Marchiata pt.2

Buon Nataleeee 🎅✨❄️
Spero abbiate passato un buon Natale con le votre famiglie o i vostri amici (o semplicemente una buona domenica per chi non è religioso)🥰
Io sono appena approdata sul divano - che ho raggiunto praticamente rotolando - e ora, fra una carezza al gatto e un sorso di tisana, pubblico la seconda parte del capitolo precedente.
Come al solito, fatemi sapere le vostre impressioni (e i vostri scleri contro Grania)!
A presto e ancora Buon Natale 🥳❄️

***

Quando tornammo a palazzo, Domhnall ci convocò nella sala delle udienze e, nel vederlo tronfiamente seduto sul sopraelevato trono di ferro, mi compiacqui di non dover diventare sua moglie: la sua vista era a dir poco terrificante.

Egli se ne stava comodamente svaccato con le gambe divaricate sullo scranno; la lunga treccia nera gli penzolava pigramente sul petto coperto da una stretta cotta di maglia e una grossa spada di lucido acciaio era posata sulle sue ginocchia.

I suoi occhi scuri, infossati nelle orbite nere di trucco, mi fecero venire la pelle d'oca ed io rabbrividii al pensiero che, se non avessi appena passato la prova della Veggente, avrei dovuto prepararmi per prenderlo in sposo.

«Il mio stemma sulla fronte ti dona, nipote di Dagda» esordì Domhnall, posando i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi verso di me.

«Mi lusingate, mio Principe» mormorai, chinando la testa e fissando gli occhi sul marmo scuro del pavimento.

«Devo ammettere che sono stranamente deluso» mormorò lui, ed io sollevai lo sguardo sorpreso sul suo viso.

I suoi occhi scuri scivolarono lentamente su di me ed egli continuò: «Mi stavo abituando all'idea di prendervi in moglie... il vostro successo durante la prova di oggi ha un ché di dolceamaro, lo ammetto».

Sentii le guance scottare per l'imbarazzo e rimasi in un silenzio che grondava timore, troppo in soggezione per articolare una risposta sagace.

A venire in mio aiuto fu Morven, il quale emerse da un anfratto ombroso della sala esordendo con un: «Invece dovresti solo esserne felice, razza di idiota: accettare di sposarsi con una Mezzosangue è l'idea più stupida che tu abbia avuto da che ti conosco, ed io ti conosco da ormai molti anni».

«Bada a come parli nel mio palazzo, Principe» lo ammonì Domhnall, fulminandolo con uno sguardo di ghiaccio.

«Sì, sì, come ti pare» lo liquidò Morven, per nulla turbato dall'ammonimento di Domhnall.

Si avvicinò quindi a Rìan e Grania e, passandosi una mano sulla testa rasata in un gesto distratto, ordinò loro: «Fate le valige, bambini: questa sera torniamo a Gorias».

«Di già?» sbottò Rìan.

Il ghigno che comparve sul volto di Morven mi fece venir voglia di nascondere la testa sotto la sabbia come uno struzzo: «Qualcosa ti trattiene qui a Murias, Mezzosangue? Qualcuno, forse?» domandò il Principe, ammiccando nella mia direzione con i suoi occhi gialli ferini.

Abbassai immediatamente lo sguardo a terra e non lo rialzai nemmeno quando sentii più di un paio di occhi posarsi su di me, non volendo leggere le espressioni degli astanti.

«No, certo che no» fu la secca risposta di Rìan, e con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi con discrezione a Grania.

Emisi un lento e silenzioso sospiro, poi rivolsi la mia attenzione a Morven: «È un peccato ve ne andiate così presto... spero non sia successo nulla di grave a Gorias» osservai, inclinando la testa di lato ed osservando il Principe con finto interesse.

«Certe volte mi inquieti, Mezzosangue... sei troppo simile alla tua terrificante antenata» divagò lui, arricciando le labbra in una smorfia, ma poi continuò: «Non ti preoccupare per la mia città, tutto fila liscio nel mio regno. Torniamo soltanto perché il tuo amico laggiù deve sostenere la sua prova di cittadinanza» concluse, indicando con un cenno del mento Rìan.

Alle sue parole, vidi il volto del ragazzo farsi di pietra.

La fredda mano del Principe racchiuse la mia guancia ed egli voltò il mio viso verso di sé, impedendomi di scrutare ulteriormente Rìan, mormorando: «Se la caverà, non temere... Te lo restituirò tutto intero, te lo prometto».

Le sue dita sfiorarono il marchio che mi era stato impresso sulla fronte, ma io mi ritrassi di scatto dal suo tocco: «Tenete giù le mani» ringhiai, stanca del suo atteggiamento e tesa per via delle sue continue insinuazioni circa me e Rìan.

«Questa tua lingua biforcuta mi eccita, sai? Mi fa pensare a tutti i modi in cui potrei metterti a tacere... strangolandoti, per esempio» sussurrò lascivamente Morven ed io arretrai spaventata nell'udire le sue traviate fantasie.

«E questo dovrebbe essere eccitante?» sbottai di rimando, ostentando una spavalderia che in realtà non avevo.

«Per me sì, lo è assai» concordò lui, con le pupille dilatate che oscuravano quasi del tutto il giallo delle sue iridi.

«Lasciala in pace, Morven» intervenne Domhnall, alzandosi dallo scranno.

«Vi ho convocati anche per un altro motivo... non solo per congratularmi con Rowan O'Brien» aggiunse il Principe.

Scese i gradini del trono e camminò lentamente verso di noi con l'andatura rigida e militaresca che lo contraddistingueva, così diversa dal modo fluido di muoversi di Morven.

«Ieri abbiamo ricevuto notizie da Alistair» mormorò Domhnall, e Morven mi fece l'occhiolino, apparentemente compiaciuto di avermi dato la notizia in anticipo alla cena del Sabbath.

«La vostra presenza è richiesta al più presto al Castello Nero, Rowan O'Brien... è per questo che ho dovuto accelerare le tempistiche della vostra cittadinanza: ho voluto giocarmi il tutto e per tutto, pur di avervi sotto i miei vessilli prima della vostra partenza» spiegò il Principe, accarezzandosi la treccia nera.

«Non posso recarmi al Castello Nero» sbottai di getto, ripensando a tutto ciò che mi aveva raccontato Lùg nel sonno.

Domhnall inclinò la testa di lato: «Temo che invece non abbiate altra scelta».

Le parole di Lùg mi rimbombarono nelle orecchie quando mormorai: «Mandate un umano, prima di mandare me» mi venne la nausea nel pronunciare quella frase, ma deglutii forzatamente e proseguii: «In quel luogo vi fu una moria di fate, non solo a causa della caduta della bomba ma anche per via dei veleni sprigionatisi da essa... come potete assicurarvi che quei veleni non siano ancora presenti? Che non uccidano me, una semplice Mezzosangue?».

Il viso di Domhnall si scurì, e fu come se la notte di Murias divenisse densa come l'inchiostro.

Sentii una mano invisibile stringersi attorno al mio collo, e la voce del Principe mi invase le orecchie: «Come sapete tutto ciò?».

La calma nelle sue parole era più terrificante della sua furia.

Annaspai in cerca d'aria e balbettai: «H-ho studiato».

«Certe cose non ci sono sui libri... questa è una di quelle» mormorò lui, aumentando la presa.

Un grumo di oscurità e rabbia iniziò ad agitarsi nel mio petto, ed io riuscii a prendere sufficiente fiato per replicare in tono piccato: «So fare le domande giuste alle persone giuste. Non è questo che cercate in un cittadino della vostra città?».

La stretta invisibile si allentò sul mio collo ma continuai a sentire le fredde mani posate sulla mia pelle, mentre dita fantasmi mi accarezzavano la gola.

«Siete più furba di quanto diate a vedere, Mezzosangue... ma state attenta a come giocate le vostre carte: ora che siete una cittadina potete essere accusata di tradimento, se non state attenta».

«Tradimento?» sbottai, irata, «Per cosa? Per aver cercato di salvaguardare la mia vita?».

Un indolente sorriso comparve sul volto del Principe: «Non so a che gioco state giocando, ma io vi ho avvertita. Spesso non è un bene mettere il naso dove non si dovrebbe» si limitò a rispondere, criptico.

Ignorando la paura che la sua minaccia aveva generato in me, tagliai corto: «Quindi manderete un umano oppure no?».

«Lo manderò, non vi preoccupate. Le mie segrete sono zeppe di ribelli che darebbero letteralmente la vita pur di vedere la luce del sole un'ultima volta» mormorò il Principe, ed io rimasi impressionata da quanto bene Lùg avesse previsto ogni cosa: tutto si era svolto esattamente come lui aveva ipotizzato ed io mi resi conto che, forse, non era un caso che egli era stato nominato Generale dell'esercito da Finvarra in persona.

«Vi ringrazio, mio Principe» mormorai quindi, chinando la testa in segno di rispetto nel tentativo di smorzare i toni alti di poco prima.

Domhnall sospirò profondamente, perfettamente conscio del mio intento, ma mormorò: «Ora andate a prepararvi... vi ho fatto recapitare un abito per l'occasione».

«Occasione? Quale occasione?» domandai confusa.

«La vostra festa, Rowan» spiegò il Principe, parlandomi come se si stesse rivolgendo ad una bambina, «Questa sera celebreremo la vostra cittadinanza con tutti gli abitanti di Murias... credo che vi piacerà» osservò poi, scrutandomi incuriosito.

Si rivolse quindi a Morven: «Se vuoi trattenerti anche questa sera, sei ben accetto fra di noi».

«Non dico mai di no ad una festa, dovresti ormai saperlo» ammiccò l'interpellato e, rivolgendomi un sorrisetto, lasciò la sala.

Quando tornai nella mia stanza, trovai il vestito che Domhnall aveva scelto per me posato sul letto.

L'abito era un mare di seta nera come l'inchiostro, che scivolava lungo il mio corpo terminando in una gonna che pareva fluttuare fra le mie gambe come una seducente carezza. Il corpetto era stretto in vita e dominato da una scollatura vertiginosa, che terminava alla fine dello sterno; le spalline erano sottili e si andavano ad intrecciare sulla schiena in un gioco di lacci e passanti che richiesero l'intervento di Labhraidh per essere sistemati correttamente.

Quando infine fui pronta, vestita di seta e con i capelli legati in un'elegante treccia, scesi nella sala del trono e mi sorpresi di trovarla gremita di persone: vidi i nobili mischiarsi ai contadini, i poveri ai ricchi e i cittadini ai non cittadini, e tutti stavano strepitando e bevendo da enormi brocche di liquido dorato. Non appena io varcai la soglia del portone, però, tutti si acquietarono e i loro occhi furono su di me.

Avanzai timidamente, stringendo convulsamente il braccio di Labhraidh, finché non fui ai piedi del trono, sulla sommità del quale attendeva Domhnall.

I suoi occhi neri scivolarono su di me con pigro interesse, animati da una luce pericolosa, ed io raddrizzai le spalle mettendo in bella mostra l'anello di Dagda, adagiato fra i miei seni.

«Per la prima volta da che Murias abbia memoria...» esordì Domhnall senza distogliere lo sguardo da me, «...una Mezzosangue viene dichiarata degna di diventare una Cittadina».

Un mormorio acceso si librò dalla sala, ma il Principe acquietò il brusio: «Lo so, amici, sembra inaudito... ma la ragazza ha il sangue del dio Dagda nelle vene e porta il suo Calderone, proprio come Saraid – la nostra Signora – prima di lei».

Lentamente, il Principe scese i gradini e afferrò una coppa che gli veniva porta da un valletto.

«Giurate di proteggere la nostra Sacra Città con la vostra vita?» mi chiese, e la sua voce risuonò stentorea nella sala, rimbombando nella mia cassa toracica.

Presi un profondo respiro e, sentendo improvvisamente il peso della cerimonia, chinai la testa: «Lo giuro» scandii chiaramente.

«Giurate di non cospirare, tradire o danneggiare la nostra Sacra Città?».

«Lo giuro».

«Giurate di servire e proteggere tutti i cittadini della nostra Sacra Città?».

«Lo giuro» ripetei per la terza volta, sentendo improvvisamente il peso della cerimonia sulle spalle.

Domhnall intinse le dita nella coppa dorata ed esse si colorarono di un profondo nero abissale.

«Vi nomino a tutti gli effetti Cittadina della Sacra Città di Murias. Ora siete soggetta alle leggi della nostra Città; avete diritti e doveri pari a qualunque altro cittadino della nostra Sacra Città» sentenziò il Principe con voce stentorea e con le dita macchiate di nero dipinse prima la mia orbita destra e poi quella sinistra.

Sentii il liquido caldo e vischioso scivolare lungo i miei zigomi e seccarsi rapidamente sulla mia pelle, assumendo l'aspetto di nere lacrime oscure, e percepii il suo odore ferroso... rendendomi conto solo in quel momento che il fluido con cui ero appena stata marchiata era sangue.

Sangue nero di fata.

«Bevi» mi ordinò quindi Domhnall, mettendomi la coppa dorata fra le mani.

Con le dita che tremavano, posai le labbra sul freddo metallo e feci un sorso del denso sangue nero. Il sapore ferroso mi esplose sulla lingua e sentii la mia bocca andare a fuoco. Un brivido intenso mi scosse la spina dorsale e gli arti ed io ingollai l'intero contenuto della coppa, aggrappandomi al calice come se ne dipendesse la mia stessa vita.

Un gemito di frustrazione scivolò fra le mie labbra quando mi resi conto che il liquido era finito, e mi ritrovai inconsciamente a lappare le ultime gocce dal fondo della coppa come un gatto affamato.

Quando Domhnall mi prese la coppa fra le mani cercai di protestare, ma egli mi zittì passandomi un dito sulle labbra. Il suo polpastrello si macchiò di nero ed egli mi sorrise: «Benvenuta nella tua nuova casa, Rowan O'Brien... e bentornato a casa, Calderone di Dagda» mormorò, accarezzando poi il medaglione che pendeva fra i miei seni.

«Questa sera celebriamo una nuova cittadina: Rowan O'Brien, la Mezzosangue di Murias!» gridò quindi il Principe e mille voci si unirono a lui in un coro che vibrava di potere, osannando il mio nome come quello di un santo.

Le voci mi rimbombarono nelle orecchie e nel cuore e per qualche secondo mi sentii stordita.

Ce l'avevo fatta... ero una cittadina di Murias.

Ero diventata una di loro.

Rabbrividii: avevo la loro reliquia, avevo il loro marchio e ora avevo bevuto anche il loro sangue.

Ero una di loro.

Mi passai la lingua sulle labbra, con il sapore di sangue antico e potente ancora in bocca, e mi resi conto che lo stordimento e il giramento di testa che mi stava facendo barcollare era imputabile al potere del sangue, non alle voci delle fate o al caldo della sala.

Qualcuno mi mise in mano un boccale di sidro e io ci annegai dentro, desiderando solo cancellare il sapore ferroso dalle mie papille gustative, non volendo più sentire quell'attrazione... quell'insano desiderio di averne ancora.

«Sei spaventosa con quel trucco, Row!» la voce di Labhraidh quietò i miei nervi ed io mi voltai, trovandolo intento a fissarmi con uno sguardo quasi ammirato.

Il mio migliore amico parve scorgere qualcosa nei miei occhi, infatti mi trasse a sé e mi strinse in un abbraccio da orso. Mi strinse con forza al suo petto, senza preoccuparsi di farmi male, stringendomi quasi fino a togliermi il respiro, e ispirando il suo odore familiare io mi schiarii la mente e tornai lucida.

«Grazie» gli dissi, «Per tutto, Labhraidh, davvero».

«Figurati. Questo e altro per gli amici» sorrise lui, facendomi l'occhiolino.

Dopo di lui mi si avvicinarono anche Grania e Rìan, ma entrambi parevano a disagio e scossi: se ne stavano ritti come fusi e si guardavano intorno con circospezione, apparentemente in difficoltà fra tutte quelle fate festanti.

Nonostante il loro apparente imbarazzo, rimasero al mio fianco per buona parte della serata, sorseggiando sidro e chiacchierando mestamente.

«Mezzosangue!» mi richiamò una fata grossa e massiccia, con una corta barba rossiccia e un aspetto burbero da vichingo.

«È ora che tu venga con noi» continuò l'uomo, avvicinandomisi rapidamente con un'espressione giocosa.

Un sorriso indotto dall'alcool mi distese le labbra: «Dove?».

«In città. Non è una vera festa di cittadinanza, se non si celebra fino all'alba fra le vie della città! Tutti devono sapere che ora sei una di noi» esclamò, porgendomi l'ennesimo calice di sidro.

«Ohh!» osservai, «Non possi sicuramente rifiutare, allora!».

Il suo sorriso si fece più ampio, ed io esclamai: «Andiamo in città, amici!».

Un coro trionfante fece eco alle mie parole ed io mi sentii... felice. Libera.

«Rowan, è tardi... forse sarebbe meglio se...» iniziò Rìan con la mano posata sul mio braccio, ma io lo interruppi: «Oh, avanti! Non fare il guastafeste, ci stiamo divertendo! Se tu non vuoi venire vai pure a letto... Labhraidh verrà con me!» e ridacchiai, indicando il mio migliore amico che, in quel momento, stava leccando gocce di sidro dal collo di una fata dai vaporosi capelli rosa confetto.

«Non è rassicurante sapere che voi due sarete insieme» borbottò l'uomo ed io sbuffai: «Non preoccuparti per noi, Rìan... ce la sappiamo cavare».

«Lo vedo» ribadì lui sarcasticamente.

Alzai gli occhi al cielo e gli dissi: «Io ora vado a prendere il mio pellicciotto, poi me ne vado giù in città. Se vuoi venire, bene; se non vuoi venire, bene lo stesso» e con questa considerazione lasciai la sala.

Salii in camera – barcollando fra i corridoi deserti e sogghignando ai muri – e agguantai il mio pellicciotto bianco e il giaccone di pelle di Labhraidh, poi imboccai le scale e iniziai a scendere i gradini, concentrandomi al massimo per non ruzzolare fino al pianterreno.

«Mezzosangue» una voce mi richiamò dal buio ed io mi fermai.

«Che ci fai qui tutta sola?» mormorò Morven, emergendo dalle ombre come se fosse parte di esse.

«Oh, sei tu. Credevo ci fosse un fantasma» ridacchiai, sogghignando.

Il Principe di Gorias ricambiò il mio sorriso e i suoi occhi gialli brillarono nel buio della scalinata.

«Dov'è il tuo cavaliere dall'armatura scintillante?» domandò, avvicinandomisi.

«Chi, Rìan?» sbuffai, «Oh, l'idiota è di sotto. Non vuole venire in città, lui... non vuole divertirsi» borbottai, soffiando una ciocca di capelli lontana dagli occhi.

«Il ragazzo è uno sciocco» osservò il Principe, «Tu vuoi... divertirti?» indagò poi, sorridendo lascivamente.

Risi: «Con te? No, grazie. Sei troppo inquietante».

Lui sorrise di nuovo e i suoi canini fecero capolino fra le sue labbra vermiglie, ammiccando.

«Saprei come farti divertire, Rowan... in modi che non includano due corpi nudi ansanti fra le lenzuola, nel caso in cui tu ti voglia mantenere pura per il tuo amichetto mezzosangue».

Un'espressione orripilata si disegnò spontaneamente sul mio viso: «Non hai capito proprio niente, bello» sbottai, dimenticando completamente con chi stessi parlando e rifilando una sonora pacca sulla spalla del Principe di Gorias.

Lui fece un passo verso di me, spingendomi verso il muro alle mie spalle, e domandò in un sussurro: «Ah, no?».

Scossi la testa e i capelli che erano sfuggiti alla mia treccia mi scivolarono davanti al viso in una cortina castana: «No. Da dove vengo io non importa a nessuno preservare la propria... purezza» sbottai e, con una smorfia, aggiunsi: «Quasi a nessuno, diciamo così».

Morven parve perplesso per qualche istante, ma poi un indolente sorriso gli incurvò le labbra: «E allora qual è il problema?».

«Nessun problema, ho semplicemente rifiutato la tua offerta» proseguii raddrizzando le spalle, sentendomi lievemente claustrofobica nel ritrovarmi incastrata fra il muro e il muscoloso torace di Morven.

«Se non sei interessata al sesso, posso sempre darti l'euforico oblio del morso» mormorò il Principe, e i suoi affilati canini scintillarono a pochi centimetri dalle mie labbra.

Un gelido terrore prese possesso del mio corpo ed io pressai le mani tremanti fra i pettorali della fata, cercando di allontanarla da me: «No» sibilai in un basso ringhio, ricordando ciò che Finvarra mi aveva costretta a fare nel suo Regno sotterraneo.

«Non osare avvicinarti alla mia gola, né ora né mai».

Un bagliore di comprensione si accese nello sguardo del Principe: «L'hai già fatto» osservò, «Sei già stata reclamata». I suoi occhi gialli scivolarono sul mio collo ed io rabbrividii nel rendermi conto che, molto probabilmente, egli riusciva a vedere le pallide cicatrici lasciate dai canini di Finvarra sulla mia pelle.

«Vedo la violenza dell'atto, sulla tua pelle...Non dev'essere stato piacevole» mormorò; poi accarezzò lentamente il mio collo e proseguì: «Ma lo può essere, sai? Non c'è nulla di più... meraviglioso che donare il proprio sangue a un Fae».

Le sue parole mormorate scivolarono oscure sulla mia pelle, accendendo qualcosa dentro di me.

Percepii distintamente un'insana attrazione farsi largo nel mio petto ed io dovetti combattere contro l'istinto, che in quel momento mi stava strillando di abbandonarmi fra le braccia del Principe, in balia dei suoi canini.

Nonostante l'alcol nelle mie vene, riuscii a dare ascolto alla razionalità e scossi la testa, schiarendomi le idee: «Passo, grazie» mormorai e indietreggiai, schiacciandomi contro il muro.

Morven non perse il sorriso, anzi, se possibile le sue labbra si incurvarono in un ghigno ancora più lascivo: «Tu sei come noi, Rowan O'Brien... lo sento nel tuo sangue, che canta come quello di un Fae» mormorò e, allontanandosi da me, aggiunse: «Sai dove trovarmi, se cambi idea».

Senza aggiungere una parola di più, scomparve fra le ombre, rapido com'era apparso.

Mi sfregai una guancia, stranita dall'incontro appena avuto, e presi un profondo respiro, cercando di mettere a tacere le strane sensazioni che Morven – o, più precisamente, i suoi canini – aveva suscitato in me.

Quando tornai nel salone, di Rìan e Grania non vi era più traccia... ma Labhraidh mi aspettava con uno smagliante sorriso sul bel volto abbronzato, con un braccio stretto attorno alla vita di una fata bionda e l'altro attorno a quella della fata dai capelli rosa confetto.

Ghignai e, insieme, andammo in città.

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