Il Patto
Non appena misi piede sulla nave mi ritrovai avvolta da un paio di braccia sottili ma forti come l'acciaio e, inspirando il profumo di rose e agrumi, riconobbi immediatamente mia madre.
«Tesoro, ero così in pensiero!» esclamò, non accennando minimamente a lasciarmi andare.
«Mamma» borbottai, «Lasciami, dai».
«Quando sono venuti a dirci che vi sareste fermati là per la notte ho temuto vi avessero mangiati» confessò Moira con sguardo cupo, lanciando un'occhiataccia nella direzione delle due immense statue che svettavano all'ingresso della laguna.
Ridacchiai divertita e mi allontanai da lei per scompigliare affettuosamente i rossi boccoli di Maeghan, che reclamava la mia attenzione saltellandomi intorno come un grillo.
Salutai poi mio padre, Abarrach O'Brien, e Laidhgeann, il padre di Rían, che mi osservava con affetto quasi paterno dietro le spalle di mia madre.
«Allora? Raccontateci tutto!» esclamò mio padre, accarezzandosi la barba brizzolata e ronzando intorno a mia nonna con curiosità.
«Andiamo nella sala da ballo» ordinò la vecchia, facendosi largo fra le streghe del suo clan e muovendosi in modo quasi regale.
Ci volle mezz'ora prima che tutte le streghe che ci avevano seguito nelle Terre Lontane si radunassero nella sala da ballo della nave da crociera e, quando infine tutte furono sedute, non un posto libero era rimasto in tutta la vasta stanza. Un brusio concitato vibrava nella gremita sala e riuscii quasi a percepire l'energia elettrizzante della curiosità delle streghe serpeggiare fra i presenti.
Daghain parlò per un'ora intera, rispondendo alle numerosissime domande ed esponendo il piano dei Principi per aiutarci; ed io intervenni solo per esporre la proposta che era stata fatta a me e a Rían.
«Perché solo voi due potete diventare cittadini? Perché solo a voi è offerta la totale protezione?» gridò un Clurichaun dal fondo della sala, ed io ribollii di rabbia nel rendermi conto che, per quanto ormai fossimo tutti nella stessa barca – metaforicamente ma anche letteralmente – le antipatie fra clan restavano radicate nel profondo di buona parte delle streghe che occupava quella sala.
Fortunatamente, Rían intervenne prima che io potessi mandare a quel paese il Clurichaun: «I Principi vogliono proteggere i Tesori delle loro Città; il loro gesto non è dettato da una quale simpatia nei nostri confronti. Inoltre, diventare cittadini significa proteggere la Città fino alla morte... e non credo che tu sia disposto a fare una cosa del genere, Piras» borbottò con un leggero astio nella voce limpida.
«E quindi noi che dovremmo fare?» ribadì quel tale, Piras, dando inizio ad un acceso dibattito circa la possibilità di accettare la proposta di Daireen e andare a vivere nelle sue Isole Vergini, lavorando per lei.
La riunione andò avanti per ore, tanto che io, alle cinque del pomeriggio, decisi di abbandonare la seduta. Il mio contributo era già stato dato e ormai non ne potevo più di strilli e discussioni, che mi avevano già causato un principio di emicrania.
Sgattaiolai quindi fuori dalla sala e mi arrampicai su per i dieci piani che mi separavano dal ponte della nave, sospirando di sollievo quando finalmente un venticello fresco dall'intenso odore salmastro mi soffiò sul volto.
A quell'ora del pomeriggio il sole non era più così bollente come lo era allo zenit, ma il caldo era comunque molto più intenso di quanto fossi abituata in Irlanda. Una brillante luce aranciata colorava il mare d'argento e veloci nuvole rosa si rincorrevano all'orizzonte, laddove la curvatura del mare si confondeva con il cielo.
Declan, Michan e Saoirse comparvero alle mie spalle una decina di minuti dopo, con le espressioni stremate che rispecchiavano alla perfezione la mia.
«Discuteranno ancora per molto?» domandai, poggiando la schiena al parapetto e fissando i miei amici con un sorrisetto divertito.
«Hanno ricominciato a varare tutte le ipotesi, un'altra volta» mi rispose Declan, passandosi una mano fra i capelli neri con un gesto sconsolato.
«Pare che alcuni non vogliano proprio comprendere di non avere altre soluzioni valide» rincarò Michan, mettendosi al mio fianco e posando il mento sulla testa bionda di Saoirse, la quale si era appoggiata con la schiena al suo petto.
«Sarà una nottata difficile» la sentii dire, sbuffando sonoramente.
Commentammo alcune delle proposte più sciocche che avevamo sentito fino a quel momento, finché Labhraidh non apparse sul ponte portando con sé un sacchetto di carta. Mi venne incontro con un sorrisetto compiaciuto e, dopo aver frugato nel cartoccio, mi porse un cornetto al cioccolato.
A quella vista il mio stomaco borbottò affamato ed io mi lanciai in un'infinita sequela di ringraziamenti.
«Oddio, ne avevo troppo bisogno» biascicai, masticando voracemente la brioche e socchiudendo gli occhi dal piacere nel sentire il cioccolato ancora caldo sciogliermisi in bocca.
«Sapevo avresti avuto fame» osservò Labhraidh con espressione furba, sorridendo nel notare il modo quasi animalesco con cui mi ero gettata sulla merenda.
«Ehi, per noi non hai portato niente?» si lamentò Michan con una smorfia, e Labhraidh ribatté: «Non sapevo ci foste anche voi, quassù».
«E come sapevi che ci sarebbe stata lei?» osservò Saoirse.
«Intuizione» si limitò a sogghignare Labhraidh, spazzando il suo cornetto in un sol boccone.
Il magico Labhraidh, però, non aveva portato solo cornetti da mangiare: si era attrezzato con una bottiglia di Coca Cola (una delle poche rimaste nelle cucine della nave) e un mazzo di carte, così io e i miei amici ci piazzammo sulle sdraio a bordo della piscina e passammo la restante parte del pomeriggio a giocare a Burraco.
Quando infine il sole scivolò oltre l'orizzonte, intorno alle otto di sera, rientrammo sotto coperta e ci recammo in sala da pranzo. Fortunatamente, quella sera la sala era quasi deserta: gli unici frequentatori erano ragazzini o famiglie con i bambini piccoli, visto che tutte le altre streghe erano ancora al piano inferiore, dove la riunione proseguiva senza soste.
Dopo cena ci recammo nella cabina che Labhraidh, Michan e Declan condividevano con altri due giovani Guerrieri. La loro stanza era una delle suites della crociera, una di quelle immense stanze che solo i ricchi avrebbero potuto permettersi ma che, nel nostro caso, era stata utilizzata per ospitare i Guerrieri. La meraviglia della stanza era il grande letto con il materasso ad acqua e la televisione da cinquanta pollici appesa proprio davanti, così ci spaparanzammo tutti e cinque a guardare un film comico demenziale e, per una manciata di ore, mi sembrò di essere tornata a casa.
Facemmo una maratona di film ingozzandoci di patatine e, verso le due e mezza, crollai addormentata fra le braccia di Labhraidh.
Mi svegliai con i raggi solari che mi stuzzicavano le palpebre. Mi districai fra le braccia di Labhraidh e le gambe di Declan, ancora profondamente addormentato accanto a me, e ruzzolai giù dal letto.
Sentii un certo trambusto in corridoio, così aprii di poco la porta e misi il naso fuori, cercando di capire chi fosse a fare tutto quel baccano di primo mattino.
Mi stropicciai gli occhi e, mettendo a fuoco le figure davanti a me, mi ritrovai a fissare un Rían dall'espressione estremamente scocciata.
«Che diavolo ci fai tu lì dentro?» sbottò, squadrandomi con severità.
«Dormivo. Perché fai tutto questo baccano?» borbottai, arrossendo sotto il suo sguardo duro.
«Cercavo Declan» ribatté lui, facendo scorrere lo sguardo sulle mie gambe nude e la mia maglietta stropicciata.
«Declan sta ancora dormendo» gli feci sapere, al ché le sue sopracciglia schizzarono verso l'alto.
Avanzò di un passo e, afferrando lo stipite della porta, la spinse verso l'interno.
«Ti pare il caso?» soffiai piano per non svegliare gli altri, irritata dal suo modo di fare, ma, vedendo che lui non era per nulla intenzionato a mollare la presa, sbottai: «Brutto maleducato, ti ho detto che sta dormendo!».
«Spostati» mi intimò e, senza attendere oltre, diede una spallata alla porta talmente poderosa che rischiai di ruzzolare a terra.
«Ma che diavolo ti prende?!» strillai, ormai troppo irata per mantenere un tono di voce basso.
«Tutti in piedi!» tuonò lui, rimanendo immobile come una statua sulla soglia della porta, con le mani piantate nei fianchi e un'espressione gelida in volto.
Labhraidh calciò via dal letto il lenzuolo scoprendo le sue lunghe e toniche gambe e, girandosi sul materasso e volgendoci la nuda e muscolosa schiena, si premette il cuscino sulle orecchie.
Declan, molto più reattivo del mio migliore amico, alle parole di Rían schizzò seduto sul letto, sbattendo rapidamente le ciglia scure nel tentativo di metterci a fuoco.
Di Michan e Saoirse non c'era traccia, apparentemente se n'erano andati a dormire nella loro stanza senza che io me ne accorgessi.
«Ho detto in piedi!» ordinò di nuovo Rían, la voce un'ottava più bassa e con un'intonazione minacciosa.
«Che è successo? Chi è morto?» furono le prime parole di Declan che, in piedi fuori dal letto, si stava infilando rapidamente i pantaloni della tuta, guardandosi in giro con espressione guardinga.
«Amico, si può sapere che vuoi?» borbottò invece Labhraidh, mettendosi finalmente seduto e passandosi una mano sul volto assonnato.
Sbirciò fra le dita e, adocchiandomi in un angolino della stanza, mi prese in giro: «Ehi, belle gambe!» esclamò, ridacchiando divertito.
«Chiudi quella boccaccia» ringhiò Rían, per poi partire all'attacco: «Cosa diavolo avete nel cervello, voi tre?! Siamo praticamente in guerra e voi... ve la spassate?».
Feci spallucce: «Che c'è di male?» borbottai, «La riunione era una palla, qual è il problema se decidiamo di divertirci un po'?».
«"Qual è il problema"» Rían scimmiottò le mie parole con un fastidioso falsetto e mi gelò sul posto con uno sguardo truce, «Ma ti rendi conto di quello che dici? Io non... non ti riconosco più, Rowan, davvero. Ma poi con mio fratello! Avete almeno...» sbuffò, passandosi una mano tremante sul volto, «Avete almeno usato precauzioni?».
Calò un silenzio spettrale.
Poi, Labhraidh iniziò a ridere.
«Che?» fu tutto ciò che mi uscì dalle labbra, e sentii il colore abbandonare il mio volto.
«Noi non...» balbettò Declan, rosso in viso come mai lo avevo visto, «Noi non abbiamo fatto niente!».
«Amico...» tentò Labhraidh, interrompendosi a causa dei singulti di risa che gli scuotevano il petto, «Credi che abbiamo scopato? Noi tre insieme?» riuscì infine a dire, volgare come solo lui sapeva essere.
Il gelido sguardo di Rían scivolò su Declan, che si era appena rivestito in fretta e furia, poi si fissò su Labhraidh, sdraiato in boxer sull'immenso materasso ad acqua, e infine si fermò su di me, con indosso un paio di slip fucsia e una maglietta di Labhraidh tutta stropicciata.
«L'impressione che date è questa, sì» latrò, distogliendo lo sguardo dalle mie gambe nude.
«Beh, non è così» fu la gelida risposta di Declan.
«Abbiamo guardato film fino a tardi, c'erano anche Michan e Saoirse» spiegai io, incrociando le braccia al petto nel sentire l'irritazione che mi montava dentro.
«Loro però non ci sono. E voi siete praticamente nudi» osservò Rían, questa volta tenendo lo sguardo lontano da me.
«Grazie al cazzo, fanno quarantacinque gradi in questo posto dimenticato dagli dei!» sbottò Labhraidh, saltando giù dal letto e stiracchiandosi come un gatto.
«Vuoi restare a guardarmi mentre mi cambio?» gli domandò poi con aria di sfida, fissandolo dritto negli occhi con una certa irritazione.
Rían ignorò la provocazione, mi agguantò per un braccio e, spingendomi leggermente verso la porta, mi disse: «Esci».
Mi liberai con uno strattone e gli piantai gli occhi addosso: «Non darmi ordini. Non uscirò in corridoio in mutande, grazie tante. Vattene tu, io mi devo cambiare».
Percepii l'energia della sua magia invadere la stanza e mi si rizzarono i peli sulle braccia, mentre sia Declan che Labhraidh si irrigidirono alle mie spalle, ma io non mi lasciai intimidire e indicai la porta con un gesto imperioso: «Fuori» ringhiai.
Rían non se lo fece ripetere di nuovo e se ne andò sbattendo la porta.
«Wow» fischiò Labhraidh, infilandosi una maglietta, «Tuo fratello è proprio un simpaticone, di prima mattina» disse a Declan, il quale fece una smorfia contrita.
«Vado a parlargli... è un coglione, lo so. Mi dispiace» borbottò, lanciando un'occhiata di scuse sia a me che a Labhraidh.
Quando infine se ne fu andato pure lui, il mio migliore amico ammiccò: «Rían se lo ricorda che è stato lui a scaricarti, vero?».
«Non me ne parlare. Non è la prima volta che fa una di queste cazzate» borbottai, ricordando quanto se l'era presa quando aveva scoperto di me e Solamh, «Lo detesto quando fa così» sbuffai.
«Per di più...» rincarò Labhraidh, mettendosi un paio di calzoncini hawaiani, «... lo sa che io e te dormiamo insieme da quando abbiamo sette anni, vero? Cioè, se avessimo voluto fare le cosacce... credo che le avremmo fatte prima, no?».
«Sei un idiota» gli dissi fra le risate, lanciandogli una ciabatta in testa.
«Mai quanto quell'imbecille del tuo ex, però» osservò lui, facendomi l'occhiolino.
«Già» assentii, e, infilandomi un paio di pantaloncini beige, borbottai: «Io non capisco cosa voglia da me. Quando sono tornata gliel'ho detto, eh».
Lo sguardo confuso di Labhraidh mi indusse a proseguire, così mormorai, imbarazzata: «Che ero ancora... innamorata di lui. Che non lo avevo dimenticato, io... e lui mi ha rifiutato! Quindi che diavolo vuole da me? Per di più, adesso sta con Grania».
«Per gli dei, quanto me la farei Grania» commentò quindi Labhraidh ma, notando il mio sguardo truce, si affrettò ad aggiungere: «Le chiederei di stare zitta, ovviamente, non sai interessato a sentirla starnazzare. Però non si può negare che abbia certe...».
«Okay, ho capito!» lo bloccai, irritata, e lui scoppiò a ridere di nuovo nel vedere la mia espressione carica di disgusto.
«Dai, andiamo a fare colazione» mi spronò, poi però si bloccò e mi propose: «Oppure potremmo rimanere qui, tu potresti urlare qualcosa come: "Oh sì, ti prego, non fermarti!" e aspettare che Rían piombi di nuovo in camera come una furia, per poi ridergli in faccia... a te la scelta».
«Colazione» borbottai, «Andiamo a fare colazione».
Nella sala da pranzo scoprimmo che la riunione del giorno precedente si era conclusa alle tre e venti della mattina. Il verdetto, raggiunto quasi all'unanimità, accettava le condizioni poste dai Quattro Principi.
Quella sera ci saremmo quindi dovuti recare di nuovo in città per comunicare la nostra decisione ai Principi, e poi... poi gli dei soli sapevano cosa sarebbe successo.
In attesa che il sole tramontasse, però, mi godetti la giornata con i miei amici: sguazzammo nelle acque cristalline del mare, prendemmo il sole e sorseggiammo bevande fresche chiacchierando come vecchie comari.
Quando il sole iniziò la sua lenta discesa nel cielo, io e Saoirse ci rintanammo nella sua cabina per farci la manicure e lei ne approfittò per arricciarmi i capelli con la piastra che si era portata da casa, spettegolando allegramente circa la sua relazione con Michan e cercando di carpire qualche informazione circa la mia inesistente vita sentimentale.
Adorai la leggerezza di quella giornata e quando infine, alle sette e mezza, arrivò la barca per portarci in città, cercai di nascondermi dietro le possenti spalle di Michan pur di non farmi trovare da quell'arpia di mia nonna.
Purtroppo la vecchia parve fiutare la mia paura, infatti mi individuò immediatamente e mi fece letteralmente volare nella barchetta a remi delle fate, borbottando insulti a mezza voce a proposito del mio scarso senso di responsabilità.
Quando infine giungemmo in città, rimasi ad osservare in silenzio il palazzo di Alistair, ammirando il modo in cui gli ultimi raggi infuocati facevano risplendere le bianche pietre di un acceso color oro. Il netto contrasto fra i gradoni illuminati dal sole e il cielo di un profondo blu cobalto mi fece quasi male agli occhi, ma scrutai avida ogni dettaglio di quella meravigliosa costruzione, trattenendo il fiato nell'osservare i minuscoli arcobaleni che si venivano a formare fra gli spruzzi delle mille fontane del palazzo.
«Tutto sommato, questo posto non è tanto male» sentii borbottare Rían al mio fianco e, voltando la testa, trovai i suoi occhi grigi posati su di me.
«Mi dispiace per questa mattina» si scusò con espressione contrita.
Feci un profondo sospiro: «Chiedere perdono non è abbastanza, se non cambi atteggiamento» gli risposi e mi avviai lungo le gradinate, mordendomi l'interno della guancia per impedirmi di tornare indietro e perdonargli tutto.
I Quattro Principi ci attendevano nella grande sala da pranzo, già comodamente seduti sui troni e agghindati nei loro abiti così diversi fra loro ma così adatti sui loro corpi statuari.
Mia nonna avanzò con la schiena dritta e le spalle rigide e, prima ancora di salutare o attendere che Alistair ci invitasse ad entrare, declamò: «Accettiamo il vostro accordo. Vivremo sulle Isole Vergini della Principessa Daireen e la aiuteremo in qualunque modo lei desideri; i Tesori saranno al vostro servizio e Rían e Rowan diverranno vostri Cittadini».
«Un momento, un momento» si intromise Alistair, «Cittadini? Di cosa sta parlando?» domandò perplesso, mentre i suoi occhi correvano a Domhnall e Morven: il primo era impassibile, i lineamenti immobili in una maschera di cera; il secondo, invece, gongolava svaccato sulla sedia con un ghigno derisorio.
«Ne hanno diritto» fu la secca risposta di Domhnall.
«Credevo ne avreste parlato con noi, prima di proporre una cosa del genere» ringhiò Alistair, con le gote imporporiate dalla rabbia.
«Perché avremmo dovuto?» ribadì laconico Morven, «Dopotutto sono nostri Cittadini, non tuoi».
«Ci potrebbero volere Lune prima che riescano a convincere la Veggente! Noi potremmo non avere tutto questo tempo!» sbottò di nuovo Alistair, stringendo il bordo del tavolo fra le dita con talmente tanta forza che alcune schegge scure schizzarono in tutte le direzioni.
«Oh, che peccato» sogghignò Morven, ignorando la furia che si stava accumulando negli occhi del suo interlocutore.
«Ora basta» si intromise Domhnall, la voce che scoccò come una frusta nell'aria, «Le cose stanno così, Alistair: sono millenni che i nostri popoli cercano i Tesori e, ora che finalmente sono stati ritrovati, non abbiamo alcuna intenzione di farceli sfuggire, quindi i ragazzi diventeranno nostri Cittadini. A cose fatte, li potrai trascinare in qualunque angolo del mondo per seguire il volere di Dagda, o di chiunque fosse la voce che ha parlato nel fuoco. A me non interessa; a mio avviso, gli dei sono sempre stati dei maledetti bastardi piantagrane» concluse gelido, le parole che grondavano di scetticismo.
Alistair si alzò furente dalla sedia, che cadde con uno schianto sul pavimento: «Io non mi fido di te, Domhnall delle Terre Oscure» ringhiò, sporgendosi verso il Principe con una luce minacciosa negli occhi.
«Facciamo un Patto di Sangue» suggerì a quel punto la melliflua voce di Daireen.
Il silenzio scivolò come una brezza gelida sugli astanti, e la Principessa continuò: «Facciamo promettere ai due giovani mezzosangue che, non appena saranno diventati cittadini, avranno degli obblighi nei nostri confronti».
«La vostra richiesta è troppo vaga, mia signora» mormorai, con il cuore in gola dalla fifa.
Notando lo sguardo acceso della fata, cercai di assumere l'espressione più innocente del mio repertorio e continuai: «Non voglio acconsentire a dovervi un favore generico, perché prima ancora che me ne renda conto potrei ritrovarmi ad essere vostra servitrice per i prossimi dieci anni».
Espirando il fiato che avevo trattenuto, ringraziai mentalmente Finvarra per avermi allenata a trattare con le fate.
«Vuoi porre una limitazione temporale... certo, è una scelta saggia» osservò Daireen, sorridendomi quasi con calore.
«Allora dimmi, mezzosangue, che ne dici di metterti al nostro servizio per una stagione e un giorno? Lavorerai per i Principi della Luce, e così faranno i tue due amici: il mezzosangue con la Lancia e la fata con la Spada» propose Daireen, per poi continuare: «In cambio, noi proteggeremo voi e la vostra gente dalla minaccia di Finvarra, finché sarà necessario».
I miei occhi corsero a Donegal, l'unica fata di cui effettivamente mi fidassi, e interrogai i suoi occhi cremisi con una muta domanda. Lui mi rivolse un cenno d'assenso: «È l'accordo migliore che possiamo fare» mormorò nella nostra lingua.
Io e lui spiegammo quindi il patto a Rían, che non smise un secondo di fissare i Principi di Luce con i grigi occhi stretti in uno sguardo sospettoso, ma alla fine fu proprio lui ad allungare la mano verso la Principessa Daireen.
Lei fece comparire un coltellino dall'ampia manica del vestito che indossava e senza esitazione di passò il filo della lama sul palmo il sangue iniziò a sgorgare denso e scuro, e lei passò il coltello a Rían, il quale la imitò con gesti rapidi, poi i due si strinsero la mano, sigillando il Patto di Sangue.
Un lieve luccichio avvolse i loro palmi congiunti e un marchio a cinque punte brillò sul polso di Rían, impresso perennemente sula sua pelle.
«Quello è il mio segno distintivo, così che chiunque lo guardi sappia che hai stretto un patto con me» spiegò, ed io ringraziai mentalmente Donegal per avermi suggerito – il primo giorno in cui eravamo arrivati nelle Terre Lontane – di celare il rampicante che mi avvolgeva il braccio dal polso al gomito con uno spesso strato di fondotinta.
«Io e te siamo gli esecutori del Patto, quindi sarà anche su di noi che ricadranno le conseguenze qualora le due parti non rispettino i termini dell'accordo» gli occhi d'oro di Daireen scivolarono prima su Donegal e poi su di me: «Se tradirete il patto, voi morirete e il vostro amico sarà arso vivo dall'interno» mormorò, con un sorriso dolce sulle labbra.
«Spero tu abbia piena fiducia in loro» aggiunse poi, rivolgendo a Rían uno sguardo compassionevole.
«Spero la stessa cosa per voi» ribatté coraggiosamente lui, lanciando un'occhiata scettica ad Alistair, che seguiva il loro scambio di battute con interesse.
Concluso il Patto di Sangue, ci sedemmo a tavola per la cena.
Toccai a malapena cibo, rimuginando sulla pericolosità dell'accordo che era appena stato siglato con il sangue. Rían aveva accettato senza remore la proposta di Daireen, ma io non ero per nulla tranquilla... qualunque cosa sarebbe potuta andare storta, e Rían sarebbe potuto morire di una morte orribile.
I miei cupi pensieri mi impedirono di partecipare attivamente alla conversazione, ma colsi distrattamente alcuni spezzoni del discorso che stavano tenendo Daghain e Daireen: le due stavano discutendo circa le logistiche di spostare la nave da crociera lungo le coste delle Isole Vergini, ma non riuscii a immagazzinare più di qualche parola.
Quando la cena giunse al termine, fui estremamente sollevata: volevo solo ritirarmi nella mia cabina, affondare il viso nel cuscino e dormire fino alla sera successiva. Troppi pensieri e troppe preoccupazioni affollavano la mia mente, e la costante paura mi teneva in uno sfiancante stato di allerta.
Mi alzai dalla sedia, pronta a salutare i Principi e levarmi di torno, quando la morbida voce del Principe Domhnall mi bloccò: «Rowan, concedetemi qualche minuto».
I suoi profondi occhi neri si posarono quindi su di me: «Domani partiremo per Murias, quindi preparate una sacca da viaggio e fatevi trovare pronta nel primo pomeriggio».
Il mondo parve rallentare fino a fermarsi, e io percepii distintamente il sangue pulsare violento nelle mie tempie e abbandonare le mie guance, che divennero pallide come cenci.
«Domani?!» pigolai, sgranando gli occhi fra la sorpresa e l'orrore.
«Sì. Non intendo restare un giorno di più in questo forno di città» borbottò facendosi aria con un tovagliolo, cercando forse di mettermi a mio agio facendo una sorte di... battuta.
«Ma signore, io... domani è... troppo presto» balbettai però, tremando leggermente sotto lo sguardo severo del Principe.
Egli sollevò gli occhi al cielo e sbuffò piano dalle narici: «Ragazza, io non mi posso trattenere più a lungo per voi. Se volete diventare mia cittadina dovete venire con me, altrimenti potete rimanere qui e andare con il vostro popolo alle Isole Vergini; la scelta è vostra». Parve poi riflettere qualche secondo e fece un cenno nella direzione di Labhraidh: «Se vi è di aiuto, posso permettere al vostro...» esitò, arricciando le labbra, «... amico... di accompagnarvi».
«Ci... ci penserò» borbottai, chiedendomi con quale coraggio avrei potuto chiedere a Labhraidh di accompagnarmi verso l'ignoto, abbandonando la sua famiglia e i suoi amici.
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