, come Domhnall mi aveva ordinato di fare.
Quando raggiunsi il mio posto, il Principe era già seduto sul suo scranno e sorseggiava da una coppa dorata un vino rosso sangue in attesa dell'arrivo di Morven. Gli lanciai un'occhiata di soppiatto e mi vidi costretta a reprimere un brivido di timore di fronte al suo aspetto: vestito con lavorati abiti in cuoio e pelle di pecora e agghindato con spessi bracciali e orecchini d'argento, Domhanll pareva regale come raramente lo avevo visto, ma erano le sue orbite truccate di nero ad attirare l'attenzione, in quanto lo facevano apparire una sorta di dio dell'Oltretomba relegato nel mondo mortale.
«Ti rendi conto...» sussurrò la voce di Labhraidh al mio orecchio, «...Che quello potrebbe diventare tuo marito?».
I suoi occhi castani scrutarono attentamente l'imponente figura del Principe e poi si posarono su di me, studiandomi con vago compatimento: «Spero per te che tu non ci debba finire a letto insieme. Quello mi dà l'impressione che...».
«Taci, non lo dire nemmeno per scherzo» lo interruppi, rabbrividendo nelle spalle.
Il mio sguardo corse involontariamente a Domhnall ed io mi ritrovai a pensare che, per quanto il Principe fosse maledettamente avvenente, sarei probabilmente morta di paura prima di ritrovarmi in una stanza a porte chiuse con lui.
«Morven, Principe di Gorias» annunciò in quel momento una guardia di palazzo e, dopo che le porte si furono aperte con un sinistro cigolio, Morven fece il suo trionfale ingresso nella fortezza di Murias.
Il Principe Lupo camminò ad ampie falcate lungo il corridoio centrale, con il pesante mantello nero che ondeggiava alle sue spalle ad ogni passo, e si fermò a qualche metro dal trono di Domhnall.
Sfilò una spada dal fodero che celava sulla schiena e, con un sibilo che sferzò il silenzio della stanza, porse la lama a Domhnall dicendo: «Depongo le mie armi al tuo cospetto, Principe di Murias, in nome della nostra amicizia».
«Sei ben accetto nella mia casa, Morven di Gorias, e ti offro la mia ospitalità» rispose Domhnall, alzandosi dal suo scranno e baciando con un gesto lieve la lama offertagli dall'altro Principe.
Finito quel peculiare rito di ospitalità, fu concesso l'accesso alla sala anche all'intero seguito di Morven: una ventina di fate, tutte avvolte in neri e lunghi mantelli neri, varcò la soglia e si inchinò davanti ai due Principi, portando un pugno sul cuore in segno di rispetto.
«Alzatevi» ordinò rapidamente Domhnall e i sudditi di Morven, muovendosi come un sol uomo, si alzarono come una compatta marea nera.
«Mezzosangue» chiamò quindi Morven, e due figure incappucciate si fecero avanti rapide e silenziose come ombre.
«Vi porgo i miei omaggi, Principe Domhnall» mormorò una voce con un forte accento straniero e, al di sotto dello spesso cappuccio nero del mantello, comparve il volto di Rìan.
Rimasi immobile e lo osservai silenziosamente dalla postazione assegnatami da Domhnall, alla sinistra del suo scranno, oltre le sue guardie personali.
Rìan non pareva molto cambiato nelle ultime tre settimane, però... però appariva meno sciupato: le occhiaie violacee che erano diventate il suo tratto caratteristico erano ora solo accennate e il suo viso aveva assunto un sano color bronzo-dorato, anziché il solito pallore mortale.
«Vi ringraziamo per l'invito, mio Principe» aggiunse in quel momento la seconda figura, e una smorfia mi deformò il viso: quella voce dal marcato accento, infatti, apparteneva alla sola e unica Grania, che scelse proprio quel momento per abbassarsi il cappuccio e mostrare i suoi meravigliosi riccioli rossi, che le ricaddero in una cascata ordinata lungo la schiena.
Espirai lentamente, rendendomi conto che la serata non sarebbe stata tanto piacevole quanto avevo sperato.
«Vedo che i tuoi nuovi acquisti stanno imparando in fretta» osservò compiaciuto Domhnall, portandosi alle labbra il dorso della mano di Grania e baciandolo con grazia.
«Oh, hanno solo imparato quattro paroline per farti contento» li derise Morven, aggiungendo: «Capiscono ben poco di ciò che ci diciamo, ma almeno non mi stanno fra i piedi. Hanno entrambi il potenziale di diventare validi guerrieri, quindi li ho messi entrambi alle armi. Lei è un po' troppo carina per stare fra spade e rozzi uomini, ma quando le ho proposto di diventare una dama da accoppiamento mi ha quasi conficcato un pugnale nell'occhio».
Domhnall scoppiò a ridere divertito, ma dallo sguardo confuso che vidi comparire sui volti di Rìan e Grania compresi che i due non avevano afferrato appieno il senso del discorso di Morven, il che fu una fortuna, perché se Grania avesse intuito che Morven stava parlando di lei in termini di "dama da accoppiamento" gli avrebbe sicuramente fatto passare un brutto quarto d'ora.
I ferini occhi di Morven, a quel punto, corsero alle spalle del Principe e scrutarono i presenti, fissandosi poi su di me con compiacimento.
«Ed ecco la nostra Signora del Calderone» mi salutò, facendomi l'occhiolino con uno dei suoi gialli occhi dalla pupilla verticale da lupo.
«Mio Principe» lo salutai, chinando il capo in segno di rispetto.
«Hai quasi fatto di lei una vera cittadina, Domhnall» commentò Morven, facendomi cenno di avvicinarmi.
Tenendo le spalle dritte e il mento alto, avanzai fino a trovarmi al suo cospetto e cercai di fissare i suoi occhi lupeschi senza mostrare la paura che in realtà provavo.
Morven era sicuramente il Principe che più di tutti mi terrorizzava: sapevo che, molto probabilmente, Domhnall era più potente e letale di lui, eppure... eppure Morven aveva quella luce di follia negli occhi che lo rendeva imprevedibile e pericoloso, come una bestia feroce, esattamente come lo era Lug.
«Sembri a tuo agio nei panni di una Cittadina di Murias» mi disse Morven, ignorando ogni formalità e carezzando un ciuffo ribelle che era fuoriuscito dall'elaborata treccia in cui erano stati acconciati i miei capelli.
«Lo sono» confermai, «Il Principe Domhnall mi ha fatta sentire... a casa» aggiunsi, lanciando un'occhiata calorosa alla fata, che rimase ad osservarmi con espressione corrucciata.
«Portate i nostri ospiti a visitare i giardini» mi ordinò Domhnall poco dopo e, senza attendere la mia risposta, si incamminò verso il suo studio affiancato da Morven.
Non appena i due furono scomparsi al piano superiore, rivolsi la mia completa attenzione a Rìan.
Osservai il suo volto sbarbato, il suo incarnato non più pallido ma dorato dal sole e i suoi occhi grigi, lunimosi e non cupi come quelli che ricordavo, e non potei che compiacermi enormemente del suo aspetto: Rìan pareva quasi... brillare di vita, come non lo vedevo fare da prima che venissi rapita.
Avanzai di qualche passo e, mentre un sorriso genuino faceva capolino sulle mie labbra, tutto ciò che riuscii a dire fu un banale e sciocco: «Ciao».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top