cap 2 cambiamenti
Eh già... ogni notte era fredda, senza barlumi, silenziosa e incerta, e loro erano sempre soli. Era normale che talvolta provassero tanta angoscia immaginando le insidie che potevano celarsi là fuori, in ogni dove, in un mondo simile. Ma mai nulla era avvenuto prima di quella notte.
Quando il sole si fece più alto delle lontane cime, Ten si alzò faticosamente dopo aver dormito molto poco. Si coprì molto una volta in piedi, e con un viso stanco andò di sotto; tutto il sangue si era asciugato, l'aria sapeva ancora di morte. Fuori trovò Renox lì fermo con la schiena poggiata sul muro, forse in pensiero. Intorno ai suoi occhi gravava la stanchezza.
"Nel letto mi son tornate in mente le parole dell'estraneo che incontrammo l'altra volta... che quel fiume li guidava, diceva." l'uomo annuì. " Ora capisco cosa ti turbava, che in quel modo sarebbero giunti proprio qui."
"Sì, è così. Ma non credo affatto che siano stati loro."
"Lui non c'era? Ti è sembrato di riconoscerlo tra i corpi?"
"Non ho controllato i loro volti. Ma ricorda che diceva anche che venivano da lontano, che la loro esplorazione era solo un tentativo di trovare qualcosa... e dopo quel giorno se ne saranno tornati da dove sono venuti, vendendo che non ne valeva la pena."
Ten stette un po' in silenzio guardando le grandi e delicate nuvole, senza pensieri molto pesanti. "Comunque, mi vien spontaneo domandarmi con quale cuore si possa vagare di notte nella selva"
"Non diamo peso a queste cose. Ora è tutto finito... ma d'ora in poi dovremo essere molto più cauti."
***
Rimasero qualche tempo senza fare molto. Non avevano molte forze, e ciò che avevano passato aveva infiacchito il loro animo. Ma il calar del sole era ancora lontano quando Renox propose al piccolo di andare comunque a pesca, così da scacciare un po' di inquietudine e ritrovare un po' di serenità. E così fu. Grazie alla veduta di un cielo celeste e delle acque limpide, il loro cuore si alleggerì presto mentre tutto sembrava esser tornato come prima. E, tutto d'un tatto, ecco persino che le speranza di Ten sono a un passo dal realizzarsi: un grande pesce aveva abboccato, ma era sul punto di scoppiare mentre provava a tirarlo su. Le sue guance erano diventate rosse come un melograno e suo padre, che nel frattempo rideva divertito con i raggi di sole sul viso, lo teneva ben stretto per far sì che non venisse trascinato nelle profondità del vasto lago. E più lontano da dove pescavano, sorgevano due capienti fiumi. Quindi, se solo il pesce si fosse portato via il piccolo Ten e avesse imboccato uno di quei fiumi dalle potentissime correnti... il piccolo Votan sarebbe stato irrecuperabile. La canna da pesca era fatta di legno di Albero Gigante, era molto possente, ma pareva un grosso arco teso quasi al limite.
Tuttavia, grazie agli sforzi dei due improvvisati pescatori estremi, un pesce blu oceano saltò fuori dall'acqua, e si rivelò essere grande la metà di Ten. Entrambi si emozionarono e i loro sguardi brillarono una volta che lo videro in pieno.
Ancora balzava qua e là, e Renox lo prese subito prima che scappasse nel lago quasi tuffandovisi addosso. Non poteva fuggire la cena!
"Ottimo lavoro, figlio mio", disse mentre teneva ben stretto, per la coda e a testa in giù, il prossimo abbondante pasto. E i respiri della creatura divenivano man mano sempre più disperati nella loro ricerca d'ossigeno..
***
Nel giro di una sera, della deliziosa creatura del lago ne rimase poco e niente. Senza mezzi termini, quella cena fu una soddisfacente abbuffata. Il pasto venne cotto al falò e sotto un cielo che iniziava ad annuvolarsi. Fu Renox, a malincuore e con tanta fatica, a dover togliere il vassoio dal tavolo, dicendo: "Basta, sennò domani non riusciremo più ad alzarsi dal letto", quando si alzò dalla sedia, era gonfio come un sacco. Ma era allegro almeno quanto pieno. Nello stesso momento Ten fece un verso di piacere e un viso beato. Era stata una grande giornata. Ma non sempre avevano la certezza di mangiare, le battute di caccia non sempre andavano a buon fine, di solito, e non tutte le volte erano prosperosi o promettevano bene i raccolti. Anche le riserve di carne, sigillate nello scantinato, non potevano durare a lungo e andavano consumate prima che venissero infestate dalle larve e che andassero in decomposizione. Perciò, giorno dopo giorno, affrontavano la propria sorte, e non sempre la fortuna si rivelava a loro favore, come in quella mattinata. Calò presto la notte, ma presero sonno molto tardi: con gli occhi chiusi, senza accorgersi del tempo che passava, ascoltarono il sommesso rumore di una docile pioggia e poi il turbinio dei venti. E solo quando erano inconsci giunsero grandi piogge battenti.
***
Faceva molto più freddo quando si furono svegliati. Non entravano luci nelle loro camere con le finestre sigillate, ma sapevano già che là fuori vi era un giorno grigio e umido. Era arrivato l'inverno. E ben sapevano anche che da allora fino alla calda stagione la loro vita sarebbe tornata ad essere più dura. Era così tutte le volte, e già da tanti anni se ne erano fatti una ragione, abituandosi anche al fatto che il periodo del caldo era breve. Non appena furono usciti di casa, da poco svegli ma col morale spento, un grande vento batté sul loro petto e fischiò nelle loro orecchie. Si strinsero nelle pellicce, ma il loro volto rimaneva scoperto e infreddolito; levando lo sguardo videro un cielo avvolto da una coltre di orride nubi: altre piogge incombevano mentre l'aria era pregna del sapore di quelle precedenti. E dinanzi li si parava un'umida selva colma di ombre e pozzanghere, ove risuonava solo l'eco cavernoso dei venti che scuotevano violentemente le fronde al loro passaggio. Ma dovevano incamminarsi per cacciare, altrimenti sarebbero rimasti senza mangiare. E sapevano che sarebbero tornati fradici e tremolanti, che difficilmente avrebbero dato vita ad una fiamma col legname zuppo e umido tra quei soffocanti venti. Le dure giornate erano tornare tanto in fretta, il ciclo si ripeteva. Ma senza troppi dispiaceri avevano sempre accettato la realtà in cui vivevano e perciò, con un espressione insensibile alle fredde folate, anche mentre non cessavano di investire i loro volti, si incamminarono tra le innumerevoli piante arrampicanti che tra loro si attorcigliavano rivestendo tutto il terreno arduo e sconnesso, gli enormi tronchi caduti che ingombravano la via, e i piedi degli Alberi Giganti. Guardandosi bene attorno, si furono allontanati di molto quando iniziarono a udire una lenta pioviggine, e poi tutto d'un tratto precipitò un acquazzone. Ma trovarono subito riparo sotto i possenti e altissimi rami, che il più forte dei venti poteva appena far vibrare. Immobile, Renox, con il diluvio dinanzi agli occhi, con le orecchie colme del suo fragore, intravide le distinte sagome di alcuni piccoli animaletti che fluidi come un ruscello scorrevano lungo l'intrigo di rami sulla sua testa. Riuscì a colpirne due, che caddero sul letto di cespugli e corse sotto la pioggia per raccoglierli. Li conservò in una sacca. Grondante ritornò sotto il riparo. I due poterono rimettersi in cammino molto dopo mentre cominciarono a cadere le ultime gocce; si inoltrarono ancora più in fondo lungo la difficile via, ma nel mentre si stavano assottigliando e sbiadendo le nuvole che velavano il sole e gli sprazzi di una luce smorta e grigia iniziavano a posarsi tra le ombre della selva. Allora Ten guardò per un istante la sacca per vedere che animali avesse preso il padre: vide le loro pellicce marroncine macchiate da un viscido sangue nero che sgorgava dalla profonda ferita.
"Se solo fossi stato più attento, adesso ne avremmo almeno tre qui dentro! Perché non hai guardato e sparato anche tu? Perché ti ho dato quell'arma?!" La voce di Renox era pietrificante mentre, senza guardare in faccia il figlio, parlava a denti stretti e lentamente, arrabbiato. Ten, sapendo che a lui non sarebbe importato, disse, sillabando, la verità:
"Qualcosa di viscido strisciava sui miei piedi, e ho abbassato lo sguardo solo per vedere cosa fosse".
"E ti sei distratto solo per questo?! Per alcun motivo al mondo ti devi distrarre!", poi si voltò verso gli occhi del figlio, che gli camminava a fianco. "Smettila di fissarmi. Guarda avanti!", Ordinò con voce priva di limpidezza e gelida. Il Votan ubbidì subito, svuotando la testa da ogni altro pensiero eccetto quelli riguardanti ciò che aveva attorno. Doveva pensare solo a questo. Conosceva perfettamente quei luoghi, li attraversava ogni giorno, ma talvolta parevano diversi. Dopo poche centinaia di passi altri, anche i venti erano diminuiti, ma la luce del cielo rimaneva fioca. I loro piedi quasi scalzi cominciarono ad affondare nelle chiazze di fango formatosi su un terreno più spianato e più piano, che sembrava quasi un sentiero ove vi era solo qualche roccia incastonata e molti ceppi accavallati e umidi. Ma, dopo un certo tratto, impenetrabile come un muro divenne la vegetazione e la via si assottigliò velocemente. E fu allora che l'umano, muovendo passi difficili, vide sprofondato tra i ceffi incolti il corpo fradicio di una creatura cosparso da bozzoli neri e gonfi come le zecche sature di sangue. L'uomo fu scosso all'istante quando si accorse di quel corpicino sotto i suoi piedi, fermandosi subito. La sua espressione mutò nello stesso attimo e rimase immobile per un breve lasso di tempo per cercare di capire cosa fosse, poi si chinò lentamente. Le sue ginocchia affondarono nell'erba selvaggia zuppa e incolta. Non vi posò sopra le mani, arrivando quasi a sfiorare quelle escrescenze nere. Ten era pochi passi avanti a suo padre, e si fu fermato nel preciso istante in cui si era accorto che egli si era fermato, cominciando a guardare in fondo e in tutt'altra direzione come vegliando, senza accorgersi così di quella cosa spaventosa che l'umano fissava sgomentato.
"Papà, cos'è successo?" La sua voce fu un tenue sussurro, ma non si voltò.
"Nulla figliolo, nulla", sillabò Renox, rimanendo ancora immobile con le mani che tremavano. Ma si alzò pochi secondi dopo lasciandosi quel corpo alle spalle. Non voleva che suo figlio lo vedesse.
"Perché ti eri fermato, papà?".
"Non era niente, figliolo. Torniamo a casa adesso, così proveremo ad accendere un fuoco per riscaldarci e cucinare". Vi riuscirono, ma non vi misero poco: una piccola fiamma si accese nel buio e lì attorno si sedettero per mangiare quel pasto che avevano cacciato e che, purtroppo, non era dei migliori, assieme a qualche bacca selvatica che avevano trovato. Non mangiarono molto quel giorno, e le coperte furono appena sufficienti per non congelare in quella notte che trascorsero l'uno nelle braccia dell'altro, così come tutte le altre volte in cui faceva troppo freddo. Ma già nella mattinata successiva i nuvoloni erano andati lontani verso est e il cielo in gran parte era tornato ad essere luminoso.
***
L'indomani mattina si prospettavano già giorni migliori, e Ten ne approfittò decidendo di andare a disegnare un po' gli stormi di Aquile. Allorché si diresse verso la sua solita postazione, sul dorso dell'altura circondata dagli alberi, dalla quale si scorgevano le remote vette aguzze delle catene di montagne sia a Est e a Ovest che sovrastavano i colli. I suoi disegni erano come delle fotografie, poiché catturavano con la medesima velocità e con la stessa perfezione di esse, ogni singolo momento e movimento: le sue mani quando avvolgevano una matita sfrecciavano su quel foglio come saette viola. Ma i suoi immensi occhioni blu oceano rimanevano, nello stesso tempo, a guardare ciò che stava acchiappando in quell'attimo senza rivolgere un solo sguardo al foglio, poiché le sue mani disegnavano senza la guida dell'occhio. Non era nulla di straordinario... era una naturale abilità Votan.
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