WWF: L'essere lucente è in estinzione
Giudice Cassandra sedeva dietro il suo bancone con il martello in mano, arricciandosi i baffi alla Dalì mentre, con interesse, scrutava i fogli che il Viceprocuratore Cassandra le aveva mostrato. Sulla toga, che mostrava a tutta l'aula la sua altolocata posizione, era stata incollata una spilla di Alberto Angela sorridente che sussurrava "divulghiamo insieme". Per qualche istante, dietro il tavolo dell'accusato, rimasi abbagliata da quella visione, per poi venire riportata con violenza alla realtà quando la udii dire: «Or dunque, qual è il capo d'accusa sull'imputata?»
Viceprocuratore Cassandra si sollevò dalla scrivania alla mia destra, schiarendosi la gola e sistemandosi gli occhialini a mezzaluna che le fornivano un'aria professionale da perfetta avvocatessa stronza. Infilò dentro le asole i bottoncini della sua giacca in velluto nero, sotto cui si nascondeva un tailleur grigio con la faccia di Paperino stampata sulla zona del sedere. Mi domandai perché quella strana scelta d'abbigliamento, forse per prendermi in giro così da ricordarmi la triste analogia che vi era fra me e quel papero mezzo nudo: entrambi eravamo indubbiamente i re degli sfigati. «Tentato omicidio con tampax, Vostro Onore.»
«Vostro Onore!» Cassandra Avvocato Difensore - CAD - si sollevò dalla sedia su cui era seduta, al mio fianco, e sbatté le mani contro il piano del nostro bancone. La divisa di Grifondoro le stava senz'altro d'incanto, dovevo ammetterlo, adoravo il modo in cui la sciarpa rossa e gialla le circondava il collo e lo splendore dei suoi occhiali alla Harry Potter. «La mia assistita non ha commesso tale reato! È stato un puro incidente!»
Dai banchi alle mie spalle, riempiti da piccole Cassandre in versione marmocchie, alcune alte, altre basse, alcune con il cappellino di Pikachu in testa e altre con una spada laser in mano, udii alcune voci sussurrare: «Ma siamo davvero sicuri che funzioni così un processo?»
«Non lo so, a me sembra molto simile a quelli di Law & Order» sussurrò un'altra voce.
«Aspetta, quale intendi? SVU o Criminal Intent?»
«Nessuno dei due, intendo il primo Law & Order mai creato, quello che abbiamo registrato alle elementari nelle cassette VHS senza che Megera ci beccasse.»
«Aspetta, ma noi stiamo in Italia, sicura che funzioni allo stesso modo un processo?»
«Vero! Quindi niente testimoni improvvisi e giuria da convincere?»
«Secondo te la faranno la scena in cui la situazione cambia drasticamente con l'arrivo di Peppa Pig che è il testimone chiave per dimostrare l'innocenza dell'imputato?»
«Silenzio!» Il martello di Cassandra Giudice batté sul bancone e l'aula ammutolì di nuovo. Lei si arricciò di nuovo lo strano baffo che ciondolava dal suo labbro superiore e tornò a guardare i documenti forniteli con interesse. «Avvocato Cassandra, dunque lei sostiene che non c'è stata alcuna premeditazione nel tentato omicidio?»
CAD scosse con vigore la testa e io mi sentii sollevata nel sapere di avere me stessa come difensore. «Assolutamente no, Vostro Onore! Si è trattato di un semplice incidente di percorso!»
«Un po' come la morte di Antony in Candy Candy» sussurrò una mini Cassandra dalle panchine alle nostre spalle.
«Obiezione, Vostro Onore!» tuonò Viceprocuratore Cassandra. «L'imputata ha deliberatamente utilizzato un'arma dalla pericolosità estrema come il tampax senza alcuna precauzione! Non si è neanche preoccupata di chiudere la porta del bagno a chiave!»
«Vostro onore!» ribatté CAD. «Il bagno non aveva nemmeno la chiave! Come avrebbe potuto chiudere la porta? Il mio cliente non ha avuto modo di prendere le dovute accortezze, è stato un errore in buona fede!»
«Avvocato Difensore Cassandra, dite sempre così a ogni processo!» Dalla bocca del Viceprocuratore partì un verso stizzito. «Anche l'ultima volta, quando l'imputata è stata accusata del crimine di eresia per aver visto una puntata de Il segreto! Nonostante sia bandito dalla nostra comunità insieme a Il mondo di Patty e Paso Adelante!»
«È stata una coincidenza!» strillai a quel punto, imbarazzata. «La nonna stava cucinando e io avevo sentito l'odore di arancine! Non sapevo che stesse guardando nel mentre anche quella telenovelas!»
«Eppure eri comunque rimasta in cucina a guardarla!» Il Viceprocuratore mi fulminò con un'occhiataccia.
«Sì, ma era solo per avere le arancine!»
«Si dice arancini!» strillò qualcuno dagli spalti e io, CAD, Giudice Cassandra e Viceprocuratore Cassandra lanciammo un grido di orrore.
«Chi è stato?» urlò Giudice Cassandra, sollevandosi dal suo banco per uccidere tutti col suo sguardo da laureato nella facoltà del disagio con centodieci e lode. «Chi ha osato pronunciare una simile eresia al mio cospetto?»
«Noi non siamo catanesi!» le diede man forte CAD.
«Siamo orgogliose palermitane trasferitesi in Umbria quando eravamo ancora in fasce!» strillò a sua volta il Vicreprocuratore.
«Sì, però alla fine Pepa muore o no?» domandò una piccola Cassandra, seduta fra le prime banchine in legno, mentre sventolava una bandierina di Alberto Angela con furia e stringeva in mano un cappello di paglia in nome di One Piece.
«La nonna ha detto che non si sa ancora, non hanno fatto vedere il cadavere!» rispose la Cassandra al suo fianco, sventolando un magnifico abito a pois sicuramente ripreso da qualche cartone degli anni '80.
«Silenzioooo!» strillò di nuovo Giudice Cassandra e io non potei che immaginare quella scena come nel film di Harry Potter, sostituendo la figura della me stessa laureata con quella del preside di Hogwarts dalla barba incolta. «Sono stanca di dover sempre sostenere questi processi e trovare una soluzione alla controversia. Avevo già iniziato a stancarmi da tre processi fa, quando l'imputata è stata accusata di aver irreparabilmente danneggiato la psiche della sorella permettendole di leggere le fan fiction che aveva scritto a dodici anni sui Cesaroni con lei come protagonista...»
«Patrizia era entrata di nascosto in camera mia per prendere un libro e ha trovato il mio quaderno! Non è stata colpa mia!» tentai di difendermi.
«I CESARONI!» tuonò sdegnata il Viceprocuratore.
«La mia cliente aveva solo dodici anni!»
«Non ho bisogno di tempo, per dare il mio verdetto.» Il grugnito del Giudice fece sussultare tutti quanti e nell'aula si creò una tremenda tensione che indusse le vene del mio corpo a pompare sangue come un chirurgo plastico pompava le guance di Sandra Bullock. Trattenni il fiato sconvolta e percepii subito quel brivido, quel piccolo graffio sulla schiena che era per me presagio di condanna e di sventure. «Cassandra Terensi, alzati.»
Mi sollevai dal bancone con smania e frenesia, desiderando di fuggire via da quell'aula, ma sapevo, ahimé, che le porte d'uscita erano debitamente controllate dalle guardie di sicurezza con la faccia di Megera. Non sarei mai potuta scappare dalle loro occhiate gelide.
«Cassandra Terensi, ti dichiaro colpevole di tentato omicidio nei confronti di un Essere Lucente. Un crimine gravissimo, come tu ben sai. L'ultimo annuncio del WWF è stato molto chiaro: gli Esseri Lucenti sono una specie protetta a rischio di estinzione. Ogni tentativo di danneggiare la loro stirpe dovrà esser condannato.»
Ci fu un altro brusio di voci alle mie spalle, pianti assatanati e imprecazioni siciliane, dopodiché, Giudice Cassandra proseguì: «Sei condannata a scontare un mese di pene e sofferenze, Cassandra Terensi, e per redimerti dal peccato di un simile crimine dovrai affrontare il tuo più grande incubo.»
«Dovrò guardare Tempesta d'amore?» domandai col terrore in gola.
Giudice Cassandra scosse la testa. «Peggio.»
«Grande Fratello?»
«Peggio!»
A quel punto ero ormai a rischio asfissia. «Uomini e Donne? La prego, Vostro Onore, tutto ma non quello. La scongiuro! Farò la brava bambina! Mangerò il pane senza sale e non mi lamenterò! Smetterò di prendere in giro la statua di Vittorio Emanuele II! Smetterò di utilizzare il filo interdentale per far inciampare Megera! E...»
«Cassandra Terensi, io ti condanno a un mese di lettura intensiva dell'autrice che, dopo aver conosciuto quando avevi quindici anni, hai evitato come la peste.»
Oddio, no.
Sapevo di chi stava parlando.
Lo sapevo.
Era uno dei miei più grandi incubi.
Il terrore che avevo conosciuto in tenera età, quando ancora amavo le storie d'amore e la professoressa d'italiano dell'epoca mi aveva suggerito di leggere quella.
«La prego, Vostro Onore, no!» la supplicai. «Tutto ma non quello! Tutto ma non...»
«Cassandra Terensi, per un mese intero tu dovrai leggere e guardare tutti i film di Orgoglio e Pregiudizio!» L'atterraggio del martello sulla superficie del mattono riecheggiò insieme alla rottura del mio cuore. Lo sguardo di Giudice Cassandra era glaciale come quello di Megera, in quel momento, e alla mia destra vidi il Viceprocuratore sorridere malignamente. «Il fantasma di Jane Austen tornerà a torturarti per altri trentun giorni. La sentenza è conclusa, andiamo tutti in pace.»
Jane.
Austen.
Orgoglio e Pregiudizio.
Era la fine.
La fine.
Non avevo mai sopportato quel libro, mai, era stata la mia più grande delusione adolescenziale dopo l'addio di Tonio Cartonio dalla Melevisione.
«Cassandra?»
Ero destinata a soffrire di fronte al tira e molla di quella nevrotica di Elizabeth e quel pesce lesso di Mr Darcy.
«Cass?»
«Non voglio! Preferirei rivedermi tutto il cartone animato di Piccoli problemi di cuore!»
«Cassandra? Piccoli problemi di cuore? Di che stai parlando?»
Sollevai il capo dal pavimento in cui si erano fissati i miei occhi, così da ritrovarmi di fronte la faccia sbigottita di Tamara. Lei era inginocchiata di fronte a me, con le labbra che tremavano vigorosamente, forse per trattenersi dal piangere o forse per non ridere. «Cass, va tutto bene» mi rassicurò. «Simon non si è fatto nulla, te lo assicuro.»
Le sue parole giunsero attutite alle mie orecchie, mentre nella mia testa si avviava il replay del tentato omicidio che avevo involontariamente compiuto, e che ora si concludeva con una punizione più tremenda di dovermi guardare Dragon Ball Evolution. «Ho rischiato di portare la razza degli Esseri Lucenti all'estinzione» sussurrai fra me e me. «Oddio, la Divina Provvidenza me la farà pagare cara.»
«Cass...» Tamara posò una mano sulla mia spalla, con fare comprensivo. «È stato un incidente, davvero, Simon non ce l'ha con te. Ha solo l'occhio un po' rosso, nulla di più.»
«Ho macchiato la bellezza di un Essere Lucente, sono un mostro.»
«Cass?»
«Finirò all'inferno.»
La risata in cui lei esplose, l'istante dopo, mi lasciò perplessa. Tamara sembrò non riuscire più a trattenersi, il suo volto venne deturpato dall'ilarità mentre col corpo tentava di contenere i tremiti che le carezzavano la schiena, fra uno sghignazzo e l'altro. «Non ridere!» berciai disperata.
«Cass...» guaì lei, con le lacrime agli occhi. «Ti adoro, sappilo.»
Be', quella era una sorpresa. Capitava raramente che qualcuno apprezzasse in questo modo i miei deliri, anzi, da che ne avevo memoria ero sempre stata guardata con sospetto da coloro che avevano assistito alla mia follia, e il fatto che, in quel momento, fossi sul culmine della disperazione, non mi aiutò minimamente a riprendermi dallo stato di panico totale.
Mi grattai la nuca, ormai stanca di me stessa e della mia vita, e mi domandai se, almeno, la lettura di Jane Austen mi avrebbe condotto alla morte cerebrale. Sarebbe stato l'unico vantaggio di quel supplizio.
«Ascolta, Simon sta bene» mi rassicurò di nuovo lei, una volta essersi ripresa dalle risate. Si asciugò le lacrime dagli occhi, un sorriso splendente le illuminava il viso. «Non ti preoccupare per lui, sta benissimo, anzi, non è così, Simon?»
Il mio corpo si paralizzò sul pavimento del bagno, quando udii quella voce sensuale rispondere tremolante: «Sì! Certo! Sto benissimo, Cassandra, non hai nulla di cui biasimarti. È stato solo un incidente.»
Ero consapevole di essere una persona che, nella vita, aveva ricevuto poche fortune.
Ero nata in una famiglia povera, ero stata cresciuta praticamente da mia nonna, avevo una sorella maniaca della ginecologia e con lo scorrere degli anni avevo preso più figure di merda che sufficienze in matematica.
Ma mai, mai prima d'ora mi ero dovuta confrontare con il volto del ragazzo che avevo quasi accecato con un tampax.
Persino io mi rendevo conto di quanto assurda fosse la cosa. Nessuno mi avrebbe mai creduto, se mai lo avessi detto in giro. Era talmente improbabile che in confronti gli scontri fisici dei protagonisti degli young adult, nei primi capitoli, apparivano assolutamente naturali.
Fu con la morte nel cuore che sollevai il capo da terra e incrociai gli occhi del conquistatore di vergini.
Come sospettavo, era imbarazzato.
Non solo imbarazzato.
La sua faccia mi ricordava il video virale del cane che, in mezzo a una casa in fiamme, sussurrava "I'm fine".
«Tam» mormorò, «poco fa sono arrivati dei clienti.»
Oh no.
Oh no, no, no.
«Oh, bene, allora vado a vedere se hanno bisogno di qualcosa.» Tamara sorrise e si sollevò, per poi bloccarsi quando la mia mano afferrò la sua caviglia con la stessa forza di una manetta. Vidi il suo sguardo farsi perplesso, quando lo rivolse a me e al mio volto disperato. «Cass?»
«Non mi abbandonare» la supplicai sottovoce, tentando di non farmi sentire dall'EL a pochi metri di distanza, che ancora ci scrutava col terrore negli occhi. «Non mi abbandonare come ha fatto la mamma di Bambi.»
Le sopracciglia di Tamara si sollevarono sconvolte. «Andiamo, Cass, tornerò subito. Nel mentre, prova a chiacchierare con Simon, sono sicura che riuscirete a chiarirvi.»
Si staccò dalla mia presa salda con tranquillità e un sorriso divertito sulle labbra. Quella ragazza era una donna sadica, ormai non avevo più dubbi in proposito. E finalmente io compresi cosa avesse provato Mufasa nel momento in cui Scar lo aveva spinto via dalla roccia a cui si era aggrappato per sopravvivere.
I passi attutiti di Tamara riempirono l'aria insieme ai miei respiri convulsi dovuti dal terrore, per qualche secondo tornai a nascondere lo sguardo sul pavimento del bagno, ad illuminarmi solo la luce che proveniva, attraverso la porta aperta, dalla stanza del primo piano. Nemmeno l'odore di libri riuscì a calmarmi in un simile momento, perché ero da sola, completamente da sola, al cospetto di un Essere Lucente a cui avevo appena attentato alla vita.
Non avevo la più pallida idea di cosa fare.
Avevo varie opzioni nella testa e nessuna mi sembrava fattibile.
Opzione numero uno: guardarlo negli occhi, affrontare la voragine dell'inferno che avrei trovato in essi, e scusarmi fingendomi una ragazza qualsiasi.
Opzione numero due: richiudere la porta, sigillarmi nel bagno, entrare nella tazza del water, tirare lo sciacquone e sperare che mi conducesse al ministero della magia.
Opzione numero tre: prendere un libro, scagliarglielo addosso e fuggire via con la coda fra le gambe.
L'opzione numero uno non era minimamente attuabile, perché io ero sempre stata più codarda di Tremotino in Once Upon A Time prima che diventasse il signore oscuro.
La numero tre era una grande tentazione, ma sapevo che Giudice Cassandra mi avrebbe condannata a una sentenza ancor più grave di Jane Austen. Come minimo mi avrebbe costretta a guardarmi Pretty Little Liers.
L'unica scelta che mi rimaneva era la numero due, ma dubitavo avrebbe funzionato, visto che ancora adesso aspettavo la mia lettera per Howgwarts.
«Ehm... Cassandra?»
Mi stava parlando.
Oddio, l'Essere Lucente mi stava parlando.
No, no, no.
Eravamo solo noi due.
Non avevo il mantello dell'invisibilità.
Chiusi gli occhi e presi un grosso respiro, cercando di mantenere la calma.
Dovevo parlare in maniera pacata, educata, dissimulando una tranquillità d'animo che non possedevo. Scusarmi come una qualsiasi ventenne della mia età avrebbe fatto.
«Cassandra?»
«Mio Essere Lucente, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore del mio peccato, perché peccando ho meritato Orgoglio e Pregiudizio, e molto più perché ho tentato di uccidere Te, infinitamente figo e degno di essere conquistato solo da un tuo simile. Propongo con il tuo lucente aiuto di non ucciderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di tentato assassinio. Essere lucente, misericordia, perdonami.»
Il silenzio si aggrovigliò nella stanza con la stessa densità di un peto di Ada.
Sentii il mio viso sudare, non appena mi resi conto di aver appena detto ad alta voce l'atto di dolore che mi stavo ripetendo nella testa.
Vidi palle di fieno rotolare nel mio cervello insieme alla mia dignità.
Nonna mi aveva sempre detto che il catechismo mi sarebbe servito a qualcosa, quando ero bambina, per convincermi ad andarci nonostante già all'epoca fossi una sostenitrice dell'agnosticismo.
Mai avrei creduto che le ore passate a imparare a memoria quel testo mi sarebbero poi servite per perdere il mio lato umano di fronte a un Essere Lucente con la cartuccia della sua pistola piena di proiettili con cui riprodurre e ripopolare la sua razza nella stirpe umana.
Nascosi la faccia dietro le mani, ormai del tutto incapace di guardarlo, e mugugnai fra i denti: «Non è colpa mia, ho il ciclo.»
Immaginavo fosse quella la scusa che qualunque donna avrebbe usato in contesti diversi, come, ad esempio, in momenti in cui non voleva approfondire una notte bollente. E poi c'ero io, Cassandra Terensi, che usava Ugo come giustificazione per il tamponamento dell'occhio di un EL.
Meritavo davvero l'inferno.
«Cassandra, davvero, non ti preoccupare, non mi hai fatto niente.»
Aveva una voce così dolce e delicata da ricordarmi gli sfondi floreali nelle scene più romantiche di Lady Oscar. Ero ormai a corto di alternative con cui scappare e dignità da perdere ancora, perciò, alla fine, mi costrinsi a scostare lo sguardo dalle mani e a rivolgerlo di nuovo alla sua faccia.
Simon se ne stava immobile dietro il tavolino al centro della stanza. I raggi solari che sgorgavano dalle finestre addobbavano il suo corpo rendendolo più luccicante dell'albero di Natale di Gubbio o di Edward Cullen. Un sorriso pacato incarnava quelle labbra turgide che probabilmente avevano toccato più bocche che cibo vero e proprio. Sembrava... a disagio e al tempo stesso imbarazzato, quasi fosse stato lui il colpevole di quel reato, e non la sottoscritta.
«Mi dispiace, anzi» proseguì, nonostante la perplessità si potesse ancora notare sul suo viso perfetto da portatore di testosteroni più potenti di un Megazord. «In parte è stata anche colpa mia, avrei dovuto bussare con più forza per farmi sentire, non volevo farti spaventare in questo modo, scusami.»
E fu in quel momento che io, Cassandra Terensi, nipote della regina delle nevi, capii la realtà dei fatti che fino a quel momento mi ero sempre rifiutata di accettare. Perché io ero codarda, pazza, folle, Angeliana, un po' svampita e pigra, ma mai, mai bugiarda. Mentire era una capacità che non ero mai riuscita ad apprendere, nonostante nel corso dell'anno avessi tentato più volte di sbloccare quell'abilità, intentando missioni che erano sempre finite in catastrofe, per poi rassegnarmi all'idea che la vita non sarebbe mai stata come un videogioco e che non bastava, come su The Sims, leggere un fottio di libri per apprendere nuove capacità.
Dovetti venire a patti con la dura verità che mi era appena stata battuta in faccia.
Simon l'Essere Lucente non era un bad boy.
Era evidente che la sua preoccupazione era sincera, così come era evidente che, in quel momento, fosse a disagio quanto me. Aveva difficoltà a incrociare i miei occhi, i suoi capelli non riuscivano a nascondere il rossore delle sue orecchie e si passava ripetutamente una mano sul collo, gesto universalmente conosciuto per significare "Oddio, spero che il Tristo Mietitore venga presto a portarmi via da qui".
Non era un bad boy.
Non avrebbe mai potuto esserlo, con quello sguardo da Dolce Remì a cui erano morti tutti i suoi cani temporaneamente.
Lui era la razza più rara del mondo degli Esseri Lucenti, così rara che, nel corso della mia vita, avevo preso seriamente in considerazione la possibilità che fosse un po' come la tolleranza in Matteo Salvini: semplicemente non esisteva.
Ma ora Simon era qui, a dimostrarmi che sì, al mondo esistevano Esseri Lucenti che non erano bad boy.
Madre Natura era una grandissima stronza.
Se fosse stato un bad boy, non avrei avuto alcun remore a non sentirmi in colpa. Se fosse stato un bad boy, avrei potuto giocare a freccette con la sua foto, scrivere il suo nome sul mio Curses Note e augurargli la torsione di un testicolo senza provare un briciolo di pietà.
Ora, invece, tutto ciò non mi era più dato. Ero anzi io la bad girl di turno, perché solo una stronza avrebbe potuto avere il terrore e odiare un Orsetto del cuore come Simon. La situazione era analoga a quella di coloro che odiavano Alberto Angela: erano, semplicemente, stronzi.
Ero riuscita ad arrivare allo stesso livello degli haters del mio amato.
Solo quel pensiero bastò per distruggere il mio mondo di sogni in cui saremmo stati per sempre insieme a divulgare sulle bellezze delle Dolomiti.
Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi l'istante dopo e i deliri delle mie ovaie mi indussero, inavvertitamente, a perdere ogni forma di contegno, perché scoppiai in un pianto fragoroso più tremendo di quello di una Mandragora.
«Mi dispiace!» singhiozzai. «Mi dispiace di averti quasi ucciso con un tampax!»
Vidi il volto di Simon andare completamente in panico.
Sbiancò come avevo fatto io in quel momento e indietreggiò, spaventato dalle lacrime che copiosamente sgorgavano dai miei occhi, rigandomi le guance. In una situazione normale avrei forse riso, ma in quel momento gli ormoni di Ugo si erano fatti più vivi del solito e le ovaie stavano gioendo per la presenza di un uomo lì vicino, sentivo i miei neuroni incenerirsi da soli a causa della confusione che mi stava travolgendo.
«No, aspetta, Cassandra... Mi dispiace, no, ti prego...» La sua voce quasi sfuggì dalle labbra, tanto sembrava in panico. Dal lago che aveva appena ricoperto i miei occhi riuscii a scorgere la sua figura muoversi come una bandiera colpita da più venti. «Ti prego, non piangere, non è successo niente, te lo assicuro.»
«Sì, invece» gracchiai io, asciugandomi il moccio che colava dal mio naso con la manica della mia maglia. «Ho tentato di ucciderti e ora per punizione dovrò leggere Orgoglio e Pregiudizio e sarò costretta a considerami allo stesso livello di coloro che odiano Alberto Angela.»
Una qualsiasi persona normale, probabilmente, non avrebbe compreso affatto i miei deliri, e forse Simon non lo fece per davvero, ma mi diede retta, perché, l'istante dopo, si inginocchiò per terra, stando attento a mantenere una certa distanza di sicurezza, e si sporse con una goffaggine che poteva solo essere paragonata alla mia. Aveva il braccio teso e, in mano, un fazzoletto di stoffa azzurro. «Tieni, ti prego, non piangere» mormorò di nuovo, con quel sorriso che avrebbe potuto far rinunciare ai voti persino una suora, «ti assicuro che ti ho già perdonato, non c'è bisogno che tu legga la dichiarazione d'amore di Mr Darcy per redimerti.»
Mi resi conto solo in quel momento che, in realtà, aveva sempre cercato di mantenere le distanze per non spaventarmi. Se ne stava lì, immobile, seduto sulla stanza, a porgermi quel fazzoletto stando attento a non avvicinarsi troppo a me, che ero ancora seduta sul pavimento del bagno. Per un attimo i miei singhiozzi si fermarono, sbigottiti quanto me per la scoperta che lui avesse letto la Austen, e quando abbassai lo sguardo sul fazzoletto che stringeva fra le dita, notai con una fitta al cuore che lo stava reggendo sul bordo, così da permettermi di prenderlo senza che lo sfiorassi.
Non ero così stupida da non rendermi conto che tutto quel meccanismo era nato col solo scopo di impedirmi di spaventarmi per la sua presenza così vicina.
Quel ragazzo era praticamente Biancaneve della Disney.
Era dolce, buono, bello, aveva una voce angelica e non mi sarei sorpresa se adesso, dalle finestra, dei passerotti fossero entrati in libreria per avvolgergli le spalle in un mantello e cantare con lui dolci filastrocche su quanto siano belli gli arcobaleni e l'amore a prima vista.
Afferrai il fazzoletto con titubanza, osservandone la superficie bianca, pulita e splendente, e quando mi resi conto di aver appena insultato una nuova versione della principessa Disney, tornai a piangere disperata e affogai la mia faccia nel tessuto di stoffa.
«Davvero, Cassandra, non piangere, non è stata colpa tua. Io sto bene. Ti prego, non piangere.»
Era impossibile, avevo appena attentato alla vita di una principessa, non potevo non piangere.
«E poi, sai, nemmeno a me è piaciuto molto Orgoglio e Pregiudizio, perciò non vorrei mai che tu ti costringessi a leggerlo solo per scusarti per quello che è successo. Se proprio lo devi fare, perché non leggi Jane Eyre? L'ho trovato molto più interessante.»
Mi fermai.
Sollevai il capo dal fazzoletto ormai sporco di lacrime e muco e guardai allibita il Christian Grey italiano che avevo davanti, in versione bionda, decisamente più povera e altrettanto meno psicopatica.
«Tu sai leggere?»
La domanda sgorgò dalle mie labbra, tinteggiata di sorpresa, e io vidi le sopracciglia di lui sollevarsi perplesse. «Cioè, tu leggi? Leggi davvero? Conosci Jane Eyre e Orgoglio e Pregiudizio? Di solito...» mi bloccai di nuovo, troppo sbigottita per poter proseguire.
«Oh, sì» rispose lui, titubante. «In realtà non sono un grande fan della Austen, ma ho sempre amato le sorelle Brontë. In generale, ho una passione per la letteratura vittoriana.»
Sentii il mio cuore scalpitare e fremere d'emozione più di quanto aveva fatto quando a dieci anni aspettavo con trepidazione la nuova puntata di Don Matteo. Era la prima volta, la prima volta dopo Dio solo sa quanti anni, che mi capitava l'occasione di poter parlare con qualcuno dei libri. Specie un uomo. Specie un Essere Lucente. Specie Biancaneve. «Dickens?» gli domandai.
«Oliver Twist e David Copperfield sono alcuni dei miei tanti libri preferiti.»
«Hai letto Cime Tempestose?»
Il sorriso parziale di Simon d'improvviso si tramutò, sbocciò come una margherita, e il pallore che d'improvviso aveva assalito il suo viso scomparve, tornando a ridare lucentezza alla pelle dorata, bruciante di testosterone. E fu magnifico, semplicemente magnifico, il modo in cui sembrò calmarsi e ritrovare vita in quel semplice istante in cui avevamo iniziato a parlare di libri, quasi anche lui, proprio come me, fosse vincolato a catene di incertezze e imbarazzi che gli impedivano di parlare come avrebbe dovuto.
Ero spaventata, estremamente spaventata, ma in quel momento, la fobia non ebbe modo di sovrastare alla passione di poter condividere finalmente qualche pensiero su quelle storie su cui da tempo desideravo parlare con qualcuno. Odiavo ammetterlo, ma sapevo che la solitudine e il dialogo erano due mondi completamente a parte, la prima poteva rassicurare, ma mai fornirti le stesse capacità del secondo. Perché il piacere, come diceva sempre Megera quand'ero ragazzina, sta nello scambio, non nel monologo di pensieri.
«Ecco, se devi leggere qualcosa per redimerti, leggi Cime Tempestose» ridacchiò lui, con quella leggerezza che trasformava il suo viso in quello di un bambino che aveva appena scartato le figurine della sua collezione Panini. «Ma ti prego, non Orgoglio e Pregiudizio, Elizabeth non è estremamente antipatica?»
«Lo so!» concordai con un verso acuto, soffiando sul naso prima di riprendere a parlare. «Tutti quanti non fanno altro che osannare la sua storia d'amore con Mr Darcy! Quando invece in realtà, al posto di quell'uomo, l'avrei mandata da Don Matteo a farsi fare una predica!»
Simon sorrise di nuovo, un sorriso che riempì le sue guance e raggiunse le orecchie, vidi i suoi occhi brillare di una luce genuina, quasi calma in confronto a quella pazzoide che sicuramente stava invadendo il mio sguardo, ma quando aprì la bocca per rispondermi, tutto ciò che udii invece furono voci che, ahimè, conoscevo molto bene e che, purtroppo, non appartenevano a lui.
«Amò! Amò! Amò! Vieni, vieni! Non ci crederai mai! Guarda chi c'è qua? Guarda chi c'è?» La voce fasulla di un ragazzo, civettuola come non mai, che aveva trapanato i miei timpani per cinque anni liceali.
«Oddio, chi c'è, tesò? Chi c'è?»
«Cassandra, amò, Cassandra Terensi!»
Sentii l'entusiasmo e la gioia raggiunti in quel momento scomparire come aveva fatto poco prima la mia dignità, quando sollevai lo sguardo e lo rivolsi alle scale che conducevano al piano in cui ci trovavamo.
Ai due ragazzi che vi avevano appena acceduto.
Un grumo di saliva si accumulò nella mia gola.
Rodolfo e Maddalena.
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