IL GEMELLO

Il valore di una vita è una difficile concezione da percepire.

In fondo, cos'è poi, una vita?

Nascere, vivere, morire, è ciò su cui gira il mondo: un lungo circolo vizioso.

Con quale facilità si nasce, e con che difficoltà si vive? Cosa possiamo definire una vita vissuta? Una nascita meritata?

Bastano pochi secondi per nascere. Dolore, sangue, sforzo fisico, e poi il cuore comincia a battere. Primo respiro, fuoco nei polmoni e improvvisamente non sai cosa ti sta accadendo, senti solo il bisogno necessario di piangere, perché sai che è la cosa giusta da fare. Dentro di te sbocciano come fiori le prime emozioni: affetto, paura, fame, freddo. Incertezza. Ignoranza. Impotenza. Desiderio e insoddisfazione.

Nello stesso arco di tempo, puoi morire. Difficoltà, stanchezza, sai che sta per succedere, il tuo sesto senso ti avverte di un qualcosa di imminente. Ti sei preparato psicologicamente da un paio di anni, perché sapevi che sarebbe successo, tuttavia una paura ceca ti attanaglia, e gli ultimi dubbi allagano la tua mente: avrò vissuto appieno la mia vita? Ho scordato di compiere qualcosa di importante? Merito di esalare l'ultimo respiro, o devo ancora concludere qualcosa?

Non puoi permetterti di essere infelice della tua vita, perchè l'incompetenza ti suggerisce che ne avrai soltanto una e che per questo devi osare e porti oltre i tuoi limiti per poter essere felici.

Ciononostante, non puoi permetterti di essere troppo felice. In fondo, se tutti potessero raggiungere il culmine della propria felicità, non ci sarebbe merito, né valore in ciò che compi.

Bisognerebbe imparare ad accontentarsi. Per via di uno strano scherzo del destino sei nato, ma nessuno ti dirà il motivo. Non c'è sempre una spiegazione a ciò che accade, quindi converrebbe raggiungerla coi propri mezzi, per evitare che la propria esistenza raggiunga il confine limite dell'inutilità.

Trova il tuo scopo, inseguilo, perseguilo. Sii felice, sii triste, accontentati. Non eccedere, non sottovalutare, non sopravvalutarti.

Sii perfetto.

Il viaggio lungo il mio Studio è silenzioso, come d'altronde tutta la mattinata. Non ho aperto bocca, né con Harry né con Shannona. Non devo dire nulla, non devono comunicarmi nulla.

Arrivare alla mia postazione è come un balsamo per il mio essere. Sento di aver raggiunto il luogo massimo di appagamento dei sensi, e l'unico bisogno che percepisco di dover affamare è la voglia di creare. Il progetto Copernico è sul tavolo dove l'ho lasciato, è tutto dov'era prima. Tranne un piccolo particolare.

Una tela è poggiata sullo sgabello, coperta da un panno bianco di lino.

Dentro di me sorge l'irrequietezza, e una piccola parte di me è elettrizzata all'idea di scoprire cos'è. Con un leggero tremore della mano, lentamente, sollevo il velo, lì impalata e incuriosita da ciò che mi aspetta.

La tela è completamente bianca. La delusione muta il mio viso in una smorfia infelice, ma prima che possa allontanarmi nel centro della tela appare un punto rosso.

Con le braccia rasenti i fianchi, osservo con la bocca leggermente schiusa l'evolversi di quell'assurda magia. Il punto rosso muta in un cane. Corre, compie giri sulla tela, lasciando il nulla al suo passaggio. Rimango incantata; è come se una mano invisibile tracciasse pennellate e le cancellasse subito dopo, illustrando un'azione.

Riesco a percepire la forza della pennellata, la tela si inarca leggermente ogniqualvolta la figura dipinta del cane compie un movimento, come se un'altra pennellata ne scalfisse la superficie.

Il cane corre, spicca un balzo, ed è maestoso, bello, possente.

Sembra il mio Copernico.

Si muove come se fosse nato per farlo, compiendo giravolte, correndo, levitando in un bianco assoluto di tela. Un cane rosso acrilico, che corre su tessuto indisturbato, inanimato eppure in vita.

È così bello, è...

Morto.

In una veloce mossa, il cane cade a terra privo di vita. Poi, percepisco nella mia mente un ticchettio, e prima ancora che io possa reagire, il cane esplode.

Il colore diventa una chiazza, imbrattando la tela. Il rosso si espande, si slancia mosso dall'inerzia dell'esplosione. Raggiunge il mio viso, mi sporco di colore rosso che è anche sangue.

Le macchie mi bruciano la pelle, e sento il respiro mozzarsi. Le lacrime scendono di botto, inaspettate, e in parte mi puliscono da quella schifezza. Mi tremano le labbra e sento gli occhi pesanti e gonfi, e singhiozzo forte accasciandomi a terra, in mente impressa indelebile l'immagine del cane che esplode, del rosso che si sparge sulla tela.

Cosa può rappresentare questo? I collegamenti del mio subconscio mi suggeriscono l'esplosione che uccise i miei genitori, e quel pensiero non fa che accentuare il pesante magone che sento nel petto. singhiozzo più forte e mi guardo intorno, aspettando di vedere qualcuno accorrere in mio soccorso.

Damienne mi da le spalle. Gli uomini in tenuta militare fissano punti imprecisati, evitano il mio sguardo.

Ky invece mi osserva con cupo cipiglio. È accovacciato sul suo sgabello, le gambe incrociate e la schiena ingobbita. Un ciuffo biondo gli copre l'occhio destro, mentre il sinistro è puntato su di me. Per un istante mi perdo in quell'abisso di nero indelebile, poi vedo spuntargli un mezzo sorriso sul viso.

Mi asciugo le guance bagnate di lacrime, percependo il colore rosso spalmarsi sul mio viso, e a poco a poco la mia mente elabora.

- Sei stato tu – sussurro, in tono talmente basso che a stento io mi sento. Eppure Ky mi guarda come soddisfatto, e in uno scatto fulmineo si volta verso la tela sul cavalletto e lancia con le dita del colore, che raggiunge il supporto con violenza. Dapprima schizzi rossi, questi mutano velocemente formando una parola che mi causa brividi. Semplicemente il mio nome, scritto di rosso, su una tela completamente bianca, e lo sguardo indecifrabile, tagliente e oscuro di quel ragazzo.

Mi rialzo a fatica, e mi siedo sullo sgabello, spostando la tela a terra, lontana dalla mia visuale. Mi fa male il petto, e sento gli occhi bruciare, ma sostengo lo stesso il suo sguardo, finché la disperazione mi fa chiudere le palpebre per piangere altre lacrime.

Singhiozzo in silenzio, trattengo il respiro. Mi mordo il labbro sperando che il dolore diminuisca, ma il senso di colpa e la paura mi divorano lentamente, a piccoli morsi, per godersi meglio il pasto.

Quando sento di aver concluso le lacrime, apro gli occhi e abbasso lo sguardo sul mio lavoro. La mia Tavolozza è pur sempre in ordine, e i prototipi del motore a reazione di Copernico giacciono sul tavolo, ricoperti da un leggero strato di polvere. Sembrano così leggiadri e immacolati, ma quando il progetto sarà finito, avranno la potenza necessaria per uccidere.

Sento lo sguardo di Ky ancora fisso su di me, ma non mi scompongo. Infilo i guanti da lavoro e continuo il mio lavoro, cercando nel cassetto della schiuma e del filo di ferro, per cominciare.

Mi alzo, posiziono sulla base il filo di ferro e comincio ad assemblare lo scheletro.

Quattro zampe, un corpo, una coda, un collo e una testa. La schiuma si solidifica a contatto col CO2, così compio movimenti veloci eppure precisi per evitare errori: strato su strato di schiuma solida, attaccata a un filo di ferro, finché non mi ritrovo un cane di plastica dalle dimensioni di un orso. Pur non avendo dettagli, mi sembra già bellissimo.

Afferro le lastre di metallo resistente dal mobile sotto la Tavolozza e le metto in pila di fianco a me. Precedentemente selezionate e modificate chimicamente, con un valore di mach preciso e resistenza agli agenti atmosferici da non sottovalutare, le tratto come fossero fiori: con garbo e accorgimento. Ne prendo una, fissandola tra la groppa e la punta della natica. Poi impugno il martello, e comincio ad incidere, lasciando che il metallo acquisisca la forma della schiuma sottostante. I colpi sono rumorosi e assordanti ma invece di infastidire mi rilassano: è come se annullassero tutto il resto, creando una cupola di silenzio e martellate attorno a me, isolandomi dal mondo e racchiudendomi in un posto in cui mi sento sicura. Il metallo si scalfisce e si scheggia, ma si piega e si modella. Afferro il saldatore ossiacetilenico e sparo la fiamma ossidrica a bassa temperatura per riscaldare il metallo, di modo da modellarlo con più facilità. La superficie più esterna del metallo fonde leggermente, e la sua visione mi affascina. Spengo la fiamma e rimango ad osservare il metallo, come richiamata da una forza ancestrale. Tolgo il guanto da protezione dalla mano destra, e senza rispondere alle mie azioni, avvicino i polpastrelli verso il metallo fuso. L'impatto non è come mi aspettavo, seppur devo ammettere che non mi aspettavo alcun impatto.

Il metallo si ritira al mio tocco, si muove, si sposta senza esser mai entrato in contatto con me.

Spalanco gli occhi, mentre dentro di me cresce uno strano sentimento: sento la forza montare, accentuata da una percezione di improvvisa potenza, appagamento, adrenalina.

Apro la mano e poi la chiudo a pugno, e la lastra si accartoccia come fosse un foglio di carta. È come se la stessi comandando da lontano, con la mente. affascinata e spaventata dalle mie stesse capacità, muovo la lastra, la stendo e la faccio levitare.

Mi esce una risata soffiata, e poi il respiro si mozza. Cosa sono capace di fare? Come posso riuscire a farlo?

La paura mi attanaglia lo stomaco, sento come le viscere accartocciarsi su se stesse, e l'incompetenza mi accompagna come per burlarsi di me. Come faccio, e come farò? Come posso?

Sono uno scherzo della natura?

Sono sbagliata?

È normale ciò che faccio? È giusto? Loro lo vogliono, lo ritengono corretto?

Mi accascio a terra, e con me cade anche la lastra di metallo con un rumore sordo. Porto le ginocchia al petto e le mani fra i capelli a tenermi la testa, e mi dondolo leggermente, mentre altre lacrime calde mi solcano il viso.

- No Winger – singhiozzo e sussurro tra me e me – l'hai fatta. Sono sbagliata, lo sono sempre stata. Non mi vorranno più, mi butteranno fuori... Loro non ti vogliono così. Perché? Perché lo hai fatto Winger? Sei stupida Winger, sei inutile. – singhiozzo forte ma non me ne curo. Chiudo gli occhi e cerco di destabilizzare il respiro, ma la paura e il senso di colpa mi tartassano, sono la loro preda preferita.

- Winger – una voce maschile mi raggiunge. Decisamente forte e determinata, supera le mie ovazioni e raggiunge il mio apparato acustico. Alzo lo sguardo per incontrare il generale Thamlan, che mi osserva dall'alto al basso.

- Mi vieni a prendere perché sono sbagliata? – Dico solo, la voce roca e rotta dal pianto.

- No – il generale Thamlan si piega e mi prende in braccio; mi fa poggiare il viso sulla sua spalla e si incammina verso l'uscita della Stanza dei Giochi. Accolgo la morte con determinata rassegnazione, lacrime sul viso e muco che mi impiastriccia.

Usciamo dalla Stanza dei Giochi e ci inoltriamo in un dedalo di corridoi, e mi sembra quasi di vivere un deja-vù. Chiudo gli occhi e mi godo quel contatto: il generale Thamlan sembra volermi bene come una volta faceva mio padre. Il pensiero di non essere sola, di averlo dalla mia parte e di avere il suo affetto mi fa inumidire gli occhi e sento il cuore stringersi in una morsa di commozione, anche se una parte di me si rifiuta di considerarmi idonea, perché non me lo merito.

Con sorpresa, mi ritrovo nella camera dove mi hanno portata la prima volta che sono arrivata qui, circa più di una settimana fa. È tutto come quella volta, tranne che adesso, gli specchi sulle pareti non sono più specchi ma rivelano delle camere adiacenti, attrezzate di computer e strumenti chimici.

Il dottor Erland è seduto su una sedia da ufficio, con cinque ruote per piedi, e si dondola leggermente avanti e indietro. il generale Thamlan mi fa mettere sul lettino, e una volta che il suo contatto è definitivamente cessato mi sento subito vuota, tant'è che mi raccolgo le ginocchia al petto e mi abbraccio a mo' di protezione.

- Ciao Winger – il Dottore mi sorride come compiaciuto, e dentro di me si fa strada l'idea rassicurante che forse non mi uccideranno. - Come sta andando il tuo soggiorno qui?

- Bene – la mia voce è gracchiante, e me la schiarisco velocemente.

- È successo qualcosa di strano oggi Winger? Qualcosa... che vorresti dirmi?

Probabilmente vuole darmi un'opportunità, vuole aiutarmi a risolvere il problema. Rassicurata, scoppio in un pianto quasi liberatorio, e tra i singhiozzi incastro qualche parola: - Oggi ho fatto una cosa così strana... non so se è giusto che io lo faccia, non so se lo devo fare... ma io giuro che non l'ho fatto apposta! Se mi dice che non devo le giuro che non lo farò più ma vi prego non punitemi... non voglio... ho paura...

- Winger – mi richiama all'ordine – ti prego, calmati. Sei stata brava oggi.

Le lacrime cessano, e dell'incertezza s'instaura in me. – Davvero?

- Ma certo – il Dottor Erland annuisce sereno, - vedi Winger, tutti i ragazzi che sono qui sanno fare delle cose strane e particolari. Sono detti Doni. Il tuo Dono, sai qual è?

Nego con la testa, incuriosita.

- Sai plasmare a tuo piacimento il metallo. Dentro di te scorre la velocità e la chimica in sé, Winger. Sei unica nel tuo genere, speciale e... – Si guarda intorno come a voler accertarsi di non essere sentito, poi si copre la bocca con una mano e sussurra – sei la mia preferita.

Lo stupore mi fa quasi piangere dalla gioia, ma mi trattengo: voglio sentire tutto. Voglio sentire che tutti i miei sforzi non sono stati vani, voglio sentirmi dire di essere perfetta.

- E sai perché Winger? – Continua il Dottore. Scuoto la testa, ansiosa di sentire il resto. – Sei il Terminal perfetto. Devi solo imparare alcune cose, poi con il giusto allenamento sarai perfetta.

- Terminal? – Domando. Ricordo che una volta Shannona aveva citato questo termine, ma l'anello meccanico alla caviglia le aveva trasmesso una scarica elettrica costringendola al silenzio.

- I Terminal sono ragazzi speciali come te. Pieni di qualità, ognuno con un Dono diverso. Siete limitati nel mondo, e siete tutti i prototipi di un essere umano perfetto. In questi giorni state specializzandovi nella vostra Dote, e un giorno sarete in grado di utilizzarla in qualunque situazione – dicendo questa frase, gli occhi del Dottore sembrano brillare come di desiderio.

- Perché? Perché adesso?

- I Terminal raggiungono la fase del Dono solo una volta che si sono sviluppati. Ti sono arrivate le mestruazioni, Winger? Il ciclo?

Sento le guance arrossarsi di quello che credo sia imbarazzo, e annuisco abbassando lo sguardo a terra.

- Appunto. – Il Dottore mi lancia uno sguardo di complicità. - Nella fase dello sviluppo si diventa migliori. Fino a quando non eri sviluppata, non eri ancora "buona", ma adesso hai tutti i requisiti. – Annuisce e sorride, e mi sembra quasi di sentire dentro di me la consapevolezza del fatto che sarò una delle più brave.

- Hai altre domande, Winger?

Scuoto la testa soddisfatta. Liberata dal peso della paura di essere sbagliata e con la nuova certezza di essere sulla strada giusta per essere perfetta, niente più potrebbe scalfire quello che credo sia il primo buon umore da tre anni a questa parte.

- Thamlan, portala pure in mensa. Dopo la aspetta una bella sorpresa.

Il generale mi guarda e mi sorride, poi mi riprende in braccio con garbo e ci dirigiamo verso la porta.

- Ciao Winger – mi saluta il Dottore.

Oltre la spalla del generale, lo scruto coi miei occhi e lo saluto con la mano.

Quando arrivo in mensa, Shannona non mi guarda. Osserva il generale con disinteresse, infine con diretto trasporto. Lui mi deposita sulla sedia, si raddrizza facendo scrocchiare la schiena e sorride, mentre degli inservienti ci servono il pranzo. – Ciao Shannona.

- Dov'eravate? – Domanda scorbutica lei, scrutandoci. Una ciocca bionda le solca il viso, e alcuni capelli sono appiccicati alle sue labbra umide, ma lei non se ne cura.

- Colloquio privato col Dottore. – Il generale mi poggia una mano sulla spalla e mi fa una carezza, e mi sento così bene che potrei ridere di gioia.

- Stai bene? – Shannona mi rivolge il suo sguardo, ma non si sofferma molto: una volta che ho annuito sposta subito lo sguardo sul generale.

- Cazzo succede? Sono tutti in fibrillazione.

- Dopo si terrà un evento fuori dalla comune tabella di marcia. – Il generale lo annuncia con una nota di indifferenza, come se fosse tornato ad investire la carica di semplice generale.

- Tu stai bene? – Gli chiede Shannona, e la domanda mi lascia di stucco. Cosa può interessarle?

Anche il generale sembra del mio stesso avviso, e la osserva spaesato. – Sì, grazie. Tu Shannona?

- Potrei stare fottutamente meglio, cazzo.

La sua frase è seguita da un imbarazzato silenzio, poi il generale cerca il mio sguardo. – Buona giornata. Shannona, Harry. – Saluta.

Improvvisamente, mi accorgo della presenza silente di Harry, gobbo sulla sua minestra, che con imbarazzo tenta un sorriso al generale, tornando subito dopo ad osservare la superficie del liquido verdastro. Shannona annuisce, e afferra il cucchiaio cominciando a giocarci svogliatamente.

I suoi passi mi accompagnano durante il pasto: anche se se n'è andato da un pezzo, è come se fosse ancora qui con me; il suo pensiero mi ricorda la chiacchierata con il Dottore, e mi aumenta il buonumore.

Quando finiamo, ci posizioniamo in fila indiana e seguiamo la coda. Scendiamo delle scale, ci inoltriamo in un corridoio lungo, e arriviamo in una grande sala.

- Dove siamo? – Domando ad Harry , alle mie spalle. La maggior parte della sala è riempita di sedie, mentre un terzo è composto da un palcoscenico in legno, con sopra due grandi piattaforme ovali sormontate da un arco, e un tavolo con sopra un computer e una teca.

Harry è stranamente irrigidito, e sembra sotto sforzo. Aspetta che ci sediamo – in prima fila di fronte al palco – prima di rispondermi.

- Questa è l'Aula Magna. Quando qualcuno finisce il suo progetto lo illustra a tutti gli altri.

Malgrado le presenze in sala superino di netto le cento persone, aleggia un silenzio ansioso. Dalla prima fila gli oggetti sul palco sono chiaramente distinguibili, e nella teca vedo un disgustoso enorme pitone verde, avvolto su se stesso.

Shannona si siede alla mia sinistra, mentre Harry è alla mia destra. Stringe le mani a pugno, tant'è che le nocche sono completamente bianche per lo sforzo.

- Sta' calmo, merda – la voce di Shannona mi supera e lo raggiunge, ma non sembra scuotergli alcun effetto.

Inaspettatamente, tutte le luci si spengono, lasciando illuminato solo il palco. Poco dopo, sale una figura famigliare: un ragazzo alto, coi capelli ricci castani e gli occhi verdi, il viso scalfito dall'acne e occhiali dalla montatura spessa.

- Harry... – Sussurro, colta alla sprovvista.

- No – Shannona si sporge verso di me, e mi sussurra all'orecchio. – Abe, il suo gemello.

Mi volto per vedere Harry alzarsi e dirigersi sul palco, e quando i due sono vicini la somiglianza è talmente notevole da farmi paura.

Abe è identico al fratello, non c'è cosa che riesca a distinguerlo da Harry, tranne per il fatto che adesso sta aprendo la teca e si avvolge il pitone attorno al collo con sguardo sereno. Harry è cupo e molto più gobbo del gemello, e fissa Abe come chiunque potrebbe fissare uno scarafaggio morto.

Una voce metallica s'irradia dalle casse sonore sul tavolo.

- Il Progetto Lapsus è stato completato questa mattina – la voce sembra essere quella di una donna. Abe accarezza il pitone e non dice nulla, Harry si dondola sul posto, a disagio. – Prevede attraverso determinati strumenti la possibilità di duplicare una persona, creandone una copia esatta. Il soggetto si posiziona sulla Base 1, e viene attraversato da un raggio clonatore. Nell'arco di qualche minuto, sulla Base 2 verrà creato un soggetto completamente identico in forma, dimensione e composizione.

Faccio difficoltà a mantenere il filo del discorso, ma Shannona si sporge di nuovo verso di me e mi sussurra: - Harry cerca un farmaco che ti cambi il modo di essere, il suo gemello fa la cosa opposta: un raggio clonatore. Capisci?

Trattengo il respiro. Entrambe le cose sono orribili: non trovo la minima utilità nel cambiare il tuo modo di essere o nel clonare te stesso.

- Perché Harry è arrabbiato? – Sussurro.

- Harry odia Abe. Abe è pazzo.

Smettiamo di parlare perché la voce metallica ha smesso a sua volta. Sulla sala aleggia silenzio, e io stessa sono incuriosita da ciò che sta per succedere. Abe lancia uno sguardo al fratello, e gli indica con un gesto della mano la Base 1, ovvero la piattaforma sulla sinistra. Harry, controvoglia, sale sulla piattaforma, mani in tasca, impacciato. L'arco sopra di lui lo sovrasta di qualche centimetro, e se Harry si mettesse dritto probabilmente lo toccherebbe con la testa.

Abe si muove lento e serpentino, e sembra un tutt'uno col pitone che si porta appresso. È pallido, e più magro di Harry.

Raggiunge il computer e si mette ad armeggiare con il mouse. Il volto di Harry è una maschera di tristezza e rassegnazione, è chiaramente nolente.

Con un sonoro crescendo metallico, la Base 1 s'illumina di colpo, suscitando diversi "ooh". Harry adesso è illuminato da una strana luce rossa. Dai lati dell'arco appare un laser color verde che attraversa il corpo di Harry, analizzandolo.

Tutta la sala aspetta il risultato. Trattengo il respiro, e sento Shannona di fianco a me fare lo stesso.

Abe alza un attimo lo sguardo verso il suo gemello, poi schiaccia un pulsante. Diversi bip sonori si espandono dalla Base 1. Harry viene immerso completamente nel raggio verde, e la Base 2 si accende della stessa luce rossastra.

Poi, inavvertitamente, una scintilla fa esplodere una luce dalla Base 1. E poi un'altra, e un'altra ancora, e l'arco della Base 1 esplode.

- Harry! – Shannona si alza in piedi e corre verso il palco, ma viene braccata da dei militari, che accorrono sulla scena. La Base 1 è in fiamme, mentre la Base 2 scoppietta anch'essa e scaturisce diverse scintille. Il corpo di Harry è steso a terra, e lui sembra incosciente; Abe dal tavolo si è messo a parlare sottovoce con il pitone, lo sguardo immerso nel terrore, gli occhi spalancati e quasi fuori dalle orbite.

L'Aula Magna viene evacuata velocemente, e prima che qualcuno possa fare qualcosa, io e Shannona ci ritroviamo nel corridoio adiacente l'entrata alla sala.

- Cazzo è morto – mi urla Shannona sconvolta. – È morto! Lasciatemi passare! – Cerca di farsi strada dentro la sala, ma viene prontamente spinta fuori dai militari.

Non riesco a reagire, e lo stupore mi lascia afasica. Sento la bocca asciutta e la mente annebbiata.

L'agitazione invade ogni Terminal attorno a me, i militari sono calmi e cercano di ristabilire l'ordine e una fastidiosa campanella di allarme suona ininterrottamente attraverso l'impianto antincendio.

E probabilmente Harry è morto.

* * *

Abe è pazzo. Shannona aveva ragione.

Siamo nella camera dove Harry è stato messo, dopo la veloce operazione chirurgica. Si è salvato per un pelo, ma un pezzo dell'arco della Base 1 si è incastrata nella sua testa, e hanno dovuto eliminarla insieme a tutte le schegge, senza contare le bruciature sul suo viso.

Il volto è scarno, pallido e solcato da diverse cicatrici. I capelli sono completamente rasati ed è chiaramente visibile il taglio - ancora rosso per via dei punti – dove si era conficcato il pezzo del Progetto Lapsus.

Dorme, sembra morto. Respira a malapena, ma è vivo, ed è questo ciò che conta.

Shannona è seduta in angolo della camera, occhi chiusi e ginocchia al petto. Abe e il suo pitone si dondolano su una sedia in plastica, causando un rumore sordo ogni volta che il sedile sfrega contro il supporto in metallo.

- Potevi ucciderlo. – Shannona parla senza aprire gli occhi, ma è chiaro che si rivolge ad Abe. – Non hai pensato che forse avresti dovuto testarlo su di te quel cazzo di progetto, invece di far rischiare tuo fratello?

Abe la guarda pallido e sconvolto. Non parla, ma gli occhi sembrano quelli di un animale appena picchiato e abbandonato. Mi fa tenerezza, ma Shannona ha ragione. Mi siedo anch'io a terra, a gambe incrociate, e mi raccolgo i capelli ricci e disordinati in una treccia veloce.

- Sei solo un bastardo egoista – continua Shannona. Sul volto di Abe sfila lentamente una piccola lacrima, ma il ragazzo è lontano dal sembrare colpevole. È solo impaurito.

- Giallo... – Sussurra, la bocca rivolta verso il serpente, che sibila verso il suo padrone, gli occhi ridotti a due fessure.

- Ci risiamo – Shannona apre gli occhi per alzarli al cielo, poi mi guarda. – Ora lo ammazzo.

- Giallo – ripete lui più forte, poi urla: - Giallo!

È da quando siamo entrati in questa camera che ripete sempre la stessa parola.

- Giallo, giallo, giallo... – è come se tranquillizzasse il suo animale ripetendo la parola. – Giallo giallo... giallo...

- Smettila cazzo! – Shannona si alza in piedi e si slancia verso di lui. Abe si ritira, indietreggiando con la sedia e ribaltandosi a terra. Shannona lo prende per il collo, e il serpente sibila e si lancia verso Shannona, avvolgendosi attorno al suo collo. Shannona comincia a soffocare e cade a terra anche lei, il volto sempre più rosso. Abe lo guarda con gli occhi spalancati, e io urlo spaventata.

Poi, una scarica elettrica del bracciale meccanico fa scuotere di spasmi il corpo di Shannona, colpendo anche il rettile, che striscia veloce verso il suo padrone.

Shannona prende un grosso respiro ritornando a respirare, e se ne ritorna gattonando nell'angolo della camera.

Non mi accorgo di piangere finché una lacrima mi cade sulle mani raccolte sul cuore. Me le asciugo in fretta, il cuore batte ancora forte per via dello spavento.

- Cos'è successo? – Harry si tira su a sedere, guardandoci, poi diventa pallido di colpo e torna a stendersi con sonori respiri affannosi.

- Harry sta' giù – una Dottoressa entra in quell'istante nella camera, e gli misura le pulsazioni. – Va molto meglio, non trovi? L'incidente non ti ha causato nessun danno collaterale psicologico.

- Nessun danno? – Shannona si alza in piedi arrabbiata, il collo arrossato come la sua tuta. – Guardalo! È... – Indica il volto di Harry e lo guarda quasi con ribrezzo. – È tutto rovinato.

Harry sembra prendere il colpo come dolore fisico, e chiude gli occhi mentre delle lacrime gli scendono solcando le tempie e cadendo con rumore sordo sul cuscino.

Mi alzo lentamente e mi avvicino a lui, prendendogli la mano. Il suo volto è orribile, arrossato e pieno di cicatrici, ma è ancora Harry.

- In questa struttura non si tiene conto dell'aspetto fisico ma delle capacità intellettive, Shannona Drow – risponde severa la Dottoressa. I capelli sono raccolti in una cuffietta e anche la bocca è coperta dalla mascherina, così del suo viso sono visibili soltanto gli occhi castani, particolarmente grossi. Poi si rivolge al ragazzo per terra. - Abe, è il momento che tu e Pearson torniate nella vostra camera.

Abe si alza, raccoglie il pitone da sotto il letto, poi guarda impaurito la Dottoressa. – Giallo? – Sussurra con voce tremolante.

- Forza Abe, non ti verrà fatto alcun male. – La Dottoressa incrocia le braccia al petto con pazienza, mentre alle sue spalle due uomini in tenuta militare si dirigono verso il ragazzo per scortarlo nella sua camera. Uno ha in mano una gabbia per animali, l'altro una camicia di forza.

- Giallo! Giallo! – Urla guardando Shannona, che si allontana da lui con passi veloci e furtivi. – Giallo! – Mi guarda in preda al terrore, mentre un militare gli strappa dalle mani il rettile e lo ripone nella gabbia.

Abe si slancia verso il fratello prendendogli le spalle, gli occhi fuori dalle orbite. – Giallo, giallo! – Harry volta la testa dall'altra parte, disgustato, e Abe viene strappato dalla presa e gli viene infilata la camicia di forza.

- Giallo! – Urla e si dimena, mentre i due militari li portano via dalla camera; al loro passaggio la Dottoressa fa un passo indietro per lasciarli passare, seria.

Poi, ci guarda. - Anche voi dovete andare. Harry si rimetterà. Entro stasera sarà tornato nella sua camera.

Annuisco, mentre Shannona mi prende sotto braccio e ci allontaniamo lentamente.

- Ciao Harry... – Sussurro, anche se non so se lui mi ha sentita.

Torniamo in camera in silenzio. Tutti gli altri Terminal stanno già dormendo, e non so se io riuscirò a fare lo stesso. È stata una giornata così intensa, dentro di me navigano milioni di emozioni contrastanti.

Mi sento così diversa, anche se so che siamo tutti sulla stessa barca.

Shannona si stende sul letto con un tonfo, e poco dopo la sento dormire serena.

Non mi dispiace per Harry. Non che non me ne importi, ma non riesco a capire perché abbia dovuto testare il progetto di Abe al posto suo. Lo considero in parte colpevole di ciò che è successo.

E poi il fatto di Abe. È così strano, così... pazzo. Anche io sembravo pazza, quando ho ucciso i miei genitori? Avevo gli occhi fuori dalle orbite e ripetevo la stessa cosa?

Mi accascio a terra piangente, e singhiozzo in silenzio per non svegliare Shannona, e gattoni mi dirigo fuori dalla camera per non farmi sentire da nessuno. Poggio la schiena contro il muro di fianco la porta, e chiudo gli occhi lasciando che le lacrime scendano piano verso il mio pigiama.

Mi hanno detto che sono quasi perfetta, ma più mi sembra di star migliorando, più errori faccio. Ho ucciso i miei genitori. Non sto piangendo per un amico quasi morto. Piango sempre.

Sono debole, inferiore.

Singhiozzo più forte, e porto le gambe al petto, poggiando poi la fronte sulle ginocchia. Perché sono così sbagliata, perché?

Oramai solo rassegnazione si evolve in me. Non ho il coraggio di combattere ancora. Vorrei essere capace ma non lo sono, e per questo mi abbatto.

Non ce la faccio. Non ce la farò.

- Tu piangi sempre – una voce scura e tenebrosa mi raggiunge, oltre la coltre di nero profondo che c'è nel corridoio adiacente le porte delle camere. Non vedo chi mi sta parlando, a malapena vedo le mie mani di fronte a me.

- Chi sei? – sussurro. La voce è rotta dal pianto, così tossico velocemente.

- Anche quando non ti succede nulla, tu piangi – continua la voce. Maschile, cattiva.

Un'altra lacrima scende sulla mia guancia, dentro di me un pensiero sempre più costante che gli da ragione.

- Lo so – dico solo. Non so cos'altro aggiungere.

- Anche quando hai visto il mio dipinto hai pianto.

La consapevolezza mi colpisce con sudore freddo. Ho improvvisamente paura, e sento la voglia matta di tornare nella mia camera e racchiudermi sotto le coperte del mio letto.

Ky.

- Non sai nulla di questo posto vero? Credi di esserti integrata, ma non sai niente. – Parla con scioltezza, come se stesse illustrando il suo progetto. Ma le sue parole sono taglienti come coltelli.

- Il tuo letto non ha il tuo odore. L'ho annusato prima. Tu stessa non hai odore. Non sei nessuno, sei una lacrima che piange altre lacrime. Ogni giorno fai fuori circa un terzo dell'acqua che ingerisci. Perché sei qui?

- Sono pazza, credo. – Sussurro. Perché sono qui? Qui ci sono solo i pazzi.

Sento il suo corpo muoversi, e percepisco la sua vicinanza. Mi irrigidisco, quando la sua spalla sfiora la mia. La sua mano mi tocca la guancia, poi la treccia disordinata che ho fatto quando ero con Harry.

- Io credo di sì. – Dice. Mi sfiora con delicatezza, come se dovesse studiarmi.

- Ti farò un quadro, credo. Mi piace vederti piangere. – Dice.

Sussulto, sia per ciò che mi dice, sia per il fatto che adesso la sua mano mi sfiora gli occhi, asciugandomi le lacrime che continuano a scendere silenziose.

Rimaniamo in silenzio, poi un ronzio metallico si espande per il corridoio, insieme ai nostri gemiti: entrambi i nostri bracciali magnetici ci stanno dando la scossa.

Inaspettata e forte, mi fa rivoltare gli occhi e cadere a terra, mentre il mio corpo è scosso da tremiti. Mi sento bruciare, ho paura di morire. Sbatto ripetutamente la testa contro il pavimento, e dalle mie labbra esce un flebile lamento gutturale.

Quando la scossa finisce, sento Ky respirare affannosamente. Lo sento muoversi, e allontanarsi.

Nel buio più totale, torno in camera mia gattoni. Il cuore batte forte, sento la pelle bruciare e le braccia mi cedono e non mi sorreggono durante i movimenti, tant'è che sbatto più volte il mento a terra. Con grossa fatica, mi sollevo e mi infilo sotto le coperte, mentre piango silenziosa e disperata.

È come se stessi correndo. I muscoli tirano, i polmoni bruciano, gli arti tremano per lo sforzo fisico. Sono debole, agitata e confusa.

Correre mi è sempre piaciuto, e preferirei mille volte correre piuttosto che stare qui, a ricordare un pazzo che cerca di uccidere il suo gemello, o uno psicopatico che vuole farmi soffrire.

Anche se penso sia difficile far soffrire un masochista.

*L'allegato a inizio capitolo è opera della mia cara amica  AWisehart  è davvero figo ahah grazie ancora❤❤

Nel libro relativo le info dei personaggi e della saga, potete trovare quello fatto da me ^^

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