Disegnami come uno dei tuoi bidet italiani
Ero sul Titanic.
Per la precisione, una nuova forma di Cassandra era sul Titanic.
Cassandra Suicida.
Stava oltre il parapetto della prua, pronta a buttarsi in mare. Solo che il mare non era l'oceano, era colla vinilica, quella della Giotto che ti facevano usare sempre alle elementari: bianca, appiccicosa e dall'odore tremendo. Uno dei miei più grandi incubi di quando ero bambina. Per non parlare di quando ero cresciuta, perché, a differenza mia, Patrizia la adorava e avevo dovuto salvarla varie volte da un'intossicazione alimentare dopo averla beccata a provare a ciucciarsela come se fosse stato un brick d'estaté.
Cassandra Suicida stava guardando quell'oceano di colla con le lacrime agli occhi, in un'interpretazione piuttosto orrenda di Rose, se proprio dovevo essere sincera. Per quanto si fosse sforzata di indossare i suoi stessi abiti, non poteva mai essere figa come Kate Winslet.
Dietro di lei, Cassandra Di Caprio, ancora sulla poppa, che la guardava preoccupata e smarrita, non sapendo che fare.
«Perché vuoi farlo?» le chiese.
«Perché è meglio la morte» dichiarò con forza Cassandra Suicida. «Meglio la morte per colla vinilica, che la morte per cuore spezzato da un Essere Lucente.»
Mi ritrovai d'accordo con lei.
Cassandra Di Caprio inarcò un sopracciglio, si avvicinò esitante a lei. «Ma no, non dire così» continuò, «ci sono cose ben peggiori di un cuore spezzato.»
«Ah sì? Quali?»
«Il giorno in cui siamo entrate in bagno senza bussare e abbiamo visto Megera nuda, ad esempio.»
Una smorfia di disgusto trafisse entrambe.
«Il finale di How I Met Your Mother.»
Un'altra smorfia.
«La musica trap.»
Stavolta, entrambe furono percorse da un conato di vomito.
«Le dichiarazioni transfobiche di J.K. Rowling.»
Cassandra Suicida si portò una mano al cuore, sofferente al ricordo di quella delusione, lei che aveva considerato per tutta la sua infanzia J.K. Rowling come una dea, e rischiò di cadere. Cassandra Di Caprio riuscì ad afferrarla appena in tempo, ma non bastò per convincerla a tornare a bordo.
«Vedi? Ci sono cose ben peggiori» provò ancora. «Un cuore spezzato-»
«Un cuore spezzato da un Essere Lucente» la corresse l'altra.
«Un cuore spezzato da un Essere Lucente non è niente» riprese. «Noi siamo forti, lo sai. Apparteniamo al partito PB da quando siamo in fasce. Abbiamo sviluppato una scorza dura. Più dura di quella di Gahaara durante la sua battaglia con Rock Lee. Più dura di quella di Chiara Ferragni quando nega qualsiasi coinvolgimento con lo scandalo del Pandoro.»
Cassandra Suicida la guardò incerta, le lacrime agli occhi. Non sembrava per niente convinta, e non potevo proprio biasimarla per questo.
«Ci siamo abituate» riprese Cassandra Di Caprio. «Il nostro cuore è stato spezzato milioni di volte, ti ricordi? E non parlo solo di Colui-che-non-deve-essere-nominato. Pensa quando abbiamo letto Il rumore dei tuoi passi di Valentina D'Urbano.»
Al solo ricordo, Cassandra Suicida scoppiò in un mare di lacrime. Anche Cassandra Di Caprio sembrò sul punto di farlo, ma si trattenne.
«O quando abbiamo visto Attraverso i miei occhi, con Gigi Proietti che doppiava la voce del cane.»
Un'altra crisi di pianto.
«O quando su Emule abbiamo provato a scaricare Biancaneve e i sette nani e ci siamo ritrovate a vedere con Megera e Patrizia bambina Biancaneve sotto i sette cani.»
Cassandra Suicida tirò su col naso. «Sì, ma è diverso» biascicò. «Stavolta, quando ci si spezzerà il cuore, sarà più doloroso di qualunque altra esperienza al mondo. Nemmeno il dolore per Un ponte per Terabithia sarà paragonabile a quello che proveremo quando verremo silurate dall'EL.»
«Perché pensi che verremo silurate?»
«Perché? Davvero credi che lui non se ne accorgerà mai?» Le lanciò un'occhiataccia. «Lo sai come siamo, quando ci prendiamo una cotta. È scritto sulla nostra fronte. Siamo più palesi noi e il nostro amore che Di Caprio e la sua incapacità di stare con una donna che supera i venticinque anni.»
Cassandra Di Caprio, forse perché portava il suo nome, parve offesa da quel paragone, ma ci passò sopra. «Sì, ma ti ricordo che la lucentezza di Simon è direttamente proporzionale alla sua ingenuità. È più puro di qualsiasi protagonista dei libri dark romance.»
«Oh, ti prego, non citare quei libri» mormorò sprezzante l'altra. «Usano la categoria "dark romance" solo per giustificare il sessismo, le molestie e gli abusi sessuali perpetrati dal mistico Cavaliere Nero Dal Megazord Pippolo e farli passare per atti di "vero amore".» Schioccò la lingua, disgustata. «Simon non merita di essere associato ad essi.»
«Ok, ok, hai ragione. Quello che volevo dire è che Simon è praticamente la versione maschile della Madonna, non ci arriverà, te lo assicuro.»
«Che ne sai tu?» biascicò Cassandra Suicida. «Magari in apparenza è così, ma non ci credo che non abbia avuto relazioni in passato. E poi mica è scemo» aggiunse. «Si accorgerà senz'altro, prima o poi, che quando lo guardiamo stiamo pensando a come reinterpretare con lui tutte le posizioni del Kamasutra.»
«Ehi, io non penso queste cose!» sbottò Cassandra Di Caprio, indignata. «Sei tu che sei la parte suicida della nostra proprietaria a pensarle. Io, al massimo, gli chiederei di posare nudo e aspetterei che mi dica "Disegnami come uno dei tuoi bidet italiani, Cassandra".»
Cassandra Suicida scoppiò in un altro pianto a dirotto, facendo sollevare gli occhi al cielo a Cassandra Di Caprio. «Lo scoprirà» dichiarò tra le lacrime, «lo scoprirà come noi abbiamo scoperto che Sailor Uranus e Sailor Neptune non erano veramente cugine come voleva spacciarci la Mediaset, ma amanti.»
«Beh, se permetti, era più inquietante l'idea che fossero cugine, visto come si guardavano e si toccavano. Ti devo forse ricordare i brividi che ci attraversarono quando le vedemmo stringersi in quel modo le mani, in fin di vita, al pensiero che fossero imparentate?»
«Lo so» dichiarò Cassandra Suicida. «E infatti quando lo scoprimmo tutto assunse più senso. Quel che voglio dire è che era una scoperta inevitabile. Così come lo sarà quella di Simon quando capirà che abbiamo una cotta per lui.»
«I nostri sentimenti non sono mica ineluttabili come Thanos.»
«Ma la voglia di bombarlo di Ovaie sì» replicò.
Su questo Cassandra Di Caprio non poté ribattere nulla.
«Andiamo» riprese quest'ultima, sfiorandole la mano ancora aggrappata alla ringhiera. «Non avrebbe comunque senso suicidarsi, tanto noi altre Cassandre rimarremmo in vita. La tua morte sarebbe più inutile di Sakura Haruno in Naruto.»
«Sarebbe inutile, ma almeno mi farebbe sentire meglio.»
«Ehi, gli istinti suicidi lasciali a Fegato. Noi dobbiamo ragionare su un piano su come non farci scoprire da Simon.»
«Evitarlo come Salvini e Meloni evitano di parlare dei crimini compiuti dai neo fascisti e tentano di additarli a "matrici sconosciute"?»
«Sarebbe una buona tattica, ma lo feriremmo. Gli abbiamo detto che saremmo state sue amiche, se lo evitassimo ci rimarrebbe male. E gli vogliamo troppo bene per fargli questo.»
Cassandra Suicida tirò su col naso.
«Io proporrei di imporre una nuova regola» suggerì Cassandra Di Caprio, e l'altra voltò la testa per guardarla, incuriosita. «D'ora in poi, ogni volta che guarderemo Simon, immagineremo che al posto della sua testa ci sia quella di Nobita.»
Una smorfia di disgusto attraversò di nuovo entrambe.
«Ma così-»
«Lo so, lo so» la interruppe Cassandra Di Caprio, «Simon non se lo merita, ma è la cosa più anti-sesso e anti-pippolo che possa venirci in mente. Almeno così non dovremo passare tutto il tempo a cercare di nascondere il fatto che appena lo vediamo Ovaie riproducono Magic Mike con lui al posto di Channing Tatum.»
«Sì, ma così Ovaie rischierebbero di inaridirsi più di Megera quando vede un uomo con la camicia stropicciata.»
«Appunto!» esclamò Cassandra Di Caprio. «Sarebbe perfetto.» Una luce di vittoria le illuminò gli occhi. Sollevò la mano verso la compagna di sventure. «Adesso ti va di ritornare a prua? O hai ancora voglia di buttarti nella colla vinilica nella speranza di venire applaudita da Giovanni Muciaccia?»
Cassandra Suicida ci pensò su. Guardo l'oceano di colla bianca sotto di sé con ancora un po' di desiderio a riempirle il cuore, ma alla fine, dopo qualche minuto di tentennamento, sospirò e si voltò verso Cassandra Di Caprio.
«E comunque» la sentii dire mentre si faceva aiutare per scavalcare la ringhiera e tornare sul ponte, «c'era spazio per entrambi su quella porta, bastarda.»
«CASSANDRA!»
Mi svegliai di colpo.
O, per meglio dire, per colpa di un colpo.
Un colpo da parte di mia sorella.
Un colpo da parte di mia sorella che mi era letteralmente saltata addosso mentre dormivo sul letto, schiacciandomi con tutto il suo corpo sulla pancia.
Una bestemmia siciliana mi partì dalla bocca.
«Cassandra Maria Rita Rosaspina Terensi!» urlò dalla cucina Megera. «Cosa sono queste parole? Non ti ho mai insegnato ad essere così blasfema!»
Ero ancora intontita dal sonno e dal sogno di Titanic che avevo appena fatto, non riuscii a ribattere, tutto ciò che ero in grado di vedere era la faccia di mia sorella, seduta sopra di me, che mi fissava col suo solito volto inespressivo.
«Cass» mi chiamò. «Hai una faccia orrenda.»
«Patri...» Mi massaggiai gli occhi ancora gonfi dal pianto dell'ultima notte e provai a guardarmi in giro. La sveglia sul mio comodino mi avvisava che erano già le undici del mattino. La testa mi martellava a causa di tutto il liquore che avevo trangugiato poche ore prima. «Che ci fai qui?»
«La nonna mi ha detto di svegliarti o farai tardi a lavoro, ma per quanto ti chiamassi, continuavi a dormire. Parli ancora nel sonno, lo sai? Continuavi a dire: "No, Nobita no!" e "Oh sì, Channing Tatum sì!» Aggrottò appena la fronte, un guizzo d'interesse le attraversò gli occhi. «Stavi facendo un sogno erotico?» domandò, avvicinando il suo viso al mio. «Che genere? Di che tipo? Eri nuda o semivestita? In che posizione? C'era anche Simon? Era un omegaverse? Che c'entrava Nobita? Chiedeva a Doraimon di tirare fuori dalla sua mega tasca qualche sex toy? Che tipo? Mr Pepe Rone o un an-»
«Oh, ti prego, Patri, almeno appena sveglia, risparmiami la tua ossessione col sesso!» gridai disperata, allontanandola da me e scivolando via dal letto. Mi misi in piedi e, per colpa del post sbronza, mi ritrovai a barcollare. Dovetti appigliarmi al comodino per non cadere.
Il mal di testa mi stava tormentando, le mie tempie, in quel momento, pulsavano più dell'elicottero di Cristian Grey quando Anastasia si mordeva il labbro.
«Il sesso, come ci ha detto la ginecologa, va bene a qualsiasi ora del giorno» rispose mia sorella, scendendo a sua volta dal letto. «Anzi, uno studio recente dimostra che il sesso mattutino aiuta molto a-»
«Patri, ti scongiuro» la supplicai, massaggiandomi la testa nel tentativo di ridurre quella terribile cefalea. «Adesso di tutto ho bisogno, tranne che di parlare di sesso.»
«Ecco perché hai quella faccia orribile.»
La fulminai con un'occhiataccia. «Non è così orribile.»
«Hai gli occhi più gonfi dell'orgoglio di Elizabeth e Mr Darcy messi insieme, rossi quanto la mia pelle quando mi venne la varicella e delle occhiaie che farebbero concorrenza a quelle di L in Death Note.»
Continuai a guardarla torva.
«Ah, e sei più pallida di un personaggio di Tim Burton.»
Di solito le famiglie non dovevano aiutare ad alzare la propria autostima? Com'era possibile che la mia, invece, la faceva crollare come le Torri Gemelle?
La ignorai, uscii dalla mia camera per andare in bagno a lavarmi. Mentre attraversavo la cucina, venni beccata subito da Megera, intenta a guardarsi alla televisione una replica di Don Matteo. Non appena mi vide, sgranò gli occhi. «Oh cielo» mormorò sinceramente sconvolta. «Cosa diavolo è successo alla tua uscita con i tuoi amici?»
«Nulla di che» borbottai, fissando Lampa e Ada che tentavano di ingropparsi il suo piede. Ero circondata dal sesso, volente o nolente, e non potevo proprio farci nulla.
«Ti prego, dimmi che non hai accecato di nuovo qualcuno col tampax.»
«Niente tampax, stavolta» biascicai irritata. «Niente figure di merda, stranamente.»
Lei inarcò un sopracciglio, pareva crederci poco, ma, purtroppo per me, non potevo biasimarla affatto.
«E allora perché hai quella faccia?»
«Quale faccia?»
«La faccia di una che è stata investita prima da un branco di gnu, poi da un treno e dopo ancora da quegli autobus dei fumetti che ti leggi che reincarnano sempre le persone.»
«Si chiamano Isekai, nonna, e no, purtroppo nessun autobus mi ha investita e reincarnata in qualche mondo magico sotto forma di slime. Ti avvertirò, quando accadrà.» Feci per entrare in bagno, ma Megera si alzò e, prima che potessi muovermi, mi raggiunse.
Mi analizzò dalla testa ai piedi. Mi scannerizzò come se fosse una stampante. I suoi occhi sembravano riuscirmi a leggermi nella mente. Ebbi il terrore che mi sgamasse subito, e invece, con mio grande sollievo, la sentii dire: «Puzzi d'alcool.»
Mi strinsi nelle spalle. «Beh, abbiamo bevuto, quando siamo usciti.» Una bugia gigantesca, ma sapevo che non avrebbe potuto scoprire la verità. Anche da ubriaca, ero riuscita comunque a rimettere la bottiglia di liquore al suo posto. E Megera, seppur maniaca dell'ordine, la beveva in così rare occasioni da non controllare mai quanto liquore fosse rimasto. Le possibilità che scoprisse che me l'ero ciucciato come se fosse un calippo erano infinitamente basse.
«Ti sei ubriacata?»
«Nah» mentii. «Mi avresti sentito vomitare, se così fosse stato.»
«Tu non vomiti mai quando ti ubriachi.»
Vero, e il fatto che lei lo sapesse così bene mi umiliava non poco. Beh, c'era da dire che nelle rare occasioni in cui mi ero ubriacata, c'era sempre stata Megera al mio fianco. Non avendo amici e non uscendo praticamente mai, avevo solo lei come compagna di bevute.
«Cassandra» mormorò, assottigliando gli occhi, «hai combinato qualcosa?»
«Perché devi sempre pensare che combino qualcosa? Non ho fatto niente! Nien-te!» sillabai. «Per una volta che non faccio figure di merda, perché continui a tartassarmi così?»
«Sono solo preoccupata» mormorò, con un tono di voce dolce che raramente mi era capitato di sentirle. «Hai la stessa faccia di quando... beh, di quando al liceo-»
Le lanciai uno sguardo carico d'odio, e subito lei si bloccò.
«Hai per caso rincontrato i tuoi compagni di classe mentre eri al cinema?»
Mi sentii morire dentro. Sapevo bene che quella era una delle poche occasioni in cui si stava realmente preoccupando per me. Sapevo che la paura nei suoi occhi era sincera. Ma mi sentivo comunque stupida a confessarle di essermi ubriacata per autocommiserarmi e piangere per ore solo perché avevo capito di avere una cotta per Simon.
«No, nonna» mormorai con un sospiro. «Davvero, non è successo niente. Sono uscita, mi sono divertita, ho bevuto un po' e tornata a casa non sono riuscita ad addormentarmi per tanto tempo. Per questo ho questa faccia. Nulla di più.»
Sapevo che non mi credeva, glielo leggevo negli occhi, ma, stranamente, decise di lasciarmi stare. Tornò a sedersi sul divano a guardare la televisione. Stavolta, anche Dario si aggiunse allo stupro del suo piede.
Con un altro sospiro, entrai in bagno.
Incrociai il mio volto allo specchio.
Oddio.
La descrizione che Patrizia aveva fatto del mio viso era eufemistica. Ero messa peggio di Marco in Attack On Titan. O di Neji in Naruto. I miei occhi erano talmente gonfi da sembrare due uova di pasqua, le loro palpebre giganti gridavano al mondo: "HO PIANTO PER TUTTA LA NOTTE! TUTTA! LA! NOTTE! HO PIANTO PIÚ DI TESSA QUANDO SCOPRE CHE HARDIN HA CONSERVATO LE LENZUOLA SPORCHE DELLA SUA PUREZZA PER UNA SCOMMESSA!".
Oh Gesù.
Con che coraggio sarei andata a lavorare, quel giorno?
Con che coraggio avrei guardato in faccia Simon?
Adesso non ero più un membro onorario del partito Popolazione Brutta. Nemmeno il presidente. Ero diventata un essere mistico.
E.T. Telefona il Chirurgo Plastico (ne hai bisogno).
Sospirai ancora, mi sentii cedere le gambe, mi inginocchiai a terra, la fronte posata contro il bordo del lavandino.
Cassandra Suicida aveva davvero ragione.
Era meglio buttarsi nella colla vinilica.
*
«Oddio, Cassie.»
«Lo so, Tamara, lo so.»
Tamara mi guardava tra lo stupore e il terrore, mentre io, dietro il bancone della cassa, sistemavo gli ultimi conti del mese. Non potevo biasimarla per questo: ero uno spettacolo horror. Avevo fatto del mio meglio per nascondere il mio aspetto più mostruoso di quello di Cell quando si trasformava, mi ero persino impegnata a truccarmi (e io odiavo i trucchi) per celarlo, ma avevo fallito miseramente.
«Che è successo? Perché hai quella faccia?»
Grazie al cielo, mentre mi preparavo per andare a lavorare, in testa avevo stilato una lista di giustificazioni adatte.
«Ho visto Hachiko» dichiarai. «E poi, non contenta, mi sono guardata anche Io & Marley. E poi, non contenta ancora, mi sono rivista Jojo Rabbit. Dopo, non soddisfatta appieno, mi sono anche scolata il finale di I passi dell'amore e Le pagine della nostra vita.» Intrecciai le mani, coi gomiti posati sul bancone, e lì vi feci atterrare il mento. «Ho preso anche in contemplazione la possibilità di rileggermi Una vita come tante, ma a quel punto si era fatta l'alba e stavo diventando più cieca di Edipo dopo che scopre di aver impollinato la madre.»
La mia collega mi fissò allucinata.
«È la forma più crudele e psicologica di autolesionismo che abbia mai visto in tutta la mia vita» dichiarò, con una sorta di rispetto misto a terrore nella voce. «E perché hai improvvisamente avuto questa voglia di farti del male?»
Mi ero preparata una risposta anche per quello, grazie al cielo.
«Tornata a casa, sono inciampata.»
Tamara sollevò un sopracciglio, mentre io mi sforzavo di assumere lo sguardo più serio possibile.
«Ho rovesciato a terra la cassata siciliana che Megera aveva preparato per la colazione.»
Lei lanciò un sibilo di sofferenza e io annuii. Non era successo davvero, ma il solo pensiero era sufficiente per farmi piangere il cuore. Chiunque, davanti a un simile omicidio, avrebbe compreso il mio bisogno di punirmi in quel modo.
«Non pensi di esser stata un po' troppo sadica con te stessa? Nemmeno quelli in 41 bis soffrono così tanto.»
«La cassata è sacra quanto Santa Rita da Cascia e San Francesco d'Assisi» dichiarai con tono lugubre. «Chiunque la danneggi merita di soffrire più di Giuda nelle fauci di Lucifero. È un vero e proprio reato di mafia al pari di quelli di Totò Riina. Non potevo andarci leggera solo perché questa volta a compiere tale delitto sono stata io. L'oggettività con sé stessi è fondamentale, davanti a un crimine d'odio siciliano.»
Vidi le spalle di lei tremare, forse per trattenere le risate. Poco m'importava, si era bevuta quella bugia, questa era la cosa fondamentale.
Questa, e non farmi vedere da Simon in quelle condizioni.
Quando ero arrivata a lavoro, Tamara mi aveva detto che lui era già al piano di sopra a studiare, e di questo ne ero stata felice. Farmi vedere dalla mia cotta dopo un numero incalcolabile di ore passate nel pianto e la faccia più brutta di quella di Quasimodo non rientrava nei sogni della mia vita. Prima di sapere dove si trovasse, avevo pensato a varie possibilità su come entrare in libreria senza farmi beccare da lui, con mosse ninja che nemmeno le Totally Spies avrebbero potuto replicare.
«Hai bisogno di qualcosa?» mi domandò. «Per confortarti dal dolore appena provato.»
«Non devi confortarmi. Devo vivere questo dolore al massimo, al 100%, altrimenti che razza di punizione sarebbe?»
«Adesso mi sembri più autolesionista di un personaggio di Ragazze interrotte.»
«Peccato che Angelina Jolie continuasse a sembrare gnocca, pazza o no, mentre io, in questo momento, ho lo stesso aspetto di un qualsiasi imprenditore italiano che non riesce a trovare personale, nonostante la sua paga di due euro all'ora per turni da sedici ore al giorno.»
Stavolta, non riuscì a trattenere la risatina. «Oh Cass» mormorò. «Dove sei stata per tutto questo tempo? Avrei voluto incontrarti molto prima.»
Ero quasi felice di ciò, ma questo non mi distraeva dal fatto che la mia sofferenza le sembrava comica. Beh, non aveva tutti i torti, le avevo dato una giustificazione piuttosto dubbiosa per chiunque non fosse siciliano. Non potevo rivelarle di certo che il problema principale, la causa delle mie lacrime e della rivoluzione di Ovaie, era proprio suo cugino.
Tamara mi guardò a occhi socchiusi, un sorriso lascivo sulle labbra. «Ti sei divertita con Simon, ieri, alla sala giochi?»
Sta' calma, sta' calma, sta' calma mi ripetei nella testa, mentre assumevo la classica posizione di Gendo Ikari in Evangelion: mento posato sulle mani intrecciate, sguardo da menhir rivolto al nulla. Mi mancavano soltanto gli occhiali da sole. Mi appuntai in mente di andare a comprarli.
«Lui ha detto che si è divertito un sacco.»
Calma, Cassandra, calma. Devi essere impassibile. Impassibile. Devi essere l'imperatore di Mulan. Come diceva? "Per quanto il vento ululi forte, una montagna non può inchinarsi ad esso". Ecco, non importa quanto Tamara proverà a carpirti informazioni, tu non ti inchinerai, Cassandra. No no. Tu rimarrai ferma e immobile, inapprensibile, sarai fatta della stessa sostanza di chi crede che il femminismo è l'equivalente femminile del maschilismo: il vuoto.
«È stata un'esperienza... istruttiva» mi sforzai di commentare, pregando Santo Angela che la voce non mi tradisse.
«Istruttiva?» scoppiò a ridere. «Ti sei divertita?»
Certo che mi ero divertita, ma mi rifiutavo di ammettere di aver passato la serata a cercare di domare Ovaie e la loro voglia di puppare Simon come il colonnello tentava di domare Spirit in Spirit – Cavallo Selvaggio. Come minimo, se l'avessi fatto, Tamara si sarebbe messa a cantare Levati di dosso insieme a Ovaie, in una tremenda imitazione di Zucchero.
«Sì, direi di sì.»
Evitai il suo sguardo con la stessa nonchalance con cui un negazionista evitava tutte le prove sullo sterminio degli ebrei. Finsi di essere improvvisamente interessata a un nuovo libro di gastronomia sulle ricette umbre.
«Ti piacerebbe rifarlo?»
«Andare al cinema, intendi?»
«Uscire con Simon.»
Una Cassandra interiore, vestita in una pessima rappresentazione di Rocky Joe, diede un gancio destro dolorosissimo a Cuore che, davanti a quella proposta, si era contratto più dell'apparato riproduttivo di Hope Summer Verginy quando Bel Pupone la penetrava e le sussurrava all'orecchio: "sei stretta come gli occhi di Brock in Pokemon".
«Non vedo perché dovrei farlo.»
«Non siete amici?»
Mi costrinsi a mantenere un volto inespressivo. Diavolo, se era difficile. Mi domandai come ci riuscisse Patrizia tutto il tempo. «Sì, lo siamo» risposi con tono incolore, «ma questo non significa che usciamo insieme.»
«Non è quello che fanno gli amici, di solito?»
Aggrottai la fronte. Non mi sembrava il caso di informarla che in tutti i miei venti e passa anni di vita, non avevo mai avuto modo di sperimentare quel concetto di amicizia. «Non lo so. So, però, che io non sono quel genere di amica.»
Posò le mani sui fianchi e in quel momento pregai che entrasse un cliente. Tutto, purché la distraesse e la portasse a concludere quel discorso. Mi andavano bene persino Rodolfo e Maddalena.
«È per via della tua fobia per gli uomini? Ma con Simon pensavo ti fosse passata. Voglio dire, sei stata seduta accanto a lui al cinema tutto il tempo del film. E vi ho visto, sai? Non smettevate di parlare e ridere come due scemi. Non mi sembravi più così spaventata.»
Chiusi gli occhi per qualche secondo.
Adesso la voglia di buttarmi in quel mare di colla vinilica dal Titanic non mi sembrava più così folle.
«Lo sai che è uscito il nuovo libro di quella scrittrice che ti piaceva? Quella di Wattpad? Com'è che si chiamava? Meet Frank Kubert?»
Tamara rise ancora. «È inutile che cambi discorso, non ci cascherò. Andiamo, secondo me ti farebbe bene. Vi farebbe bene. Simon, a parte me, non conosce nessun altro. E tu, a tua volta, non conosci nessun altro.»
Odiavo ammetterlo, ma aveva ragione.
«Io sono un'asociale» dichiarai con voce orgogliosa. «Non esco quasi mai di casa. La mia camera è il mio mondo. Il massimo della socializzazione che sopporto è litigare su facebook con i boomer che credono che "il duce ha fatto cose buone" e che l'identità di genere non esiste.» Mi fermai un secondo. «E spronare Pillon a fare coming out sotto ogni post che pubblica contro l'omosessualità.»
Lei sghignazzò. «Mica dovete letteralmente uscire. Perché non passate il pomeriggio o la sera insieme, a casa di uno dei due?»
La guardai come Megera mi aveva guardato quando le avevo confessato di apprezzare la ciaramicola umbra. Sdegno, disgusto, profonda, immensa, gargantuesca vergogna.
Io e Simon?
Io e Simon a casa di uno dei due?
Non feci in tempo, Ovaie erano già partite per l'iperuranio della perversione. Scene vietate ai minori che neanche Rocco Siffredi avrebbe potuto riprodurre mi si affacciarono alla mente, e in ognuna di esse Ovaie ne uscivano trionfanti.
Scossi la testa, decisa a non dar loro quella soddisfazione.
«Tamara» la chiamai. «Tu leggi i manga?»
Lei mi fissò confusa. «A volte, perché?»
«Hai mai letto i manga shoujo?»
«Intendi quelli romantici? Sì, alcuni.»
«Ecco, saprai benissimo allora cosa succede quando uno dei due protagonisti va a casa dell'altro.» La stavo uccidendo con lo sguardo. «Di solito uno dei due è ammalato, e l'altro si deve prendere cura di lui. Ovviamente, per farlo, dovrà spogliarlo per asciugargli il sudore e chissà come finiranno in qualche posizione compromettente. L'altra regola quotidiana è, invece, quella di farli ritrovare in situazioni scomode. Magari uno dei due cade dalle scade e, contrariamente a qualsiasi legge fisica e della gravità, finisce proprio per cadere addosso all'altro e, sempre senza spiegazione, per far incrociare le proprie labbra con le sue.»
La mia collega mi fissò come se fossi una deficiente. «La vita non è un manga, Cassandra.»
No, ma la mia sfiga a volte sembrava dimenticarselo. Dio solo sapeva che figure di merda avrei potuto finire per fare con Simon, semmai fossi andata a casa sua o peggio, lui fosse venuto a casa mia. Inoltre, non potevo, non dovevo dimenticare il dettaglio influente delle due bestie di Satana con cui vivevo da tutta una vita, due kraken che tutt'ora terrorizzavano l'intera città di Perugia: Megera e Patrizia. L'ultimo pranzo lo aveva dimostrato.
«E ad ogni modo» aggiunsi, «non sono mai andata a casa di un amico quando ero al liceo, figurarsi adesso. Inoltre, sono sicura che anche Simon si sentirebbe a disagio, se lo invitassi.» Inspirai a fondo. «E dubito che lui inviterebbe me, quindi...»
Mi guardò delusa.
«Perché ci tieni così tanto?» le chiesi a quel punto, sinceramente curiosa.
«Perché tu a Simon piaci, e anche molto.»
La Cassandra vestita da Rocky Joe diede una scarica di pugni a Cuore, sul principio di un infarto, con così tanta foga da ricordare Jotaro quando picchiava Dio Brando. Potevo sentirla urlare "ORAORAORAORAORAORA" come una pazza.
«Siamo amici, mi pare naturale» dissi, quando in realtà avrei voluto solo supplicarla di smetterla di fare certe dichiarazioni, perché seppur tentassi di rimanere realista al massimo, Cuore proprio non ne voleva sapere e continuava a fraintendere con il suo dannato spirito sognatore.
«Quello che voglio dire è che è raro per Simon trovare qualcuno con cui è così in sintonia» mi spiegò, «e vorrei che si godesse la sua permanenza qua in Umbria il più possibile, senza per forza fare il recluso.»
Ah, giusto.
Me n'ero dimenticata.
Simon sarebbe rimasto in Italia per qualche mese, per poi tornarsene in Australia.
La sua presenza lì era a tempo determinato.
Una parte di me ne soffriva atrocemente, l'altra, invece, esplodeva di gioia. Una volta che fosse tornato alla sua terra di canguri e animali pericolosi che neanche con Lovecraft, avrei potuto porre fine una volta per tutte alla mia cotta stratosferica.
«Motivo in più per non approfondire troppo la nostra amicizia» dichiarai. «Non voglio soffrire, quando lui se ne andrà.»
Tamara fece una smorfia. Non poteva ribattere a quell'affermazione, sapeva che era vera.
Forse intuendo il mio disagio, decise finalmente di cambiare discorso. Peccato che quello che prese, purtroppo, era persino peggiore. «Mi ha detto che venerdì andate in palestra.»
Se avessi potuto, avrei sputato la mia anima.
Avevo cercato di dimenticare il più possibile la consapevolezza di ciò che avrei dovuto fare venerdì. Avevo informato Simon genericamente sulla mia presenza al suo fianco, dicendogli che ero stata convinta da Vincenzo. Lui se ne era preoccupato molto, beh, come biasimarlo? Per quanto ne sapeva, io e EL2 eravamo nemici giurati. Non ricordavo neanche che scusa gli avessi dato per giustificare la mia improvvisa voglia di unirmi al mondo della palestra, della fatica e del sudore, certo non potevo dirgli che Vincenzo Fiorenzo mi aveva ricattata. Sapevo che si sarebbe sentito tremendamente in colpa, e questo proprio non lo volevo.
Tremavo al solo pensiero di quello che avrei dovuto sperimentare nel vedere Simon in tuta mentre si allenava. Ero piuttosto sicura che Ovaie non mi avrebbero dato tregua. Come minimo si sarebbero messe a cantare qualche canzone porno o a osannare i suoi muscoli nella speranza che facesse sperimentar loro l'Orient Express degli orgasmi.
Per non parlare di come mi sarei sentita a disagio io lì, in quel posto. Non volevo cadere negli stereotipi sciocchi in cui si credeva che la palestra fosse frequentata solo da fotocopie di Arnold Schwarzenegger e Scarlett Johansson, ma avevo il terrore di come avrebbero potuto guardarmi gli altri alla vista dei miei rotoli di ciccia e delle mie maniglie dell'amore che gridavano "Pensati Nutella".
Per non parlare di tutti gli uomini che avrei incontrato là dentro.
Mi sentivo svenire al solo pensiero.
Come evocata da quel mio terrore primordiale, una voce dolce e soffusa si innalzò dalle porte d'ingresso della libreria. Altre ragazze, nel sentirla, avrebbero provato i principi di un coito. Io, nell'udirla, provai soltanto i principi di una colite.
«Biscottino!»
Battei la fronte contro la cassa del bancone.
No, ti prego, no.
Tamara si voltò a guardare Vincenzo che entrava. Come al solito, aveva addosso il suo classico sorriso impollinatore di babbà e si muoveva disinibito dentro il locale, avanzò a passo di manzo di prima qualità verso di noi. Un po' lo invidiavo, la sicurezza con cui camminava ti faceva capire sin da subito che la sua autostima era grande quanto il debito pubblico italiano.
Che ci faceva qui? Non aveva detto che ci saremmo rivisti venerdì? Perché aveva voluto anticipare quello scontro tra titani?
Essere Lucente 2.0 fece cadere prima gli occhi su Tamara, poi su di me che, senza rendermene conto, avevo iniziato a tentare di nascondermi sotto il bancone.
«Molto maturo da parte tua, biscottino» dichiarò con una risata grassa, e io pregai che si strozzasse con la sua saliva. «Se ci rifletti bene, dovrei essere io quello che si nasconde, visto ciò che mi hai fatto ai gioielli.»
Non aveva tutti i torti, ora che ci pensavo. «È stata legittima difesa» mi giustificai, ritornando in piedi.
Lui sorrise di nuovo. Il sorriso alla "il mio cannellone si intinge nel ragù ogni giorno senza che debba fare nulla" per cui tanto lo odiavo. Ma poi i suoi occhi mi videro, o, per meglio dire, videro la mia faccia devastata, e si sgranarono. «Biscottino, ti sei fatta investire da tutti i locomotori di Trenitalia?»
Sentii una vena del collo gonfiarsi. Mai nella vita avevo desiderato così tanto prendere a botte qualcuno. Eppure, a parte il quaderno delle maledizioni e i calci sulle palle, mi ero sempre ritenuta una pacifista.
«Ho solo visto un paio di film che mi hanno fatto piangere, ieri notte» dissi a occhi chiusi, mentre mi immaginavo squartarlo con una crudeltà peggiore di Saw L'Enigmista.
«Più che piangere, sembra che hai distrutto per sempre i tuoi condotti lacrimali.»
Ero sul punto di prendere la cassa intera e scagliargliela contro, quando Tamara, saggia, mi interruppe.
«Sei qui per comprare un libro?» lo incalzò, mentre i suoi occhi dubbiosi passavano da me a EL2.
«No, solo per salutare la commessa.» Mi fece l'occhiolino. «E assicurarmi che rispetti il patto.»
«Il patto?» ripeté Tamara, confusa.
Fulminai Vincenzo con un'occhiataccia. Di risposta, lui mi mostrò il pollice in su.
Avrei voluto romperglielo come le dita di Midoriya ogni volta che usava One for All.
«Lo rispetterai, vero, biscottino?» chiese con un tono di voce così divertito che ebbi voglia di prendere la sua testa e sbatterla contro il muro più e più volte.
«Sì» digrignai fra i denti.
Mi parve strano, ma stavolta, quando sorrise, sembrò sincero. Come se davvero ci tenesse. Non riuscivo proprio a capirlo. Quel ragazzo mi spaventava, e non poco. Era diverso dai miei compagni del liceo, che mi prendevano in giro in modo palese e neanche troppo raffinato. Vincenzo sì si divertiva, ma non... non sembrava per umiliarmi.
No, no, no, no.
Non potevo cascarci di nuovo. Non lo avrei fatto mai più. Lo avevo giurato a me stessa. Non potevo diventare la nuova Speranza Estate Destino che giustificava i comportamenti di merda del Cattivo Aragostone di turno.
Piuttosto i calamari al forno.
«Beh, ora che ti sei assicurato della mia presenza per venerdì» gracchiai, «puoi tornartene a casa.» E con un gesto della mano gli indicai la porta da cui era appena entrato.
Ma il destino aveva deciso che le mie sfighe, specie quel giorno, non erano mai troppe. Neanche a farlo apposta, vidi Simon scendere le scale.
Porca Clamidia.
Non volevo che mi vedesse in quelle condizioni, e men che meno al fianco di Vincenzo Fiorenzo.
Voglio dire, sapevo che non avevo nulla da nascondere, e di certo poco o niente gliene fregava sul mio rapporto con EL2, ma non potevo certo dimenticare il fatto che la faccia di Leatherface in Non aprite quella porta fosse più piacevole da guardare della mia. E sicuramente più in salute.
Non riuscii a trattenermi, voltai le spalle alla cassa, a Simon, Tamara e Vincenzo, e finsi un improvviso interesse per i libri che avevo davanti.
«Cosa sta succedendo?» sentii chiedere da Simon, con tono abbastanza preoccupato.
Udii la chiara, evidente risata di Vincenzo.
«Cass?» mi chiamò Tamara.
«Cosa c'è?»
«Da quando ti interessano i libri sulla gastronomia peruviana?»
Fissai l'immagine del libro che avevo scelto a caso e stavo fingendo di leggere. Ah, quindi quello era il Perù? Pensavo fosse il Subasio. «La conoscenza non è mai troppa, come dice sempre il mio amato Angela» dichiarai a gran voce, immergendovi la faccia.
Non sapevo come, ma riuscivo a sentire lo sguardo di Simon addosso, sulla schiena. Era un superpotere che avevo sviluppato ammettendo la mia cotta? Come avrei potuto chiamare un simile upgrade? Senso del pippolo? Lucentite-radar? Demenza senile?
Con la coda dell'occhio, provai a girare appena la testa, e subito scorsi il faccione lucente di Vincenzo. Mi fissava con gaudio, un angolo delle labbra sollevato, il sopracciglio destro inarcato, la faccia da schiaffi di chi aveva capito tutto e si stava godendo la scena secondo per secondo.
«Ehi, Simon!» lo chiamò con fare amichevole, e io dovetti trattenermi dal dargli un altro calcio alle sue sfere poké. «Pronto per venerdì?»
Affondai così tanto la faccia nel libro sulla cucina peruviana che quasi mi parve di sentire l'odore di quelle pietanze.
«Sì» sentii dire da Simon. «A proposito, grazie. Cassandra mi ha detto che sei stato tu a consigliarle la palestra.» Anche se cercava di apparire educato, riuscii comunque a sentire un tono d'irritazione nella sua voce. Ero felice di condividere con Essere Lucente 1 il mio odio verso Essere Lucente 2.
«Ma figurati, gli amici di Cassandra sono anche miei amici.» Non potevo vederlo, ma ero sicura al mille per mille che si fosse voltato per farmi l'occhiolino. Sentivo la pelle d'oca persino sotto le ascelle. «Sarà divertente, vedrai. Ah, per caso tu sei uno di quelli che si riprende con la videocamera durante gli allenamenti?»
Mi venne da ridere. Simon si vergognava persino a correre fuori, all'aperto. Registrarsi mentre si allenava, come minimo, gli avrebbe provocato un infarto.
«Io?» domandò lui sconvolto, e io sentii le labbra tremare. «No, nient'affatto.»
«Oh, meglio così. Vedi, la proprietaria della palestra ha vietato l'uso di videocamere al suo interno. Non ci si può riprendere neanche con i cellulari. Se ti becca, sei fuori. E fidati, quando si incazza è più spaventosa di Cassandra con una scopa in mano.»
Un'informazione... interessante.
Quella proprietaria mi stava già simpatica.
Non ci vedevo nulla di male a riprendersi mentre ci si allenava, sapevo che per alcuni, specialmente quelli che amavano il fitness, era un ottimo metodo per vedere come procedevano gli allenamenti, ma il solo pensiero di venir registrata per sbaglio in uno di quei video bastava per farmi venir voglia di impiccarmi al primo tapis roulant disponibile.
«Sarà interessante» proseguì Vincenzo, «non è così, Cassandra?»
Girai la pagina del libro. «Ah-ah.»
«Cerca di non trovare una scusa all'ultimo minuto, come facevi sempre per le lezioni di educazioni fisica al liceo.»
Quello attirò la mia attenzione. Mi voltai per guardarlo, sbigottita. «E tu come diavolo fai a saperlo?»
Vincenzo sollevò le braccia in aria. «Biscottino, lo sapeva tutta la scuola» replicò, come se non fosse niente di che. «Le giustificazioni che davi per non fare ginnastica erano famose in tutto il liceo, persino dove stavo io, in centrale.»
Quindi lui aveva davvero frequentato la centrale. Ci avevo azzeccato, almeno quella volta. Questo spiegava perché non mi ricordassi la sua faccia.
Vincenzo mi sorrise, tronfio e iniziò a elencare con le dita: «Nonna morta almeno sette volte, cagnolino disperso, candida, cistite, coliche renali, che altro? Ah sì, la più famosa. Hai detto al professore di esserti convertita all'ebraismo e di voler rispettare appieno lo Shabbat e che, perciò, non potevi in alcun modo lavorare dato che era sabato.»
Mi ritrovai a bocca aperta. Sapevo di essere famosa a scuola per le mie stramberie, prima ancora del fattaccio, ma non credevo così tanto.
Vincenzo mi guardò serissimo. «Lo sapevi che tutti gli studenti avevano aperto le scommesse su quale giustificazione assurda avresti usato per le prossime lezioni?»
Mi sentii arrossire fino alla radice dei capelli. Immediatamente il mio sguardo finì su Simon, il cui sopracciglio si era inarcato, e solo allora, con orrore, mi resi conto che poteva vedere la mia faccia.
La mia stupida, orrenda faccia post-sbronza-pianto-autocommiserazione-cuorespezzato.
Ripresi il libro sul cibo del Perù in mano e lo usai per coprirmi tutto il volto.
«Non mi piace lo sport» mi ritrovai a borbottare tra la vergogna e il rimpianto.
«Sì, lo avevo immaginato» ridacchiò Vincenzo e Tamara, al suo fianco, dovette sforzarsi per trattenersi al suo volta dal ridere.
Traditrice infame.
«Quindi, niente scuse, capito, Cassandra?»
Mi morsi il labbro. «E se... se mi rompessi una gamba?»
«Come fai a romperti una gamba?»
«Potrei cadere dalle scale. Accidentalmente.»
«Buttarsi giù dai gradini apposta non rientra nel concetto di "accidentale".»
«E se... se perdessi l'ultima puntata di Ulisse?»
«Sono sicuro che Alberto Angela ti perdonerà, se sapesse che è per la buona causa della tua salute fisica.»
Il problema era che aveva ragione.
Affogai il naso tra le pagine. «E se... mi venisse la gastroenterite?»
«Una previsione piuttosto preoccupante per quant'è dettagliata dal punto di vista medico.»
Non potevo certo dirgli che stavo contemplando la possibilità di ingozzarmi di litri e litri di latte fino a scoppiare. Non ero intollerante al lattosio, ma ehi, si poteva sempre provare.
Sentii dei passi avvicinarsi a me. Non erano quelli di Simon, Ovaie li avrebbero riconosciuti subito. Con orrore, vidi un indice piegare il mio libro e costringermi ad abbassarlo. Il volto di Vincenzo mi fu davanti, un sorriso sornione a levigargli le labbra. «Potrai vedere il tuo amato» mi sussurrò a bassa voce, muovendo in su e in giù le sopracciglia, «sudato, che corre e si allena. Questo direi che è un motivo sufficiente, no?»
Ebbi voglia di bestemmiare, perché Ovaie erano pienamente d'accordo con lui, e ciò non mi piaceva per niente. Gli schiaffeggiai il libro in faccia, come se volessi colpire una mosca.
Vincenzo si massaggiò il volto colpito, arretrando, il sorriso sempiterno. «Ho capito, ho capito, me ne vado» dichiarò alla fine con un sospiro divertito. «Ci vediamo venerdì in palestra, allora. Ah» aggiunse poi, e si sfilò lo zaino dalle spalle. Come accaduto al nostro primo incontro, tirò fuori dal suo interno una lattina. «Coca-Cola va bene?» Non ebbi modo di rispondere, me la posò sul bancone senza che io potessi fare o pensare qualcosa. Proprio come quel giorno in cui l'avevo temporaneamente sterilizzato, stappò la lattina e si fregò la linguetta, rigirandosela tra le dita con scherzosità.
«Un premio di consolazione» mi disse, strizzandomi l'occhio, per poi saltellare felice verso l'uscita della libreria, fischiettando una canzone dei... Un momento, quelli erano I Pooh! Un Essere Lucente che cantava I Pooh? Quando mai si era sentito?
Una volta che fu scomparso, nella libreria si diffuse un silenzio pesante quanto una peperonata alle sei del mattino.
Avvampai nell'istante in cui gli occhi di Simon incrociarono i miei, e subito ripresi il libro in mano, usandolo come scudo per coprirmi il volto.
Udii Tamara schiarirsi la gola. «Vado a controllare un attimo i nuovi arrivi» cinguettò, e solo Santo Angela poteva sapere con quanta forza mi violentai per non lanciarmi ai suoi piedi e supplicarla di non lasciarmi da sola con Essere Lucente 1. «Cassandra, ci pensi tu qua, vero?»
«Ah-ah» ripetei, pregando che la voce non tradisse il mio imbarazzo.
Lei salì le scale, riuscii a sentire il rumore dei suoi passi, e io inspirai a fondo dalle narici, come si fa quando si deve andare al bagno consapevoli di dover affrontare il mostro della stitichezza.
«Cassandra.»
La voce di Simon mi chiamò e dentro di me supplicai che non si accorgesse di come le mani mi tremavano a stringere quello stupido libro. Dio santo, tremavo più di Piton alla vista del cadavere di Lily, dovevo darmi un contegno! Dovevo pensare a cose divertenti, almeno per stemperare il panico che mi stava travolgendo.
Cose divertenti, cose divertenti, cose divertenti.
Criceti?
Criceti in gonnella che ballavano?
Criceti in gonnella che ballavano facendo l'hula hoop?
Criceti in gonnella che ballavano facendo l'hula hoop mentre cantavano la sigla di Hamtaro?
«Cass.»
Mi aveva chiamato Cass.
Oddio.
Il mio diminutivo.
Simon-mi-aveva-chiamato-con-un-diminutivo.
Cuore stava avendo più infarti di un fumatore alcolista sovrappeso con l'aritmia. Mi sentivo tornata una tredicenne, Santa Valsoya, non era possibile che mi emozionassi così per un banale, stupido, inutile diminutivo.
«Stai bene?»
Inspirai tutta l'aria che potevo nei polmoni e con un coraggio che non sapevo di avere mi costrinsi ad abbassare il libro e sollevare lo sguardo, così da incontrare quello di Simon, in piedi davanti al bancone, davanti a me.
Il suo sguardo... oddio, era seriamente preoccupato. No, un momento: con la faccia che avevo, era naturale. E Simon era un ragazzo gentile e altruista, era ovvio che si preoccupasse in quel modo. Lo avrebbe fatto con chiunque. Chiunque. Chi. Un. Que. Capito, Ovaie? Capito, Cuore?
«Quel ragazzo... Vincenzo, ti ha fatto qualcosa?»
Cuore era praticamente diventato una fottuta cheerleader. Stava ballando e gridando con degli stupidi pompon tra le mani, in lacrime per la felicità, ed era anche diventato un masochista spaventoso, perché non importava quanto la Cassandra Rocky Joe lo colpisse, lui continuava a rialzarsi e a ballare, forse addirittura più felice di prima dopo ogni pugno.
«No» esalai subito. «No, davvero, lui non c'entra niente. Lo so, pare strano anche a me, ma a parte, ehm, invogliarmi ad andare in palestra, non ha fatto nulla.»
«Sei sicura? Perché il tuo aspetto-»
"È per causa tua" avrei tanto voluto potergli dire. E non sarebbe stato neanche vero. Non era certo colpa di Simon se provavo quei sentimenti nei suoi confronti. Era tutta colpa di Cuore e Ovaie, che stavano per dar vita a un'alleanza simile a quella delle Potenze dell'Asse nella Seconda Guerra Mondiale.
«Ho guardato troppi film con cani che muoiono» mi giustificai in fretta. «Dopo l'horror di ieri, avevo voglia di qualcosa che mi, ehm, smuovesse i sentimenti. Così mi sono cercata film con cani che muoiono.» Il mal di testa post sbronza, scomparso già da qualche ora, parve volermi prendere per il culo per quella bugia così palese, perché riprese a inchiodarmi le tempie con la violenza di Mr Sac A Poche quando pensava di infarcire Miss Bignè Ancora Vuoto. «A volte ho istinti masochisti, non farci troppo caso, è tutto nella norma.»
Non sembrava convinto. Mi costrinsi ad usare la tattica suggerita da Cassandra Di Caprio e a sostituire il suo volto con quello di Nobita, ma funzionò poco. Cassandra Di Caprio non aveva messo in conto tutti gli altri fattori pericolosi di un Essere Lucente, specie Simon: l'eau de manzòn, il corpo atletico, alto, muscoloso, il suono delicato del suo respiro, il collo-oddio, ero una pervertita! Una pervertita!
«Se non vuoi andare in palestra, non sei costretta a farlo.»
Strinsi con più forza il libro che avevo tra le mani.
«Ti ringrazio, anzi, per esserti esposta così e aver chiesto aiuto a Vincenzo. Non lo conosco affatto, ma so che non ti piace. Scu-» si bloccò. Forse si stava ricordando il giorno in cui, in lacrime, gli avevo detto che se avesse continuato a scusarsi avrei pianto ancora di più. «Grazie, davvero» esalò alla fine, con un sorrisetto che era un bene che fossi fobica del sempiterno Platano Picchiatore degli uomini, perché se così non fosse stato, avrei ascoltato Ovaie e gli sarei saltata addosso come se fosse stato l'ultima arancina rimasta al mondo. «Ma non voglio che ti sforzi a fare qualcosa che non vuoi.»
Maledetto Orsetto del cuore.
«Nah, non ti preoccupare» dichiarai con una tranquillità che non rappresentava minimamente quello che provavo dentro. «Si tratta solo di un giorno di prova, per me, lo passerò a fingere di camminare sul tapis roulant a 0,0001 chilometri orari immaginandomi il chilo di pan di stelle che mi divorerò appena tornata a casa. Megera permettendo, ovvio.»
Simon sghignazzò. Dio, volevo piangere. Persino la sua risata era melodiosa. Come faceva una risata ad essere melodiosa? Non ne avevo idea, ma la sua lo era. Il mio lato da stalker avrebbe voluto registrarla e usarla come sveglia al mattino. Possibile che quel ragazzo non avesse neanche un difetto? Sì, era impacciato e timido, ma ai miei occhi quelli erano solo pregi. Pregi inestimabili, per la precisione.
«Questo Vincenzo... lo conoscevi al liceo?»
Mi sforzai di ritornare al libro. «No, non penso. Non mi ricordo di lui. Ma, sempre che non abbia mentito, se stava alla centrale della scuola raramente avremmo potuto incontrarci, visto che io frequentavo la succursale, che era parecchio distante.» Sfogliai pagina, guardando un piatto che non riuscivo a capire se fosse di carne o di pesce. «E in realtà mi è facile credergli, per quanto detesti ammetterlo. Al liceo ero famosa per la mia stramberia, non mi viene difficile immaginare che sia venuto a conoscenza della mia esistenza per via delle voci di corridoio. Voglio dire, il primo giorno di scuola ho letteralmente vomitato addosso al preside.»
Mi sentii arrossire sotto il suo sguardo e mi affrettai a giustificarmi: «Era ricreazione, avevo appena finito di leggere uno young adult. Tutto bene fino a lì, un po' trash, ma ormai ci ero abituata. Il problema è stato l'ultimo capitolo, in cui si scopriva che Mr Il Cobra Non È Un Serpente e Miss Sono Vergine Ma Non Troppo erano fratelli.» Un sibilo da parte sua. «Gemelli» aggiunsi, e il sibilo si fece più forte. «Non lo so, all'epoca in particolar modo l'incesto era una cosa che non riuscivo a tollerare. Ho faticato anche in Game of Thrones. Ma da ragazzina era... non so, non ci riuscivo proprio. E quindi sono corsa via dalla classe per andare in bagno, ma il preside passava di lì, mi ha fermata per rimproverarmi e dirmi di non correre nei corridoi e beh, puoi immaginare il resto.»
Lo sentii ridere sommessamente. «Orripilante.»
«Già, è stato un trauma grande quanto Boku no Pico e School Days messi assieme.»
La sua risata, ora, era immensa. Davvero, perché non poteva averne una meno... sexy? Qualcosa come la risata di un maiale o di un cincillà. Mi sarebbe andata bene pure la risata di Mario Giordano, lo giuro.
«Per anni sono stata nota alla scuola col soprannome di Vomitina» mormorai. «Vincenzo sicuramente ne aveva sentito parlare.»
Mi rifiutavo di raccontargli i miei successivi fallimenti scolastici, e non mi riferivo a quelli in campo accademico. Come quella volta che avevo aperto la cabina del bagno e avevo trovato la mia professoressa di greco intenta a cambiarsi l'assorbente, o quella in cui, durante l'interrogazione di storia, per il panico di non aver studiato abbastanza, alla domanda "Cosa provocò la rivoluzione francese?" mi ero ritrovata a dire "le zizze di Lady Oscar".
I miei occhi ancora gonfi a causa del pianto e della sbronza faticavano a resistere alla tentazione di guardarlo. Fra un piatto peruviano di cui non mi interessava nulla e un manzo che Ovaie si volevano montare come un Transformer, era ovvio che scegliessero il manzo, ma mi sforzai di concentrarli sull'immagine di quel cibo il cui contenuto mi era totalmente ignoto.
«Quindi non parlavi con lui al liceo?»
«No, assolutamente no. Ero un'asociale ai massimi livelli. Solo all'ultimo anno ho avuto modo di chiacchierare davvero con qualcuno, ma non-» Mi fermai, mordendomi il labbro. «Non è finita molto bene.»
Non è finita molto bene.
L'eufemismo dell'anno dopo quello di Megera che dichiarava di non essere poi così intollerante con i catanesi.
Richiusi il libro con uno scatto e lo rimisi al suo posto. Non avevo davvero voglia di rivangare quel passato. Sentii lo sguardo di Simon bruciarmi la schiena. Attento com'era, mi risultava difficile credere che non avesse notato il mio disagio nel narrare il mio passato liceale.
«Anch'io non avevo granché amici al liceo» lo sentii dire, e io tornai a voltarmi per guardarlo. Un sorriso amaro gli solcava la bocca. «Non ero famoso, ma, beh, era un liceo con migliaia di studenti, era difficile farsi notare là. Almeno fino a quando non sono dimagrito. Che è stato anche peggio.»
Potevo immaginarlo. Un membro del partito PB che si digievolveva in Essere Lucente nel corso di un paio d'anni? Era una storia che accadeva solo nei film, di solito. Riuscivo già a vedere lo stormo di ragazze che lo inseguivano e ci provavano con lui, lo stesso ragazzo che probabilmente, poco tempo prima, avevano deriso e preso in giro alle spalle.
Che fosse l'Australia, l'Italia o il Perù, una cosa era certa: gli adolescenti e la loro cattiveria erano uguali in tutto il mondo.
«È un peccato che non andassimo a scuola insieme» mi ritrovai a dire, senza accorgermene, «avremmo potuto fondare il club dei nerd sfigati.»
I suoi occhi s'illuminarono. Per Bob, volevo prendermi la testa a pugni per tutti i pensieri impuri che mi stavano attraversando in quel momento.
«Sarebbe stato divertente» rispose con un sorriso. «Anche se, a quel punto, mia madre mi avrebbe buttato giù dalla rupe come Mufasa.»
«So che è tua madre ed è crudele da parte mia dirlo, ma suona come una persona tremenda da come me ne parli.»
Simon si strinse nelle spalle. «Ha i suoi lati positivi, come tutti noi, solo che... non tende a mostrarli spesso.»
«Le vuoi bene?» mi ritrovai a domandargli, e subito mi sentii stupida per quel quesito così assurdo.
«Sì, ma credo che siamo troppo incompatibili» rispose lui dopo qualche secondo di silenzio. «Il suo modo di vedere la vita è completamente diverso dal mio, e dubito che riusciremo mai a trovare un compromesso. Non penso neanche che uno dei due abbia più torto o ragione dell'altro... semplicemente, lei ha la sua visione del mondo e io la mia.»
Intuii dal disagio nella sua voce che c'era ben altro sotto. Ripensai a quello che mi aveva detto Megera quando aveva saputo del ritorno di Simon in Italia. Lei aveva sospettato un furioso litigio con la madre. Ero curiosa, non potevo negarlo, ma sapevo che non erano affari miei. D'altro canto, anche io parlavo pochissimo di mamma ed ero certa che Simon si fosse posto delle domande in merito a... a quell'uomo. Era inevitabile, in fondo. Per quanto detestassi il pippolo, nemmeno io ero così stupida da poter affermare che mia madre si era autoriprodotta per partenogenesi.
Fissai la cassa sul bancone.
Ora che ci riflettevo, Simon non sapeva praticamente nulla di me, a parte il mio lato pazzo da lanciatrice olimpionica di tampax.
«Io e la mamma andavamo d'accordo su tutto, tranne una cosa.» Sapevo di star parlando troppo, sapevo di dovermi fermare, ma mi sentivo in debito nei suoi confronti, per quella confessione che mi aveva fatto sul suo rapporto con la madre, e inoltre... inoltre, sentivo che Simon avrebbe potuto capire, che non avrebbe giudicato la mamma. «Mio padre.»
Detestavo chiamarlo così, con tutto il cuore, e non appena pronunciai quelle parole, un sorriso doloroso mi trafisse.
Sentii Simon esitare qualche istante.
«Suo marito?»
«Non si sono mai sposati» risposi, sfiorando i tasti della cassa con le dita. «La mamma lo desiderava tanto, ma lui... rimandava ogni volta, trovando qualsiasi scusa possibile.» E sarebbe stato meglio se lo avesse fatto fino alla fine. «Non era il tipo capace di prendersi impegni. La mamma avrebbe dovuto capirlo dal giorno in cui nacqui, quando lui le disse che sarebbe stato meglio darmi il cognome Terensi piuttosto che il suo.» Inspirai a fondo. «Col senno di poi, sono grata che l'abbia fatto. Condividere parte del suo DNA è già una tortura per me, portare il suo cognome sarebbe stato ancora peggio.»
Non lo guardai in viso, sentivo di aver parlato troppo. Avevo difficoltà ad affrontare quel discorso anche con Megera, l'unica che come me aveva vissuto quegli anni e se li ricordava alla perfezione. Patrizia era troppo piccola, a stento riusciva a rievocare il volto della mamma. Sapevo che soffriva molto per questo, ma una parte di me non poteva fare a meno di invidiarla.
Sospirai. Il mio sguardo si posò sulla lattina di CocaCola che Vincenzo mi aveva lasciato. Colsi l'occasione per cambiare discorso: «Secondo te, Vincenzo prende le linguette delle lattine come una sorta di simbolo delle donne che colleziona?»
Una risata lo attraversò. «Tipo Hardin con le lenzuola?»
«Sì, una cosa del genere.» Mi grattai il mento. «Forse è tutta una metafora fallica e le linguette rappresentano la purezza delle donne che si è inciccettato.»
Simon rise ancora. «Inciccettato?»
«Magari la CocaCola rappresenta le more, la Fanta le bionde, la Sprite...» Ci riflettei. «Le vecchie?»
Scoppiammo a ridere insieme, con le lacrime agli occhi. Finalmente, dopo esserci ripresi, trovai abbastanza serenità per poterlo guardare in viso senza andare in panico.
Più o meno.
Diciamo che il panico c'era, ma adesso mi sentivo decisamente meglio. Insultare Vincenzo aveva funzionato. Poteva diventare il mio nuovo metodo antistress, dopo i miei quaderni delle maledizioni.
Mi vergognavo ancora del mio aspetto orrendo, ma se ci riflettevo, non aveva senso nasconderglielo. Tra me e Simon non ci sarebbe mai stato nulla. Qualunque tipo di speranza covassi era destinata a morire peggio di un personaggio di Chainsaw Man. L'amico d'infanzia delle protagoniste dei K-Drama aveva più possibilità di farcela di me. Era più probabile che una Terf ammettesse di essere transfobica che la mia relazione con Simon diventasse qualcosa di più di una semplice amicizia.
Dovevo accettarlo, volente o nolente. Nascondergli la mia faccia da film horror era solo un modo per continuare a covare speranze, e io, quelle speranze, dovevo ucciderle, massacrarle quanto Yotobi aveva massacrato Sharknado.
E non importava se Ovaie fingevano di non comprendere imitando, per l'appunto, Yotobi stesso al grido di "Non-ho-capito", quella era la realtà dei fatti, e io la dovevo accettare come Cornelia delle Witch aveva accettato che lei e Caleb non potessero stare insieme.
Lo guardai dritto negli occhi, dopo un grosso inspiro, e per un attimo mi parve di sentire Patrizia in sottofondo, presa a descrivere quella scena così sentimentale per me, così trash per lei.
"La ragazza dalla faccia più devastata di un quadro di Picasso accettò con un cuore spezzato quanto quello di tutti i bambini all'addio di Tonio Cartonio che quello era il suo tragico, fatale destino. L'Essere Mistico di cui bramava l'Albero Azzurro non sarebbe mai stato suo, in questa vita o nell'altra.
Aveva ormai capito che il Dodò del fantasmagorico Stallone (non Sylvester) l'avrebbe conosciuto solo nei suoi più sordidi sogni erotici, in cui nemmeno Alberto Angela era mai arrivato.
Ma non era Dodò il problema, questo lei, illibata, lo sapeva! Il cuore del manzo bramava, ma era cosciente, la ragazza dal brufolo di nome Bob, più che cosciente del fatto che il suo era un affetto a senso a unico, come quello di Shampoo per Ranma, e niente e nessuno avrebbe potuto cambiare ciò.
L'anima a pezzi, le lacrime agli occhi, e le ragnatele di Spider Man nella sua sacra serratura erano segni evidenti di quello che sarebbe stato il suo futuro: taralli e vino. Forse, solo forse, Mr Pepe Rone a farle compagnia ogni tanto.
Accettò il suo destino con la stessa pace con cui Quasimodo aveva accettato che Esmeralda amava Febo. Si sarebbe consolata, più tardi, pensando che almeno Quasimodo aveva le canzoni più fighe di tutto il cartone animato e le avrebbe poi cantate sotto la doccia per almeno tre ore, fermandosi solo al grido diabolico della nonna che le avrebbe ricordato che un'unghia sulla lavagna era certamente più intonata di lei.
Ne era certa: siffatto era il suo destino.
Silurata dal manzo prima ancora di confessarsi.
Friendzonata senza aver diritto di parola.
Un destino, se possibile, peggiore di quello di Severus Piton.
Almeno lui aveva protetto il figlio di Lily. Lei manco quello."
«Sai» sentii dire da Simon, che mi strappò via da quella melanconica descrizione trash dei miei sentimenti, «hai presente quando ti dicevo che non me la cavo con gli horror?»
Me lo ricordavo piuttosto bene, visto che in sala aveva rischiato di svenire.
Lui accennò un sorriso. «La verità è che ho sempre avuto un desiderio» ammise. «Mi è venuto in mente ieri, quando parlavamo di videogiochi.»
Sollevai le sopracciglia, sorpresa. «Vuoi provare dei videogiochi horror?»
Lui annuì, le guance arrossate dall'imbarazzo. «So che ce ne sono alcuni che hanno delle storie pazzesche.»
Era verissimo, molti di essi erano i miei preferiti. Provai a pensarci su. «Vediamo, conosco The Witch's house, Mad Father, Ib, i classici Resident Evil e Silent Hill, e poi che altro...»
«Conosci Little Nightmares?»
«Se lo conosco? Lo adoro!» Battei le mani, estasiata. «Ha una grafica pazzesca e una storia da bomba! E sai qual è la cosa ancora più fica? Nessuno dei personaggi parla! Neanche uno! Eppure riesci comunque a comprendere, almeno in parte, quello che sta succedendo e il mondo in cui si ritrovano. E poi le ispirazioni dietri sono spaziali! C'è un evidente richiamo a film come La città incantata o-» Mi bloccai, rendendomi conto di star parlando troppo, Simon, però, sorrideva da un orecchio all'altro. Lo guardai accigliata. «Però, non hai paura degli horror? Riusciresti a giocarci?»
Lui si grattò il collo, imbarazzato. «Ci ho provato» ammise, «ma appena arriva una scena anche solo un po' spaventosa, il gamepad mi cade dalle mani per la paura e muoio subito.» Mi ritrovai a sghignazzare, mentre le sue guance si imporporavano ancora di più. «Il trucco che hai usato al cinema per il film, secondo te funzionerebbe anche per il videogioco?»
Rimasi sorpresa. Era una possibilità che non avevo mai contemplato. Avevo sviluppato quel trucco da adolescente più per noia che per vera e propria paura. «È un po' diverso» ammisi. «Con un film devi solo guardare, con il videogioco invece sei un partecipante attivo, devi rimanere concentrato. Forse ti verrebbe più semplice se ci fosse qualcuno accanto a te che commenta. Fare questi videogiochi è più facile in compagnia. Anche se non sono multiplayer, ci si può divertire ugualmente. Un po' come quando Patrizia deve confessare a Megera di aver preso un'altra insufficienza in matematica: mi chiede sempre di accompagnarla. In realtà mi compra dandomi la sua porzione di zeppole, ma il risultato è lo stesso.»
Mi resi conto troppo tardi di quello che avevo appena detto. Simon era un asociale come me, forse addirittura più di me, visto che proveniva dalla terra dei canguri e delle serie tv sulle sirenette e non aveva mai avuto modo di socializzare in Italia. Con chi mai avrebbe potuto condividere ore intere dietro un videogioco horror?
«Ma» mi affrettai ad aggiungere, mentre una patina di sudore freddo mi ricopriva tutto il corpo, «non devi per forza giocarlo, se non vuoi! Che te ne pare invece di vedere il gameplay? So che non è la stessa cosa, ma almeno non ti spaventeresti, potresti abbassare il volume nei momenti di terrore e sentiresti comunque lo Youtuber che commenta. La maggior parte fa a loro volta battute durante le scene più spaventose! Vuoi che te ne consigli qualcuno?» Mi girava la testa per la paura di averlo offeso involontariamente.
Oh Santo Angela, voleva fare harakiri lì sul posto, davanti a lui. Dovevo cambiare assolutamente argomento, dovevo fare qualcosa. Scusarmi? Chiedergli umilmente perdono? Inginocchiarmi? Fare il Padre Nostro degli Esseri Lucenti? Un momento, come avrebbe mai potuto essere un Padre Nostro per EL? Padre Nostro che sei nei boni, sia santificato il tuo-Non delirare, Cassandra!
«Cass.»
Oddio, mi stava chiamando di nuovo con il diminutivo. Voleva dirmi in modo gentile che l'avevo offeso? Però, ehi, era ingiusto! Anche io ero un'asociale e lui lo sapeva benissimo! Lo fissai tremante, stringendo le mascelle.
Simon guardò per qualche secondo la lattina di Coca che mi aveva lasciato Vincenzo e che io non avevo minimamente toccato. Mi parve che le sue sopracciglia si fossero un po' aggrottate, ma fu un movimento così flebile che non ne ero così sicura. Le sue guance, già rosse prima, furono bruciate dallo stesso fuoco del roveto ardente con cui Dio aveva parlato a Mosè.
Lo vidi irrigidirsi tutto, aprire e chiudere le mani più e più volte in un pugno, per poi prendere un grande, gigantesco respiro dal naso.
I suoi occhi, lentamente, tornarono a fissarsi nei miei. Non appena li incrociarono, scattai sugli attenti come un soldato.
Harakiri, dovevo assolutamente fare harakiri.
Oppure, ricorrere al modo più rapido e veloce per suicidarmi: dire a Megera che volevo diventare catanese.
Simon si umettò le labbra, per poi iniziare a parlare: «Ti andrebbe...»
Ti andrebbe? Ti andrebbe cosa? Ucciderti? Adesso? Voleva chiedermelo in modo così schietto?
«Di farlo insieme?»
Spalancai gli occhi, la bocca e se fosse stato possibile anche le narici del naso.
Sentii chiaramente Ovaie prendere in mano tutti i discorsi filosofici con cui mi ero auto friendzonata, strapparli e urlare a gran voce: APRICI IN DUE COME SE FOSSIMO BISCOTTI DELLA FORTUNA.
Momento, momento, momento!
Non era possibile.
Non era minimamente possibile.
Quelle cose non accadevano nella vita reale.
Specialmente nella mia.
Specialmente con un Essere Lucente.
Ma Simon mi guardava serio in viso, e mi accorsi che, tra noi due, il più imbarazzato era proprio lui. Se fosse stato possibile, avrebbe preso fuoco come la Torcia Umana.
«Intendi... a Little Nightmares?» Mi sentivo stupida a specificarlo, ma dovevo assicurarmi al 100% di aver sentito bene e che quello non fosse un miraggio creato dagli ormoni di Ovaie.
Lui annuì.
«Sì» bisbigliò, «ti andrebbe di giocarci insieme?»
Lui non poté udirlo, ma io sì, lo sentii chiaramente.
L'urlo di Cuore, in preda a un delirio di onnipotenza, che gridava con tutta la sua forza: TI AMO TREMILA!
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