La Benedizione pt.2

Buonaseraaa ☺️
Innanzitutto scusatemi tantissimo per essere sparita per due mesi, ma sono super impegnata con l'università!!
Vi consiglio di fare un recap del capitolo precedente prima di leggere questo, sono molto vicini.
Fatemi sapere cosa ne pensate!!
Spero di riuscire ad aggiornare prima di gennaio '24🤣
A presto!

***

Scoprii cosa fosse la Benedizione della Città una settimana dopo. A rivelarmelo non fu Lùg, che divenne irreperibile nei giorni precedenti all'evento, ma Morven: il Principe di Gorias venne a prelevarmi di persona dalla mia camera per portarmi da un sarto perché, a suo dire, era "inaudito che l'accompagnatrice del Signore della città fosse più sciatta di una cortigiana di un bordello dei bassifondi".

«Mi potresti gentilmente spiegare in cosa consista questa... festa?» gli domandai, correndogli dietro lungo le scale per stare al suo passo.

Avevo smesso di dargli del "voi" in un momento imprecisato della settimana precedente, dopo aver finalmente capito che a Morven non importava un fico secco del galateo e che, anzi, provava un piacere perverso nel prendermi in giro per i miei modi garbati.

«Non è una semplice festa, mezzosangue» bofonchiò il Principe, «La Benedizione è una celebrazione sacra, forse la più importante in assoluto: è una cerimonia attraverso la quale il Signore della Città – nel nostro caso, Lùg – dona i suoi poteri alla Città per potenziarne le difese. Gorias è rimasta impenetrabile per millenni proprio grazie alla magia del suo Signore, ma è passato davvero troppo tempo dall'ultima Benedizione... quindi abbiamo bisogno del potere di Lùg per rinvigorire le nostre difese».

«Il potere degli dèi è stato infuso nelle mura di Murias. L'ho letto nella biblioteca di Domhnall» commentai, e Morven mi fissò come se fossi stupida: «Appunto per questo Lùg è il nostro Signore. È l'ultimo figlio di Solas, il dio Solas, che partecipò alla costruzione di Gorias. Pensavi fosse Signore solo per via del suo bel faccino?».

Rimasi a fissarlo interdetta, con gli occhi leggermente sgranati e le sopracciglia aggrottate: per qualche strana ragione, non avevo mai... non avevo mai creduto che Lùg potesse effettivamente essere il figlio di un dio.

Morven rise della mia espressione instupidita e io cercai di difendermi: «Non mi ha mai esplicitamente detto chi fosse suo padre» bofonchiai, ma le mie parole non fecero che aumentare le sue risa: «Non mi dire che non si è mai presentato con il suo solito "Sono Lúg, Figlio del Sole, possessore dell'Invincibile Lancia e Generale in comando delle truppe di Finvarra"» esclamò, scimmiottando la voce profonda dell'interessato.

Arrossii: «Effettivamente l'ha fatto» ammisi, ricordando che quelle erano state le esatte parole che mi aveva rivolto prima di intrappolarmi nei tumuli, «Ma non credevo intendesse letteralmente figlio del Sole. Credevo fosse solo un titolo pomposo».

Morven scosse la testa, divertito, e tornò all'argomento principale: «In ogni caso, Lùg benedirà la Città nella notte di Luna Nera, ovvero fra cinque giorni a partire da oggi, e, prima di allora, ci sono delle cose di cui dobbiamo parlare» mormorò, aprendo una porta e tenendomela aperta.

Entrai in una stanza completamente sommersa di tessuti, manichini e brandelli di teli. Un ometto basso e tozzo – il sarto – mi fece salire su uno sgabellino senza nemmeno salutarmi e, mentre lui iniziava a prendermi le misure del collo, Morven proseguì: «Se fosse stata una mia decisione, ti avrei relegata in camera tua per tutta la durata della Benedizione... ma il Signore di Gorias ha esplicitamente richiesto la tua presenza, quindi dovrò ingegnarmi diversamente per tenerti al sicuro».

«Tenermi al sicuro? Al sicuro da cosa?» domandai, inquieta davanti alla ruga di preoccupazione che solcava la fronte del Principe.

«Dal potere di Lùg» borbottò lui, passandosi una mano sul volto.

Emise un sospiro e proseguì: «Il Generale diventerà un... un tutt'uno con il suo potere, e la cosa può diventare molto pericolosa, soprattutto per gli umani. Il vostro corpo non è... preparato per quel tipo di potere, ed è già capitato che una vita mortale sia stata accidentalmente spazzata via durante una Benedizione».

«E allora perché Lùg mi vuole con sé?».

«Mi piacerebbe saperlo, Mezzosangue, ma non è in mio potere mettere in discussione le scelte del Generale né comprenderle» sbottò Morven, «È invece in mio potere sincerarmi della tua incolumità, motivo per il quale tu non lascerai il mio fianco per tutta la durata della celebrazione».

«Quindi al tuo fianco sarei... protetta dal potere del figlio di un dio?» sbottai.

«In linea di massima, sì» ribadì Morven, non apparendo per nulla convinto.

Non fui per nulla rassicurata dalle parole del Principe ma, dopo le discussioni che avevo avuto con Lùg nei giorni precedenti, ero piuttosto convinta che il Generale non avrebbe cercato di farmi del male in alcun modo – non volontariamente, per lo meno – e che se mi aveva invitata ad assistere alle Benedizione era perché era pressoché certo che non sarebbe stato pericoloso per me.

«Fatto» si intromise in quel momento il sarto, dandomi poi una leggera spintarella per farmi scendere dallo sgabellino.

«Di che colore deve essere l'abito? In che tessuto?» aggiunse, senza degnarmi di uno sguardo e interpellando direttamente il Principe.

«Il colore dev'essere quello del Generale... per quanto riguarda il tessuto, ti sembra che io abbia anche solo la minima idea di come si faccia un vestito?!» sbottò Morven, scuotendo la testa con espressione esasperata.

Il sarto, per nulla impensierito dall'aver di fronte il Principe di Gorias, sbuffò e brontolò: «Voi nobili non sapete fare nulla di nulla», poi mi squadrò per qualche secondo e decise: «Abito argento lunare in tela di ragno. Aggiungerò delle perle di rugiada per dargli lucentezza».

«Bene, grazie tante», Morven mi afferrò per il braccio e mi trascinò fuori dalla stanza prima che potessi chiedere delucidazioni sulla tela di ragno di cui aveva appena parlato il sarto.

Quando infine arrivò la notte di Luna Nera, la trepidazione dei Cittadini si poteva percepire nell'aria, pregna di voci che si accavallavano come il ronzare di mille api in un alveare e vibrante di energia come corrente elettrica nei cavi ad alta tensione.

La notte calò presto, come sempre succedeva nell'emisfero settentrionale del continente, e il buio avvolse rapidamente Gorias con una spessa coltre scura. Un gentile vento che sapeva di erba tagliata e di fine estate soffiava dalle montagne, rinfrescando l'aria di quello che era stato un giorno bollente e portando con sé i rumori della città che si preparava alla celebrazione. Affacciata alla finestra di camera mia, osservai le lontane luci del porto e delle case, poi il mio sguardo si fissò sull'immensa Torre che svettava nel centro della città, illuminata a giorno da centinaia di lampade ad olio. Era proprio su quel tetto, fra i merletti e le feritoie, che sarebbe salito Lùg per Benedire Gorias, mentre noi tutti – cittadini comuni, nobili Fae e addirittura gli schiavi – ci saremmo radunati nella piazza sottostante la torre ad ammirare lo spettacolo.

«Signorina! Il vestito!» strillò una cameriera dall'altro lato della porta. Corsi ad aprirle e afferrai lo scatolone che mi stava porgendo, la ringraziai e mi rintanai nuovamente in camera, incuriosita.

Scartabellai lentamente l'involucro e aprii il pacchetto... e le mie mani affondarono in quello che pareva argento liquido.

«Per gli dèi» mormorai, mentre le mie dita accarezzavano l'impalpabile tessuto, soffice come una nuvola e brillante come argento vivo. Sfiorai le pietruzze cucite nell'abito e, quando esse furono colpite dalla luce tramite la giusta inclinazione, luccicarono come stelle nel cielo.

Con attenzione maniacale, scivolai nel vestito e rimasi stupita dall'elasticità e dalla resistenza del tessuto: era come indossare una seconda pelle, una seconda pelle morbida come un sogno e preziosa come un regno intero.

L'abito aveva le maniche lunghe e larghe, che svolazzavano leggere ad ogni mio movimento, e la vita stretta; la gonna svasata, lunga fino a terra, terminava con uno strascico che pareva creare una pozza d'acqua argentata ai miei piedi. Il vestito aveva il collo alto, ma un'apertura a forma di goccia metteva in risalto il mio seno e, soprattutto, il Calderone di Dagda adagiato sulla mia pelle dorata dall'estate.

Dopo essermi truccata con i pochi prodotti che mi erano rimasti dal mondo degli umani ed essermi acconciata i capelli in una treccia e averla abbellita con le perle che il sarto mi aveva fatto recapitare insieme al vestito, mi guardai allo specchio e... esitai.

Ero... eterea. Non ricordavo di essere mai stata così bella, ed era un pensiero... sconcertante.

Rowan O'Brien era stata carina, ma nulla di più. Questa nuova me, che osservavo riflessa allo specchio avvolta in un abito d'argento, invece... era qualcosa di più di carino. Era qualcosa di fatato, di magico... qualcosa che somigliava sempre di più a Saraid, con un'accuratezza quasi dolorosa.

«Io non sono lei» ringhiai al mio stesso riflesso e, dopo aver fatto una smorfia in direzione dello specchio, mi voltai di scatto e me ne andai dalla stanza.

Raggiunsi Morven nella sala del trono e, insieme, salimmo su una carrozza che ci attendeva appena fuori dal castello: quella sera vi era bassa marea, quindi le acque dell'arcipelago si erano ritirate a sufficienza da permettere alla stretta strada ciottolata che collegava il castello al porto di emergere.

Da dietro il vetro del finestrino osservai trepidanti fate aggirarsi per le strade indossando abiti luccicanti e innalzando al cielo torce e lanterne, udii i loro canti gioiosi e li vidi dirigersi a gruppetti verso la piazza principale. Per qualche secondo, desiderai poter essere là fuori con loro, a celebrare come se fossi davvero una di loro... e non un'estranea.

La carrozza di Morven si fermò proprio nella Piazza Grande e le guardie del palazzo dovettero intimare ai cittadini accalcati di spostarsi per poter far scendere il loro Principe dal cocchio. Morven mi afferrò per un braccio e mi intimò di seguirlo, e in pochi secondi fummo nel centro della calca, con gli occhi di tutti addosso.

Udii i bisbigli dei cittadini ma non compresi le loro parole, così cercai di ignorare le loro occhiate e tenni gli occhi fissi sulla nuca di Morven. Il Principe mi scortò su un patio di legno che era stato montato proprio sotto la Torre e che ospitava i Nobili Fae e mi ordinò di accomodarmi al suo fianco, su una poltroncina in velluto argenteo alla destra del suo trono.

Mentre mi accomodavo, sentii gli occhi di tutti – cittadini comuni e Fae – fissarmi con ostentazione, come se fossi un animaletto curioso dietro la teca di uno zoo, e odiai con tutta me stessa i loro sguardi indagatori che mi mettevano a disagio. Deglutii il nodo che avevo in gola e, stanca di vedere le occhiate sospettose e interessate che mi rivolgevano, sollevai gli occhi sulla Torre, sulla sommità della quale sapevo esserci Lùg intento a prepararsi per la Benedizione. Osservai i merletti e le feritoie, le scanalature della pietra, le ombre che si annidavano negli avvallamenti dei doccioni, e cercai inutilmente di intravvedere l'argentata chioma del Generale brillare sotto le torce che illuminavano la Torre quasi a giorno.

Passò del tempo e i cittadini si fecero impazienti, accalcandosi sempre di più sotto il podio con il naso sollevato verso il cielo. Ad un certo punto, Morven si alzò in piedi e tutte le luci della città si spensero contemporaneamente, finché l'oscurità avvolse Gorias come un sudario.

Alcuni bambini strillarono spaventati nel buio ma, ben presto, il silenzio calò sulla piazza.

«Miei concittadini!» esordì il Principe, «Dopo tempo immemore, il nostro Signore è tornato a Gorias e questa sera è pronto a benedire la nostra Sacra Città».

Un rombo gioioso eruppe dalla folla.

«Lùg, il Figlio del Sole, ci ha già protetti in passato, impedendo che la città fosse espugnata e difendendoci da una bomba che ci avrebbe distrutti come ha distrutto la nostra amata capitale, Velias, e ora intende rispettare il volere di suo padre e garantirci di nuovo la sua Benedizione. Per questo, noi lo ringraziamo!» continuò, e dalla folla si levarono ringraziamenti e implorazioni rivolti a Lùg... come se egli fosse un dio, il loro dio.

Mi si accapponò la pelle.

«E ora guardate il cielo, miei cittadini, e guardate la nostra Gorias rifiorire del suo vecchio splendore!» incitò Morven, e le teste delle fate si inclinarono verso l'alto, migliaia di nasi puntati verso la Torre.

Per qualche minuto non accadde nulla e la piazza rimase avvolta dall'oscurità più nera, che nemmeno la luce delle stelle riusciva a penetrare, ma poi... poi un bagliore argenteo iniziò a pulsare in cima alla torre.

Allungai il collo, cercando di vedere meglio, ma ben presto non ce ne fu bisogno: la sagoma di Lùg, brillante di potere argenteo, fluttuò in alto, qualche metro sopra la sommità della torre, e lì rimase sospesa. Il bagliore aumentò d'intensità ed io iniziai a percepire l'energia scivolarmi sulla pelle in rivoli elettrici che mi fecero venire la pelle d'oca, via via sempre più intensi.

La luminosità crebbe e si espanse e ben presto la piazza fu illuminata quasi a giorno, ma non del caldo e aranciato bagliore del sole, no: Lùg brillava come la luna, come le stelle, di un gelido argento che sapeva di crudeltà e violenza.

Un'onda di potere mi investì e il respiro mi si bloccò in gola. Il mio cuore scalpitò nel petto e la mia pelle iniziò a formicolare sotto la potenza della sua magia. Una seconda ondata di energia, più forte della prima, mi bruciò la pelle e in bocca percepii il sapore metallico del sangue. Il vento aumentò d'intensità, facendosi gelido come raffiche di una bufera invernale, e le mie orecchie si riempirono di ululati di lupi e urla di battaglia. Inspirai profondamente, cercando di resistere alla magia di Lùg, ma c'era un... un sentimento nuovo, una sorta di macabra eccitazione che mi si agitava nel petto e che desiderava unirsi al Generale.

Percepii l'incommensurabile forza del suo potere, la sua intensità gelida, e sentii le ossa fremere nel mio corpo dal terrore puro. La magia di Lùg era qualcosa di ancestrale, di potente e di estremamente pericoloso, e io... io l'avevo sottovalutata.

Mi era sempre stato detto che Lùg fosse un eccellente stratega, un soldato formidabile, ma nessuno aveva mai elogiato la sua magia, quindi avevo dato per scontato che fosse... mediocre. Nella norma.

Eppure non c'era niente di normale nelle ondate di potere che mi facevano sfrigolare la pelle, nulla di ordinario nel modo in cui la sua magia mi vibrava nel corpo come se potesse strapparmi l'anima.

«Mezzosangue?» la voce mi Morven mi fece sussultare, «Tutto bene? Devo... schermarti dalla sua magia?» domandò, i suoi impensieriti occhi gialli fissi su di me.

«No!» sbroccai, odiando anche solo l'idea di essere privata di quello sfrigolio sulla pelle, «Sto bene» ringhiai, nonostante il terrore che mi permeava le vene.

Il potere di Lùg raggiunse il culmine, inondando con la sua gelida luce argentata l'intera città, l'arcipelago, persino le montagne più lontane, e io fui sul punto di svenire: la mia testa divenne leggera come una piuma e un fischio sordo mi rimbombò nelle orecchie, ma poi la magia sciamò lentamente e tornò l'oscurità.

Rimasi cieca, stordita dalle tenebre improvvise, finché non vidi la brillante sagoma di Lùg planare giù dalla torre come una stella cadente e atterrare a qualche metro da me.

Senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai in piedi.

Gli occhi del Generale, ancora brillanti come due fredde stelle, si posarono su di me e un ghigno comparve sul suo volto: «Mezzosangue» mi salutò, «Sei incantevole come una notte d'inverno».

Arrossii e mi mordicchiai un labbro.

Lui si avvicinò a me lentamente, perdendo luminosità ad ogni passo, e, quando infine si fermò a qualche spanna da me, il suo corpo era tornato avvolto dalle ombre della notte.

I miei occhi rimasero incatenati ai suoi, che ancora conservavano un innaturale bagliore argenteo, ed io mi ritrovai ad allungare una mano verso il suo viso.

Il terrore che ormai mi ero abituata a provare al cospetto di Lùg si trasformò di nuovo in quella macabra eccitazione che avevo provato prima e qualcosa, dentro di me, si agitò inquieta... e prese vita.

Una spira di fumo nero, denso e incorporeo fuoriuscì dai miei polpastrelli e, strisciando come un serpente, carezzò lo zigomo di Lùg.

Io sussultai, spaventata, ma il Generale non trasalì, non si scostò... ma sorrise.

«Ciao, Mezzosangue» sussurrò di nuovo e la sua mano si sollevò a carezzare il tentacolo di oscurità che gli stava sfiorando la pelle.

Trasalii, percependo una sensazione stranissima nel sentire lui che toccava me, e la mia voce uscì tremante: «Che cosa cazzo è?» sbottai, riuscendo a trattenere l'isteria solo grazie alla calma che emanava Lùg.

Il sorriso del Generale si fece più ampio, tanto da esporre gli affilati canini: «Il potere nel tuo sangue si è risvegliato al mio richiamo, Rowan... ora puoi ringraziarmi».

Ignorai il suo tono grondante di trionfo e arroganza e mormorai, incredula: «Il potere?».

Flettei le dita e il ricciolo di fumo nero vi si avvolse attorno come un viticcio, solleticandomi la pelle. Rabbrividii vistosamente e ritrassi la mano al petto ma, quando mi accorsi che i tentacoli oscuri rimanevano avviluppati alla mia pelle, iniziai a scuotere violentemente la mano, colta da un moto di panico.

Come percependo il mio disagio, la spira di fumo nero si dissolse nell'aria e il sorriso di Lùg si affievolì: «Ti avevo detto che avrei trovato un modo alternativo al morso per scoprire i tuoi poteri. Non sei contenta, mezzosangue?».

Mi sentii arrossire, anche se non vi era motivo alcuno per sentirmi in imbarazzo, e sussurrai: «Che cos'è, Lùg? Non ho mai... fatto una cosa simile, prima d'ora, e quella... quella cosa non è il mio potere» ammisi, faticando addirittura a credere di essere stata io in persona ad evocare una cosa che mi risultava così estranea.

Il Generale assottigliò lo sguardo e mi fissò come se fossi una creatura rara: «Tu discendi da una linea di sangue estremamente potente, Rowan...» mormorò, «... e quella cosa è il tuo asso nella manica».

«Che significa?» borbottai, osservandomi le dita e temendo di vedere di nuovo quelle volute nere fuoriuscire dai polpastrelli.

«Significa...» continuò lui, afferrandomi delicatamente il mento e inclinandomi la testa per potermi fissare meglio negli occhi, «... che quando hai resuscitato Saraid hai consumato tutta la magia che hai ereditato dai tuoi genitori mortali, ma non quella dei tuoi avi immortali. Hai perso i tuoi poteri per come li conoscevi, ma non hai perso la capacità di fare magia».

Si passò la lingua sui canini affilati ed io rabbrividii davanti a quell'azione animalesca e predatoria, ma lui sorrise del mio disagio e proseguì: «Scommetto che, se assaggiassi il tuo sangue, riconoscerei in esso lo stesso sentore antico di quello di Saraid. Il vostro potere primordiale è così... simile».

Le sue dita ancora mi stringevano il mento, costringendomi a guardarlo in quegli spiritati occhi argentei, ed io deglutii a fatica prima di mormorare: «Non voglio evocare i morti, Lùg. Non voglio essere come lei» ammisi.

I suoi occhi si fecero più docili: «Non evocherai i morti, Mezzosangue» mi rassicurò, poi il suo pollice mi lasciò un'impercettibile carezza sulla mandibola: «... E non sarai come lei, se non lo desideri».

Mi agitai, inquieta: «E allora cosa farò? Come faccio a... usare un potere, se non conosco nemmeno la sua natura? Io non so che cos'è quella... cosa. Non so come farla tornare di nuovo. Non la sento... mia. È una creatura estranea» cercai di spiegargli, tentando di non fargli sapere quanto quel tentacolo d'ombra mi avesse mandata fuori di testa.

Il Generale mi scrutò per qualche istante, studiando il mio viso come se fosse un antico manoscritto da decifrare, e poi mormorò: «Posso offrirti il mio aiuto, Mezzosangue...» si fece più vicino a me, «... ma questa volta voglio qualcosa in cambio» aggiunse, la sua voce un mormorio burroso.

Mi irrigidii sotto i suoi occhi gelidi.

Le sue dita si strinsero con forza sul mio viso e lui mi si avvicinò a tal punto che il suo respiro si infranse sulle mie labbra quando sibilò: «Uccidila per me, Rowan, e io farò tutto ciò che è in mio potere affinché tu non debba mai più sentirti impotente».

Le sue parole cruente affondarono dentro di me come un'oscura promessa e i suoi occhi d'argento brillarono minacciosi nei miei, accelerando il battito del mio cuore nel petto.

«L-lei è la figlia di un dio, Lùg, e ha un esercito di non morti. Io non... non sono nessuno e governo... il fumo» balbettai con un filo di voce, deglutendo a fatica. Lo sguardo di Lùg scivolò sulla mia gola, dove sapevo poteva distintamente vedere il violento pulsare della mia carotide, e lui si umettò le labbra. I miei occhi seguirono il percorso della sua lingua e un brivido mi scivolò lungo la spina dorsale.

«Lei è la figlia di un dio, ma tu hai il suo stesso sangue» ribadì lui, apparentemente ignaro della tangente che avevano intrapreso i miei pensieri. Distolsi lo sguardo dalla sua bocca solo quando lui continuò: «Io posso trasformarti in un'arma, Rowan. Se me ne dai la possibilità, io posso... plasmarti come la creta e farti diventare dura come l'acciaio» mormorò, accendendo un fuoco sconosciuto dentro di me.

«Fallo» sussurrai senza pensarci, «Fallo e io la ucciderò per te».

Un ghigno malvagio incurvò le labbra del Generale: «Tu non hai mai avuto bisogno di essere coccolata, Mezzosangue...» il suo pollice mi carezzò la mandibola in un lento gesto, «...Tu hai bisogno di essere temprata» concluse, e la sua mano si strinse attorno al mio collo in una morsa ferrea, che mi strappò il respiro dai polmoni.

Invece che sentirmi minacciata dalla sua presa, terrorizzata o impotente, mi sentii energica, per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, e un sorriso genuino mi illuminò il volto.

Le dita di Lùg fremettero sulla pelle della mia gola e il suo sguardo si fece bramoso, tanto che per un paio di secondi credetti che mi avrebbe... morsa, ma alla fine il Generale lasciò la presa su di me e indietreggiò di un passo.

«Abbiamo un accordo, allora» mormorò soddisfatto, sorridendomi complice.

Una parte di me fu terrorizzata dal ghigno malefico che mi rivolse, ma un'altra, più oscura e profonda, si crogiolò nella consapevolezza che il Generale delle fate in persona mi avrebbe resa capace di ammazzare Saraid, la figlia del dio Dagda.

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