GIOCO SECONDO: NASCONDINO

È un crampo allo stomaco che mi riscuote dal sonno. Con gli occhi ancora appiccicati, cerco di capire la causa del mio malessere. Un gorgoglio si riscuote nel mio stomaco, salendomi fino alla gola e lasciandomi un fastidioso prurito nauseante.

Mi tiro su a sedere lentamente. Sopra di me c'è un soffitto bianco, sorretto da quattro pilastri grigi come i pavimenti. Fin dove il mio sguardo può cogliere, c'è un susseguirsi di arbusti e continui vegetali.

Il crampo scaturisce di nuovo dal mio stomaco, sollevando in me il pensiero del cibo. Sto morendo di fame. Mi passo una mano sul viso, scoprendo delle sporgenze e pustole anomale. Che sia infettata? Al semplice tatto, pungono e bruciano leggermente.

Poi, vedo Harry. È chino su un tavolino di plastica e traffica con delle provette.

Come un improvviso lampo nella tempesta, inaspettato e veloce, ricordo tutto. Il treno, i militari, il ragazzo fatto a pezzi dai fili invisibili, Shannona.

Mi scappa un singhiozzo, e Harry si volta verso di me di scatto.

- Ah – torna con lo sguardo al tavolino. – Ti sei svegliata, novellina.

Malgrado lo sbalordimento, le lacrime non arrivano. È così strano pensare a Shannona, morta. Mi è totalmente inconcepibile.

La mia mente si rifiuta di accettarlo.

- Hai dormito per tre giorni – riprende Harry. – Ti ho curato la ferita e ti ho lavata – mi lancia un'occhiata imbarazzata. – Tu... eri sporca di sangue e feci. - Si volta imbarazzato e io abbasso il mio sguardo, incontrando spesse bende insanguinate, avvolte quasi per metà del torace e della spalla. Solo guardandole mi rendo conto del fastidioso senso di oppressione che mi causano, e con una smorfia cerco di ignorare. – La pallottola è stata difficile da togliere, comunque ce l'ho fatta.

Non rispondo, mente incrocio le gambe sotto il sedere.

- Non sei pesante. Ti ho trascinata via velocemente dalla pianura di fronte ai binari. Comunque non siamo lontani da lì. Sai che c'è un acido cianidrico che a 300 PPM di vapore ti può uccidere in pochi minuti?

- Siamo ancora nella Cupola? – La mia voce è roca e fastidiosa all'udito, quasi nauseante.

Harry annuisce silente, mentre si allontana dal tavolino e si avvicina a me. Solo ora mi rendo conto di essere sdraiata su un materassino bianco sottile direttamente sul pavimento. Lascio posto a Harry di fianco a me, che si siede e comincia a togliermi le bende. – I pochi Terminal rimasti sono in giro, ci siamo tutti separati.

- E i militari? – Domando, mentre osservo le sue mani muoversi veloci nel disfare i nodi delle garze.

Scuote la testa. – Il secondo gioco è cominciato ieri. Tu dormivi ancora, ma non potevo abbandonarti. – Ammette con un'alzata di spalle.

Non comprendendo le sue parole, lo sprono con lo sguardo a continuare.

Harry sospira, la fronte imperlata da goccioline di sudore. – Nascondino. Dovremmo nasconderci.

- Ma dove siamo?

Harry spoglia la ferita di ogni benda, e vedo finalmente la cicatrice a forma di sole sulla mia spalla. Il sangue raggrumato circonda il buco del proiettile, ma la vista non mi suscita nausea come pensavo. - Credo che ci siano sparsi degli Studi, con delle Tavolozze approssimative e ben poco fornite. È grazie a questo che ho potuto curarti, altrimenti l'infezione ti avrebbe causato la morte.

Il suo cuoio capelluto è ricoperto da una leggera peluria, ma le cicatrici dell'incidente in Aula Magna sono ancora visibili. Con una punta d'orgoglio, guardo la mia nuova cicatrice sulla spalla: adesso sono come lui. Harry sostituisce le bende con una minuziosa delicatezza da rendergli onore, e osservo le sue dita così lunghe e magre. Sembrano zampe di ragno, o artigli.

La mia pancia torna a proclamare cibo, e con impazienza guardo Harry. Lui fa un mezzo sorriso. – Vieni.

Alzarmi è un'impresa ardua, vedo tutto girare e per un paio di secondi la vista mi è impossibilitata da centinaia di pallini neri. Poi però riacquisto equilibrio e seguo Harry, che si è già inoltrato nella vegetazione.

Terrorizzata e con lo stomaco in subbuglio, controllo con premeditata attenzione ogni albero che attraverso, in cerca dei fili invisibili.

Harry si ferma in uno spiazzo di erba verde e incolta. – Quello è un sicomoro – indica un albero alto e con foglie grandi. – Mentre quello è un nocciolo. Serviti pure.

Riconosco gli alberi che mi indica, reduce di centinaia di pomeriggi d'estate in campagna. Con un'agilità che non ricordavo di avere, mi arrampico sul sicomoro velocemente, e i miei occhi individuano subito i frutti selvatici tra la folta chioma. È come tornare a cinque o sei anni fa. Solo che ora, non ci sono i miei genitori ad aspettarmi di sotto con una cesta vuota in attesa dei fichi.

Colgo un frutto aggrappandomi per bene a un ramo ruvido. I frutti del sicomoro sono dolci ed attirano spesso insetti come calabroni e vespe. Inoltre, le foglie grandi fungono da riparo per la pioggia, e molti ragni s'insediano fra un ramo e l'altro. Non trovo nulla di tutto ciò comunque, ed è così buffo che s'insidia in me un folle pensiero di qualcuno che, al servizio di Loro, ha preso un albero e lo ha piantato qui, senza pensare a tutte le circostanti azioni direttamente proporzionate della fauna e della flora esterna.

Incido con un'unghia la buccia, per poi tirarla via e lasciare il frutto svestito del suo abito. Dalla patina bianca s'intravede la polpa violacea. Il gusto lascia a desiderare, non è ancora maturo, ma è decisamente di sollievo. Ne colgo due o tre e li lancio ad Harry, che mi guarda dal basso. I frutti cadono a terra e lui li raccoglie, sbucciandoli e mangiandoseli.

È quasi divertente.

Scendo dall'albero, dopo averne mangiati un altro paio, e guardo il mio amico alto e gobbo, improvvisamente impaurita. – Nascondino? Chi fa la conta?

Harry si rabbuia e comincia a guardarsi intorno, come se si fosse appena destato da un pensiero profondo e coinvolgente. – I militari – sussurra.

Questa volta, il crampo allo stomaco è di pura e semplice nausea. Un terrore così potente da farmi battere i denti mi assale come fa dell'acqua quando raggiunge un fazzoletto.

Un conato di vomito mi costringe a terra, a quattro zampe, e compio respiri profondi. Harry si acquatta di fianco a me. – Non sono ancora arrivati qui. Stai tranquilla. Siamo rimasti allo Studio per più di ventidue ore e non ci hanno mai raggiunti.

Ma il nervosismo è palese in lui, e le sue parole non hanno l'effetto che sperava. Chiudo gli occhi e ripenso alla morte di Shannona, e al dolore provato appena una pallottola mi aveva colpita. Batto i denti così forte che per fermarmi ci incastro la lingua in mezzo.

Improvvisamente ogni rumore che sento mi sembra sospetto. Cerco di decodificare i suoni che ci circondano, rivelando presenze maligne, ma non faccio altro che amplificare l'orrore.

Harry mi prende una mano e mi scruta coi suoi occhi verdi. – Andiamo.

Annuisco e mi lascio trascinare, mentre nei meandri della mia mente ho un vago ricordo della voce del generale Thamlan e del suo avvertimento di rimanere viva.

Il mio cuore batte talmente forte che ho quasi paura di morire per i battiti troppo dolorosi. Perché il generale Thamlan non è qui a salvarci, ora? Perché ha dovuto uccidere Shannona?

Continuiamo a camminare nel silenzio surreale della foresta spettrale. È giorno, ma sopra di noi le chiome s'intrecciano in abbracci così perenni da rendere quasi impossibile vedere al di là del proprio naso. I cipressi rilasciano un dolce odore, ma la vegetazione è così vasta e incoerente che mi è difficile identificare una remota località ipotetica. Nord? Est? Non ne ho la minima idea.

Procediamo, alternando camminate silenziose a corse incasinate tra le radici e le foglie a terra. Sembra di essere in primavera, inverno, estate e autunno contemporaneamente. Per terra ci sono foglie color del tramonto, e alcuni alberi sono completamente privi di capigliature verdi, mentre altri sono in fiore e alcuni sono carichi di frutti.

Solo quando raggiungiamo un gigantesco albero di pepe mi rendo conto di essere scalza. I semini neri e rosa si appiccicano alla pianta sudata, così come le foglioline sottili e lunghe. Sollevando il piede sinistro, lo vedo sporco e con qualche graffio.

Harry mi strattona. – Finché non ci sono ferite grosse, non è grave – mormora.

Annuisco e torniamo a camminare. È noioso e al contempo ricco di adrenalina e terrore. Per alcuni tratti mi racconto buffe storielle, come il fatto di essere in un orrendo sogno e che in realtà sono nel mio letto, nella mia stanza dalle pareti rosa, e nel letto di fianco al mio Shannona sta dormendo, e tra poco suonerà la campana della sveglia e io andrò nella Stanza dei Giochi e tornerò a lavorare sul mio adorato Copernico...

Per altri tratti, invece, penso a quanto la mia vita sia stata uno spreco. Sedici anni buttati letteralmente, senza mai aver fatto qualcosa di significativo, a parte uccidere i miei genitori. Sto per morire, mi ripeto.

Per ogni albero che affrontiamo, c'è la perenne paura che sbuchi fuori un militare armato che ci spari. Ma poi non accade, e noi continuiamo la corsa.

Il silenzio è sgradevole. Non ho mai denigrato l'assenza di suono, ma questa è così densa e malata che mi porta a creare suoni da me. Ad un certo punto mi sembra addirittura di sentire qualcuno piangere.

Ma Harry no. Harry è forte, lui cerca di fare la cosa giusta e io lo ammiro per questo. Lo guardo con estremo compiacimento mentre si impegna per portarmi in salvo. Come Shannona, anche lui è bravo e merita di vivere.

- Dove andiamo? – Chiedo senza fiato, all'orlo della crisi isterica. Harry non risponde e sono quasi tentata di ripetere, quando una sua occhiata mi fa ammutolire.

- Ci conviene continuare a girare finché il gioco non si conclude. Qualche Terminal troverà la Casa e urlerà "Liberi tutti!" e noi saremo in salvo.

- E poi tutto finirà? – Gli chiedo speranzosa.

Harry non risponde alla mia domanda, e io non mi sforzo per farglielo fare. Ma dentro di me continuano a scattare campanelli di allarme per ogni rumore e ogni ombra che intravedo, e sento gli occhi fuori dalle orbite per lo sforzo di cercare pericoli. La testa mi scoppia e mi bruciano i piedi, e la spalla riprende a fare male quando Harry mi strattona nuovamente per spronarmi a continuare.

Vorrei piangere, e lamentarmi. Vorrei buttarmi a terra e fingere di essere morta. Vorrei fermarmi e urlare: sono qui! Vorrei farla finita.

Ci saremo allontanati dallo Studio di almeno una decina di chilometri. Il pensiero di trovarne un altro è un tranquillante temporaneo, non vedo l'ora di stendermi di nuovo sul materassino bianco per terra.

Harry fa cenno di fermarmi e si tocca l'orecchio, suggerendomi di ascoltare.

Mi viene quasi da ridere, ho già sentito tutti i suoni minimamente immaginabili, non credo di poter essere preda dell'ennesimo.

Ma poi pongo attenzione, e in effetti percepisco un respiro affannato.

Spalanco gli occhi e guardo Harry. Lui è cereo e si guarda velocemente intorno alla ricerca di un riparo. Siamo in uno spiazzo di cespugli di ligustri, e Harry ci si butta a capofitto, trascinandomi al suo seguito. I rami s'impigliano fra i capelli, strappandomeli, ed emetto un piccolo urlo gracile, prima di tapparmi la bocca. Harry mi ammonisce con lo sguardo mentre una foglia gli cieca un occhio.

- Fermi. – Una voce femminile ci fischia nelle orecchie, e per poco non mi metto ad urlare.

Voltandomi lentamente, scorgo fra le foglie del cespuglio dove siamo nascosti, una faccia nota. Ci metto alcuni secondi per riconoscerla, Indiana King.

La tuta rossa è strappata e sporca, il velo che portava sulla testa è sparito, sostituito da una folta capigliatura mora. La pelle ricoperta di henné e mandala è livida e graffiata, ma la sua bellezza particolare rimane immutata anche nell'ombra.

Indiana mi lancia un'occhiata ricca di significato, e torniamo a scrutare al di là del cespuglio, dove una figura alta e massiccia si aggira pericolosamente: un militare.

Il mio cuore inizia a battere all'impazzata e sudo freddo. Mi tremano convulsamente le mani, che stringo fino a far diventare bianchi i polpastrelli.

Trattengo il fiato, conscia del fatto che se mi sentisse respirare non solo condannerei me stessa, ma anche Indiana e, più importante, Harry.

Il militare procede a passi pesanti, e mi sembra quasi che ad ogni balzo il piede affondi nel terreno per lasciare una spessa impronta. Attraversa lo spiazzo cercando bersagli da colpire, e si allontana.

Anche quando la sua figura non è più distinguibile, anche quando non si percepisce più nessun tipo di rumore, rimaniamo nascosti. Non ho la forza di alzarmi e mi viene da vomitare.

Sono due braccia forti che mi sollevano dalle ascelle, scuotendomi dallo stordimento momentaneo. Indiana mi solleva con destrezza e mi scaraventa fuori dai cespugli, mentre Harry si dilegua velocemente dalle sue mani e mi si avvicina, indeciso se farmi da scudo o usarmi come tale. Mi scrollo le foglie di dosso, togliendo alcuni ramoscelli dalla tuta blu di Harry, e lui mi toglie un rametto dai capelli e mi sorride sconsolato. – Stai bene?

Annuisco, poi torno a guardare Indiana, emozionata all'idea di avere nuova compagnia attorno. Esce dal cespuglio e tira fuori altri due, che scopro essere Damienne e Pace con il suo immancabile pupazzo Abraham. Damienne mi sorride, mentre Pace – le cui occhiaie sono particolarmente accentuate – non muove un muscolo, quasi non mi avesse riconosciuto.

- Forza, è ora di andare – mormora Indiana, e il suo comando per un attimo mi riporta a Shannona. La figura di Indiana è una certezza rassicurante, non che con Harry non mi sentissi al sicuro, ma entrambi sappiamo che Indiana ci avrebbe protetti meglio di quanto avremmo saputo fare noi.

Ci muoviamo con loro, e Indiana si blocca. – Cosa fate?

Improvvisamente lasciva, faccio un passo indietro. Harry mi guarda laconico, e capisco che non lo fa impazzire l'idea di aggregarsi al trio. – Possiamo venire con voi?

Indiana ci pensa su, prima di rispondere. La sua calma apparente è snervante e al tempo stesso terapeutica, e mi fa venire voglia di cantare una ninna nanna mentre mi tiro i capelli, uno per uno.

- Obbedite alle regole, sennò siete fuori – dice soltanto, e si rimette a camminare.

Ma di regole non ne percepisco neppure l'ombra, comunque mi impongo di comportarmi al meglio. Damienne è silenziosa e Pace e Abraham si sussurrano cose all'orecchio. Harry è dietro di me, e procede guardando a terra, più afflitto che cauto. Rallento per permettergli di stringermi la mano, è un contatto che sa quasi di casa.

Procediamo nella direzione opposta da quella dove siamo venuti e si insidia in me il dubbio di un errore. Ma mio e di Harry o di Indiana?

Volgo lo sguardo verso Harry, e mi rendo conto che non indossa gli occhiali. Aggrotto le sopracciglia e apro la bocca per parlare, ma non emetto suono. La mia mente mi suggerisce che molto probabilmente li ha persi nella fuga del primo gioco, o mentre mi trascinava nella foresta dopo avermi trovata in fin di vita di fianco al cadavere di Shannona...

- Hai pianto? – Gli domando.

Harry mi guarda spaesato, ma so che ha compreso il senso della domanda. Ci rimugina un po' prima di rispondere, e vedo chiaramente il suo sguardo assopirsi nella più dolorosa delle indifferenze inscenate.

- No.

Annuisco, perché entrambi sappiamo che non è così. Harry conosceva Shannona da molto più tempo di me, e so per certo che avrà sofferto molto.

Il silenzio della nostra camminata mi uccide. Nessuno parla, e la cosa mi suscita uno snervante senso di sclero che non riesco a scacciare.

- Facciamo un gioco? – Strattono la mano di Harry, che - se possibile – alla mia richiesta si ingobbisce ancora di più, come se gli pesasse anche solo l'idea.

- Quello delle lettere – sussurro.

Harry non risponde, quindi torno a guardare a terra, ferita ed offesa. I piedi nudi sono sporchi di terra e graffiati, e mi prude la pianta destra quando la sollevo in aria per compiere il passo. Probabilmente ho anche una spina nel tallone sinistro ma non ho il coraggio di chiedere di fermarci. Vorrei avere il mio paio di ciabatte rosse.

- S.

- Cosa? – Chiedo voltandomi verso Harry all'improvviso. Una flebile speranza mi fa compiere un piccolo saltello.

- Una parola con la S – ripete Harry con un mezzo sorriso.

- Simbiosi.

Harry accenna una risata forzata in sottovoce. – B.

- Biosintesi – compio un altro mezzo saltello, lasciandogli la mano per aggrapparmi a un tronco.

- M.

- Meristema.

- State zitti – mormora Indiana, più avanti. Ammutolisco improvvisamente, spaventata, e quasi mi faccio beffe da sola per quanto sia facilmente sconvolgibile.

- Dove andiamo? – Chiede Harry. Porto lo sguardo sul suo profilo nella penombra. È coraggioso ed io lo ammiro per questo. Ma non è in grado di farci da guida e di questo ne siamo convinti entrambi. Ne sono certa.

- Dobbiamo trovare la Casa – Indiana non ci guarda quando parla, ma è così risoluta e decisa, ed è affascinante ed io la ammiro molto. Mi ricorda Shannona.

L'ombra che ci coinvolge non è dovuta alle folte chiome degli alberi. Me ne rendo conto solo quando scivolo su un terreno fangoso cadendo a terra. Harry mi porge una mano per alzarmi, e sollevando lo sguardo vedo l'occhio pallido della luna sovrastarci. La sorpresa è tale che per un istante ho le vertigini e non riesco a reggermi in piedi.

Siamo fortunati a non incontrare militari, ma sono molto meno spaventata da quando a capo della "spedizione" c'è Indiana. Mi infonde sicurezza e in un qualche modo so che finché ci sarà lei a noi non succederà nulla.

- Fermiamoci qui. – Indiana comincia a scavare con il piede nel terreno, creando una buca poco profonda, poi comincia a raccogliere dei rami da terra.

- Vuoi vuoi accendere un fuoco? Vuoi accendere un fuoco. – Damienne si avvicina ad Indiana scuotendo la testa, ed improvvisamente rammento di come la sua balbuzie sia grave.

- Vedi alternative? – Mormora Indiana buttando i rami nella buca.

- Ci scopriranno. Ci scopriranno! – Damienne afferra dei rami dalle mani di Indiana e li scaraventa lontano.

- Se continui ad urlare! – Indiana la strattona facendola cadere a terra, poi si volta verso la luna, e ancora verso la fitta foresta alle sue spalle. Si porta le mani ai capelli e comincia a piagnucolare sottovoce, sedendosi a terra a gambe incrociate.

Damienne scuote la testa e si siede di fianco alla fossa, arrangiando diverse foglie a mo' di cuscino.

- La bambina ha ragione. Ci conviene riposare. – La voce burbera di Abraham mi fa rabbrividire. Pace ripone la sua marionetta su un masso di fianco a lui e si stende. – Dormi Pace. Sto io di guardia – mormora il pupazzo.

Vorrei urlare e piangere e stringermi la testa fino a farla scoppiare. Dove sono?! Perché non posso semplicemente morire?!

Mi siedo a terra massaggiandomi i piedi dolenti, ed Harry si stende di fianco a me. – Non dormi? – Mi chiede. Scuoto la testa in dissenso, comunque mi appoggio contro il suo torace. E per un po' vengo cullata dal movimento dettato dal suo respiro.

Il silenzio è lugubre e nauseante, ma il leggero russare di Harry mi rende in qualche modo vigile. Per diverse decine di minuti rimango in silenzio, a percepire il suo respiro e quello degli altri. Il rumore delle foglie mosse dal vento, di alcuni rami spezzati. Del mio cuore che batte. Mi sollevo e mi guardo attorno, priva di qualunque tipo di emozione al di fuori del timore e della cieca paura. Nel buio della notte due pietre luccicanti nere come il carbone attirano la mia attenzione: dopo uno sguardo attento riconosco Abraham, il pupazzo di Pace. Il bambino dorme a bocca aperta e con gli occhi semi spalancati, e la cosa è un po' inquietante, ma ciò che mi solletica l'irrequietezza è lo sguardo della marionetta.

- Non riesci a capire vero? – Dice Abraham. Rabbrividisco.

- Cosa? – Mormoro. La lontananza dal corpo di Harry comincia a farsi sentire, percepisco un leggero freddo che s'insinua sotto la pelle fino al midollo.

- Tutto. La Cupola, i giochi, me... la morte. Non ne hai paura perché non sai. Non capisci. – Il pupazzo volge la testa verso suo nipote, poi torna a guardarmi. – Dovresti imparare a distinguere tra immaginazione e realtà.

- Ma stai zitto – la voce di Indiana mi fa sobbalzare. È ancora seduta dove l'avevo vista qualche ora prima. la osservo mentre si avvicina gattoni verso di noi. – Sei solo uno stupido pupazzo. Non hai nemmeno visto la figa scommetto.

- Questo potrebbe cambiare qualcosa? – Ribatte Abraham, indirizzandole uno sguardo magnetico.

Nella penombra, la vedo scuotere la testa.

- No, non credo. – Mi scruta in silenzio, prima di ridacchiare. – Siamo tutti fottuti comunque. Come Shannona. E tutti i caduti del primo gioco.

- Shannona? – Domando. Solo ora ricordo che Indiana la conosceva, e che forse c'erano anche dei trascorsi, ai quali ero completamente all'oscuro.

- L'amavo. Da sempre, credo. Sembrava capirmi... all'inizio. Ma poi l'ho spaventata, o qualcosa del genere perché si è allontanata e non ha più voluto parlarmi.

Pietrificata, la osservo. Cosa l'aveva portata ad amare Shannona al punto da allontanarla?

Ma riflettendoci, non la biasimavo, giacché io per prima avrei provato ogni sorta di idolatria nei confronti di Shannona. Era impensabile non affezionarsi a lei.

- Ma comunque lei era presa con Xavier. Sai perché lo amava? – Indiana ridacchia, una risata totalmente priva di divertimento. – Le ricordava l'uomo che l'ha stuprata. "Ha gli stessi occhi" mi ripeteva sempre. Disgustoso, non trovi?

Non rispondo, ma la reazione è pressoché simile al pensiero di Indiana. Una nausea mi si blocca alla bocca dello stomaco, e un'acidità fastidiosa mi solletica la gola.

- A me non sono mai piaciuti gli uomini. Tranne mio padre. Lui era un grand'uomo – Indiana alza lo sguardo al cielo, e scruta le stelle in silenzio. Azzardo un'occhiata ad Abraham, ma sembra che il pupazzo si sia spento o qualcosa del genere, comunque non è più vigile.

- Non so nemmeno se sia ancora vivo – mormora.

- Io ho ucciso i miei genitori – sussurro. Mi sento in dovere di dirglielo, non so bene perché. Eppure, come se avessi schiacciato un pulsante d'azionamento, comincio a piangere fitto fitto. In silenzio, con singhiozzi che sono strattoni ai polmoni e respiri che bruciano la gola come fiamme ardenti. Indiana non risponde e di questo ne sono grata. La osservo alzarsi in piedi e dirigersi verso un cespuglio.

Smetto di piangere quando la vedo lottare con qualcosa – o meglio qualcuno. Asciugo gli occhi per permettermi di vedere meglio. Il cuore batte così forte che ho paura di vomitarlo, e mi raccolgo le ginocchia al petto per proteggermi. Succede tutto così in fretta che non ho il tempo di pensare, semplicemente guardo.

Indiana trascina a forza una figura umana fin sotto la luce della luna, scrutandolo in viso. È un ragazzo affascinante dalle labbra carnose e la pelle scura. Non credo di averlo mai visto.

- Ci spiavi? – Chiede Indiana sottovoce. Lo sovrasta con il corpo, a cavalcioni sul suo petto. Il ragazzo ha le braccia spalancate coi palmi rivolti verso l'alto e lo sguardo spaventato.

Mi avvicino gattoni. È bello.

- Credevo foste militari. – Sussurra. La voce è grave e possente, accusatoria.

Indiana non lo lascia andare subito. I suoi occhi sono oscurati dall'ombra e non vedo cosa sta facendo, ma il volto parzialmente illuminato del ragazzo mi suggerisce una qualche segreta e involuta intesa.

Indiana si alza e il ragazzo di seguito. È poco più alto di Indiana, che è altissima, ed è sporco di sangue all'altezza del ginocchio.

- Perché non vi nascondete meglio? Vi ho trovato subito – mormora il nuovo arrivato. Indiana torna a sedersi, giocherellando nervosamente con delle foglie a terra.

- Non so dove – risponde laconica.

- Sono Salal – il ragazzo si siede di fianco ad Indiana e la osserva con un sorriso. – Tu sei speciale. Lo sento.

Indiana distende le gambe di fronte a sé, scuotendo i capelli dietro la schiena. – Non direi.

Salal si avvicina al suo viso e la scruta da vicino. – Sei agitata per la luna piena, lo capisco.

Indiana si ritrae, allontanandosi. – Come fai a saperlo?

- La mia Dote è l'astronomia. So certe cose. – Salal appoggia la schiena a un tronco.

- Dote? – Chiedo. La mia voce è flebile ma il nuovo venuto la percepisce comunque. Si volta verso di me, accorgendosi solo in questo momento della mia presenza. E successivamente, si rende conto anche di Harry, Damienne e Pace e Abraham. Sbatte le palpebre rimanendo in silenzio, così è Indiana a riprendere il discorso.

- Visto che sai certe cose, sai anche dov'è la Casa di questo gioco?

Salal la scruta un attimo, poi si passa una mano sugli occhi, come sbigottito. – Non ne sono sicuro – mormora laconico.

- Pensavo di tornare al treno. – Continua Indiana. – Penso sia l'unico posto plausibile.

- Congettura – sussurra dopo un attimo di pausa Salal.

Indiana lo guarda sporgendosi leggermente in avanti. – Cosa?

- Sei del capricorno vero?

Indiana sospira. – Sei strano.

Salal annuisce e non aggiunge parola, e Indiana rimane seduta guardando il cielo stellato. Penso sia quel silenzio malinconico che mi porta a un sonno improvviso e profondo. Non so per quanto dormo, forse qualche ora, forse solo alcuni minuti.

Quando mi risveglio è ancora buio e Indiana e Salal sono ancora svegli a parlare. Mi rannicchio contro il petto di Harry, stranamente rassicurante, e chiudo gli occhi in attesa che il sonno ritorni, ma vengo riscossa da un forte urlo.

Balzo in piedi come una molla, seguita a ruota da tutti gli altri. L'urlo acuto non è molto distante da noi e successivamente si sentono diversi spari. Il cuore comincia a battere veloce mentre un freddo improvviso mi congela il sangue nelle vene. Una nausea forte mi fa girare la testa e sento di nuovo che sto per vomitare o farmela addosso.

- Correte! – Intima Indiana, e non me lo faccio ripetere due volte. Corro come il vento, come un cavallo selvaggio, come un giaguaro. O più semplicemente come una pazza. I piedi sono gonfi e lividi ed ogni passo è un dolore, il cuore batte così forte che sento la cassa toracica quasi troppo stretta, il respiro è così affannoso che i polmoni bruciano e l'aria che inspiro mi graffia la gola in modo fastidioso.

I militari potrebbero seguirci, ma c'è una minima probabilità che non ci abbiano visto, quindi per quanto poco possa spronarmi questa speranza spingo più forte sulle gambe e corro come mai ho fatto prima, nel buio della notte.

Comincia a piovere con la stessa velocità con cui posso battere le palpebre. Improvviso e potente, un temporale estivo come non ne vedevo da anni. È quasi famigliare, ma il terreno diventa fangoso ed è ancora più difficile correre, tra gli alberi che mi sbarrano la strada, il terrore dei militari e il costante pensiero di rimanere impigliata nei fili invisibili.

Piango, con singhiozzi rumorosi, e prego. Se solo esistesse davvero un Dio, o un fato, o qualunque cosa, lo prego affinché mi salvi da quest'incubo.

Indiana mi supera con un balzo, ed esce dalla foresta un attimo prima di me. Ci ritroviamo nella pianura, e di fronte a noi la familiare vista dei binari e del treno.

M'immobilizzo, col fiatone che mi scuote i polmoni. Se ci fossero i militari?

Ma Indiana entra senza timore nelle porte spalancate del treno, abbandonato da giorni ormai. Salal la segue, e a poco a poco ci raggiungono anche Damienne e Harry. Il mio amico mi guarda e mi afferra per mano, trascinandomi verso il treno.

I corpi di qualche giorno prima dei caduti sono scomparsi, anche se sull'erba ci sono alcune macchie di sangue. Rabbrividisco al pensiero di Shannona distesa lì dove ora sto camminando io.

Il treno è come uno scheletro. Una carcassa, un cadavere abbandonato, un relitto. La pioggia scende sui finestrini con una destrezza degna di danza, parallela come se le gocce toccandosi generassero danni irreparabili e quindi tentano il tutto per evitarsi. Non posso fare a meno di pensare che questa pioggia pulirà tutto quel sangue.

Entrare nella carrozza non è come la prima volta. Ora solo nausea e orrore mi divorano, prosciugandomi fin nell'anima, se ce n'è davvero una. Tutto è buio, i sedili sono vuoti e c'è un'umidità che mi fa rizzare i peli sulla nuca.

- Casa! – Urla Indiana. Ma non succede nulla. – Liberi tutti! – Ripete. Salal la guarda allarmato, Harry mi spinge dietro un sedile e si nasconde con me.

- Dov'è Pace? – Chiedo. Harry non risponde.

Un conato di vomito mi assale, mente le lacrime continuano a scendere copiose. Mi prendo la testa fra le mani, sorreggendola, e chiudo gli occhi compiendo respiri profondi. Morirò, morirò!

Singhiozzo e piango, e vengo scossa da fremiti dolorosi. Harry mi avvolge con un braccio, ma è teso e dopo poco lo ritira.

- Militari, militari! – Urla Damienne in lacrime. Harry si alza, e io osservo da terra Indiana che guarda dal finestrino.

Salal si prende la testa fra le mani, singhiozzando.

- Chiudiamo le porte! – Urla Indiana, cominciando a tirare le porte scorrevoli. Uno sparo, poi Indiana cade a terra. Piange e si stringe il braccio.

- Indiana! – Salal si sporge verso di lei per trascinarla al coperto, ma una pallottola lo colpisce in fronte, facendogli schizzare il cervello ovunque. Indiana urla terrorizzata, sporca del sangue del ragazzo, mentre altri spari si schiantano contro le pareti della carrozza. Scosta il corpo di Salal cercando di togliersi dalla loro portata, ma appena si solleva viene colpita di nuovo.

Delirando, cerco Harry. È acquattato dietro un sedile, gli occhi ricolmi di lacrime. Damienne ci sfreccia davanti come un fulmine, correndo nell'altra carrozza. Harry mi guarda e con un movimento mi intima di risalire il treno.

Non ho la forza di rialzarmi. Gli spari rimbombano sulle pareti metalliche del treno, in alternanza con lo scrosciare della pioggia, fitta, che la mia mente paragona a dita tamburellanti. Ma non c'è tempo per la retorica.

Prendo un respiro profondo e corro. Supero con un balzo i due corpi di Indiana e Salal, e risalgo il treno. Una carrozza, due carrozze. Ad ogni porta aperta ho il timore di imbattermi in un militare armato, ma di fronte a me vedo Damienne sfrecciare come un siluro, totalmente immune ai proiettili, e i passi pesanti di Harry alle mie spalle mi spronano a continuare.

- Quando arrivi all'ultima, lanciati fuori nella foresta! – Urla Harry dietro di me. Non ho nemmeno la forza di annuire. Le gambe si muovono meccanicamente, il fianco punge dolorosamente e le lacrime continuano a scendere. Mugugno già da un po', ma non riesco a smettere. La fine della carrozza è anticipata dalla frenata improvvisa di Damienne, poco prima delle porte d'uscita. Si volta a guardarmi, piangente, e mi sorride. Poi sale in cabina di pilotaggio.

Sconvolta, guardo le porte d'uscita. Prendo un respiro profondo e mi fiondo fuori dalla porta. Il metallo del pavimento viene sostituito dall'erba bagnata e scivolosa, mentre gli spari si fanno sempre più lontani. La foresta di fronte a me si avvicina sempre di più mentre compio falcate che credevo al di fuori della mia portata.

Dietro di me, percepisco il ruggito di un motore, e poco dopo lo squillo dell'altoparlante del treno. Entro nella foresta, superando alcuni alberi, e mi arrampico sul primo che mi trovo di fronte.

La voce di Damienne rimbomba nella foresta. – Liberi tutti, liberi tutti!

Gli spari si interrompono, e un silenzio inquietante si fa spazio tra le fronde degli alberi. Mi aggrappo a un ramo, pancia in giù, respirando a grandi boccate. Il cuore sta per esplodermi nel petto e chiudo gli occhi cercando di trattenere le lacrime.

- Ti prego... ti prego... – Sussurro.

La foresta tace. Il cielo tace, il treno sembra tacere e il mondo con esso. Poi, un suono squillante e metallico si propaga in tutta la Cupola.

- Gioco Terzo: Caccia al Tesoro.

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