battuta di caccia
Anni dopo...
Il viso di Renox era inespressivo. In esso non vi era alcun sentimento, ed era simile ad una grezza pietra, a un pezzo privo di forma del tappeto di macerie sotto i suoi piedi quasi scalzi. Le sue narici si riempivano di cenere dal nauseante sapore. Contornati da piaghe, i suoi occhi castani incastonati in un viso sciupato e pieno di cicatrici, erano assenti, e sembravano vetri infranti.
Il male che quell'uomo aveva subito col trascorrere degli anni, purtroppo, aveva distrutto il suo sguardo, che era ora irriconoscibile, totalmente differente da quello del bambino che era. Era quello di una persona che aveva dovuto subire l'insostenibile. Anche la sua pelle era testimone di ciò.
Il cielo era di un grigio profondo e triste, piangeva lentamente, ed esisteva solo il rumore della pioggia che pian piano cessava sulle resta della città e dei passi di quell'unico uomo, che indossava i brandelli della sua divisa.
Ma dopo un po' nel vuoto si iniziò a udite in lontananza un pianto; il resto era solo un silenzio gelido e sordo, era impossibile che esso potesse esistere. Ma fu abbastanza per accendere un piccolo fuoco, sommesso dalle impenetrabili tenebre, nella coscienza del vagante, le cui orecchie iniziavano a traboccare di quel suono man mano che vi si avvicinava.
Renox a quel punto era confuso, poiché credeva che non poteva essere reale... ma aveva come la sensazione che quello oramai era l'unico rumore che potesse esistere in quel mondo in cui sembrava non vi fosse più nulla di vivo. La provenienza di esso era anche chiara e distinta.
Dopo altri pochi passi, Renox con le sue braccia scoprì dalle macerie la fonte del pianto: era un bambino avvolto in un manto di polvere e che appena riusciva a respirare da sotto le macerie. Come avesse fatto il suo pianto ad andare oltre e così forte attraverso le macerie, o le sue ossicine a non frantumarsi? Era un bambino Votan.
Renox si accorse di questo quando quella creatura aprì gli occhioni sferici e profondi contornati da sangue. E oltre a ciò, l'umano, il soldato, poté vedere la sua stessa immagine in uno specchio dal quale scorrevano trasparenti lacrime: sentì il suo cuore stringersi come se venisse chiuso in un pugno, rimanendo immobile davanti al riflesso del suo viso sfigurato da profonde cicatrici. Tuttavia oltre a se stesso, soprattutto vedeva l'agonia di una creatura così piccola e innocente, nella sua disperata ricerca di calore. Renox provò subito a dargli ciò che cercava, abbracciandola. Tentava... ma persino lui ne era privo.
Gli Olani avevano commesso il loro ultimo e vigliacco atto. La Grande Guerra finì in quei giorni, e con essa ogni cosa. Né umani né Votan conobbero più ordine.
9 anni dopo...
Nel Bosco degli Alberi Giganti, dove Renox e suo figlio Votan, il neonato che aveva salvato durante la Guerra, di nome Ten, avevano costruito un'umile e discreta dimora, stava subentrando in modo a dir poco frettoloso e anche un po' increscioso per entrambi, l'inverno. Tuttavia era ancora presto per sentire freddo anche se era il tempo giusto per iniziare a organizzarsi per il suo arrivo.
Dove vivevano oramai da anni, le estati si erano rivelate immancabilmente calme e calde, mentre gli inverni rigidi e lunghi. Però il caldo adesso persisteva ancora, perciò Ten si era inoltrato nel Bosco verso il suo punto preferito, ove passava una buona parte delle giornate quando non c'era da coltivare e lavorare, ovvero la sua postazione da disegno, situata sul dorso di un'altura ove aveva vista libera sino alle catene montuose che racchiudevano il territorio. Ogni volta che andava lì d'estate e il sole toccava i picchi più alti, e anche quando, come adesso, non era ancora finita la calda stagione e il freddo si faceva aspettare, si riparava tra le ombre degli Alberi Giganti che si ergevano solennemente tutt'intorno a lui e per miglia e miglia in qualsiasi direzione. Solo pochi raggi di sole riuscivano a filtrare nella frescura posandosi sul suo bel viso viola e sul manto d'erba selvaggia umido di rugiada.
Si divertiva a stare lì, soprattutto nelle ore del primo pomeriggio, a disegnare con la sua immancabile matita e su un foglio le Aquile Azzurre che così lontane erano piccole come piume sollevate e guidate da un delicato vento; erano originarie del pianeta Votan e alcuni esemplari furono salvati nelle Arche. Tuttavia solo poche di queste erano sopravvissute alla guerra che vi fu dopo l'arrivo della specie sulla Terra, potendo essere libere di continuare a volare ribelli e maestose in nuovi cieli.
Ten riusciva a disegnare perfettamente e pienamente i loro stormi e la potenza delle loro ali. E, inevitabilmente, ci riuscì anche quella volta. Ma il richiamo di suo padre, la sua voce plasmata da un possente torace, si propagò da lontano, e il piccolo fu costretto a doversi incamminare verso casa. Balzò quindi subito in piedi e, rapidamente, iniziò a correre verso di essa.
Casa la chiamavano... nonostante non fosse veramente tanto accogliente. Si trovava sulla riva del grande fiume che veniva da dietro i lontani pendii a ovest e attraversava la selva che loro conoscevano come il palmo della mano; quello stesso fiume affiancava Ten nella sua corsa, ed era molto forte, scorreva fluido e pieno di energia, esattamente come lui. Quindi, possiamo dire che la corsa di un Votan era paragonabile allo scorrere di un fiume dalle forti correnti? Anzi, aggiungiamo anche che nemmeno i pesci spinti dalla corrente e che correvano senza ostacoli, riuscivano a mantenere il passo con il Votan che correva con l'aggiunta di ostacoli. Questi intralci sulla via erano le immense radici serpeggianti degli Alberi Giganti emerse dal terreno. E saltandovi sopra, il piccolo correva a perdi fiato per arrivare in prima possibile, sull'attenti, da Renox.
In un anello di imponenti alberi, celata dalla ricca vegetazione e qua e là affiancata da incolte distese di inusuali fiori dai colori insoliti, nell'ombra vi era la loro dimora. Ma non era una grande dimora, o solida, giovane, bella... era bensì piccola, fatiscente, memore di quei tempi che furono e tenebrosa. Aveva assistito alle innumerevoli trasformazioni della fauna selvatica, al diffondersi di quelle bizzarre creature provenienti dalle stelle, oramai forse morte, e all'abbandono e alla caduta di tutto ciò che apparteneva al vecchio mondo. Essa oramai era una delle pochissime cose che si reggevano ancora in piedi, consumata dalla vegetazione e dal tempo: si deve tutto al duro e folle lavoro di un uomo che alla fine del suo lungo viaggio alla ricerca di un rifugio si era imbattuto soltanto in quel tetto insicuro e in quei muri logori, e che aveva deciso di fare in modo di renderli forti. E qua e là ora, all'interno, erano presenti tronchi a mo' di pilastri e rattoppi, un tavolo che già c'era assieme a due sudici letti e qualche vecchia coperta( che talvolta lavavano nel fiume), qualche mobile corroso dal freddo, diversi piccoli oggetti polverosi e tanto buio, poiché su ogni finestra erano posti degli assi. Quell'uomo, ora come allora, poteva servirsi di ben poco oltre che alle sue mani e del suo audace ingegno.
La vecchia porta stridette aspramente, la luce del giorno si aprì un piccolo varco nell'ombra, e Ten si fermò sulla soglia. Il padre gli dava le spalle mentre in silenzio contava le munizioni sul tavolo. Dalle fessure, trasparenti sprazzi di luce facevano breccia nell'oscurità e si posavano sul gelido metallo dell'arma sul tavolo, sugli incerti sostegni del fragile tetto, e squarciavano quel manto d'ombra sulle spalle dell'uomo, posandosi quindi sugli orridi segni del passato che segnavano il suo corpo, quelle profonde cicatrici. Quando egli lentamente si voltò, gli stessi rivelarono infine quello sfregio sull'occhio sinistro e schiarirono la sua barba incolta.
"Molto presto arriverà il freddo. E non farti illudere da questo sole, poiché più calda è l'estate e più lungo e rigido sarà l'inverno. Ci servono provviste se vogliamo sopravvivere, e lì fuori ci sono tante mandrie di Korm. Ce li prenderemo tutti noi, prima che qualcun altro lo faccia al posto nostro". Mormorò e lanciò una balestra al proprio figlio, che l'afferrò al volo. Uscirono.
Il Votan prese a camminare con un passo veloce e pieno di energie, anche se il padre si muoveva con un passo felpato, teso come la corda di un arco, mentre sembrava annusare il territorio circostante. Lui non si lasciava sfuggire nulla, incluse le api multicolore che si mischiavano con le distese di alti fiori resi più luminosi dalla luce, oppure rinfrescati dall'ombra posata dal tetto di fogliame, e tanto meno i tanti segni sul terreno lasciati dagli animali selvatici. Neppure i più nascosti o dissolti.
Vi erano tanti generi di impronte e la loro dimensione non era di certo l'unico fattore da cui Renox poteva capire a quale specie di gustoso animale selvatico potessero appartenere. Ma non trovava tracce di Korm.
"Papà, guarda!", Ten d'un tratto si chinò proprio su una grossa impronta sul morbido terreno tra due schiere di cespugli. Renox si avvicinò, le orme venivano schiarite ai suoi occhi da un piccolo affresco di luce che toccava solo quel punto, lasciando tutto il resto in ombra.
Dedusse subito dal loro sapore che quelle che stava osservando e tastando erano impronte fresche. Però si accorse subito anche che non appartenevano a nessun esemplare di Korm succulento soltanto osservando la parte tracciata dagli artigli. Sul sentiero vi erano poche altre tracce, poiché solo in pochi punti la terra era morbida e non dura o rocciosa.
Seguirono il sentiero verso Ovest per poche centinaia di passi altri, successivamente lo lasciarono per voltare a sinistra e prendendo silenziosamente un'altra via, simile però a quella di prima. Ten era sempre molti passi avanti a Renox, ma mai fuori dalla sua ampia vista da predatore, a parte quando si inoltrava per i fitti cespugli e piante cedue tra gli alberi.
Dopo un bel po' di tempo, alla fine degli scorrevoli sentieri naturali, giunsero ai fiumi. Successivamente lo scorrere di quelle acque li condusse sino ad un capiente lago proprio ai piedi delle massicce alture. Le cime si rispecchiavano nell'acqua cristallina, il loro riflesso traballava sferzato dagli aliti di vento, e nascevano dalle due lontane estremità diversi torrenti che riscendevano lentamente a valle. Nelle basse profondità di quel lago poi si distinguevano dei coralli che nel giorno erano trasparenti, ma di notte tutti insieme davano l'impressione di essere una stella caduta dal cielo e immersa in quelle profondità.
Ten scavalcò con destrezza un cumulo di rocce franate dal muro di roccia; come ogni altro della sua specie, aveva la caratteristica di una muscolatura molto agile e lunga, flessibile e veloce. Così si poteva permettere anche agili e fluidi movimenti che erano molto difficili da emulare per un essere umano. E i suoi occhi, tre volte più grandi e tondi rispetto a quelli di un semplice umano, erano grandi e blu come quel lago che in essi si rispecchiava.
"Ten, sii prudente. Non allontanarti troppo". Lo richiamò il padre, che non lo perdeva mai di vista anche quando il Votan si mimetizzava quasi con i cespugli di Viola. Però, nonostante il richiamo, il piccolo continuava a muoversi con un passo che a sua impressione era lento, ma troppo veloce per un umano. "Ten! Ti ho già detto di non correre quando vai a caccia. Devi rimanere calmo, freddo, paziente... e intelligente. Non lasciarti sfuggire niente di quel che è intorno a te!". C'era da ammettere però, che il passo di un Votan era silenzio come una foglia che cade dall'albero in autunno.
"Scusa, ma non sono mai stato prima d'ora in queste zone e volevo soltanto osservare l'ambiente". La voglia di esplorare e immergersi in nuovi mozzafiato passaggi, per il Votan era un'irresistibile richiamo e desiderio. Ma d'un tratto venne afferrato per il braccio da suo padre che gli faceva segno di non fare più alcun rumore.
Il piccolo non capì subito cosa volesse dire, rimase per un attimo perplesso e con lo sguardo interrogativo rivolto a quello dell'uomo, che stava esaminando l'ambiente circostante nel tentativo di decifrare la provenienza di un certo piccolo passo, un passo impercettibile, che difatti solo lui avrebbe potuto percepire.
Dopodiché, in silenzio, si diressero verso quel punto all'interno del bosco. Allorché, ai solenni piedi degli alberi altissimi e avvolti da un verde manto, sotto quel sottile raggio di luce che filtrava dalle fronde, li si parò dinanzi un'ignara creatura dal fisico robusto, dalle zampe possenti, e iniziarono a osservare la contrazione del mastodontico torace ad ogni respiro e le sue grandi e orgogliose corna ricurve. Un'esemplare perfetto in ogni suo lineamento di Korm adulto e capobranco.
Dietro a un grosso masso a poche decine di metri di distanza si nascosero i due cacciatori. E quella era un'immagine forte e colma di maestosità, tant'è che li lasciò entrambi per un attimo senza fiato. Ma sapevano che l'occasione stava scampando.
Renox avvolse la sua grossa mano intorno a quelle, più piccole della metà, di suo figlio, portandole sulla balestra, l'unica arma silenziosa. Ma quest'ultimo era ancora imbambolato.
"Trattieni il fiato e fai in modo che tutto intorno a te si fermi per un attimo. Rimani saldo e dalla posizione perfetta. La tua mano deve essere ferma, non deve assolutamente tremare", Renox guardava sorridente nonostante l'ansia che la preda potesse fuggire il viso di Ten di profilo, la sua sottile smorfia di immensa ammirazione.
Il piccolo in verità era anche tanto spaventato, pensava che se avesse mancato il bersaglio sarebbe stato punito. Ma riuscì a focalizzarsi solo sulle braccia del padre, così ferme e salde, che lo guidavano con una sorta di fredda tenerezza e pazienza, che correggevano e curavano la sua postura, e si tranquillizzò, respirò profondamente, cominciò a trattenere il respiro. Il suo sguardo mutò, divenne rapidamente più sicuro di sé, deciso e minaccioso. Ma ancora non riusciva a premere... a fare una piccola pressione con l'indice...
Sapeva cosa doveva fare, e sapeva che non doveva deludere suo padre... e grazie al suo aiuto infine riuscì.
Si udì l'acuto mormorio della freccia che parte, poi l'animale trafitto all'addome cadere al suolo con un grande tonfo e il battito d'ali degli uccelli che si levarono in volo dalle chiome.
"Andiamo a prenderlo", sussurrò Renox all'orecchio di suo figlio che rimase scioccato dal suo stesso atto, anche se dentro di sé era praticamente entusiasta. Raramente prendevano un Korm. E l'entusiasmo prevalse e si lanciò verso il corpo, ormai disteso a terra, che esalava i suoi ultimi e forzati respiri. Ma fece un grosso sbaglio.
"Ten!", richiamò Renox, arrestando subito la corsa del figlio verso l'animale.
Ten non si accorse di aver lasciato cadere a terra la sua arma, e questo fece imbestialire l'uomo.
"Mai staccarsi dalla propria arma. Mai!", sgridò, e poi continuò dicendogli:
"Finisci ciò che hai iniziato". Mentre lo disse, presentò a lui l'impugnatura della lama.
Insieme si inginocchiarono sulla loro preda in fin di vita.
Ten non ce la faceva. Era come se quegli occhi pieni di sofferenza della povera bestia gli avessero levato la forza, e non riusciva ad affondare il coltello nel collo del Korm in fin di vita. Ma fu il padre ad aiutarlo, stringendo ancora una volta le mani intorno alle sue. Il coltello scese lentamente. Infine, una volta che tutto era finito, il Votan rimase a testa china e in ginocchio su quella meraviglia defunta. Gli occhioni di quest'ultima si chiusero mentre le mani del cacciatore ancora si posavano sul suo petto, percependo il vuoto che oramai vi era all'interno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top