cambiamenti parte 2
Il vento magistrale soffiava via i grigiastri brandelli di nuvole residui delle vecchie piogge, il cielo color cenere veniva sferzato dai primi raggi di luce e le Aquile Azzurre volavano in alto in alto tanto eleganti e coordinate da apparire come un unico corpo statuario.
In ogni giorno, certo come il sorgere di un nuovo sole, loro sorvolavano il versante occidentale del Bosco degli Alberi Giganti e quelle mani che flettevano fulmini magenta, di Ten, riuscirono a catturare la loro immagine in un ritratto anche quella volta.
Alla fine scomparvero sotto la linea del sole, dirigendosi verso quella invalicabile barriera di montagne a Nord-ovest ove le nuvole nere si infrangevano sulle minacciose vette.
A precedere quel lontanissimo confine c'era l'altopiano e le umide praterie erbose ove, nelle primavere e nelle estati, nascevano incolte e numerose distese di fiori.
Ten guardò a lungo in quella direzione con la fredda carezza del vento sul viso, e in lui nacque la voglia di esplorarle. Quindi sgranchì le dita. Non gli era affatto incresciosa la lunga marcia che gli sarebbe toccata, scese il pendio avventurandosi tra gli innumerevoli arbusti e i manti di foglie lungo tutto il fianco scosceso del piccolo colle. Ivi, sui sentieri un po' di terra e un po' di roccia, la corsa del Votan rallentava e si spezzava, di tanto in tanto doveva fermarsi e ragionare su dove posare i prossimi passi mentre era molto ostacolata la sua vista; guardò il sole nascosto dalle fronde, poi il gioco di luci e ombre nella vegetazione: ignaro era di ciò che poteva esservi più avanti, tutt'intorno aveva selvagge e impenetrabili piante cedue, alte e robuste, ed esitò a riprendere il cammino, ma lo fece con uno sguardo assai più attento.
Erano luoghi pressoché sconosciuti a lui e al padre. Perciò studiava bene le direzioni che gli si ponevano dinanzi, per scegliere sempre le più scorrevoli e le meno insidiose.
Proseguendo su un'interminabile tappeto di foglie secche, vide un branco di Cervi non molto lontani, ove balenò tra le ombre del bosco la luce del mattino illuminando finemente i loro manti marroncini e gli occhi neri. Ten, nascondendosi cautamente, si avvicinò a loro per sbirciarli più da vicino mentre mordevano dai rami i frutti. Un padre cervo passò un lucente frutto giallo dorato al suo piccoletto dalle piccole corna, che non arrivava nemmeno alle sue ginocchia.
Successivamente anche Ten mangiò qualche frutto mentre si spingeva alla ricerca di funghi nascosti sotto la distesa di foglie. Aveva imparato molto bene a riconoscerli ed era molto fiducioso di trovarne assai considerando che il clima umido di quei giorni piovosi era perfetto perché crescessero.
Così camminando, incontrò poi scabrosi tratti discendenti che doveva seguire o aggirare; essi lo condussero su un piano versante ricoperto dal limitare del bosco e cosparso di grandi massi. Ma lì, ben presto, incominciò a intravedere tra gli spiragli una libera distesa non lontana, e allorché accelerò e scavalcò con ansia gli ultimi ingombranti cespugli; sbucò sul piatto capo di una collinetta, e con piccoli passi pieni di sollievo si allontanò da quell'intrico di alberi che alle sue spalle si ergeva come un'oscura barriera, respirando a pieni polmoni quell'aria di vastità: dinanzi aveva una distesa di colline affiancate da brughiere incavate, e con tanta prudenza il Votan scrutava fino alle alture più distanti; non le avrebbe mai raggiunte, chiaramente.
Infine si spinse in avanti poco poco altro: l'aria sapeva ancora di pioggia e il bagnato manto d'erba era così alto e incolto da arrivare ad accarezzare, mosso dai pungenti aliti di vento, i suoi fianchi. Ma scelse di incamminarsi verso casa.
Voltandosi vide la luce del sole far brillare le fronde che celavano i grandi sentieri formatosi lungo i fianchi dei rilievi.
Mentre Ten si avviava verso casa, Renox si dedicava a racimolare altra legna; nel buio e freddo scantinato ve n'era già una catasta, e vi incastrò meticolosamente i nuovi pezzi come fossero i tasselli di un quadro.
Il mezzogiorno stava arrivando, e preoccupandosi per suo figlio uscì fuori e si fermò; il vento soffiò sulle sue spalle, gli alberi parvero sussurrare. Con sguardo pesante di crescenti timori fissava dinanzi a sé; ma poco dopo si andò a sedere lasciando la porta aperta. E solo allora il suo occhio ricadde sui disegni di Ten, lì in disordine sul comodino. Incuriosito ne prese uno: un quadro senza colori pareva, uno di quelli che nasce solo dopo tanto tempo di lavoro, e che impressionava l'occhio rappresentando la profondità del cielo e la vastità della terra, distorta e difficile. C'erano anche delle lontane creature nel cielo raffigurate con tratteggi sfumati, e l'uomo sentì quanto dovevano essere imponenti e selvagge. E guardò quel foglio fino al ritorno del votan. Questi era assai affamato dopo tutto quel viaggio.
"Comprendi i pericoli a cui vai in contro, allontanandoti da solo?" Renox si alzò e Ten chinò la testa al peso dei suoi gravosi occhi.
"Ma conosco bene questa terra e so bene come muovermi..." tremavano le sue parole.
"Non sarà più così d'ora in poi. Non ti è ancora chiaro che molte cose sono cambiate? Hai già dimenticato tutto ciò che ci è successo ultimamente, i rischi che abbiamo corso?! Ora sono innumerevoli i pericoli che ci circondano, e non possiamo più comportarci allo stesso modo!" Si fermò, si calmò. "I pericoli ci sono sempre stati, e sono sempre stati tanti. E abbiamo sempre tentato di prevenire il peggio. Ma dopo quella notte mi sono reso conto che tutti i nostri sforzi non saranno mai sufficiente."
"E a questo punto stravolgere il nostro modo di vivere servirà a qualcosa? "
"Non dico questo. Dico solo che dobbiamo d'ora in avanti rinunciare ad alcune libertà: innanzitutto non dovremo più separarci, vagare di notte, allontanarci dai posti che conosciamo, e accendere fiamme troppo alte che possano attrarre estranei. Ci servono delle regole diverse per poterci sentire più al sicuro, per quanto possibile."
"Così farò." Renox voltò le spalle e tornò a sedersi senza dire nulla."Dovremo stare sempre sulle spine?" bisbigliò Ten poco dopo.
"Che intendi con ciò?"
"Vivere d'ora in poi con un costante timore..."
L'uomo poi si rivolse in modo meno teso:
"Non si può vivere di sole paure. Non lo faremo, non avrebbe senso. Ma tentiamo almeno di essere il più possibile previdenti per evitare che il peggio accada... Sì, talvolta non è possibile, come fu per quella notte. Ma basta che farai tutto ciò che ti chiedo, e prevarremo sempre ogni qualvolta dovessero presentarsi situazioni simili."
Velati dalla penombra erano i disegni che aveva in mano"È lì dove vai di solito?"
"Sì."
"Le hai vedute veramente, le Aquile Giganti?"
"Sì, ogni qualvolta che vi vado, ma solo in un certo orario passano... passano e scompaiono. Non so spiegarmi il perché di ciò... e probabilmente non potrò mai."
"Io raramente ho intravisto un loro stormo, ma anche in quelle occasioni esso sfuggiva al mio sguardo come un lampo che scompare nella volta. Tu le rappresenti appieno."
"Volano sempre verso nord, venendo da ovest. C'è un buon punto, alto e facile da raggiungere, dove riesco sempre a catturarle in questi fogli."
"Domani se la giornata sarà buona, ci muoveremo verso quella direzione, per esplorare ancora."
L'alba era sommessa, l'aria umida, le loro esalazioni fredde, e il verde profumava di rugiada. Ben accorto era il passo di Ten, assieme al suo sguardo e alle sue orecchie. La particolarità di quell'inizio giornata era che, per la prima volta, era lui a guidare suo padre, su quella strada che solo lui conosceva così perfettamente. Ma lo faceva pur sempre senza mai tenersi più di un passo avanti a lui. Lo portava sull'alta cresta dove trascorreva buona parte delle sue giornate.
Fu un cammino abbastanza breve. Risalirono con facilità il pendio fino alla cima sporgente sullo strapiombo e si affacciarono quindi su di una piana vallata ricoperta dalla selva ancora buia e nebbiosa. E levando gli occhi oltre l'ombra ancora inviolata dal giorno, poterono scrutare i colli che si stagliavano sulla pallida nebbia del crepuscolo schiariti dal giovane sole che si profilava dietro di essi.
Tuttavia, assai più vicino, all'ombra dell'altura, dove le prime luci ancora non giungevano, vi era il buio lago: le acque avevano il colore scuro del crepuscolo e distintamente si notavano i massi cosparsi lungo i margini.
"Papà, mi sa che è troppo presto perché passino." Ten mangiava un frutto autunnale. Era la seconda colazione.
"Siamo qui principalmente per conoscere anche questi lontani versanti, verificare quanto sono ideali per cacciare." nella semioscurità era il suo volto, mentre il suo sguardo andava lontano.
"Questo è uno dei miei punti di riferimento, ma non conosco affatto ciò che c'è lì dove ora osserviamo."
"Adesso muoviamoci. Torneremo qui magari nel mezzogiorno."
"Sì! Le Aquile Azzurre compaiono sempre nel mezzogiorno, esattamente da lì, dove sorge il sole, poi si allontanano subito a nord. Non riesco ad immaginare il perché lo facciano ogni giorno e alla stessa ora, e senza dubbio non lo scoprirò mai."
Scesero un piccolo sentiero e dopo essersi fermati mangiarono due Rane di Pietra, così chiamate per il loro colore grigio. Le acchiapparono in uno stagno e si procurarono persino un consistente contorno di funghi commestibili. Infine si abbeverarono al ruscello.
Le ore trascorsero serenamente e nella luce di un'autunnale mezzogiorno, con un lungo passo ripercorsero l'ascendente tratto tornando a cavallo del colle; il sole era poco più alto dei giganti che si stagliavano lontano, e nella cristallina acqua del grande lago limpido era il riflesso del sovrastante muro di roccia, assieme a quello dei massi sulla riva e dei rami degli alberi.
In essa un orgoglioso branco di korm vi intingeva il muso per abbeverarsi, ma di gran carriera anche i Cervi giunsero sulla riva, sbucando dalla vegetazione simili a un fiume nascosto in gola che in piena sfocia a valle. Allorché due schiere si formarono lungo due sponde opposte. E le Aquile non tardarono ad arrivare: il loro riflesso balenò sull'acqua e ogni creature sollevò il muso verso il cielo. Ma fu solo un fuggente attimo. Le Aquile si allontanarono divenendo sempre più piccole all'orizzonte.
Il sole cominciava a tramontare mentre i due erano sulla via di casa e c'era del silenzioso stupore nel cuore di Renox.
Subentrando nel pieno dell'inverno, si erano oramai adattati al clima della stagione e le quotidiane battute di caccia andavano quasi sempre a buon fine. Lo stesso anche gli ultimi raccolti dell'anno mentre le fragili piante avevano sopportato il peso delle piogge incessanti che si erano abbattute nei giorni precedenti; il sinuoso ruscello scorreva lentamente e Ten, che vi camminava a fianco, raccoglieva in ogni respiro l'aria dal sapore montano che emanava. Di lato aveva un intrico di piante di pomoblu che avvolgevano i pali conficcati nel morbido terreno mentre vi pendevano numerosi grappoli di quelli ortaggi blu. A qualche passo da lui, gli Alberi Giganti ricoprivano lo scosceso tratto di territorio come la corolla di un fiore, e le fragili foglie che rimanevano aggrappate assumevano sfumature gialle come le punte di una fiamma o marroni come ghiande mature.
Renox, prestando molta attenzione a dove appoggiare i piedi nell'orto, era sereno mentre, guardandosi attorno, vedeva come quell'aspetto della loro vita stesse promettendo bene. Sì, quel lavoro riempiva loro gli occhi di incertezza e il fisico e la mente di fatica, ma in compenso c'erano grandi soddisfazione e squisiti pasti quando i fattori atmosferici erano a loro favore.
"Spero non cadano abbondanti nevicate quest'anno." disse Ten sciacquandosi il viso. "Rispetto agli altri anni fa meno freddo, e ciò mi fa ben sperare. Inoltre questa volta la calda stagione è durata più a lungo."
"I raccolti ne giovano." si fermò e levò lo sguardo con un'aspra smorfia. " Ma prevedo grossi cambiamenti imminenti: fin'ora abbiamo avuto solo un'assaggio dei diluvi, e forse delle alluvioni, che presto cadranno. E temo che non ci siamo organizzati nel migliore dei modi per quest'inverno"
"Come potremo rimediare secondo te?" domandò. Il padre con occhi pensierosi e distaccati fissava quelle grigie montagne sovrastate da bianche nuvole.
"Ci mancano ancora tante cose... ma abbiamo così poco tempo a disposizione."
"Finora abbiamo lavorato e lavorato... forse più di così, con i mezzi che abbiamo, non possiamo fare."
Fianco a fianco, in silenzio camminarono per qualche minuto lungo il campo.
"In fondo abbiamo raccolto molte provviste e sapremo come conservarle e gestirle! Non sarà arduo il tempo che verrà." disse il piccolo.
"Lo so..."
"Perché sei così angustiato..." rispose Ten dopo il silenzio. "Perché temi così tanto i giorni che verranno? Non devi. Vedrai che staremo sempre bene. Tu stesso me lo dicevi sempre."
"Sì, ma..."
"Ma ora sei così abbattuto... Cos'è cambiato?"
L'uomo cominciò a guardare profondamente negli occhi il figlio. "Hai ragione a dire che ne abbiamo affrontate già tante, tra inverni e momenti difficili, e che ce la siamo sempre cavata. Ma adesso c'è di diverso che col tempo la nostra dimora è divenuta ormai fragile, forse troppo per le avversità climatiche che ci minacciano."
"Cosa significa?"
"Che forse non potremo più vivere come prima, protetti da un'ambiente riparato e sicuro. Ed è quello che ci manca, tra le altre cose."
"Troveremo una soluzione. L'abbiamo trovata per tutto!" ribatté con energia Ten nel tentativo di ravvivare le speranze dell'uomo.
"La sto cercando già da molto tempo, ci ragiono e ci ragiono su! Ma come tu stesso dicevi, in altre parole, abbiamo solo queste: " mostrò le mani. "Non abbiamo da contare su molti attrezzi che ci facilitino il lavoro."
"Non lo abbiamo mai avuto."
"Perciò non potremo mai ottenere molto. Finora abbiamo vissuto solo di cose semplici, frutto di grande e costante fatica, come quest'orto. E le abbiamo ottenute anche grazie all'uso della ragione, oltre che alle sole mani."
Poi passò un altro mese di lavoro. Tuttavia si erano ben organizzati per affrontare al meglio il lungo e rigido periodo.
Ci fu un giorno che furono costretti a rimanere a casa; aveva piovuto sin dal mattino. Ma le sacche fortunatamente erano colme di pomoblu; Ten, steso sul gelido pavimento, nella piccola cerchia di luce disegnata dalla candela sul comodino, mordicchiava la matita mentre pensava con cosa riempire il foglio ancora totalmente bianco. Renox guardava attentamente i tronchi posti a mo' di pilastri e i rattoppi del soffitto che essi reggevano, turbato dal fatto che l'acqua gocciolava qua e là. Voleva assicurarsi che nulla di ciò che aveva costruito si sarebbe infranto sotto il peso della pioggia. E purtroppo non ne era troppo certo.
Dai profondi squarci tra le nuvole, l'indomani mattina il cielo fu sferzato da grigiastri nastri di luce. I due erano usciti per cacciare calpestando il fango, bagnando i piedi nelle pozzanghere. Il morale era molto basso in quei giorni, sapevano che un altro fastidioso temporale era alle porte, e non furono proferite molte parole nemmeno quando presero la strada per il ritorno. Ma mentre Ten era in sovrappensiero, il vento condusse alle sue orecchie e a quelle del padre alcune voci. Esse venivano da dietro diversi alberi e cespugli. Il Votan aveva un udito molto più sensibile, e si accorse in fretta che si trattavano di molte persone.
"Corri verso il lago, nasconditi, verrò io a chiamarti quando avrò finito!", Renox diede semplici comandi sussurrando poche e precise parole, guardando innanzi a sé fin dove gli consentiva la rigogliosa vegetazione. Ten non esitò e si allontanò dal padre tra i cespugli con un passo leggero, silenzioso e veloce come uno spiffero di vento. Ma non si sentiva tanto forte da solo, e nella possente voce combattente di Renox aveva percepito un chiaro e gelido timore. Dentro di sé aveva iniziato a imperversare lo stesso sentimento, mentre fuggiva.
Renox, posando passi pieni di tensione tra le foglie bagnate, seguiva di nascosto le voci estranee. Si accorse ben presto che erano sulla via di casa sua. E una volta che furono arrivati, loro si fermarono e lui restò dietro gli arbusti fissando le loro spalle coperte da sudici e laceri vesti. Aveva il pugno talmente stretto sull'impugnatura che le nocche erano bianche. Era come se l'arma olana gli sussurrasse di uccidere con voce profonda, infida, e oscura come il colore delle sue scaglie, e una vampata d'ira vi fu nei suoi occhi. Ma dovette mettere a tacere quella voce assieme a ogni altro impulso: appena in tempo vide sopraggiungere delle altre persone; doveva solo aspettare il momento giusto e coglierlo al volo, così da eliminarli tutti colpendoli alle spalle come fosse un'esecuzione.
Intanto le loro parole si facevano più limpide e iniziò ad ascoltarli con più attenzione: parlavano di quelle pareti, dicendo che sarebbero un buon rifugio, che chiaramente erano state riparate da qualcuno alla meno peggio e che di conseguenza nei paraggi si potrebbero celare spiacevoli insidie. Ed era difatti così, ma non potevano immaginarlo. Nel frattempo il freddo sole d'inverno iniziava a calare lasciando il mondo nel buio di un'altra lunga notte.
Uno degli sconosciuti si voltò da un lato e poi dall'altro dando degli ordini e nell'istante successivo il gruppo si divise in due file perlustrando scrupolosamente un certo raggio.
Sulle finestre sbarrate qualcuno indirizzava profondi sguardi, ma cogliendo solo buio attraverso gli spiragli tra gli assi; solo oggetti marciti nel freddo degli anni potevano scoprire là dentro. Forse.
Tuttavia si ricongiunsero dinanzi alla porta d'ingresso mentre fin sopra le caviglie gli arrivano le erbacce. Era quello il momento! Renox poteva colpirli tutti in una sola volta. Ma nel silenzio avvertì lo scricchiolio dei rametti che si spezzavano sotto i piedi, il fruscio dei cespugli che venivano mossi. Ne arrivarono degli altri ancora. L'uomo sgranò gli occhi e maledì tutti loro. Desiderava unicamente toglierli la vita, cosicché lo lasciassero in pace.
Lo sguardo di ognuno di quelli era accorto e rivolto in direzioni diverse mentre tenevano le armi alte e gli indici posati sul grilletto, ma nessuno sapeva della presenza di Renox che sbirciava prudentemente. Poi delle parole iniziarono a giungergli alle orecchie distinte come in suono di una capiente cascata che cade a picco:
"Avevamo paura che prima della fine di questo giorno non avremmo ritrovato la strada di casa. E' arduo non smarrirsi in questo territorio se ci si allontana troppo dal fiume, nostro unico punto di riferimento." qualche corpo, fisso in silenzio come una statua, nascondeva l'uomo che parlava. "Ben tornato Rick; devo ammetterti che ora ho come la viscerale sensazione che vi sia qualcosa alle nostre spalle pronto a pugnalarci."
"Capisco. E mi impensierisce anche questa vecchia casa, come se all'interno vi si nascondesse un enorme pericolo." questi aveva una voce ruvida, rauca.
"Tuttavia ora siamo in tanti, e con più sicurezza possiamo affrontare qualsiasi minaccia. Non mi spaventa più di tanto l'ignoto dietro quella porta!" intervenne un altro.
"No, non parlare così. Non ricordi più...", ribatté questo Rick, " quanti sono morti, insieme, in gran numero, in questa selva maledetta?"
"Scusa."
"Non sempre un buon numero è una garanzia. E non dimenticare che il nostro peggior nemico è la notte, quindi ribadisco che dobbiamo fare in fretta, prima che questa arrivi!" chiuse il discorso. Poi fu lui stesso ad abbassare la maniglia, e lo stridulo rumore della porta che si apriva echeggiò nella stanza. Quindi si affacciò lentamente con l'arma stretta in mano, mentre un timido raggio di luce avanzava da dietro le sue spalle e si ingrandiva nel buio ambiente rivelando gli spigoli e i piedi del tavolo, robusti assi di sostegno, terminando nel sottoscala. Si fermò sulla soglia, la sua ombra si distendeva nel tratto di luce, e il gruppo iniziò a scorrere all'interno analizzando ogni singolo angolo, ma bloccandosi con un'espressione sconcertata quando si accorsero, nel buio, delle chiazze di sangue sparse sul pavimento e sui muri.
Una voce bassa e, in fondo, turbata richiamo l'attenzione di tutti, infrangendo un tombale silenzio: Rick ribadì per l'ennesima volta che rimaneva pochissimo tempo. E con questa spinta presero a frugare con mano svelta in quel poco dove c'era da frugare, come quei cassetti, nei quali reperirono un buon malloppo di munizioni. Ma non li apparteneva affatto nulla. E uno di loro, senza accorgersi si tagliò tutto il palmo dopo aver messo mano in un tiretto e tastando qua e là senza guardare. Si guardò il palmo: il taglio sembrava un sorriso sanguinante. Lo stesso sangue era sul filo di quelle piccole e sottili lame. Queste erano proiettili di un fucile olano.
Lui uscì fuori, si guardò le ferite alla luce. Richiuse il pugno, il sangue colò copioso macchiando l'erba e il suo addome, strinse i denti e imprecò. Non sapeva che c'era un qualcuno che lo fissava gravemente.
"Ci servono delle fasce!" arrivò uno portando delle bende attorcigliate.
Rick era fermo al centro del soggiorno, a fianco a un insicuro pilastro, e una luce dalle fessure si rispecchiava nei suo occhi verde gemma scavati, come le guance, e si posava sul suo rotto e storto naso, sul volto pieno di tanti segni. Sentì i passi sulle scale di quelli che erano andati a esplorare a fondo il piano di sopra.
"Rick...", si voltò e posò lo sguardo sulle mani aperte di uno, "possono esservi degli olani in questa terra..." aveva gli occhi pieni di dubbi questi.
Rick prese in mano uno di quelli affilati metalli e iniziò nuovamente a pensare a ciò che aveva attorno, alle tracce impresse ovunque di quel sanguinario atto che chissà quanto tempo prima di era consumato. Forse non troppo tempo. E si domandò se fossero state proprio le persone che conosceva e alle quali riponeva da anni fiducia, la cui morte era rimasta un mistero, le vittime del massacro tra quelle pareti.
"Incamminiamoci verso casa, è ora. Dobbiamo terminare i preparativi per il viaggio, fra pochi giorni saremo al di là delle catene montuose."
Si diressero a piccoli passi verso l'uscita, verso quella luce morente. Ma lui si allontanò dagli altri che erano pronti per partire, andando verso la riva con lunghi passi e occhi ben attenti, alla ricerca di un'altra impronta rossa. E lungo la roccia sferzata dal fiume, ove tra le ombre si posava una delle ultime luci, trovò una nera scia informe e tante macchie.
Le acque gli avevano riportato indietro i suoi amici, tutti dilaniati da ferite d'arma da fuoco olana. Impensierito cominciò a osservare i flutti fragorosi.
Il gruppo si rimise in viaggio quando fu finalmente tornato, e ascoltò lungo il cammino le sue parole.
"Ad ogni modo, è stata una buona giornata. Abbiamo trovato armi, pellicce che sembrano essere state ricavate da un Korm, e delle coperte. Questa è una grande fortuna, mai ci era successo di trovare così tanto." era vero ciò che affermava lui, ma ciò che stavano portando a casa era pur sempre poco: le coperte e vestiti sarebbero state appena sufficienti per gli anziani, i malati e i bambini.
Lo sguardo di Rick era triste sui giorni a venire: il tempo li stava portando sulla soglia dell'abisso, credeva. E sul suo cuore pesava oltretutto il timore per i più deboli, tra i quali chi era rimasto mutilato in guerra, che qualcuno avrebbe dovuto reggere sulle spalle. Oltre i gran burroni dovevano andare, tra gli scoscesi valichi, i soli passaggi possibili per giungere dall'altro lato delle remote montagne: un viaggio troppo incerto anche per i forti.
Renox continuava a seguire lui e il gruppo a cui era a capo, affiancato dalle acque torrenziali e dietro un sipario di alti arbusti. Loro avevano le coperte e i vestiti suoi e del figlio, quindi non poteva permetterli di andare via. Doveva compiere un gesto violento e crudele, e dentro di sé piangeva. Mai avrebbe voluto che arrivasse un simile giorno e voleva soltanto lasciarsi tutto alle spalle il più presto possibile.
Ora c'erano troppi alberi, non poteva ancora aprire il fuoco. Ma, attraversato un tratto pianeggiante, il terreno diveniva più libero e semplice. Loro proseguivano vicino i fianchi di alcune collinette e Renox sempre vicino al corso d'acqua che separava numerosi e pianeggianti versanti. Questi fissava le loro spalle e serpeggiava tra i cespugli. Nella brughiera l'ombra in gran parte si sovrapponeva alla luce del tramonto.
Non avevano fatto molti passi quando Renox decise di reagire subdolamente e sollevò la falce per mietere le vittime inconsapevoli. Ma un uomo si avvicinò alle sue spalle con passi felpati, e puntandogli un'arma urlò impetuosamente:
"Tu chi diavolo sei! Distenditi a terra, adesso!"
Il cuore di Renox mancò un battito, tuttavia fece un breve e leggero movimento: lo aggirò prontamente, e la sua mano fu lesta come l'azzanno di una serpe nel sottrargli l'arma. Ora un braccio stretto sul collo aveva l'estraneo e una pistola alla nuca. Ma fitta era la schiera di persone che Renox si ritrovò subito dinanzi.
"Che siate maledetti." bisbigliò nell'orecchio del suo ostaggio con voce paziente, empia di paura. Ma in verità in una angustiante morsa era il suo cuore: Ten era da solo da troppo tempo. All'inizio sperava che avrebbe risolto velocemente quella faccenda, che sarebbe andato a ritrovarlo entro la fine del giorno. Ma la situazione si fece così grave e incerta, e non vedeva alcuna via d'uscita intorno a sé. E non vi sarebbe stata alcuna esitazione nelle loro mani, che brandivano gelidi strumenti di morte, o rimorso nelle loro coscienze.
Il mormorio incessante delle rapide acque divenne ancora più acuto alle sue orecchie, come se lo stesse isolando. Sì, c'era una via di fuga... e cominciò a muovere rigidi passi all'indietro, stringendo ancor più forte la presa intorno al collo dell'ostaggio, il cui sguardo terrorizzato era rivolto ai suoi compagni. Poi lo lasciò andare spingendolo in avanti e si buttò nel fiume. Le vorticose correnti lo travolsero, avvolgendolo facendolo scomparire, soffocandolo; fu portato via dalle tumultuose onde e sì, era oramai lontano da loro, ma sempre in grave pericolo. Iniziò a tentare incessantemente di mettere la testa fuori, cercando un qualsiasi appiglio lungo i margini...
Ma in balia della corrente, forse un uomo non poteva più niente...
i suoi occhi erano sempre più vacui mentre annegava e sempre più disperati i suoi tentativi di riemergere.
Ma avvertì d'un tratto l'impatto con qualcosa, un gran cumulo di rocce franate. Allorché i flutti spumeggianti iniziarono a infrangersi sul suo volto, poi si tirò su con respiri disperati, affannosi, trovando finalmente tregua nel piccolo vortice. I suoi occhi annebbiati si rianimarono pian piano mentre gli levava al cielo, alla notte appena sopraggiunta. Le sue orecchie erano gremite del baccano del fiume ingovernabile. Fu strappato alla morte; riuscì a trascinarsi sulla riva per sollevarsi in piedi sulle ginocchia, purtroppo tremando grondante di acqua gelata nell'umida sera d'inverno. Impenetrabili tenebre lo circondavano, ed esse abbracciavano i maestosi alberi e le invalicabili sommità che in lontananza sovrastavano la valle. La luce delle poche stelle e della grande luna era remota e insignificante. Ma Renox utilizzò la stella polare, la più lucente, per individuare il nord e capì che il fiume al suo fianco sfociava proprio nel grande lago. Cominciò a camminare, irrigidito dal freddo, tentando di mantenere un passo più svelto possibile.
I coralli si accendevano quando si ritiravano le luci e soave era il movimento delle acque, colme di bagliore, che si rispecchiava negli occhioni di Ten, accovacciato sull'orlo; il suo viso, assieme a qualche pietra che giaceva lì vicino, veniva accarezzato dalla luce che emergeva dalle profondità, etera e delicata quanto quella di quelle lucciole sotto gli alberi. Aspettava e aspettava il ritorno di Renox... e assai tanto tempo era passato a impressione del suo cuore spaventato, e la sua speranza vacillava mentre si sentiva abbandonato a se stesso nella notte selvaggia e malvagia.
L'oscurità si era impadronita del mondo, eccetto di quella luce sotto il suo sguardo perso. Nulla più avrebbe potuto in quel mondo senza nessun altro, e non gli sarebbe rimasto molto da solo. Ma, innanzi a sé, sulla distante estremità opposta, apparve sul limitare del chiarore un uomo. Era suo padre, e si vennero in contro.
L'uno dinanzi all'altro restarono per qualche attimo, e il piccolo negli occhi dell'uomo trovò risposta alla domanda che non aveva ancora espresso. Era ciò che non avrebbe voluto sentire: non era ancora finita, anzi, era peggiorato tutto. E innumerevoli altri dubbi sorsero in lui, trovando voce nel suo sguardo fisso in quello di Renox: Cosa faremo adesso? Era solo uno. E si aspettava che il padre gli desse risposta, ma non vedeva molta fiducia nemmeno in lui.
"Adesso cos'è sicuro più?", parlò. Renox si voltò in un'altra direzione, però qualcosa sembrò balenare nelle sue pupille. Un piccolo fuoco si stava aizzando sempre più?
Esso magari era solo un briciolo di buon auspicio. E ad ogni modo non sapeva cosa rispondere di preciso a Ten, che si riferiva alla loro dimora: era pericoloso oramai restare là?
"Combatteremo?", sperava in un sì.
"Sì."
"Come faremo...?"
"Sono numerosi e sembrano perlustrare questa terra in tanti piccoli drappelli non troppo distanti l'uno dall'altro. Perciò se li rincontreremo, non dovremo mai essere avventati nello scagliarci contro di loro, poiché potremmo in questo modo venire colpiti alle spalle a nostra volta da un altro gruppo vicino, di cui potremmo non sentirne nemmeno i passi." parlava a voce molto bassa. "Ma non ci resta altro che scoprire dove sono soliti muoversi e sfruttare qualsiasi cosa che possa tenerci nascosti per tenderli un'imboscata."
"Io li sento così vicino a noi, alle nostre spalle, persino nascosti sotto i nostri occhi." non tanta era la fiducia di cui Ten poteva sentirsi forte, però non si abbatteva.
"Non vivere con questo timore. Prenderemo la situazione in mano."
"Combatterò. Lo farò senz'altro. Ma è come se tutti i nostri peggiori timori si stessero avverando, mai avrei potuto immaginare giorni tanto difficili."
"Passeranno presto..."
"Passeremo qui la notte?", chiese dopo un po'. "Nel freddo e nel buio e sulle pietre..."
"No, figliolo. Ora torneremo a casa. Non siamo troppo lontani." iniziò a muovere i passi.
"Non mi sento più di chiamare quel posto casa. Non è più la nostra casa. E potrebbe trasformarsi in una trappola in un momento qualsiasi. Dobbiamo essere preparati all'eventualità di dover fuggire."
"Sì, io lo sono. Lo sono da molti anni. Ma è ancora la nostra dimora, così come quest'intero territorio. Ed è nostro dovere eliminare gli intrusi che vi si insinuano!"
"Farò di tutto pur di riuscirvi. Ma adesso voglio solo sapere cosa è successo di preciso..." Fianco a fianco si addentrarono nello spettrale anello d'alberi costeggiando in salita il fiume che si assottigliava.
"Ti racconterò tutto domani."
"Ti hanno visto? Hanno messo mano sulle nostre cose?" a questo avrebbe trovato risposta appena giunto a casa.
"Sì. Sì e sì!"
"Ti hanno fatto del male...?".
"Se così fosse, ora non sarei qui." rispose con maggior compostezza. Ten però si rattristò e abbassò lo sguardo assonnato sulle gelide acque increspate che scorrevano con un lento fruscio.
"Cosa ci rimane...? Hanno preso tutto tutto...?"
"Non proprio. Poi tranquillizzati, perché rimedieremo presto."
Erano rimasti in silenzio per diversi passi sotto il barlume della luna costeggiata da nere nuvole che strisciavano nel cielo, fin quando non si accorsero di una luce distante, simile a un piccolo lume di riferimento in una gola di oscurità, ma vagamente verde.
Cominciarono a seguirla senza sapere cosa aspettarsi, e avvicinandosi scoprirono che essa era assai più grande e splendente di quanto sembrasse da lontano: a emanarla si rivelarono essere innumerevoli grandi lucciole che come una veste luminosa avvolgevano un albero ricurvo.
Ed esse si levavano simili alle scintille di un verde fuoco senza fiamma che viene soffiato, danzando nell'aria e perdendosi nel buio.
I due vi passarono a fianco provando una calda e inaspettata emozione ammirando. Era la prima volta che vedevano questo fenomeno.
Ma ben presto quel barlume si perse alle loro spalle.
"Mai abbiamo visto questo mondo di notte. Credevamo che ci avremmo trovato solo buio."
"Tuttavia non è la prima volta che scopriamo qualcosa di nuovo, e non sarà l'ultima. Non potremo mai pretendere di conoscere a fondo qualcosa di così vasto, selvaggio e vario. E ostile."
"Ostile solo per noi uomini e Votan. Questa natura è il risultato di una fusione tra mondi, e in essa ogni strana creatura trova il suo spazio per vivere. Ma per noi non è lo stesso e siamo costretti a costruire l'essenziale per sopravvivere e pareggiare le nostre debolezze. Tuttavia, talvolta, il pericolo più nascosto si rivelano essere gli stessi umani quando da questa realtà vengono spinti a rubare. Perciò voglio che tu impari a evitare gli estranei. Sono loro che talvolta non ci fanno sentire veramente al sicuro. Sono loro che ci hanno privato di ciò che ci serviva per sopravvivere, portandosi via tutto."
Casa era alle porte, ma le vie che ogni giorno attraversavano assumevano un volto avverso ed estraneo nella notte. Il passo pieno di inquietudine si alleggerì solo percorrendo la famigliare radura, schiarita dalla luna piena che d'inverno era sempre più luminosa e bella, ma successivamente scomparvero nuovamente nelle profondità della selva.
E lì successe che la loro strada si incrociò con quella di un'altra persona: fermarono il passo non appena vi incrociarono lo sguardo, tenendosi distanti. Renox guardando quegli occhi distinse solo tanta paura, ma anche prontezza. Tuttavia sapeva che costui non voleva altro che continuare per la sua strada, e non aveva né ragione né desiderio di impedirglielo. Questi li sarebbe dovuto soltanto restare alla larga e andare via e nulla di male gli avrebbe fatto.
L'umano e il Votan si allontanarono assai svelti e rallentarono solo dopo un certo tempo per non perdersi.
Ma uno scricchiolio squarciò il silenzio: chi l'aveva causato era appena caduto dal cavo sospeso su cui camminava.
Renox svoltò a sinistra tenendo la mano sulla schiena del piccolo ed entrambi sfuggirono da un certo sguardo nascosto e si annidarono a loro volta tra le ombre. Chi li seguiva non si tirò indietro, ma dopo esser avanzato di pochi piccoli passi, fu una morsa al cuore e un silenzioso terrore quando non li vide più, e questi ragionò sulla gravità del suo passo falso che non aveva ben pensato: per colpa di esso si erano accorti della sua presenza, ciò si domandò privato di quel coraggio che l'aveva fin'ora mosso.
Posò con delicatezza qualche passo indietro scrutando attraverso la fitta trama tessuta dagli alberi, insicuro di voltare le spalle. Qualcosa a sua insaputa poteva strisciare come un verme tra quelle tenebre. Poi si voltò, affrettandosi a tornare indietro con un cuore pesante di ansia. Ma il suo cuore mancò l'ennesimo battito quando un fantasma dalle fattezze di un uomo dall'ignoto si avventò su di lui, buttandolo, e iniziò a dibattere braccia e gambe a terra come stesse bruciando. Ma il braccio stretto intorno al collo non gli permetteva di gridare. I suoi occhi rimasero aperti tutto il tempo. Renox sentì la vita che abbandonava il suo corpo, tuttavia il suo volto era di ghiaccio e non guardò nemmeno il corpo disteso e inerme dell'uomo quando si rialzò. Bensì guardò Ten, sempre più esausto.
"Andiamo, non manca molto." protese la mano verso di lui, ma egli sussurrò con voce appesantita da tanti turbamenti:
"Temo nel lasciare lì quel cadavere." L'umano si rese conto che aveva ragione e, sospirando, nascose con scrupolosità il corpo tra i cespugli.
La porta, come i cassetti, era rimasta aperta e dentro c'era il gelo come fuori, l'umidità dell'inverno impregnava le logore pareti; i due salirono su, ove non vi era rimasto nulla per coprirsi.
Dormirono abbracciati. Ten riuscì a prendere un po' di sonno con quel poco di calore che trovava tra quelle braccia, ma l'umano no. Fu una lunga notte.
***
Il pallido tramonto strisciava sugli impervi muri di roccia e sui capannoni che si reggevano l'uno sull'altro, interrotto solo dalle ombre delle sporgenze che si tagliavano cupe e minacciose.
Con testa alta e sguardo vagheggiante, pieno di pensieri e fardelli, e con le mani sul bordo del tavolo, parlava Rick, un vecchio generale. Questi, nei giorni più bui del genere umano, aveva protetto molta gente insieme ai vecchi generali che ora aveva intorno, conducendole in un lungo viaggio fin lì, in quel vasto burrone, ove costruirono quella società che durava oramai da qualche anno.
"Non abbiamo mai esplorato così a fondo il sud prima d'ora. E solo adesso stiamo scoprendo quanto veramente sia ricco di risorse..."
"Stiamo andando troppo oltre. Ne sono già morti troppi. Fermiamoci finché siamo in tempo! Ne abbiamo perso un altro ancora ieri notte e non sappiamo chi o cosa sia l'artefice di tanta morte!" lo interruppe un anziano generale dalla voce altrettanto anziana e aspra.
"Guarda dove dovremo spingerci fra poco. Guarda." indicò il nord dal lungo squarcio della tenda, ove si intravvedevano rupi che sembravano denti fracassati e, assai distanti, si accennavano vette incappucciate di neve. "Necessitiamo di numerose provviste e non è semplice cacciare qui. Dobbiamo cercare a sud! Inoltre ieri abbiamo trovato un punto più sicuro, che useremo come avamposto per qualche giorno con l'obiettivo di racimolare il più possibile, prima che sia troppo tardi."
"Siate ben attenti a ciò che cacciate. Controllate bene! Non deve ripetersi ciò che è già successo."
All'albeggiare partì con un gruppo. Marciarono lungo una vasta terra di pietra e amorfa mentre le ultime stelle della notte si dissolvevano alla nascita di una vaga e remota luce tra le tenebrose nuvole. Passata un'ora, una vasta fenditura tra le nuvole si creò lungo tutta la linea tra cielo e terra, riempiendosi di una luce simili a quella di una fiamma morente. Allora arrivarono dove, tra le rocce, vi erano piccole distese di un verde raggrinzito e secco. Poi, risalendo il pendio, si fermarono ad ammirare la selva interminabile innanzi a loro. Consumarono un fugace pasto prima di ripartire.
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