La supremazia dell'EL


La supremazia dell'EL

A volte, durante il corso della vita, bisognava prendere decisioni fondamentali.

Scegliere fra Charmender, Squirtle e Bulbasaur era una di queste.

Capire se i pantaloni a vita bassa fossero una moda o un tentativo di indurre le ragazze a mostrare le loro mutande un'altra.

Decidere se il pompelmo con lo zucchero fosse buono o continuasse a fare schifo un'altra ancora.

Ora, in quel momento, mi ritrovavo a doverne affrontare una delle peggiori: confessare o meno a Rosaberta che le mie tette presto o tardi si sarebbero trasformate in nuovo Big Bang.

Non ero mai stata così indecisa sulle mie discordanti emozioni da quando avevo visto il trailer di Detective Pikachu.

Avevo tentato svariate volte di parlare con Rosaberta del mio urgente problema, durante la visita di tutta la biblioteca - che mi aveva portato a sbavare più di un San Bernardo -, mentre mi mostrava lo sgabuzzino dentro cui conservavano le prossime uscite e i vari articoli pronti per essere esposti, persino quando mi aveva indicato il bagno, ma con sommo orrore mi ero resa conto di una realtà inaspettata.

Rosaberta era più logorroica di me.

Non lo avrei mai creduto possibile, eppure era davvero così. Ero sempre stata piuttosto sicura che nessuno al mondo avrebbe potuto in alcun modo pareggiare con i miei discorsi deliranti e folli dove dall'argomento Shakespeare passavo alle riflessioni su quanto potesse essere efficace farsi un bagno in una vasca di CocaCola. Oggi, per la prima volta, avevo avuto la conferma di non essere l'unica in grado di realizzare simili paranoie. 

Rosaberta non aveva smesso di parlare nemmeno per un istante, mi aveva raccontato ogni singolo dettaglio della sua vita, della storia della biblioteca, di quando aveva incontrato il suo primo ragazzo, di come si era sentita felice non appena aveva ottenuto la laurea in lettere e tanti altri discorsi dentro cui mi ero persa. Un vortice di pensieri incolmabile che avrebbe fatto impallidire persino il flusso di coscienza di James Joyce.

Lei era la nuova Ulisse.

Avevo passato due ore intere a tentare di simulare tranquillità d'animo, mentre con la mano trattenevo i lembi di stoffa della mia camicetta. Alberto Angela avrebbe potuto tenere un documentario sulle mie dita, tanto si erano fossilizzate. Finalmente riuscivo a capire cosa avesse provato Bran Stark perdendo le sue gambe.

«E quindi... Che te ne pare, Cassandra? Un mese di prova ti pare una buona idea?»

Trattenni il fiato e trattenni le tette, stavo sudando il Nilo e lei sembrava del tutto all'oscuro di ciò. Eravamo comodamente sedute l'una di fronte all'altra, su delle poltroncine allestite al primo piano della libreria, vicino al reparto fantasy degli scaffali. Nell'aria si percepiva profumo di pagine antiche e di saggezza, un odore che avrei voluto imbottigliare per spruzzarmelo addosso durante il corso delle giornate. «Hmm... Sì, non... Non sarebbe male come idea... E a proposito di prova... Rosaberta, avrebbe per caso...»

«Oh, come sei pacata, ragazza mia,  non sei affatto come Elsa» ridacchiò Rosaberta, sventolandosi una mano sul volto. «Lei è sempre stata così schietta e diretta, anche quando eravamo giovani.»

Non mi sentivo più la mano destra, ero piuttosto sicura che se me l'avessero amputata neanche me ne sarei accorta. Le mie tette stavano per esplodere come gli airbag di una macchina e non avevo la più pallida idea di come informare Rosaberta di ciò: avrei desiderato qualunque cosa per nascondere quel problema, persino un pechinese mi sarebbe andato bene.

«Faceva un sacco di figuracce, sai, Cassandra? Era incredibile il modo con cui riusciva ad affrontarle, nessuno osava ridere quando succedeva, perché temeva la sua ira.»

Be', sì, ero già a conoscenza di questa cosa. Avevo già sospettato, nel corso degli anni, che il mio disagio non fosse solo un fattore dovuto alla mia natura ma anche all'ereditarietà, visto e considerato che svariate erano state le volte in cui avevo visto Megera fare terribili figure. Quando avevo dieci anni e Elsa ancora lavorava come professoressa di greco antico al liceo classico - che disgraziatamente avrei deciso di frequentare poco tempo più tardi - si era lamentata con alcuni dei suoi alunni del pessimo lavoro svolto dal suo dentista, definendolo ingrato, inutile e negligente, per poi scoprire che era il padre di uno dei suoi studenti.

Una qualsiasi persona normale, ovviamente, dopo una simile gaffe avrebbe voluto seppellire la testa nella sabbia, supplicare il Padre Eterno di spalancare una voragine ai suoi piedi o di farla divorare dall'Idra nel film Hercules, ma non Megera. Lei, anzi, aveva tenuto la testa alta e aveva affrontato lo studente che aveva difeso suo padre mostrandogli il gonfiore della sua guancia e il pessimo lavoro che aveva compiuto sul suo molare, per poi concludere il resto della lezione discutendo sul significato di "condotta professionale" nell'antica Grecia.

E poi c'ero io: colei che quando aveva beccato una coppia a fare preliminari nel bagno del liceo aveva guardo la stalattite del possente manzone per dirgli "Strano, nei libri erotici lo avevo immaginato diversamente".

«Signora Rosaberta...»

«Signorina Rosaberta, mia dolce Cassandra» mi corresse lei, ancora sghignazzante. «Ho solo sessantotto anni, in fondo.»

Be', nonna Elsa aveva sempre dichiarato che i sessanta erano i nuovi quaranta, ora comprendevo come mai fosse così legata a Rosaberta: entrambe odiavano ammettere di star invecchiando. Era forse per quello che avevo trovato nel cassetto di Megera un completino sexy in pizzetto? Dubitavo lo usasse ancora con qualcuno, visto che da quando era rimasta vedova, prima che io nascessi, aveva avuto a che fare con gli uomini meno di quanto ne avessi avuto a che fare io. Che ipocrita di una Megera.

«Signorina Rosaberta, volevo chiederle se per caso avesse qualcosa con cui coprir-»

«Oh! Mi è venuto in mente solo ora!» esclamò lei, facendomi sussultare nella poltrona in tessuto rosso sopra cui ero seduta. Rosaberta scosse la testa, quasi a volersi rimproverare da sola, per poi tamburellare i polpastrelli delle dita fra di loro. «Elsa mi ha informato del tuo... Problema con gli uomini, mia dolce Cassandra.»

Quelle parole furono più dolorose del game-play di Final Fantasy VII. Non avrei mai creduto che Megera avrebbe potuto assestarmi una coltellata alle spalle in quel modo, con una sconosciuta. La mia fobia nei confronti dei pippolo dotati era conosciuta praticamente a tutti coloro che avevano avuto a che fare con me almeno una volta nel corso degli ultimi quattro anni, ma avrei di gran lunga preferito che una mia papabile datrice di lavoro non venisse a sapere di ciò. 

Avrei voluto negare, mentire spudoratamente e dirle che io ero il Rocco Siffredi delle bacchette di Sambuco, ma sapevo che prima o poi la verità sarebbe comunque venuta a galla. Il mio ultimo incontro con un uomo si era concluso con una me piangente che supplicava Rita Levi Montalcini di realizzare una formula con cui rendere invisibili ai miei occhi coloro che non erano vongole-muniti. 

«Io... be', ecco...» Mi passai la lingua sulle labbra asciutte, mordendole con la furia degli incisivi. «Ho... Ho... Un piccolo problema con gli uomini.»

"Piccolo" era l'eufemismo del secolo dopo la dichiarazione di Trump di non esser razzista, ma non era necessario che lei ne venisse a conoscenza. Per lo meno, non era necessario che venisse a conoscenza di tutta la verità, se desideravo ottenere quel lavoro.

«Ti senti a disagio con loro?»

Mi sforzai di sorridere nella mia migliore espressione di tranquillità, ma tutto ciò che ne uscì fu il risultato di It col suo inquietante palloncino. «Be'... Un po'...»

«Oh, tesoro, posso immaginare. Noi donne siamo sempre state vittime degli uomini per così tanti secoli, sei una ragazza timida e introversa, comprendo bene i tuoi timori...» Non avevo idea da dove avesse intuito che fossi timida e introversa - perché tutto si poteva dire di me tranne che quello -, né del motivo per cui la mia ammissione di colpe l'avesse commossa al punto da farle luccicare gli occhi di lacrime e da indurla a stringermi entrambe le mani come se fossi stata la vittima di una guerra. Megera mi aveva informata che Rosaberta sapeva essere melodrammatica, quando lo voleva, eppure non avrei mai immaginato fino a questo punto. «Be', non ti preoccupare, mia cara, troveremo una soluzione. Tu sei perfetta per questo lavoro: conosci così tanti libri e sapresti muoverti benissimo in questo locale, per aiutare i clienti. L'altra ragazza che lavora qui, Tamara, è molto comprensiva. La clientela qui è principalmente femminile, sono sicura che Tam non avrà problemi ad occuparsi dei pochi uomini che arriveranno qui, al posto tuo.»

Finalmente compresi cosa provassero i poveri dell'America quando ricevevano l'assicurazione sanitaria: sollievo. Puro e semplice sollievo.

Niente uomini, niente pippolo-dotati, nessuna spada laser contro cui combattere.

Sarei stata libera, libera, libera!

«Tuttavia, Cassandra, c'è una cosa di cui ti devo informare...»

Rosaberta era Harry Potter, io Dobby l'elfo, e lei mi aveva appena consegnato il calzino della libertà. Cassandra era un elfo libero! Libero! Libero!

«Pensi di potercela fare? Non voglio assolutamente che tu ti costringa... Cassandra?»

«Sì! Sì!» strillai come una matta, rischiando di dimenticarmi dell'urgenza tette e di saltarle addosso per stritolarla. «Certo che ce la faccio! Certo! Non ci sono problemi!»

«Anche se ci sarà...»

«Va benissimo! Assolutamente! Nessun problema!» Avrei potuto tollerare la presenza di un paio di uomini nella libreria, fintanto che non dovessi avere a che fare con loro per un tempo prolungato e fintanto che non mi toccassero, sfiorassero, parlassero o guardassero. «Posso farcela! Non ci sono problemi! Quando inizierà il mese di prova?»

Rosaberta, a quel punto, sorrise, felice quasi quanto me. Ci sollevammo in piedi assieme, lei con le lacrime di commozione agli occhi, io con le tette trattenute con la mano. «Direi che possiamo iniziare anche da domani, non trovi? Il tuo turno inizia alle sette e mezza del mattino» mi informò, mentre insieme scendevamo le scale a chiocciola per giungere al piano terra della libreria. La seguii pimpante e allegra, più entusiasta che mai.

Libri, libri, libri. Sarei stata circondata da libri per tutto quel meraviglioso tempo, non avrei corso rischi di nessun tipo in mezzo a loro. Sarebbero stati il mio scudo e la mia spada per combattere le forze del male: i mostri dotati di cromosoma XY.

«Ti farò avere il contratto da firmare per domani mattina» mi rassicurò lei, mentre si sistemava dietro il bancone della cassa per risistemare alcuni fogli posati sopra di essa. «Son sicura che ti troverai a tuo agio qua dentro, Cassandra. Tamara sarà felicissima di conoscerti, è da mesi che si lamenta di essere l'unica a dover fare i lavori pesanti qua dentro.»

Erano passati parecchi anni dall'ultima volta che avevo avuto a che fare con un'altra persona, che non fosse all'interno della famiglia, con cui interagire. Non era qualcosa che mi mancava particolarmente, lo ammetto, era anzi una scelta che avevo compiuto da sola, in un momento in cui sentivo di aver bisogno solo di me stessa e della mia solitudine; ma ora, a distanza di anni, percepivo il turbamento di non aver nessuno da contattare la sera o qualcuno con cui parlare e chiacchierare dei propri hobby.

Ero piuttosto sicura che Megera avesse intuito tutto ciò. Da brava arpia qual era, aveva sicuramente notato il mio malessere, e benché una parte di me continuasse a detestarla per la sua natura da strega del mare, un'altra non poteva biasimarla per la decisione che aveva preso di costringermi a uscire.

In fondo, lavorare per quella libreria non sarebbe stato poi così male. Avrei potuto persino impedire alle tredicenni in fase prepuberale di comprare Cinquanta sfumature, After o Paper Princess. Quella era una missione vitale per la salvezza dell'umanità, non mi sarei mai potuta tirare indietro. 

«Molto bene, allora ci rivediamo domani, va bene, Cassandra?»

Ero piuttosto sicura che il sorriso che sgorgò dalle mie labbra, in quel momento, fosse drammaticamente simile a quello di Dario, quando aveva scoperto l'esistenza dei pupazzi con cui sfogava la sua repressione sessuale.

Dopo aver dato una stretta vigorosa alla mano di Rosaberta - quella sana, la monca, ormai, era fossilizzata alla camicia -, mi diressi gongolante alla porta d'ingresso nella libreria. Il mondo, improvvisamente, si era tinto di rosa, vedevo arcobaleni, unicorni volanti e acquatici e persino la cometa dei re magi, tanta era la mia soddisfazione. 

Afferrai la maniglia dorata della porta e la spinsi, canticchiando fra me e me la versione porno de "La donna immobile", insegnatami dalla mamma quando era ancora viva e Megera non poteva sgridarla per aver dissacrato le mie orecchie con tutte quelle parolacce e volgarità.

«La donna immobile, sul letto stava, col mignolino se la grat-»

Fu allora che avvenne.

L'incidente.

L'incontro che mai nella vita avrei voluto accadesse.

Proprio come nei romanzi rosa pieni di cliché o negli shoujo manga famosi per mancare di originalità, il mio corpo andò a sbattere contro quello di un altro non appena misi piede fuori dalla libreria e la porta si richiuse alle mie spalle.

Fu un colpo duro e doloroso, le ossa e i muscoli si schiantarono contro un masso gigantesco, dalla struttura marmorea che mi indusse a domandarmi se per caso avessero momentaneamente spostato la locazione della statua di Vittorio Emanuele II.

Il rimbalzo di quel trauma fisico riecheggiò nel mio corpo, la mano che tratteneva la cascata delle tette si staccò, finalmente libera da quella prigione di dita. La testa mi girava a causa del colpo, quasi scorsi il fantasma di Severus Piton mormorarmi contro "potrei vomitare",  prima di percepire il tocco saldo di una mano sulla mia spalla che, con efficienza, bloccò la caduta che avrebbe ben presto intrapreso il mio corpo.

«Mi scusi, mi dispiace, non l'avevo vista uscire e...»

Quella voce.

Non c'era ombra di dubbi.

Il mio cuore raggelò all'istante, mi trasformai in una statua di ghiaccio, percepii chiaramente gli ultimi respiri abbandonare le mie labbra e dissiparsi insieme alla mia anima.

«Si sente bene, signorina? Le ho fatto del male da qualche parte? Mi dispiace tantissimo, non volevo...»

Quella.

Voce.

Era. 

La.

Voce.

Di.

Un.

Uomo.

UN.

UOMO.

Meccanicamente, mi ingobbii. Percepii il peso di tutta una vita schiantarsi contro le mie spalle. Nella mia mente riecheggiò solo l'allarme anti-uomini, ormai in preda a feroci atti di delirio.

"ATTENZIONE! ATTENZIONE! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE! RIPETO: QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE! PIPPOLO DOTATO A ORE DODICI! RIPETO: PIPPOLO DOTATO A ORE DODICI! PREPARARSI PER LA FUGA! PREPARARSI PER LA FUGA!"

Delle scarpe nere si stagliavano ai miei piedi, tragicamente mi resi conto di non esserne io la proprietaria. Quelle scarpe appartenevano a un corpo troppo alto e troppo grande perché potesse appartenermi. Deglutii rumorosamente, sollevai con terrore il capo, pian piano, analizzando tutto ciò che mi si stagliava davanti agli occhi.

Dei jeans perfettamente stirati, su delle lunghe e muscolose gambe.

Un torace ampio, teso e gonfio di muscoli non troppo pompati, bensì sufficientemente allenati per poter tendere il tessuto bianco di quella t-shirt dalle maniche corte.

Braccia toniche, dalla pelle dorata, bicipiti forti da sollevatore di patate.

Infine, vidi il volto.

Fu l'errore fatale.

L'avada kedavra che avrei volentieri evitato.

Perché il possessore di quel corpo non era un semplice uomo, no.

Era un EL.

Un Essere Lucente.

Una creatura mitologica, una leggenda metropolitana a cui non avresti mai creduto fintanto che non la incontrassi di persona. 

L'EL era in cima alla piramide della bellezza: era colui che faceva piangere Rocco Siffredi e induceva Chris Hemsworth a dubitare del suo fascino da sbattitore col martello. Capitava raramente di incontrarne uno, e le volte in cui accadeva qualunque umile essere umano si sarebbe sentito un mero oggetto, paragonandosi a lui. 

Un essere umano appartenente al partito PB (Popolazione Brutta), come me, invece, sarebbe crollato nel delirio della crisi mistica. 

L'uomo che avevo davanti era un Essere Lucente, forse il Re degli Esseri Lucenti. Splendeva come il sole, come Edward Cullen al mattino, brillava di pura sensualità e fascino. La mascella volitiva, coperta da un sottile strato di barba, il naso dritto, le labbra carnose, e quel volto simmetrico dentro cui erano intrappolati occhi splendenti come la foresta amazzonica, mi fecero capire, per la prima volta, cosa significasse venir divorati dalla paura vera e propria.

La mia fobia per gli uomini era una fobia particolare, me ne rendevo conto, e nel corso degli anni ero riuscita a comprenderne le modalità e le particolarità, al punto da poterne ricavare persino un teorema.

Il Teorema XY.

"La paura verso i pippolo-dotati è direttamente proporzionale alla loro bellezza e inversamente proporzionale alla loro età".

Fissai quei boccoli dorati, quelle ciocche bionde che ricadevano sul volto meraviglioso dello sconosciuto, un viso che Michelangelo avrebbe pagato per poter ritrarre in uno dei suoi quadri. Osservai i suoi occhi verdi, splendenti smeraldi che lo rendevano l'uomo più sexy del mondo, e in quell'istante li vidi mentre a loro volta osservavano me, fra il cipiglio e la confusione.

Poi, scivolarono verso il basso.

Un rossore acuto si diffuse sulle gote dello straniero, andando a macchiarne persino la punta delle orecchie, visibile grazie alla piccola coda di cavallo che aveva realizzato con un elastico. 

In quell'attimo, ricordai.

"ALLARME! ALLARME! ALLARME! LE TETTE! ALLARME TETTE! LE TETTE SONO USCITE ALLO SCOPERTO! LE TETTE SONO USCITE ALLO SCOPERTO NEL TENTATIVO DI SEDURRE! ALLARME! ALLARME! ALLARME! CLICCARE SULL'OPZIONE STERMINIO DI MASSA, SUBITO!"

I neuroni del mio cervello implosero nel momento stesso in cui i miei occhi caddero su ciò che lo sconosciuto stava osservando fra l'imbarazzo e il disagio più totale.

I miei airbag erano completamente esposti.

Avevo liberato la mano per colpa dello schianto contro il suo corpo e ora i lembi della camicia si erano aperti, inducendo gli altri bottoni a esplodere e schiantarsi per terra come dei proiettili. Ed eccolo lì: il mio torace, esposto come il pippolo di un neonato quando veniva mostrato dai genitori ai suoi parenti.

Era visibile tutto, ogni cosa. La superficie nera del reggiseno, lo strato di pancia, i peli sull'ombelico, persino la voglia a forma di muffin sgonfio e rovinato sul fianco destro.

La mia mente andò in tilt.

Il cuore si fermò, ormai pronto per il suicidio.

Il fegato si strizzò, supplicando litri e litri di alcool per dimenticare quell'evento.

Le mongolfiere nel mio petto vibravano per l'imbarazzo.

«Mi dispiace, io... Scusami, ti giuro che non guardo. Te lo giuro, io non...»

Sentii qualcosa spaccarsi in me, non appena udii quelle parole venir pronunciate dalla voce più sexy del pianeta dopo quella di Alberto Angela.

Probabilmente la mia dignità umana e quel poco di sanità mentale che mi era rimasta.

Compresi finalmente perché molti Pokemon selvaggi utilizzassero l'opzione fuga durante un combattimento. 

Quella mano sulla mia spalla era ancora lì: calda, dura, decisa.

Semplicemente terrificante.

«Aspetta...» balbettò il ragazzo, senza comprendere che, per causa sua, io avevo appena perso la mia anima. «Forse ho... Forse ho con me una giacca con cui potrai...»

Non riuscii più a trattenermi, era praticamente impossibile. Nella mia testa c'era il grido della terza guerra mondiale e le urla dei miei neuroni che stavano morendo, resistere un minuto di più ad ascoltare la sua voce e a sentirne la presenza addosso era una scelta impossibile da prendere.

Perciò presi quella più facile.

L'unica che mi avrebbe portata al sollievo.

Opzione fuga.

«No! No! No!» strillai, ormai fuori di me, la voce che graffiava la mia gola rendendomi più simile a una donna che stava partorendo tre caschi da baseball, piuttosto che una ragazza con gravi problemi di socializzazione. «Non mi toccare! Vattene! Non guardare! Pervertito! Queste tette sono sacre! Io sono come la Madonna e l'unico che può toccarmi è Dio: ovvero Alberto Angela!»

Detto questo, fuggii, proprio come aveva fatto il Pidgeotto che, da bambina, avevo tentato di catturare in Pokemon Rosso.

Ero confusa, estremamente confusa.

Così confusa da colpirmi da sola.







Nota autrice:

Bentornati nel delirante mondo di Cassandra!

Con questo capitolo, avete potuto avere finalmente a che fare con quello che sarà - con grande dispiacere di Cassie - un personaggio fondamentale della storia. Penso sappiate tutti chi sia, il nostro sconosciuto Essere Lucente, dall'aria divina che, tuttavia, penso sia già evidente possegga un carattere... forse non proprio così lucente.

Ovviamente, come sempre, lasciate una stellina e/o un commento, se viva, per farmi sapere che ne pensate! Grazie comunque per star leggendo questa storia!

Vi ricordo che per piccoli spoiler, informazioni sugli aggiornamenti e le prossime uscite, potete trovarmi su instagram con l'account ---> sasha_nye_wattpad

A presto!

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