Il Signore di Gorias
«S-sei venuto» balbettai con il cuore in tumulto, indecisa se fosse il caso di indietreggiare o meno di fronte al Generale delle Fate.
«Dubitavi forse di me?» domandò lui con tranquillità mentre i suoi occhi brillanti saettavano lungo la mia camera, studiandone i particolari.
Spostai nervosamente il peso da un piede all'altro e borbottai: «Non si può mai essere sicuri, con te».
Lùg mi scoccò un'occhiata divertita e un bel sorriso tornò a fare capolino sul suo volto, addolcendone i lineamenti affilati; poi mormorò: «Hai imparato bene, Mezzosangue».
Le mie labbra si incurvarono spontaneamente in un sorrisetto sbarazzino ma, prima che potessi rispondergli, pesanti colpi squassarono la porta della stanza e una voce irritata tuonò: «Siete pronta, ragazzina?! Il Principe vi aspetta di sotto... e non è di buon umore».
Sbuffai sonoramente e strillai di rimando: «Dì al tuo maledetto Principe che non può regalarmi un vestito pieno di nastrini e pizzi e aspettarsi che io sia anche rapida nell'indossarlo!» mentii e, per rendere il tutto più teatrale, aggiunsi: «Scenderò solo quando sarò presentabile!».
«Sei dispotica» sussurrò Lùg a pochi centimetri da me, tanto vicino che percepii il suo respiro fra i capelli. Sussultai, a disagio nel rendermi conto di quanto si fosse mosso silenziosamente e della facilità con la quale mi era arrivato alle spalle senza che me ne accorgessi, e feci un passo indietro.
«Chiedigli il suo mantello» mormorò Lùg, allontanandosi da me e lasciandomi spazio per respirare, come se avesse percepito il mio fastidio nel ritrovarmelo così vicino.
Aggrottai le sopracciglia e mi voltai verso di lui per chiedergli delucidazioni ma, scorgendo di nuovo il suo profilo nudo e ancora coperto di cenere grigiastra, compresi il suo intento, così strillai: «Ehi, tu! Soldato dietro la porta!».
La guardia mi rispose con un grugnito, così proseguii: «Mi serve il tuo mantello. Ho un... problema con il vestito, non posso uscire senza un mantello».
Lo sentii imprecare pesantemente e mi preparai a ricevere un secco rifiuto alla mia strampalata richiesta ma, quando aprii la porta di una manciata di centimetri e sporsi fuori il naso, vidi la mano del soldato protesa verso di me con il mantello scuro stretto fra le dita.
«Grazie. Ti prometto che lo riavrai tutto intero» lo rassicurai e, dopo aver acciuffato il suo mantello, gli richiusi la porta in faccia e girai nuovamente la chiave nella serratura.
Allungai quindi il mantello a Lùg – senza guardarlo – e borbottai: «Tieni, copriti».
«Prima di vestirmi, vorrei pulirmi da questo lerciume... se per te non è un problema» ribatté però lui, passandosi un dito sull'ampio torace e lasciando un'impronta più chiara sulla cenere scura depositata sulla sua pelle.
Rimasi qualche secondo di troppo imbambolata a fissare i suoi pettorali luridi di polvere del camino ma pur sempre molto... definiti; e mi riscossi solo quando notai un ghigno farsi largo sul volto del Generale.
«Là c'è il bagno» borbottai, indicandogli una porta seminascosta dall'armadio.
«Sei molto gentile» lo sentii dire, ma non vidi l'espressione sul suo viso perché mi ero voltata dall'altra parte per evitare che vedesse il rossore sulle mie guance.
Lo sentii aprire e richiudere la porta e, poco dopo, udii il rumore del suo corpo sprofondare nell'acqua gelida della tinozza che avevo usato io stessa poco prima.
Sentii il calore bruciarmi di nuovo le guance e cercai di distrarmi afferrando il vestito che Morven si aspettava indossassi quella sera. Strinsi le dita attorno alla seta rossa dell'abito e sospirai nel notare che, effettivamente, il corpetto del vestito era dotato di una decina di maledetti nastrini che sarebbero stati un incubo da stringere.
Sbuffai e, rapida come una lince, mi sfilai la casacca che indossavo e scivolai nella seta dell'abito da sera, decidendo di approfittare del fatto che Lùg era chiuso in bagno per potermi cambiare.
Il vestito era lungo fino alle caviglie, di un intenso rosso sangue, aveva il corpetto a cuore e una gonna leggera che mi sfiorava le gambe, impalpabile come l'aria.
«Ma porca di quella puttana» sibilai, quasi slogandomi le spalle nel vano tentativo di stringere i nastri che chiudevano il corpetto sulla schiena.
«Come sei volgare» commentò un divertito Lùg alle mie spalle, facendomi sussultare nuovamente per la silenziosità dei suoi movimenti.
Le sue dita afferrarono i nastri che stavo così disperatamente cercando di intrecciare e lui mormorò: «Lascia fare a me».
Rimasi immobile come una statua, stretta nella morsa di un sentimento che sembrava paura e che mi faceva accelerare i battiti cardiaci e sudare i palmi delle mani, rabbrividendo ogni volta che la mia pelle veniva sfiorata dalle mani del Generale... quelle stesse mani che avevano ammazzato centinaia, forse migliaia di persone innocenti e che in quel momento mi stavano allacciando il vestito con efficienza e metodo, come se egli avesse passato gli ultimi millenni ad allacciare – e slacciare – corpetti di dame in difficoltà, invece che ad ucciderle.
«A cosa è dovuto questo abito così... elegante?» domandò Lùg una volta che ebbe finito di intrecciare nastri e fronzoli.
Mi sistemai distrattamente il corpetto e brontolai: «Morven ha organizzato un banchetto per me... ma io sono arrivata tardi perché sono dovuta andare sulla maledetta isola dei morti per reperire il tuo sangue, quindi adesso lui è furioso con me».
«Ed ecco il motivo per cui mi hai evocato» commentò il Generale, «Speri che la mia presenza lo distragga a sufficienza da sfuggire alla sua ira».
«Vuoi forse biasimarmi? Morven fa paura» mugugnai, ripensando al suo gelido sguardo giallo-oro e ricordando il terrore che aveva suscitato in me la sua occhiata di disapprovazione.
«Oh, non ti preoccupare...» iniziò Lùg con tono cupo, «...Io faccio molta più paura di lui» mormorò, esibendosi in un ghigno perverso che mise in bella mostra i canini affilati come rasoi.
Osservai la sua figura imponente avvolta nel mantello nero, che gli si drappeggiava addosso come un'ombra; osservai i suoi capelli di un biondo talmente chiaro da apparire bianchi, legati in un'intricata treccia in modo tale da esporre le appuntite orecchie perforate da decine e decine di orecchini d'argento; osservai i suoi lineamenti affilati e il suo sguardo glaciale, il suo sorrisetto beffardo e i suoi acuminati canini... e mi resi conto che sì, lui faceva molta più paura di Morven.
«Non temermi, Rowan...» mormorò il Generale, intuendo al volo la piega che avevano preso i miei pensieri, «Tu non hai nulla di cui preoccuparti, non in mia presenza» aggiunse, e l'onestà che lessi nei suoi occhi mi spaventò... soprattutto perché sapevo che le cose sarebbero cambiate molto in fretta, non appena egli avesse scoperto cos'avevo fatto con Saraid.
«Vuoi farti ammazzare, stupida umana?!» strepitò improvvisamente la voce del soldato al di là della porta, «Se è così dimmelo, almeno metto fine alla tua vita in modo meno doloroso di quanto farebbe il Principe!».
Senza darmi modo di rispondere, Lùg spalancò la porta e si parò davanti alla guardia: «La Mezzosangue – bada bene, non umana – è pronta. Non prenderti il disturbo di affilare la spada, moccioso».
Vidi il soldato – una nerboruta fata adulta, non un ragazzino sbarbatello – impallidire di colpo come se avesse visto un fantasma ed indietreggiare di un paio di passi, incespicando.
«Voi... voi...» balbettò, ed io provai pena per lui, «Signore, io... m-mi dispiace ma io n-non sapevo... se avessi saputo...» farfugliò, incapace di concludere una frase di senso compiuto.
«Sì, sì, non c'è bisogno di scusarsi. Ora noi andiamo a salutare il tuo caro Principe, quindi levati di torno» commentò con noncuranza Lùg e, dopo avermi afferrata delicatamente per un braccio, mi scortò in corridoio.
Impacciata come una ragazzina al ballo della scuola, agganciai la mano al gomito del Generale e lasciai che mi conducesse lungo scalinate e corridoi, rendendomi conto solo in quel momento che quella città e quel palazzo erano casa sua.
Avevo evocato Lùg proprio nella città della quale era Signore, nella città che egli aveva protetto da una bomba che avrebbe trasformato ogni edificio ed ogni abitante in polvere, nella città dove era ancora venerato come un salvatore... come un dio.
Giungemmo infine sulla grande scalinata che si affacciava direttamente sulla pista da ballo e, non appena iniziammo a scendere i gradini, centinaia di occhi si fissarono su di noi e ogni risata, ogni chiacchiera, ogni mormorio si acquietò. Persino l'orchestra smise di suonare, e un silenzio denso di shock e stupore invase la stanza.
"È Lùg...", "Lùg e Saraid, non ci posso credere", "Il nostro Signore è tornato", "Saraid e Lùg", furono solo alcuni dei commenti che udii, pronunciati sottovoce da fate sconvolte, incredule di fronte a quella che sembrava ai loro occhi come una vera e propria apparizione.
«Che significa?».
L'unico a parlare con voce ferma e stentorea fu Morven stesso, che vidi procedere a grosse falcate verso di noi spintonando senza troppe cerimonie chiunque si frapponeva sulla sua strada.
«Ossequi anche a te, Principe. È un vero piacere vedere che sei ancora al tuo posto, comodo nel tuo palazzo, dopo tutti questi anni» mormorò Lùg con voce suadente, sorridendo in modo amichevole a Morven.
Il Principe si esibì in una smorfia che, più che un sorriso, parve un ringhio: «Non mi aspettavo di vederti comparire dal nulla al mio banchetto, Lùg... Credevo fossi intrappolato da qualche parte nel mondo degli umani».
«Lo ero, sì...» asserì il Generale, «...Ma ringrazio la qui presente Rowan per avermi riportato a casa» mormorò con calore, posando una grande mano callosa sul mio braccio in un gesto che parve quasi affettuoso.
Gli occhi ferini di Morven si posarono su di me ed egli sbottò: «Immagino che la tua scappatella di oggi pomeriggio all'Isola dell'Upupa abbia a che fare con tutto questo, no?» attese un paio di secondi, poi continuò: «La tua visita alla mia città era pianificata, vero, Mezzosangue? Mi hai fatto credere di essere solo... interessata a Gorias e desiderosa di allontanarti dai tuoi simili... invece avevi un fine preciso».
La mia espressione colpevole confermò i suoi sospetti e i suoi occhi gialli colmi di quella che sembrava quasi ammirazione tornarono su Lùg: «L'hai addestrata bene, non c'è che dire» commentò, «La mezzosangue doppiogiochista è riuscita ad ingannarmi».
Il ghigno di Lùg fu spaventoso: «Ha un talento naturale» mormorò con un bagliore cupo nello sguardo.
Morven scrutò il modo in cui la mia mano era posata sul braccio del Generale e un freddo sorriso gli incurvò le labbra: «Ci ha addirittura fatto credere di aver bisogno di essere protetta da te... Ma mi pare di capire che anche quella fosse una menzogna».
Lùg strinse distrattamente la mia mano con la sua e sorrise: «Quella invece era la verità... ma si può dire che ora io e Rowan abbiamo appianato le nostre divergenze» commentò, rimanendo molto vago, cosa che non piacque a Morven.
Il Principe soppesò il Generale per qualche secondo, probabilmente valutando se fosse una mossa saggia imprigionare – o addirittura uccidere – il Signore della sua stessa città, ma poi parve giungere alla conclusione che mettersi contro di lui sarebbe stato come firmare la propria condanna a morte e decise di abbandonare l'ascia di guerra: rilassò le spalle, incrociò le braccia al petto e il suo viso perse l'espressione feroce di poco prima.
«Immagino di sapere perché tu sia tornato...» iniziò, scrutandomi con uno sguardo indecifrabile, ma, prima che potesse anche solo accennare al nome Saraid, io lo interruppi: «Non mi sembra il luogo adatto, Principe» mormorai, lanciando un'occhiata eloquente alle fate tutt'intorno a noi.
«Inoltre...» aggiunsi con voce più civettuola, «...Io e il Generale volevamo ballare un po'» mentii, stringendo la mano di Lùg e implorando che nessuno si accorgesse del terrore che mi scorreva sottopelle.
Il Generale mi diede manforte, infatti mi posò distrattamente una mano sul fianco e fece un cenno all'orchestra, che riprese a suonare praticamente all'istante. Rivolsi un sorriso dolce a Morven e, sotto il suo sguardo torvo, mi lasciai condurre sulla pista da ballo.
«Gli hai mentito» mi sussurrò Lùg all'orecchio una volta che ci fummo allontanati a sufficienza dal Principe.
«Non ho mentito» ribattei, «Ho solo... evitato di sostenere una conversazione che non volevo sostenere».
«Ovvero?» indagò lui, facendomi volteggiare senza sforzo nonostante la mia assoluta incapacità nell'arte del danzare.
Feci spallucce e mentii nuovamente: «Preferirei evitare che l'intera città di Gorias domani sappia che la mezzosangue di Morven è in realtà un'umana senza nemmeno un briciolo di potere».
«Questo è da vedere» mormorò il Generale, scrutandomi con la testa inclinata su un lato. I suoi occhi argentei mi studiarono con un'attenzione quasi eccessiva che mi mise a disagio, ed ebbi l'orrenda sensazione che quelle iridi color mercurio potessero scavare nei miei segreti e metterli a nudo senza che io potessi fare alcunché per difenderli.
«Sei diversa dall'ultima volta che ci siamo visti» commentò infine, fermandosi nel centro della pista.
Mi dondolai sui talloni e borbottai: «Sono passate solo un paio di notti... non è successo un granché».
Lùg scosse la testa e qualche ciocca di capelli bianchi sfuggì alla sua treccia: «Intendo dire che sei diversa rispetto all'ultima volta che ci siamo visti davvero, dal vivo. I sogni non contano, perché nei sogni le immagini sono distorte: io vedo te attraverso la patina dei miei ricordi, così come tu vedi me attraverso gli occhi del tuo passato... ma tu sei diversa rispetto alla Mezzosangue che ricordo io» mormorò, quasi perplesso.
Spalancai le braccia e mugugnai: «L'unica differenza sono i miei poteri, che non ci sono più... o forse è il mio odore: mi hanno detto che puzzo come un'umana».
«Vero anche questo... ma non credo sia tutto» commentò Lùg arricciando il naso nel riconoscere il mio olezzo.
Mi fece quindi esibire in una lenta giravolta e mi condusse in un ballo poco impegnativo per i successivi cinque minuti. Nessuno dei due parlò e per me fu un bene, perché utilizzai quel momento per raccogliere i miei pensieri e organizzare le mie menzogne.
Lùg non doveva scoprire che Saraid era resuscitata e Morven non doveva scoprire che Lùg era stato evocato solo per permettermi di recuperare i miei poteri, quindi non sarebbe stato facile far quadrare tutti i pezzi del puzzle.
«Mio Signore, posso... posso interrompervi?» una voce flebile e sottomessa mi riscosse dai miei pensieri e mi ritrovai a fissare un maschio giovane e pallido, che stava fissando Lùg con i cerulei occhi colmi di ammirazione.
«Che c'è, ragazzo?» borbottò in modo burbero il Generale.
«Volevo... io... posso stringervi la mano? Voi siete... ecco io...» la fata balbettava senza tregua, e mi sembrò uno di quei fan sfegatati che incontrano per la prima volta il loro idolo e improvvisamente perdono ogni capacità linguistica.
Ghignai di fronte all'espressione di disagio che attraversò il volto di Lùg e commentai: «Vi lascio soli... vado a prendere da bere».
Mi allontanai rapidamente e afferrai il primo calice di sidro che mi capitò a tiro, trangugiandone una buona sorsata. Il liquido ambrato e alcolico servì a distendere i miei nervi, così afferrai un secondo flûte e ingollai anche quello, sperando di riuscire a rilassarmi un po'.
Lùg era tornato... e solo in quel momento, guardandolo muoversi in una sala piena di fate, iniziai a rendermi conto della portata di ciò che avevo fatto.
Ero talmente abituata a vederlo nei miei sogni che, all'inizio, non avevo quasi realizzato che egli fosse veramente lì, nella mia camera, in carne e ossa. Ero rimasta in una sorta di bolla, in un limbo fra sogno e realtà, ma quella bolla era scoppiata non appena ci eravamo chiusi la porta della mia stanza alle spalle e Lùg non era semplicemente... scomparso.
Fu solo in quel momento, mentre sorseggiavo il terzo calice di sidro e fissavo il Generale stringere le mani di quelli che erano i suoi concittadini, i suoi sudditi, che mi resi conto che ciò che avevo fatto non poteva essere disfatto.
Lùg era tornato e non se ne sarebbe andato, e tenergli nascosta la resurrezione di Saraid sarebbe stato impossibile. Avrei solo dovuto sperare che la prendesse... bene.
La mano con cui reggevo il calice tremò leggermente ed io trangugiai anche l'ultimo sorso di sidro, cercando di soffocare l'ansia grazie alla nebbia dell'alcol.
«Io ci andrei piano con quello, se fossi in te» mi suggerì una squillante voce ed io sussultai, voltandomi di scatto e trovandomi di fronte Val, la consigliera di Morven.
«Se fossi in me ne berresti un'intera botte, fidati» borbottai, indietreggiando di un passo di fronte ai suoi intelligenti occhi verde giada.
«Sei molto più interessante di quanto pensassi, sai?» disse la fata, rivolgendomi un sorriso da predatore, poi aggiunse: «Vieni con me. Ti voglio presentare ad alcune persone».
L'inquietudine strisciò lungo le mie braccia facendomi venire la pelle d'oca, ma non me la sentii di rifiutare la proposta di Val e così mi ritrovai a stringere mani e a sorridere a una decina di consiglieri diversi, tutti interessati al mio aspetto e, soprattutto, al mio accompagnatore.
Quando il giro di presentazione terminò, setacciai la sala con gli occhi in cerca di Lùg e lo trovai intento a chiacchierare con Morven. Un brivido di gelo mi scivolò lungo la spina dorsale ma, nel vedere la posizione rilassata del Generale e il modo disinvolto con il quale sorseggiava un calice di sidro, le mie pulsazioni tornarono sotto i cento battiti al minuto.
Quasi come se avesse percepito i miei occhi su di sé, Lùg sollevò lo sguardo e le sue iridi argentee mi inchiodarono sul posto. Annuì distrattamente a ciò che Morven gli stava dicendo ma, nel mentre, continuò a fissarmi con uno sguardo profondo che non seppi decifrare.
«Prima o poi mi taglierà la gola» mormorai, consapevole del casino nel quale mi ero messa, e distolsi lo sguardo da lui.
Scrollai le spalle per liberarmi dell'inquietante sensazione che derivava dal sentirmi i suoi occhi d'argento addosso e decisi di andare a ballare, nel vano tentativo di migliorare quella che era diventata una pessima serata.
Mi lasciai trascinare qua e là lungo la pista da ballo da decine di fate diverse per circa un'ora, poi uscii sul balcone per prendere un po' d'aria. La fredda brezza notturna mi rischiarò la mente annebbiata dai troppi calici di sidro e, di colpo, fui travolta dalla stanchezza.
La mia giornata era stata lunga e fin troppo impegnativa, e il mio corpo era arrivato al punto di non ritorno. Sbadigliai sonoramente, disturbando la quiete notturna e il leggero sciabordio delle onde contro le mura del castello, e decisi che si era fatto il momento di ritirarmi nella mia camera.
Rientrai nella sala da ballo e notai che solo una ventina di fate erano rimaste a danzare, fra cui Morven. Salutai il Principe con un cenno del capo e cercai con lo sguardo il Generale ma, non trovando la sua luminosa chioma bianca da nessuna parte, lasciai la sala e mi diressi in camera.
Raggiunsi la mia stanza e, senza accendere la luce, calciai via le scarpe col tacco, gemendo di piacere nel poter finalmente poggiare i talloni a terra. Armeggiai con i nastrini del vestito e riuscii a liberarmi anche dello stretto abito da sera, che scivolò ai miei piedi in un fruscio di seta; poi mi diressi in bagno per lavarmi la faccia.
Illuminata solo dal bagliore della luna che filtrava dalla grande finestra del bagno, fissai il mio oscuro riflesso nello specchio e iniziai a sciogliere la treccia nella quale avevo raccolto i capelli. Lunghe e mosse ciocche mi scivolarono sulla pelle nuda delle spalle e del torace, accarezzando il pizzo del reggiseno bianco che indossavo, ed io rimasi – per l'ennesima volta – sorpresa nel guardare il mio stesso riflesso... perché la persona che vedevo allo specchio somigliava più a Saraid che a quella che avrebbe dovuto essere Rowan O'Brien.
Sospirai e tornai in camera, desiderando solo di poter affondare nel materasso e dormire, ma vi fu un movimento nelle tenebre e una sagoma umana entrò nel cono di luce lunare che illuminava solo in parte la mia stanza.
***
Ecco il capitolo nuovo!!
Il prossimo sarà più lento ma... Pieno di rivelazioni eheh
A prestissimo!
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