In viaggio pt. 2

Finalmente ecco il prosieguo del capitolo precedenteee
Rido ragazzi, rido🙃

***

Nell'udire il saluto rivoltomi da Lùg, mi irrigidii come una statua e affondai i denti nel labbro inferiore, maledicendo tutti gli dèi a me conosciuti per il tiro mancino che mi avevano fatto.

«Un paio di notti fa, ti ho sentita urlare lungo il legame... ma quando ho cercato di raggiungerti mi sei scivolata fra le mani come il fumo» la pacata voce di Lùg mi scivolò sulle membra come un balsamo, ed io, voltandomi verso il punto dal quale proveniva la sua voce, lo vidi appollaiato su un masso a qualche metro di distanza da me.

La pallida luce della luna illuminava i suoi capelli di un biondo quasi bianco, facendolo apparire etereo come un fantasma, e la sua veste scura e ampia sembrava un lembo di oscurità drappeggiato attorno al suo corpo, come se egli fosse parte della notte stessa.

«Non ti ho chiamato» sbottai, indietreggiando rapidamente da lui e cercando di tenere a freno il battito impazzito del mio cuore.

Lo odiavo.

Lo odiavo così tanto.

«Non era necessario che tu chiamassi il mio nome, Mezzosangue... Ti ho sentita urlare talmente forte che mi domando come tu non abbia perso la voce» osservò lui, ed io sussultai nel rendermi conto che, pur avendo fatto di tutto per non chiedere l'aiuto di Lùg per sfuggire al sogno di sangue, lui mi aveva udita ugualmente. Fortunatamente, Labhraidh mi aveva svegliata prima che la fata mi raggiungesse nel luogo oscuro in cui mi trovavo.

«Va tutto bene?» mi domandò poi Lùg con quella che sembrava apprensione nella voce, scrutandomi con la testa inclinata su un lato.

«Non ti deve interessare come sto» sibilai, odiando il modo quasi preoccupato in cui mi stava parlando, «Non voglio che tu sia qui» aggiunsi, abbassando la voce in un ringhio.

Per la prima volta quella sera, lui sollevò lo sguardo su di me. I suoi occhi argentei studiarono i miei con perplessità, poi il Generale incrociò le braccia al petto e disse: «Qualcuno è di cattivo umore, eh?»

«Non puoi semplicemente... andartene?» proruppi, abbassando lo sguardo sull'erba ai miei piedi, costellata di piccoli fiorellini bianchi.

«Perché dovrei?» chiese candidamente lui, allungando le gambe sul sasso e assumendo una posizione più rilassata.

Sapevo che avrei dovuto ignorare la situazione e fare finta che non fosse mai successo nulla, ma l'idea di continuare a chiacchierare con Lùg mi dava il voltastomaco. Vedere il modo in cui i suoi occhi scivolavano sul mio corpo mi faceva pensare alle sue mani su di me, e ciò mi causava un tremendo senso di colpa: mi sentivo una traditrice del mio stesso sangue, ed ero stanca di quel sentimento logorante.

Presi quindi un profondo respiro e, cercando di ricacciare indietro l'imbarazzo che mi stava infiammando le guance, sbottai: «Perché dopo quello che è successo l'altra volta non voglio più vederti. La chiudiamo qui» espirai e aggiunsi, fissandolo negli occhi: «Non farti più vedere nei miei sogni, okay?».

Lùg aggrottò le sopracciglia bionde e mi fissò con sguardo perplesso: «Cos'è successo l'altra volta?» domandò, «Ti ho offesa in qualche modo?».

Vedendo il modo palese in cui egli mi stava prendendo in giro, digrignai i denti in preda alla rabbia e sbottai: «Mi hai toccata con le tue sudice mani da fata, ecco cos'è successo!».

Lui rimase immobile, con un'espressione da ebete dipinta sul volto, ed io esplosi: «Io ero stramaledettamene ubriaca e tu mi hai assecondata e io adesso mi sento una merda!».

«Eri ubriaca? Di cosa stai...» tentò lui, ma io scoppiai in una risata priva di allegria e lo interruppi: «Sei un dannato Segugio, non venirmi a dire che non hai sentito l'odore di alcol su di me! Quello schifoso Nettare era benzina pura, e io ne ho bevuto talmente tanto da... da lasciarmi avvicinare da un bastardo come te! E ora sento sempre le tue luride mani addosso e i tuoi occhi impressi su di me come una malattia, e vorrei solo poter fare un bagno nell'acqua bollente per togliermi quella sensazione di dosso» ringhiai, vomitando tutte le parole che mi ero tenuta dentro negli ultimi giorni, volendo solo ferirlo per sentirmi un po' più in pace con me stessa.

Il Generale mi fissò con espressione scioccata per qualche secondo, poi un sorrisetto divertito gli incurvò un angolo della bocca: «Hai bevuto il Nettare degli Dèi?» fu tutto ciò che mi domandò.

«Te l'ho già detto, sì! Ero maledettamente ubriaca!» strepitai, incazzata nera.

Quando Lùg scoppiò a ridere, tenendosi addirittura lo stomaco con le mani, io per poco non gli saltai alla gola: «Che cazzo c'è di divertente?!» urlai.

Lui si spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e cercò di soffocare le risate che ancora gli squassavano il petto: «Sai cosa c'è dentro il Nettare degli Dèi?» mi domandò.

«Cosa c'entra?» ringhiai, con un grumo di furia nera che si agitava nel mio petto.

«Lo sai oppure no?».

«No» sibilai, «Non lo so».

Il sorriso di Lùg si fece più pronunciato ed egli perse per qualche secondo l'aspetto della canaglia, somigliando semplicemente ad una persona estremamente divertita.

«Il Nettare è un distillato di miele al quale viene aggiunta polvere di Fungo dei Sogni... un funghetto piccolo e rosso, con i puntini bianchi. È molto usato nei nostri riti, e sai perché? Perché permette di vedere cose che non ci sono» mi disse, ammiccando.

Per qualche secondo non registrai le sue parole, ma quando il mio cervello diede un senso logico a ciò che egli aveva detto, mi sentii sbiancare a causa dello shock.

Un funghetto rosso con i puntini bianchi... c'era anche sulla Terra, ed era l'Amanita Muscaria.

Era un fungo mortale ma che, se usato nelle giuste dosi, poteva essere un potentissimo allucinogeno.

Era il fungo che mi aveva causato delle allucinazioni talmente vivide da sembrare vere.

Serrai la bocca di scatto e rimasi in un muto silenzio, sopraffatta dall'imbarazzo.

«Hai visto me, Rowan?» mi domandò Lùg in un delicato mormorio, alzandosi con estenuante lentezza dal masso su cui era seduto.

I suoi piedi nudi affondarono nel muschio mentre lui si avvicinava a me e i suoi occhi brillarono di un compiacimento talmente profondo che io dovetti abbassare i miei a terra, non riuscendo a sostenere il suo sguardo.

«Hai visto le mie...» Lùg esitò, ed il divertimento grondò dalla sua voce: «Come le hai chiamate? Sudice mani da fata? Hai sentito le mie sudice mani da fata sul tuo corpo, Rowan?» rincarò il Generale e io mi sentii morire dalla vergogna nell'essere così crudelmente messa di fronte alla mia gaffe.

Gli lanciai una rapida occhiata da sotto le ciglia e lo vidi immobile a pochi passi da me, intento a scrutarmi con le labbra incurvate in un ghigno.

«N-Non eri tu?» fu l'unica cosa che riuscii a balbettare, e mi sentii infinitamente stupida perché era ormai perfettamente chiaro che no, Lùg non era mai stato nel mio sogno.

Non mi aveva toccata, non mi aveva stretta fra le braccia né aveva passato la lingua sul mio collo.

«No, mezzosangue, non ero io» mormorò lui, ammiccando, «Ma mi lusinga sapere di essere il protagonista delle tue allucinazioni».

Arrossii e mi sentii un'idiota.

Tutta la furia che mi aveva travolta poco prima si dissipò ed io mi vergognai come una ladra.

Sentii l'umiliazione bruciarmi gli occhi e caldi lacrimoni di imbarazzo si accumularono sulle mie ciglia.

Sbattei rapidamente le palpebre e mi sforzai per far uscire dalle mie labbra delle scuse: «M-mi dispiace» balbettai, poi presi un profondo ma tremulo respiro e aggiunsi: «Mi sembrava tutto così vero... non riesco più a distinguere il sogno dalla realtà».

La prova di Cittadinanza si era svolta tutta nella mia testa, e il Nettare degli Dèi aveva giocato con la mia mente... per non parlare del fatto che, quando non sognavo Lùg, avevo incubi così vividi che mi sembravano reali.

Mi sembrava di impazzire.

«Se sei indecisa fra sogno e realtà, sappi che... che nella vita reale io non ti toccherei mai» mormorò il Generale con voce pacata.

La sua affermazione così schietta e seria mi fece sollevare di scatto lo sguardo su di lui, giusto in tempo per leggere un'espressione di quello che sembrava ribrezzo sul suo viso.

«In te rischierei di rivedere lei...» aggiunse, e io capii che stava alludendo a Saraid.

Sollevò quindi una mano e mi carezzò una guancia con le nocche e mormorò: «Non potrei mai permettermi un errore simile».

Se possibile, mi sentii ancora più umiliata nell'essere paragonata per l'ennesima volta alla mia antenata, ma forzai un sorriso e, allontanandomi di un passo da lui, dissi: «Ottimo, allora siamo d'accordo... io ti faccio schifo quanto tu fai schifo a me. Lo terrò a mente per il futuro».

Lùg aggrottò le sopracciglia: «Non è quello che intendo... aspetta» si bloccò e un barlume di comprensione si accese nei suoi occhi: «Se hai bevuto il Nettare degli Dèi significa che... che hai passato la Prova di Cittadinanza. Oppure non l'hai passata, e ti sei sposata con Domhnall» aggiunse, fissandomi con morbosa curiosità.

Mi ronzò intorno come una mosca e mormorò: «Qual è, delle due? Sei una cittadina o... una Principessa?».

Prima che potessi rispondergli, però, i colori del sogno iniziarono a farsi sbiaditi e i contorni indefiniti e, quasi senza rendermene conto, mi ritrovai di nuovo nel mio giaciglio di coperte, a qualche metro da una guardia che stava rumorosamente spegnendo il fuoco coprendo i ciocchi di legno fumanti con grosse pietre.

Mi guardai intorno spaesata e vidi l'accampamento risvegliarsi: era da poco passata l'alba e una luce dorata stava ancora impregnando la foresta, e i soldati di Domhnall stavano già dando da mangiare ai cavalli e lucidando le spade.

Rotolai a pancia in su e fissai lo sguardo in alto, sulle foglie vermiglie che si muovevano debolmente nella brezza mattutina. Il mio respiro si condensava in nuvolette bianche di vapore ed io mi strinsi nella pesante coperta che mi aveva protetta dal gelo della notte, nascondendo il naso sotto il ruvido tessuto e desiderando solo poter dimenticare la vergogna bruciante che ancora mi infiammava le guance.

«Chiunque voglia mangiare un boccone si muova, perché fra venti minuti partiamo!».

La voce di Domhnall mi fece schizzare fuori dal mio giaciglio alla velocità della luce e mi affrettai a prendere la mia razione di cibo, relegando Lùg in un angolino minuscolo e recondito della mia mente.

Quando però ci rimettemmo in marcia, il movimento ritmico del cavallo mi ipnotizzò e ben presto mi estraniai da tutto ciò che mi circondava, tornando con la mente all'incontro con il Generale della notte precedente.

Avevo attaccato Lùg non appena lo avevo visto: mi ero incazzata a morte con lui perché lui mi aveva assecondata, perché non mi aveva fermata, perché non mi aveva impedito di spalmarmi sul suo corpo e di strusciarmi su di lui; avevo cercato di nascondermi dietro l'ubriacatura pur di sentirmi meno in colpa... tutto perché ero disgustata da me stessa, nauseata dall'idea di essermi abbandonata fra le braccia di quello che agli occhi dei miei amici, della mia famiglia, del mio intero popolo, era il nemico.

Solo in quel momento riconobbi quanto il mio comportamento fosse stato tossico... e quella non era nemmeno la cosa peggiore: la cosa peggiore era che mi ero immaginata tutto e che avevo iniziato a sparare sentenze e accuse senza nemmeno lasciare che Lùg si spiegasse.

Ero veramente una persona orrenda, e dovevo delle stramaledette scuse al Generale.

«Perché non mi avete detto che c'era polvere di Fungo dei Sogni nel Nettare degli Dèi?» domandai a bassa voce a Domhnall dopo essere scesa a patti con il mio carattere terribile.

Lo sentii ridere dietro di me: «Non credevo che avreste bevuto dalla Botte, tutto qui» rispose lui e, dopo una manciata di secondi di silenzio, indagò: «Non mi avete ancora detto cosa avete visto... dalla faccia che avete fatto la mattina dopo il Rito pareva aveste visto uno spettro».

«Ho visto solo sciocchezze» sbottai, «Ma credevo fossero vere e questo ha creato qualche disguido» aggiunsi in un mezzo ringhio.

Domhnall rise di nuovo: «La polvere di Fungo dei Sogni può davvero ingannare la nostra mente, è straordinaria».

«Non la proverò mai più, questo è certo» giurai, poi richiusi la bocca e tornai a rimuginare sulle mie scelte sbagliate e sui miei grossolani errori.

La mattina passò lenta e noiosa nella monotonia del viaggio, e così fu anche per la giornata successiva e quella dopo ancora.

Mi ritrovai più di una volta a domandarmi come diavolo facessero le guardie ad orientarsi in quella foresta maledetta: ai miei occhi, tutti gli alberi parevano uguali, le valli e le colline, i guadi... avrei potuto giurare di aver visto lo stesso posto per ben tre volte, come se stessimo girando in tondo; eppure, le guardie procedevano spedite, sicure della direzione da prendere. Quando interpellai Lucien e Sven, curiosa di scoprire il loro segreto, entrambi si limitarono ad indicare una guardia donna minuta e snella: «Seguiamo lei» disse Sven, «Lei è una dei pochi Segugi esistenti... sta seguendo un odore che nessun altro di noi sente» spiegò, ed io mi ricordai di come anche Lùg, in uno dei miei sogni, mi aveva raccontato di aver percepito a Velias un odore strano... sbagliato. Mi domandai con una certa apprensione se la nostra guardia stesse seguendo il medesimo odore.

Trottammo a passo d'uomo per un'altra trentina di minuti, poi la guardia donna fece fermare il proprio cavallo con un colpo di redini.

«Siamo quasi arrivati... siamo nei pressi della Bruciatura» sentenziò, voltandosi a parlare con i Principi.

«Dovremmo accamparci e raggiungere il Castello Nero domani, in mattinata» propose Domhnall, e la sua voce stentorea riverberò dal suo petto alla mia schiena.

«No» sbottò Alistair, «Andremo questa sera».

«Daireen?» domandò Domhnall, lasciando potere decisionale alla Principessa.

«Odio questo posto, Domhnall, lo odio talmente tanto che vorrei uscirne il più in fretta possibile. Andiamo a vedere cosa c'è in quel maledetto castello e leviamoci di torno» sbottò Daireen, spronando il suo cavallo a riprendere il cammino.

Percepii il Principe irrigidirsi alle mie spalle, per nulla contento di essere stato messo in minoranza, ma non lo sentii proferire parola.

Dopo cinque minuti di trotto capii perché la guardia avesse parlato di "Bruciatura": gli alberi rossi terminavano di colpo, seguendo una sorta di perimetro semicircolare, lasciando il posto ad un'immensa distesa desertica di quella che pareva sabbia nera... ma che dopo un'analisi più approfondita mi accorsi essere in realtà cenere.

Il nostro cavallo sollevò con uno zoccolo un mucchietto di cenere ed io osservai i leggerissimi corpuscoli fluttuare nell'aria, e mi domandai cosa stessi guardando: un albero? Un pezzo di casa? Il braccio di un abitante?

Rabbrividii vistosamente e mi strinsi nel mantello, odiando dal profondo del cuore ogni centimetro di quel posto.

I miei occhi corsero lontani, scivolando sulle dune di cenere e sugli scheletri carbonizzati di quelli che parevano alberi, su colline nere d'inchiostro e avvallamenti già immersi nell'ombra, finché si posarono su una costruzione che si stagliava nera in lontananza contro il cielo infuocato del tramonto... l'unica struttura rimasta in piedi nell'arco di centinaia di chilometri.

Il Castello Nero.

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