Giovanna D'arco

Angolo autore

Oh, ma che, pensavate che fossi diventata Mark Caltagirone?

La mia voglia di andare in palestra?

La dignità di quegli imprenditori che ti offrono un contratto con due euro all'ora, dodici ore al giorno, senza giorno di riposo e che si lamentano di non trovare personale?

Pensavate tutto questo?

Avevate ragione.

Sono scomparsa, dispersa, perduta. E così era scomparsa la mia voglia di fare battute, di ironizzare, di Cassandra.

Ma so tornata, Muffins.

So tornata.

Ce l'ho fatta.

E vi domanderete voi: ndò minchia eri, Simò?

Ero in compagnia di una delle più grandi e bastarde compagne di vita: Miss Depressione, che si stava rifocillando di me, che mi stava magnando come io magno la Domenica a pranzo da mia nonna.

C'aveva fatto il trono sulla mia testa, e schiavizzava tutti quanti che le venivano attorno. S'era messa pure la corona.

Ma a un certo punto mi so incazzata, e l'ho cacciata via. Non se n'è andata davvero, ma per ora la sto tenendo a bada, come un cagnolino sta al guinzaglio e io la tengo stretta, strettissima. Si sa mai. Perché anche Miss Depressione in realtà è un bad boy: ti tratta di merda ma comunque tu in qualche modo ci finisci legata, diventi la Hope Summer Destiny di turno.

Che trash, lo so.

Ad ogni modo, eccoci qui! CASSANDRA IS BACK, e questo è tutto quello che conta.

Non scrivevo cose ironiche da un fottio di tempo, spero di non aver perso il mio smalto. Fatemi sapere che cosa ne pensate, mi raccomando!

Ah, un'altra cosa.

*Momento pubblicità*

Siete stanchi dei soliti bad boy che vi rovinano l'appetito?

Stanchi della solita Speranza Estate Destino che deve essere salvata?

Ecco a voi: RETTH WOODS.

Il cieco good boy del mio libro, che potete trovare su amazon, dal titolo Moonlight lullaby! Retth è cieco, ottimista, buono e un gran pervertito! E non solo, ha il vantaggio di possedere non uno, ma ben due bastoni: uno gli serve per vedere, l'altro gli serve per bombar-NO, SIMONA, NON FARE SPOILER!

Se siete interessati, passate a dare un'occhiata su amazon!

E detto questo, vi lascio alla storia!

SCIAU.

*




Avevo deciso.

Era stata una scelta difficile da prendere. Molto, molto difficile. E a dirla tutta, piuttosto che prenderla avrei preferito rileggermi tutta la serie di Uno splendido disastro, o farmi un rewatch di Paso Adelante. Persino vedersi Dragonball Super non sembrava un'idea così cattiva, a confronto con quella che c'era adesso nella mia testa.

Ci sono dei momenti, nel corso della vita, in cui bisogna prendere delle decisioni che sai esser sbagliate per te ma giuste per il resto del mondo, e di cui, perciò, non puoi fare a meno. Come leggere libri trash per recensirli e avvertire le povere anime innocenti sul perché è meglio non avvicinarsi a loro, o mangiare tutto il barattolo di Nutella per impedire a tua sorella di ingrassare, o andare volontario a un'interrogazione a scuola per salvare tutta la classe.

Quello, ora, era il momento per cui io avrei sacrificato la mia asocialità e la mia attività cerebrale per salvare Simon.

Glielo dovevo, in fondo, dopo tutto quello che era successo. A partire dall'incidente con le mie tette, lo scontro Tampax vs Occhio, lo scambio dei quaderni, il pranzo di famiglia, le battute imbarazzanti di mia sorella e...

Troppe cose.

Glielo dovevo.

Tutte le mini Cassandra dentro la mia testa concordavano su questo, persino le più restie ad avvicinarsi a lui, ben consce del fatto che tra le gambe portasse un flauto diverso da quello della Mulino Bianco, con cui avrebbe potuto sedurre qualunque donna. Ma anche così, mi era impossibile negare che ero più in debito io con Simon che la Grecia con l'Europa.

Certo, avrei potuto aiutarlo in tanti altri modi che non comprendessero quell'immane sacrificio nei miei confronti. Avrei potuto comprargli la versione illustrata di L'ombra del vento, o un secchio in cui immergere Principe Vileda per lavare i pavimenti, oppure un montaggio di video di criceti che cadono mentre corrono sulla ruota, tuttavia stavolta era stato lui, proprio lui, a chiedermi il suo aiuto.

E io non potevo ignorarlo, nossignore, non avrei mai potuto ignorarlo come i negazionisti ignoravano tutte le prove storiche della Shoah. Ero una persona con un codice morale, trasmesso dalle antiche tradizioni siciliane di famiglia.

Simon aveva chiesto il mio aiuto e io gli avrei dato una mano.

Tuttavia, dovevo ammetterlo, era stato difficile capire da dove cominciare. Io e la palestra eravamo due poli opposti, come Renzi e l'umilità o Fontana e la legalità. L'ultima volta che avevo visto una palestra al suo interno era stato quando ancora andavo al liceo e la classe era stata costretta a prendere lezioni di nuoto durante le ore di educazione fisica. La piscina era situata proprio al fianco di uno di quei luoghi di fitness, e ricordavo ancora l'orrore che avevo sentito addosso, nello scorgere quella mandria di persone sudare e affaticarsi e pagare pure per farlo.

L'unico tapis roulant con cui avevo mai avuto a che fare era il tappetino scorrevole dei banchi dei supermercati, e l'unica attività mai svolta con serietà da parte mia era far correre il mio indice e medio nel senso contrario di suddetto tappetino.

Quindi, subito era sopraggiunta la domanda: come avrei potuto aiutare Simon, io che di palestre ne sapevo quanto Piton ne sapeva di amore corrisposto?

Avrei potuto guardare su internet, ma in realtà diffidavo molto delle recensioni che trovavo là dentro. Era stato per colpa di una recensione positiva che mi ero ritrovata a comprare Paper Princess, in fondo.

C'era solo un'alternativa.

Un'alternativa che avrebbe comportato il sacrificio della mia dignità, sanità mentale e purezza.

Ne valeva la pena per Simon?

Diavolo, era un Orsetto del cuore. Certo che ne valeva la pena.

Inspirai a fondo, contai fino a cento, e subito nella testa sfrecciarono treni di maledizioni che sapevo avrei presto trasportato nei miei quaderni proibiti.

Non lo volevo davvero fare, ma era giunto il momento.

Una sola persona avrebbe potuto saperne qualcosa di palestre.

Una sola.

Lo spacciatore di lattine, il serial killer di comicità, il ladro di linguette, l'assassino del mio intelletto, il ricattatore.

Essere Lucente 2.

Era un dato di fatto che non avrei potuto negare: Vincenzo era uno gnocco.

Non un semplice gnocco, dal visetto bello, era un ragazzo alto e muscoloso, allenato. Il mio radar antiuomo aveva strillato più della Meloni in Parlamento quando aveva visto quell'ammasso di muscoli che si portava addosso con la stessa semplicità con cui Megera ricordava i gossip di tutto il paese. Di certo non gli erano cresciuti naturalmente, a meno che un ragno non lo avesse morso un giorno e all'improvviso, come Peter Parker, non avesse scoperto di non necessitare più degli occhiali da vista e di avere la tartaruga di Nemo al posto della pancetta.

Lui di sicuro conosceva qualche palestra buona dove recarsi, anzi, ero certa che fosse un grande intenditore di quei posti, magari era proprio lì che andava a caccia di babbà da inzuppare nel suo sacro rum. Riuscivo già a immaginarmelo mentre si avvicinava a una ragazza su un tapis roulant per chiedergli con voce profonda: «Are you lost, baby girl?».

O forse preferiva provarci con le personal trainer? Sì, era molto probabile. Magari mentre loro gli impostavano la tabella di marcia, lui coglieva l'occasione al balzo per filtrare. «Pilates, dici?» avrebbe risposto. «Perché non mi pilatis un po' tu, biscottino?»

Brrr, avevo i brividi al solo pensiero.

C'era un solo problema.

Per chiedergli quell'informazione avrei dovuto chiamarlo.

E la mia voglia di farlo rasentava lo zero, era equiparabile a quella di Mattarella di fare per la seconda volta il Presidente della Repubblica. Dover chiedere aiuto a quel cretino lì, fra tutti, mi mandava in bestia, ma che altre opzioni avevo? Non conoscevo nessun altro a cui chiedere. Megera la strega come attività fisica faceva unicamente gossip con le altre vecchiette, mentre mia sorella quasi sicuramente mi avrebbe suggerito di fare allenamenti alle braccia con il vibratore acceso al posto dei pesi. Di amici non ne avevo, e di certo non avrei potuto iniziare a chiedere consiglio su internet, io che non mi fidavo nemmeno del mio riflesso, figurarsi degli sconosciuti.

Anche perché, a dirla tutta, i consigli su internet erano sempre poco affidabili.

Ti si è ghiacciato il vetro della macchina?

Usa il martello per rompere il ghiaccio.

Hai fatto sesso non protetto?

Usa il soffione della doccia, punta il getto nel tuo occhio di Sauron e inizia a scuotere le anche. Sarà come pulire un barattolo di marmellata con l'acqua.

Quindi EL 2 era l'unica risposta.

EL2, sei la mia ultima speranza.

Ma Dio, se non lo volevo fare.

Come non volevo farlo!

Sentivo che quel gesto avrebbe messo a repentaglio l'ultimo spiraglio di lucidità che mi era rimasta, ma che altre opzioni avevo?

È per Simon, mi dissi, è per l'Orsetto del cuore, per lui soltanto, se lo merita.

Fissai il poster gigantesco di Alberto Angela appeso alla mia parete, per rincuorarmi, e tirai un grosso inspiro. Di aria ne avrei avuto bisogno molto, soprattutto in quel momento.

Cercai il numero sulla rubrica con una lentezza allucinante, pari al tempo che ci volle per il Parlamento per accettare le Unioni Civili. Quando lo trovai, rimasi per qualche minuto col pollice sospeso sopra la cornetta verde.

Per Simon, mi ripetei, per l'Orsetto del cuore, il pan di spagna di dolcezza, il cioccolatino perugina, il marshmallow, il pan bauletto.

Cliccai.

Gli squilli si ripeterono nella mia testa con lo stesso ritmo della Marcia Funebre di Dart Fener, riuscivo quasi a scorgere quest'ultimo avvicinarsi a me con passo calzante.

Poi, la voce:

«Biscottino!»

Persino i miei reni ebbero i brividi nel sentire quell'appellativo.

«Non sono Biscottino» declamai a gran voce, già irritata.

«Come vuoi che ti chiami, allora: principessa?»

Dio, era persino peggio! Mi faceva venire in mente il brutto ricordo di quando da bambina, per carnevale, Elsa mi costrinse a vestirmi da Cenerentola, ma per via della mia carnagione e dei miei capelli tutti gli altri bambini si misero a prendermi in giro. Io come Cenerentola ero affidabile quanto Renzi come di sinistra.

«Non puoi chiamarmi semplicemente Cassandra?» esalai infine. Certo, avrei preferito che non mi chiamasse proprio, nemmeno per sbaglio, ma quella situazione oramai era inevitabile, tanto valeva cercare di arginare il più possibile il danno.

«Hmm... no» chiosò lui con voce soave, «mi sentirei troppo distante da te, e io ti voglio sentire vicina, se capisci quello che intendo.»

Rabbrividii come Silvana De Mari accanto a un appartenente alla comunità LGBT+. L'unico modo in cui lo avrei mai voluto vicino era solo se lui fosse stato accanto a un burrone, perché allora lo avrei spinto giù.

«Sì, credo che continuerò a chiamarti Biscottino» continuò. «Mi piace troppo, e poi, secondo me, ti si addice.»

Mi si addiceva, secondo lui? E perché? Perché aveva capito che quando salivo sulla bilancia quest'ultima si metteva a piangere e a urlarmi contro: "sei così grassa che fra poco ti si creeranno dei satelliti attorno?" O per le mie guance grandi quanto due Chopper? Era il suo modo indiretto per insultarmi?

«Allora, Biscottino, perché mi hai chiamato?»

Impiegai tutte le mie forze ed energie per non chiudere lì sul momento la chiamata. Mi promisi che come premio per aver superato quella sfida mi sarei rivista la puntata di Ulisse su Nerone. Mi sarei preparata i popcorn e avrei stretto per tutto il tempo il mio cuscino a forma di nuvola Speedy. Dovevo resistere per un po', solo per un altro po'.

«Io...» Aggrottai la fronte. Il pensiero di dover dire "ti devo chiedere un favore" mi uccideva dentro, un po' come era accaduto alla dignità di Amber Heard quando l'accusa aveva portato tutte le prove contro di lei. «Senti...»

«Dimmi pure, Biscottino.»

La sua voce.

La sua.

Dannata.

Voce.

Dio, quanto la odiavo. La odiavo con tutta me stessa, la odiavo come Joyce odiava i punti e Pillon l'inclusività. La addolciva apposta, a mo' di presa per il culo, e si poteva subito intuire dal tono che si stava divertendo un mondo a sentirmi soffrire in quel modo.

Le mini Cassandre urlavano e strepitavano a gran voce di chiudergli il telefono in faccia e iniziare a scrivere anatemi maligni sul suo conto sul quaderno delle maledizioni, ma forte fu la voce dell'unica mini Cassandra ancora in stato di semi coscienza. Si avvicinò alla lavagna e ci batté la mano sopra. Fu allora che tutte le altre si accorsero di ciò che vi era stato appeso: un santino di Simon, con l'aureola attorno ai capelli biondi e tra le mani il sacro cuore di Iron Man.

Lo avrei mandato a fanculo, un giorno, ma non era quello il giorno.

«Senti» ci riprovai con più determinazione, «hobisognochemidicidovetrovareunabuonapalestra.»

Lo dissi il più velocemente possibile, attaccando tutte le parole e senza respirare. Per qualche motivo trovavo tutta quella situazione umiliante, e una parte di me sperò quasi che non avesse capito, ma la fortuna non mi assistette, il destino volle burlarsi di me fino in fondo, perché a quanto pareva EL2 non solo disponeva di un fascino capace di creare sentieri di mutandine al solo suo passaggio, ma possedeva anche un super udito degno di Clark Kent.

«Una palestra?» ripeté, sorpreso. «Vuoi che ti dica il nome di qualche palestra buona?»

«Sì!» esclamai. «Tu le frequenti, vero?»

«Sì, le frequento, ma come fai a saperlo?»

Lo sapevo, ah! Ne ero certa! Il mio fiuto per gli Esseri Lucenti non si era indebolito col tempo! «Intuito femminile» risposi monocorde.

«Non sapevo che ne avessi.»

«Ne ho avuto abbastanza per colpirti alle palle.»

«Ah-ah, vedo che quella boccuccia continua a sapere come rispondere!» Sembrava più che mai divertito, e la cosa mi irritava ancora di più. «E perché avresti bisogno di conoscere una palestra? Non mi sembri il tipo da volerci andare.»

Era davvero così evidente, eh? Be', non potevo biasimarlo per quello. Si vedeva lontano un miglio che il massimo che potevo diventare io era sollevatrice di discussioni e lamentele e maratoneta di serie tv e film. Già solo sollevarmi dal letto la mattina per me poteva essere considerato uno sport estremo, ai limiti della decenza umana.

«Non sono affari tuoi.»

«Be', se non sono affari miei, non vedo perché dovrei dirtelo.»

Ebbi l'impulso di scagliare il telefono contro la parete, ma poi mi ricordai che per comprarmene un altro Megera mi avrebbe privata della frittura e dei cannoli per tutto l'anno. Perciò rimasi immobile, deglutii con forza. «È per... per un amico.»

«Il tuo fidanzato?»

«Non ho fidanzati!»

«Hai ragione: è per il tizio che guardi come Pillon guarda la famiglia tradizionale?»

Rimasi interdetta dalla battuta, non tanto per la battuta in sé, quanto per chi la stava facendo. Arrivai dopo a capire il suo contenuto. «Non lo guardo così. E non c'entra lui» mentii.

«Hmm... non lo so, Rick, mi sembra falso» proseguì, con il tono di voce di uno che se la stava godendo alla grande. «Non ci vedrei nulla di male a darti il nome della palestra, per il tuo non-fidanzato-ma-ragazzo-che-vuoi-limonare-»

«Ti ho detto di no!»

«Okay, facciamo così, te lo do, ma a una condizione.»

Oddio, no.

Le condizioni, no.

Era proprio a causa di una condizione se io ero nata. "Starò con te, ma a una condizione: non usiamo il preservativo." Ed ecco vent'anni dopo Cassandra Terensi. Non ero la prova esemplare del fatto che le condizioni fossero una pessima idea? Specialmente quando a farle era un Essere Lucente?

«Cosa vuoi?»

«Semplice» canticchiò, «che ci vai anche tu.»

Per qualche secondo pensai di aver sentito male.

«Tu vuoi che faccia cosa?»

«Che vai in palestra anche tu.»

«Io?»

«Tu.»

«Io in palestra?»

«Tu in palestra.»

«La condizione perché tu mi dia il nome della tua palestra è che ci vada anche io?»

«Esattamente.»

Era pazzo.

Era fuori di testa.

Nessuno mi aveva mai chiesto tanto.

Era un impegno persino più grande del matrimonio.

Dei figli.

Del leggersi One Piece e tenersi aggiornati coi nuovi capitoli.

Lui stava chiedendo a me di andare in palestra? Ma era impazzito? Eppure doveva sapere che al liceo ero famosa per evitare in qualsiasi modo le ore di educazione fisica. Passavo dal fingere dolori muscolari improvvisi alla morte inaspettata di qualche prozio in America Latina. Una volta feci perdere la squadra di pallavolo della nostra classe perché avrei dovuto prendere il pallone in tempo, ma era a tre metri da me, troppo distante, era troppo faticoso raggiungerlo, perciò decisi di rimanere ferma. Oppure, un'altra volta, quando mi misero a proteggere la porta a calcio, per evitare di saltare perché era troppo stancante e parare il pallone, mi mi semplicemente sulle punte e parai il colpo con la faccia, perché anche sollevare le braccia era troppo lavoro.

Ovviamente la squadra avversaria fece goal.

«Non posso» dichiarai subito.

«Perché?»

«Ho una malattia grave.»

«Per caso questa malattia si chiama "mi pesa il culo"?»

Era sagace, non potevo negarlo.

«In palestra ci sarebbero molti uomini» aggiunsi.

«Sì, ci sarebbero.»

«Motivo in più per non andarci.»

«Saranno tutti troppo presi dai loro allenamenti per badare a te.»

«Esistono, è questo il problema.»

«Anche Simon esiste, ma non mi sembra che per te sia un problema.»

Se non lo era? Quasi avrei riso per l'assurdità dell'affermazione. Era da quando avevo incontrato Simon che la mia vita aveva preso una direzione tutt'altro che voluta. Ogni giorno le mie Ovaie cercavano in qualsiasi modo a convincermi a copulare con lui, Cuore era al punto di avere un infarto e Fegato stava facendo la stessa fine di Haymitch di Hunger Games, scolandosi bottiglie d'alcool una dopo l'altra. Avevo l'Esercito di Cassandre che lo aveva eletto a nuovo santo. San Simon dell'Australia. Fra poco lo vedevo pure in sogno, e secondo lui non era un problema?

«Simon è un amico, non c'entra» mi difesi alla fine.

«Ah-ah! Quindi riesci a farti degli amici, eh?»

Che bastardo! Avrei voluto prenderlo a schiaffi! Dargli più pugni di quanti se ne dessero ne Le bizzarre avventure di JoJo. Lui era il mio acerrimo nemico. Il mio Dio Brando.

«Allora perché non diventiamo amici anche noi due?»

«Pensi che questo sia un romanzo trash dei nostri tempi? Che solo perché sei figo io ti perdonerò per starmi ricattando persino in questo momento? Pensi che mi chiami Selene? Hope? Ella? Vanessa? Anastasia? Tessa? Bella?»

«E tutte queste chi sarebbero?»

«Buon per te che non le conosci, ma no, non mi chiamo così. Io sono Cassandra Terensi, e ripudio il bad boy, questa anima non agisce col favore delle tenebre

«Non ti stai scaldando un po' troppo?»

«Mi scaldo sempre quando si tratta di bad boy.»

«Ecco perché ti piace così tanto Simon, allora. Ha proprio l'aria del bravo ragazzo.»

Più parlavamo, più lo odiavo.

«Perché continui a parlare di Simon? Ti ho detto che non c'entra niente.»

«Certo, certo. Allora senti, facciamo così» propose, «un mese, ci andrai solo per un mese.»

«Sono povera, non posso permettermelo.»

«Questa palestra offre un periodo gratuito di un mese.»

«Perché ci tieni così tanto che io vada in palestra? È per caso il tuo modo di dirmi che sono grassa? Guarda che lo so già che sono cicciona, ma mi accetto così come sono. La mia trippa è come una figlia per me. La amo come Majin Bu ama la cioccolata e Tanjiro sua sorella.»

«Il problema di quando parlo con te è che non capisco quasi mai le tue citazioni.»

«Perché sei un ignorante.»

«Non è un mio modo per dirti che sei grassa, il motivo per cui voglio che vai in palestra è perché così ci andiamo insieme.»

Aggrottai la fronte.

Io insieme a un Essere Lucente in palestra.

Era come mettere un bassotto al fianco di un Main Coon in un gattile.

Come mettere Mister Satan accanto a Goku.

Un panzerotto al forno a uno fritto.

Il pane umbro senza sale a quello di Altamura.

Qualunque futuro immaginassi, finiva sempre con me che morivo male.

«A quale scopo?»

«Per fare amicizia.»

Non risposi.

«Andiamo, perché Simon sì e me no?»

«Simon non mi ha mai ricattata, prima di tutto.»

«Touché, ma non ti ha mai neanche offerto delle lattine.»

«Di cui ti sei fregato tutte le linguette.»

«Tanto a te non servivano.»

«Perché vuoi fare amicizia con me?»

«Chi vivrà vedrà, in libertàààà» cantò all'improvviso. Il suo modo di evadere le domande era senz'altro originale. «Allora, che te ne pare?»

«No.»

«Una volta» mi propose. «Vacci solo una volta con me, e poi puoi decidere da sola se proseguire o no. Se ti fa sentire più al sicuro, puoi invitare anche Simon.»

Due Esseri Lucenti insieme al mio fianco? Un sogno erotico per molte ragazze, un incubo straziante per me. Però era anche velo che tra i due mali bisognava sempre scegliere minore, e fra un Vincenzo Fiorenzo e un Simon Orsetto del Cuore sceglievo a occhi chiusi Simon.

Lo fai per lui, lo fai per lui, lo fai per lui, mi ripetevo in continuazione dentro la testa, e compresi in quel momento cosa doveva provare una madre nel momento in cui entrava nella chat di gruppo di altre mamme solo per il benessere di suo figlio. Un momento, quindi Simon era come un figlio per me? Era per questo che Cuore scalpitava in quel modo come se avesse l'aritmia quando pensavo a lui? O forse più che un figlio, lo vedevo come un fratello. Sì, fratello di disagio e di sfiga. In fondo, lui era stato un membro del partito PB, avevamo condiviso lo stesso percorso di sofferenza e bruttezza. Forse era questo? Eravamo le Terry e Maggie del mondo della sfortuna? E se ci fossimo stretti le mani, cosa sarebbe successo? Inoltre, dovevo preoccuparmi, perché Ovaie stavano diventando più incestuose dei fratelli Lannister. Proprio in quel momento, al pensiero di passare altro tempo con Simon e vederlo tutto sudato in palestra, stavano indicendo un banchetto. Una festa che non si era vista nemmeno in One Piece dopo che Rufy sconfigge il boss finale. L'avevano chiamata: Ormoni, non mormoni.

Certe volte nemmeno io le capivo.

«Non sarò costretta a fare alcun tipo di attività fisica, però.»

D'improvviso, lui esplose in una grassa risata, quasi mi spaventò. Non me lo aspettavo proprio. «Oh, certo, non sarai costretta. Almeno, non da me.»

«Come?»

«Niente, niente. Allora ti invio tutto su whatsapp. Ci vediamo venerdì alle sei. Buonanotte, Biscottino.»

«Ehi! Aspetta un at-»

Non ebbi modo di finire la frase. Chiuse la chiamata l'attimo dopo.

Volevo squartarlo vivo.

Ma poi sarei finita in galera, e l'idea non mi piaceva. Là non c'era modo di vedersi le puntate di Ulisse.

E se invece di ucciderlo lo avessi solo ferito gravemente? In quel caso la pena sarebbe stata ridotta, giusto? Ma poi chi lo sa, probabilmente nonna Megera si sarebbe rifiutata di friggere qualcosa per la sua nipote rea di essere una criminale. E senza frittura, si sa, la vita non ha senso.

Per qualche minuto provai a pormi domande.

Vincenzo.

Chi diavolo era Vincenzo?

Ero sicura di non averci mai parlato prima del nostro incontro, né di averlo mai visto al liceo. Possibile che non avessi mai notato un Essere Lucente del genere quando ero ancora una ragazzina? Eppure anche all'epoca avevo degli occhi perspicaci, il mio radar antiuomo non si era ancora sviluppato del tutto, ma comunque non ero una che non notava certi dettagli.

L'unica spiegazione che mi veniva in mente era che frequentavamo due sedi diverse. Per tutti e cinque gli anni del liceo io ero andata alla succursale, quindi era evidente che Vincenzo invece fosse stato destinato alla centrale.

Non lo ricordavo accanto a Colui-che-non-doveva-essere-nominato, e nemmeno un conoscente di Vold e Mort, quindi non era tramite loro che era venuto a sapere di me.

L'unica spiegazione possibile erano le voci.

Quando il fattaccio era successo, tutta la scuola ne era venuta a conoscenza, nessuno escluso. Anche i docenti. Il putiferio che si era creato sarebbe rimasto per sempre nella storia di quel liceo. Non c'erano dubbi che Vincenzo era venuto a sapere di me tramite tutto questo.

Ma perché volermi conoscere adesso?

Aveva deciso di fare bullismo a scoppio ritardato? O forse semplicemente gli era capitata l'occasione e aveva deciso di approfittarne? Forse era un sadico? Il nuovo Christian Grey? Vincenzo Grey? No, per qualche motivo quell'idea non mi convinceva.

Mi appellai allora alle Cassandre interiori.

Indossavano tutte un occhiello, il cappello e la mantellina da detective, e fumavano con intensità le loro pipe. Si trovavano tutte attorno alla sacra Tavola Rotonda, dove al centro si trovava la spada di Grifondoro, incastrata nel ripiano. Analizzavano i documenti tra le loro mani quasi ossessive, cercando di non perdere neppure un particolare.

«Il primo contatto è avvenuto in libreria» disse una di loro, mostrando alle altre il ritratto di Vincenzo Fiorenzo con, al posto della sua faccia, il volto di Grifis. «Ma potrebbe essere che in realtà fosse lì già da molto prima che noi lo notassimo.»

«Quindi dici che ci ha osservato per tutto questo tempo?» domandò un'altra Cassandra, con le dita sul mento e aria di contemplazione. «Dicono che le aquile inseguano le loro prede per ore prima di decidere di attaccarle.»

«E se l'obiettivo fosse stato un altro, invece?» suggerì una Cassandra più lontana. «E se in realtà noi non fossimo nient'altro che uno strumento?»

«Cosa intendi dire, Cassandra?»

Lei si schiarì la gola. «Non avete notato un dettaglio particolare dalla nostra ultima conversazione avuta?»

Le Cassandre si scambiarono occhiate confuse, lei riprese a parlare. «Era come se volesse riportare la conversazione sempre a un unico argomento, non trovate?»

«Sarebbe a dire?»

La Cassandra si sistemò il cappello e, con molta forza, lanciò un foglio sul tavolo, facendolo scivolare al suo centro. Ci fu un urlo di stupore da parte di tutte quante, quando notarono cosa c'era al suo interno: la Creazione di Adamo, ma al posto di Dio c'era Simon, e al posto di Adamo c'era Vincenzo Fiorenzo.

Una Cassandra si portò una mano alla bocca, un'altra si asciugò il sangue che le colava dal naso. «Mi stai dicendo che...»

«Esatto, è proprio quello che pensate.» La Cassandra che aveva pensato a tutto questo batté le mani sul tavolo. «L'obiettivo di Vincenzo è proprio lui: Simon!»

La Cassandra che stava perdendo sangue dal naso cominciò a perderne ancora di più, così tanto che per terra si creò una pozza scarlatta e andò a bagnare i piedi di tutte quante. «Cassandra Fujoshi, mantieni calmi i tuoi bollori!» tuonò quella al suo fianco, cercando di arginare i danni infilandole nelle narici fazzoletti attorcigliati.

«Non ci riesco, ragazze, è praticamente il sogno di qualunque fujoshi: uno yaoi in carne ed ossa» replicò lei, con gli occhi luccicanti dalle lacrime di felicità. «Secondo voi chi è il seme e chi è l'uke? Chi sta sotto e chi sta sopra?»

«Ma ti paiono domande da fare!?» esclamò la sua compagna, per poi esitare un istante. «Mi pare ovvio che Simon sia l'uke.»

«Se è questo quello che pensi, si vede che non hai letto abbastanza MxM!» tuonò un'altra. «Di solito sono sempre i più timidi nella vita quotidiana a dominare sotto le coperte!»

Al pensiero di Simon dominante, la Cassandra che perdeva sangue dal naso cominciò a perderlo anche dalla bocca ora e cadde a terra accolta dal rosso. «La stiamo perdendo!» gridò quella al suo fianco. «Presto, abbiamo bisogno di una trasfusione di sangue!»

«Ragazze...» biascicò la moribonda, pallida e scheletrica. «Io... non ce la posso fare... vi ho volute bene... ricordatevi di me...»

«Avanti, Campione, abbiamo ancora troppe cose da fare insieme!»

«Presto, un donatore di sangue! Chi è del gruppo sanguigno Yaoi come lei?» gridò un'altra.

«Mi dispiace, io sono gruppo Yuri!»

«Io Omegaverse!»

«Io ho sia Yuri che Yaoi, può andar bene lo stesso?»

Aggrottai la fronte.

Come aveva preso piede tutta quella situazione?

Mi grattai la tempia, più ci pensavo più mi veniva mal di testa.

Fu in quel momento che mi arrivò un messaggio, da parte di Tamara.

Ricordati del film di mercoledì!!!

*

Arrivò mercoledì.

Prima di partire per andare a prendere il pullman e arrivare così al cinema, però, fui costretta a un'enorme tortura.

Megera volle a tutti i costi decidere come vestirmi.

Non solo, appena aveva saputo che sarei uscita con altri ragazzi della mia età, aveva preso una bottiglia di Fontana Fredda nascosta chissà dove e l'aveva stappata con le lacrime agli occhi, gridando: «Sapevo che questo momento prima o poi sarebbe giunto, lo sapevo!»

Fu piuttosto avvilente, ma non quanto lo fu quando decise di prendere redini del mio abbigliamento. Entrò in camera mia senza farsi scrupoli, aprì il mio armadio e iniziò a cercare i vestiti giusti per l'occasione.

Ci impiegò mezz'ora.

E avrei voluto dire che la colpa fu soltanto sua, perché non sapeva decidersi, ma no, la colpa fu unicamente mia, perché tutti i miei vestiti avevano stampati addosso citazioni o disegni di libri, film o manga. Nessuno escluso. Per la Regina delle nevi fu un colpo duro da accettare, ma non si arrese, continuò imperterrita, finché da uno degli scatoloni che non aprivo mai, nemmeno in periodo di carestia, non tirò fuori un vestito che neanche ricordavo di avere.

«E questo da dove esce fuori?» domandai, sconvolta nel vederlo. Era un abito semplice, rosso, dalle maniche svolazzanti a tre quarti e il decolleté a V.

«Te lo comprai io per il tuo diciannovesimo compleanno.»

Non avevo dubbi sul perché l'avessi dimenticato, gli unici regali che ricordavo io erano i libri. Elsa me lo mise di fronte, controllando le misure, fischiettando. «Ti dovrebbe ancora andare» commentò alla fine, con un sorriso trionfante. «Ti sei depilata le gambe, vero?»

La guardai allibita.

Le gambe?

Depilate?

Io?

Per quale assurdo motivo avrei mai dovuto farlo? Era risaputo che a meno che non fosse estate i peli potevano essere lasciati al loro stato brado, come cuccioli di scimpanzé nella foresta. E di foresta ne avevo anche parecchia in quel momento, a ricoprirmi tutte le gambe. Se chiudevi gli occhi e ascoltavi bene, potevi sentire Robin Williams gridare dalle fronde: "Nella giungla dovrai restare finché un 5 o un 8 non compare".

Megera parve capirmi solo nel vedermi, e sospirò. «Userai dei collant neri. Forza, forza, sbrigati, e mi raccomando, truccati.»

«No che non mi trucco, nonna, è contro uno dei dieci comandamenti.»

«Non vuoi farti più carina?»

«Carina? Io?» ripetei attonita. «Io sono un membro onorario del Popolo della Bruttezza e ne vado fiera!»

Lei sospirò di nuovo e mi lanciò il vestito e i collant addosso. «Muoviti, o farai tardi, ah, Cassandra» aggiunse all'improvviso, prima di andarsene dalla mia stanza: «Mi raccomando, niente scherzi. Non combinarmi guai.»

E con quell'orrendo ammonimento se ne andò.

Una cosa però la dovevo dire: il vestito mi stava proprio bene. Era comodo e non mi faceva sentire a disagio, sembrava adattarsi alle mie curve senza evidenziare il fatto che gran parte di esse fossero dovute ai chili di più. Inoltre, il rosso era il mio colore preferito.

Arrivai alla fermata dell'autobus e aspettai l'arrivo di quest'ultimo per qualche minuto. Quando si fermò davanti a me, feci ben attenzione a scegliere un posto il più lontano possibile da tutti quanti. Per sicurezza chinai anche il capo, per non farmi riconoscere.

C'era una cosa che mi preoccupava dell'andare al cinema e il cui pensiero mi tartassò per tutto il viaggio in .

Che avrei potuto rincontrare vecchi compagni del liceo.

Il solo pensiero mi mandava il cervello in panne.

Non mi sarei mai sentita pronta a rivederli. Sapevo che gran parte di loro se n'erano andati fuori dall'Umbria per studiare, ma alcuni erano comunque rimasti. E quegli alcuni mi spaventavano non poco.

Ideai però una tattica nel caso li avessi incontrati.

Voltare le spalle e gridare: IO VENIRE DA RUSSIA, per poi scappare via a gambe levate.

Patetico? Sì.

Efficace? Altrettanto.

Arrivai alla fermata, e, quando scesi dal pullman, mi accorsi che già si era fatto buio fuori. L'ingresso del cinema era introdotto da delle scale sia mobili che non, ma mai mi sarei messa a fare dei gradini e dei passi in più, quando avrei potuto essere comodamente trasportata da un marchingegno. Così, per evitare la fatica, salii sulle scale mobili, ben attenta a tenermi il più distante possibile da tutte le altre persone.

Tamara aveva ragione, però, non c'era così tanta gente visto che era mercoledì, così non dovevo preoccuparmi più di troppo della presenza di altri uomini. Attraversai le vetrate di ingresso col cellulare in mano e controllai gli ultimi messaggi, la mia collega me ne aveva mandato uno poco fa, dove diceva: Ti aspetto all'ingresso!

Mi fermai e mi guardai un po' attorno, ma non riconobbi nessuno. Che mi avesse dato buca? O forse si era spostata in giro per vedere gli altri negozi dentro la struttura del cinema? Mi sentii un po' sperduta in quel momento, ero sul punto di chiamarla, quando alle mie spalle sentii una voce chiamarmi.

«Cassandra?»

Non ci fu bisogno di voltarmi, Ovaie la riconobbero subito. Come Megera stapparono una bottiglia di Fontana Fredda e se la scolarono tutta quanta insieme, per la gioia di Fegato. Immediatamente impostarono la sigla di Topo Gigio e a gran voce cominciarono a cantare:

Evviva!
Bentornato Manzo Simon!
scoppiettante come un fuoco d'artificio,
sai bagnarci sempre ormai!

Sacro Angela, come mi vergognavo di loro! Cristina D'Avena mi avrebbe diseredato se ne fosse venuta a conoscenza.

Eppure loro non la smettevano, anzi, quando mi girai per guardarlo in faccia, alzarono ancora più la voce. Davanti ai miei occhi si mostrava infatti un esemplare estremamente raro di Essere Lucente: vestito con abiti casual, che però lo rendevano ancora più aitante. Jeans aderenti, maglietta bianca e giacca di jeans nera. Indossava pure degli occhiali da sole in testa che gli conferiva un'area ancora più da fotomodello. Ero sicura che Abercrombie prima o poi lo avrebbe assunto.

D'improvviso, di fronte a cotanta bellezza, mi sentii ridicola nel mio vestito rosso. Alla gente attorno dovevo apparire come un sasso con le sopracciglia, ora che ero accanto a lui. Lanciai anatemi maligni a Megera che mi aveva costretto a indossare quel vestiario e rimpiansi la mia classica tuta da tutti i giorni con la scritta Versace (un po' di vino). Meno male che non mi ero truccata, sarei apparsa doppiamente più assurda, un fenomeno da baraccone.

Tutta la vergogna si accumulò nelle mie guance, arroventandole. «Non sapevo che c'eri anche tu» mi ritrovai a balbettare alla fine.

Lui accennò un timido sorriso. «Nemmeno io sapevo che c'eri tu. È stata una bella sorpresa.»

Bella? Bella? Forse le mie Ovaie concordavano, ma io per niente. Polmoni stavano cercando in qualsiasi modo di inalare lo smog, mentre Fegato provava a ciucciare l'alcool da un moncherì. Cervello? La linea del suo encefalogramma stava formando una croce. Cuore? Stava per fare la stessa fine dello zio di Anna dai capelli rossi.

Non riuscivo a guardarlo negli occhi.

Sapevo che era assurdo, ma temevo che, se mi avesse vista in viso, si sarebbe reso conto ancor di più di quanto ridicola fossi in quel vestito.

Non mi avrebbe preso in giro in faccia, ma sicuramente lo avrebbe pensato. Che tu sia maledetta, nonna, gridai nella mia testa, spero che il televisore ti parta proprio nel momento in cui inizia Il Segreto.

Con la coda dell'occhio, scorsi un cartellone pubblicitario non troppo distante da noi. Se mi ci fossi nascosta dietro, avrebbe dato troppo nell'occhio? Avrei potuto fingere che il corpo snello di quella modella di Victoria's Secret fosse mio. No, non potevo. Nessuno ci sarebbe cascato. Così, come ultima estrema possibilità, mi tolsi lo zainetto che portavo alle spalle e me lo misi davanti al torace. Sarebbe diventato il mio scudo e paravento. Non celava granché, ma era meglio di niente.

Simon rimase in silenzio per un po', ma io continuavo a non avere il coraggio di guardarlo in faccia. «Cassandra-»

«Cassie! Simon! Eccovi!»

Tirai un sospiro di sollievo nel vedere Tamara arrivare da noi con un sorriso a trentadue denti. Ci si avvicinò in compagnia di un'altra ragazza, una sconosciuta. Era una fanciulla molto carina, minuta, con i capelli rossi a caschetto e gli occhi verdi, una carnagione pallida che si evidenziava ancor di più con il vestiario scuro che indossava: felpa e pantaloni neri pece.

«Scusateci, ci siamo perse un attimo a guardare le vetrine dei negozi» si scusò con noi Tamara, mantenendo il sorriso. «Ma prima, le presentazioni. Simon, tu la conosci già. Cassie, lei è la mia ragazza, Fortuna.»

Fortuna mi tese la mano con un timido sorriso, e io gliela strinsi. «È un piacere fare la tua conoscenza.»

Lei annuì, in silenzio.

«Andiamo, andiamo!» ci incitò a gran voce Tamara. «Il film sta per iniziare, ho già preso i biglietti. Ecco, prendete.» Ce li porse e sia io che Simon li afferrammo velocemente. «Andiamo, andiamo! Dobbiamo prendere i popcorn!»

Sembrava particolarmente felice quella sera, e la cosa mi insospettiva. Era perché era riuscito a truffare sia me che Simon, nascondendo a entrambi l'esistenza dell'altro? Poco importava, ormai era fatta, la seguii in silenzio lungo il corridoio che conduceva alla zona del cinema. Fu carino, però, perché si teneva sempre per mano con Fortuna, erano adorabili.

Mentre camminavamo, lanciai un'occhiata veloce a Simon: guardava dritto di fronte a sé inespressivo. Mi schiarii la gola: «Puoi mangiarli i popcorn stasera?» gli domandai.

Lui fece il pollice in su. «Mi sono tenuto a stecca solo per oggi.»

Gli avrei voluto dare il cinque, per quanto era fiero di sé, ma questo avrebbe significato toccarlo, e proprio non ne ero in grado.

Raggiungemmo la zona bar del cinema e tutti quanti ordinammo gli snack e le bevande. Pagò tutto Tamara, come promesso. Io e Simon prendemmo le confezioni di popcorn più grandi. Sì, era proprio mio fratello.

«Tam» la chiamò lui mentre ci facevamo controllare i biglietti, «non mi hai ancora detto che genere di film è.»

«Oh» chiosò lei, per poi voltarsi e rivolgergli un sorrisetto mefistofelico. «Un horror.»

Simon, che era intento a mostrare il suo di biglietto, si paralizzò sul posto.

Vidi i suoi occhi spalancarsi e i flashback del Vietnam fargli da sfondo.

«Tam!» gridò alla fine, ma tutto ciò che ottenne fu un risolino.

«Troppo tardi, fratello!» canticchiò entusiasta.

Lui deglutì rumorosamente.

Era pallido in viso, sembrava particolarmente nervoso. «Simon» lo chiamai, «non te la cavi con gli horror?»

Lui si schiarì la gola, imbarazzato, mentre ci incamminavamo verso la porta della sala in cui sarebbe stato proiettato il film. «Posso farti una confessione?» domandò.

«Spara.»

«Hai presente La bella addormentata?» Quando annuii, lui proseguì: «Hai presente la scena in cui Aurora si avvicina al camino e dalle fiamme si vede la faccia di Malefica?»

«Oh sì.»

Era una delle mie scene preferite.

«Ancora ho gli incubi su quella scena.»

Non c'erano più dubbi, Simon era davvero un Orsetto del cuore. Mi trattenni dal ridere, e mangiucchiai qualche popcorn. Arrivati davanti alla porta della sala, già aperta, lui mi chiese: «Tu te la cavi con gli horror?»

«Oh sì, mi piacciono molto» confessai, e di fronte alla sua espressione sconvolta, aggiunsi: «Sono la nipote di Megera. Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare. Tutto il resto, a confronto, è una bazzecola.»

La sala del cinema aveva le luci ancora accese e sullo schermo stavano venendo proiettate le ultime pubblicità. Guardai Tamara, intenta a guardare il proprio biglietto per cercare il posto. «Dove ci dobbiamo sedere?» le chiesi.

«Io e Fortuna siamo alla fila H» rispose con un cinguettio.

Inarcai un sopracciglio.

E poi, un tremendo sospetto si impossessò di me.

Controllai frenetica il mio biglietto.

Fila Z.

Guardai Tamara allibita. Lei ridacchiò con aria innocente. «Io e Fortuna volevamo vedere il film da vicino» si scusò. «Ma Simon sarebbe impazzito se fosse stato lì. Non potevo mica lasciarlo da solo, così vi ho messo nella fila più distante dallo schermo.»

La mascella mi cadde a terra insieme a qualche popcorn. E rischiai di venire arrestata lì sul momento, perché Ovaie decisero di dare un rave party sfarzosissimo proprio lì. Era un bene che Meloni e Salvini non potessero vederle. D'altro canto, però, Cuore stava facendo le valigie e aveva deciso di scomparire per sempre come i nuovi capitoli di Hunter x Hunter.

«Tamara!» tuonò Simon, ma la sua amica era già partita via verso la sua fila, tutta felice e cinguettante.

Volevo morire.

Lì, sul momento.

Speravo che un aereo mi precipitasse addosso. O il meteorite che aveva estinto i dinosauri. O Thanos.

Sarei dovuta stare seduca accanto a un Essere Lucente.

Da sola.

Era fuori discussione.

Mi sarei sciolta, mi sarei liquefatta sotto tutta la sua brillantezza. Avrei fatto la fine di Smigol, perdendo tutti i capelli e la sanità mentale. Il mio tesoro sarebbe stato solo il volto del Sacro Angela. In quel momento c'erano più buchi nel mio Cervello che nelle strade di Roma, ed era tutto un dire.

«Mi dispiace, Cassandra» udii Simon pronunciare. «Tamara è... gliela farò pagare, te lo prometto.»

Oh, eccome se gliel'avremmo fatta pagare.

L'avrei costretta a guardarsi tutti i film più strazianti e orribili che fossero mai esistiti in quel mondo: Io e Marley, Attraverso i miei occhi, Hachiko, La valle incantata e Toy Story.

Dovevo trovare un modo per uscire da quella situazione sana e salva. Un modo per non finire a brandelli di fronte a tutta la lucentezza di Simon.

Provai a stilare alcuni metodi nella mia testa:

Metodo Torcicollo

Fingere di avere il torcicollo e di esser costretta a guardare solo in basso.

Metodo Gattini

Iniziare a ricordare nella mia mente tutti i video di gattini visti fino a quel momento. Bearmi delle loro fusa e credermi a mia volta un trattorino come loro.

Metodo Ezio Auditore

Uccidere tutti quelli che mi fanno un danno senza farmi vedere e cercare la Mela dell'Eden per poter parlare con gli Dei per chieder loro di togliere tutta la lucentezza di questo mondo.

Metodo Padre Maronno

Stampare la faccia di Padre Maronno su quella di Simon e continuare a vedere quella per tutta la durata del film. Sentire la sua voce gridarmi "E se poi te ne penti?" nel caso volessi abbandonare la missione in qualsiasi momento.

Metodo Blanco

Iniziare a dare calci a tutto e tutti così da poter essere indagata dalla procura e venir cacciata via dal cinema.

Alla fine, dopo vari minuti di riflessione, scelsi il Metodo Padre Maronno. Inspirai a fondo e mi forzai a sovraimporre l'immagine del Padre sopra il viso di Simon. Anche se era anche lui un uomo, riuscivo a conviverci, non brillava di Lucentezza.

«Ormai è tardi» dissi con voce atona, «andiamo a sederci, prima che il film inizi.»

«Scusami ancora.»

«Non è colpa tua, è colpa di quella figlia di PutThanos» replicai, e lo sentii ridere per la mia battuta. Maledetto! Non doveva ridere! Persino la sua voce era lucente! Oltre che con la faccia di Padre Maronno, dovevo sostituirgli pure la voce? Mi sembrava un tantino esagerato.

Andammo a sederci ai nostri posti, Simon si ritrovò alla mia sinistra, e con una forza sovraumana io mi costrinsi a guardare fissa di fronte a me l'ultima pubblicità sulle creme contro le ragadi anali.

Ma Dio, lo avvertivo accanto a me, la distanza che ci separava era piccola quanto quella che separava Shakira dal rancore.

Con la coda dell'occhio, gli lanciai uno sguardo. Simon sembrava aver preso le mie stesse contromisure: aveva il viso fisso allo schermo, ma era pallido quanto il santino di Domenico Modugno appeso sul cruscotto della nostra macchina, ogni volta che Megera si metteva alla guida.

Si vedeva proprio che non sosteneva gli horror.

Forse avrei dovuto fare qualcosa per aiutarlo?

Ma chi, io?

E aiutarlo come?

E perché avrei dovuto? Avevo già fatto la mia opera di bene andando a cercargli una palestra, potevo ritenermi soddisfatta.

La coscienza, però, mi tartassava.

E Ovaie mi gridavano contro: «È il padre dei nostri futuri figli! Ovvio che lo devi aiutare!»

Per caso mi avevano scambiato per la Caritas? Avevo scritto DONA ANCHE TU UN EURO ALL'EL 8X100? La coscienza stava persino rifacendo una vecchia canzone del catechismo!

L'Essere Lucente ha la mia salvezza,
e per lui non temo più,
perché ho nel cuore la certezza
la salvezza è qui per lui.

Tre anni di catechismo andati in vacca.

Mi schiarii la gola. «Simon» lo chiamai alla fine, «lo sai qual è il trucco per non avere paura in un horror?»

«Chiudere gli occhi e scomparire come Mark Caltagirone?» rispose, e io mi ritrovai a sghignazzare.

«Commentare le scene» risposi. «Commentare le scene e criticare. Trasformarci nei Carlo Cracco del cinema e inizia a sputare sentenze a più non posso.»

«Ad esempio?»

«Ecco, guarda qui.» Gli indicai la pubblicità che stavano trasmettendo, su un tipo di cereali che portava un'intera famiglia a festeggiare per la colazione. «Chi è che la mattina appena si sveglia si mette a cantare e a suonare? Io è già tanto che riesco a tenere gli occhi aperti. Sembro il figlio di Gatsu e Casca appena partorito. E poi guarda, si sono appena scofanati un quintale di cereali ma hanno i denti più puliti della coscienza di Ponzio Pilato dopo che si è lavato le mani.»

Simon si tamburellò le dita sul mento, accennando un sorriso, ma, proprio in quel momento, le luci si spensero. Segno evidente che il film sarebbe cominciato di lì a poco: diventò più bianco della Sposa Cadavere.

Tamara sapeva essere davvero sadica a volte.

Il film cominciò. Non mi ero informata di cosa parlasse, ma sembrava un tipico film horror qualunque: una famiglia che si trasferisce in una casa infestata. Una bambina speciale che vede e sente cose che non ci sono.

«Ecco, vedi» dissi, mentre la bambina iniziava a parlare con delle voci che solo lei sentiva, «quella sono io quando vado al comune e non trovo nessuno.»

Simon si strozzò tra le risate, e d'istinto mi ritrovai a sorridere.

Andai avanti così per un bel po', fino a quando lui stesso non decise di partecipare al commentario che stavo tenendo. Era una fortuna che ci trovavamo nella fila più distante dallo schermo, non potevamo disturbare nessuno. Al momento in cui la madre di famiglia iniziò a venir corrotta dallo spirito maligno, il marito iniziò a dirle: «Perché ti stai comportando così? Non sei più la stessa! Un tempo non avresti mai detto queste cose!»

«Noi fan con J.K. Rowling» mi bisbigliò all'orecchio Simon, e io rischiai di soffocare con i popcorn.

Ci furono alcuni jumpscare, jumpscare che Simon visse con la testa infilata tra le gambe e le orecchie tappate, mentre io gli raccontavo quello che stava succedendo, per poi avvisarlo non appena la scena finiva. In uno di quei momenti, dopo che lui si era risollevato per guardare lo schermo e il proiettore mostrava la faccia tutto decomposta dello spirito maligno, gli dissi: «È così che mi immagino che fosse Re Luigi XIV» e Simon scoppiò in una risata così fragorosa da costringere gli altri spettatori a urlarci di fare meno rumore.

Arrivò il momento delle investigazioni da parte del padre di famiglia, per capire chi fosse e cosa volesse lo spettro da loro. Si scoprì che era il fantasma di una donna uccisa dal suo stesso figlio per avere l'eredità. «A proposito» mi sussurrò Simon a quel punto, «se tu dovessi mai ritornare sulla Terra come spettro, chi è che infesteresti e perché?»

«I corrieri di amazon» riposi senza la minima esitazione. «Li tormenterei ogni volta che invece di suonare il campanello per vedere se c'è qualcuno in casa, lasciano direttamente gli avvisi di giacenza.»

«Sono degli infami quando fanno così.»

«E tu invece?»

«Qualunque giornalista di Libero» rispose, e io sghignazzai.

Avvenne il momento dell'esorcismo da parte di un prete, la creatura iniziò ad allungarsi, ripiegarsi e distendersi in pose contorsionistiche straordinarie. Bisbigliai a Simon: «Quello che succede a noi ragazze ogni volta che dobbiamo fare la pipì nei bagni dei treni.»

Le spalle di Simon tremarono, cercò di dissimulare le risate con colpi di tosse, ma fallì miseramente. Ci fu un attimo in cui lo spettro addentò la gamba della bambina, e allora Simon commentò: «Io quando vado all'all you can eat.»

Andammo avanti così a lungo, tra battute e commenti che ci facevano sganasciare. Era la prima volta che mi divertivo così tanto nel guardare un horror, di solito la mia unica compagnia era Patrizia, che però manteneva la sua solita faccia inespressiva, interessandosi solo alla trama. Simon passò più il tempo col sorriso che con lo spavento, e di questo ne fui felice. Ero riuscita nella mia impresa di rendergli quell'esperienza piacevole, nonostante la presenza di una pazza - la sottoscritta - al suo fianco.

Ma ci fu un momento, un solo momento, che rovinò tutta la mia tranquillità.

L'attimo in cui Simon si sporse verso di me e mi sussurrò all'orecchio: «A proposito, non te l'ho detto, ma stai molto bene con quel vestito.»

Lo disse con naturalezza, con una nonchalance che mi fece tremare da capo a piedi, con una voce così soave che Ovaie iniziarono a preparare il carro dei vincitori con l'ovulo già pronto per essere fecondato, al canto di:

Com'è bello far l'amore
con un Lucente in più.
Com'è bello far l'amore
io son pronta e tu?

Tanti auguri
Al lucente che si ha
Tanti auguri
ti va un po' di babbà?

Arrossii ovunque, persino nelle unghie. Diventai Giovanna D'Arco e presi fuoco.

Lo capii in un istante.

Ero fottuta.


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