2. L'INFANZIA DI UNA STREGA



2. L'INFANZIA DI UNA STREGA

Come nasce una strega? Ma soprattutto si è streghe fin dalla nascita o lo si diventa?

Erano domande che mi facevo di continuo quando ero piccola, dopo il mio veloce scambio di sguardi con la strega dai capelli rossi, la mia curiosità su queste donne devote al demonio divenne un'ossessione.

Sì, ero ossessionata dalle streghe, così studiai il mondo che mi circondava, cercando di darmi qualche risposta.

Iniziai con le mie compagne di classe: stavo nel giardino di sassi della scuola e le osservavo come un aquila studia le sue prede, con gli occhi spalancati, immobile, pronta a divorarle con la mente.

La prima bambina ad impegnare i miei studi personali fu Jessica, la bimba che tutto otteneva grazie ai suoi sorrisi e i suoi capelli biondi e lisci.

Jessica con un movimento di testa, scuotendo i suoi fili dorati, ammaliava tutti, facendo dimenticare alla maestra perché la stesse rimproverando oppure bloccando i bambini durante un litigio, occupandoli a sbavarle dietro.
Jessica era una figa e sapeva di esserlo, usava l'arma della bellezza come un'adolescente e tutti inesorabilmente crollavano ai suoi piedi.

Guardandola imparai che no, non bastava essere solamente delle fighe per intortare la gente, altrimenti Giada non avrebbe avuto problemi – essendo bella anche lei – ma bisognava pure essere sicure di sé.

Ciò che differenziava Jessica da Giada era proprio la sicurezza, essere certa che nessuno potesse ostacolarla.

Per un po' supposi che Jessica dovesse essere una strega, perché incantava la gente, certa di riuscirci; chi altri se non una bimba in grado di fare incantesimi sugli altri poteva essere così fiera e forte?

La mia attenzione un giorno si perse su Serena: lei era la bambina con i capelli neri e gli occhi grandi, sorridenti e verdi.
Quegli occhi verdi, come i miei, che però su Serena brillavano grazie al capello scuro.

Tutti erano schiavi di quello sguardo, quell'intensità che aumentava grazie alle folte ciglia che contornavano quelle due pietre brillanti.

Serena usava i suoi occhi per spaventare, rendere fragili e far innamorare le persone di sé: era quella con il gruppo più compatto di amiche o per meglio dire di sottomesse.
Lo dicevano tutte le maestre: "Serena è una volpe, furbissima, intelligentissima e astutissima."

Così capii che Serena non aveva un gruppo di galline a circondarla per via dei suoi occhioni, ma anche e soprattutto per via del suo cervello, spaventosamente attivo per la nostra età.

Infine studiai Ester, la bambina dai capelli riccissimi e castani, la pelle più bianca della mia e gli occhiali spessi come un libro.

Ester non era la più bella, non era la più intelligente e non aveva nemmeno chissà che amiche a circondarla.

Ester era una vipera, la sua cattiveria era geniale perché ogni volta che agiva negativamente lo faceva in modo indisturbato, silenziosamente, strisciando tra una chiacchiera e l'altra, buttando nell'orecchio altrui maldicenze.

Lei lanciava il sasso ma non la pietra, lasciava che il grosso lo finissero per fare gli altri, autodistruggendosi.

Creava così discordia tra i miei compagni di classe, bramando nell'ombra, così che a fare del male fossero sempre gli altri e mai lei.

Ester di tutte e tre la trovai la più astuta e la più divertente da indagare, era uno spasso vederla in azione.

Poi presi in considerazione me stessa, proprio mentre osservavo Ester, perché in fondo pure io agivo nelle tenebre come lei, zitta, zitta io con i miei occhi giudicavo ognuna di loro, proprio come faceva Dio nei racconti di mio padre.

Sì, io ero Dio nella mia classe e gli altri non lo sapevano; perché così dev'essere una divinità: silenziosa, che sa tutto di tutti, ma non fa mai niente.

Questo pensiero sparì presto, perché in fondo io non avevo alcun potere, nessun'arma, non ero bella, non ero intelligente e non ero nemmeno cattiva.

Io ero io, non Dio, non una strega, ma l'assoluto nulla cosmico, irrilevante anche per me stessa.

Quando tornavo a casa l'unica persona che vedeva qualcosa in me era il mio babbo, colui che era certo sarei cresciuta diventando una splendida moglie con un amabile testimone di Geova, a cui lui avrebbe concesso con fatica la mia mano.

Il mio babbo era questo, un ometto fedele alle sue convinzioni, al suo Geova creatore, alle radici più profonde della bibbia – che non ha errori come libro sacro – e che ogni giorno lavorava affinché io e Acate pregassimo l'onnipotente.

Predicavamo la 'separazione dal mondo', ovvero che noi in quanto testimoni di Geova eravamo tenuti a distanziarci dagli infedeli, coloro che si erano concessi a Satana. Non dovevamo disprezzare l'umanità, perché come Dio noi amavamo tutti, eppure ci sentivamo superiori a ogni individuo che non seguisse Geova.

Forse era questa idea di superiorità a non farmi cercare contatti con gli altri e con chi fossi io per me stessa; e sempre quest'aria distaccata dal mondo probabilmente non mi aiutava nemmeno a creare dei rapporti reali con i bambini.

Dunque ero l'osservatrice del male, colei che guarda, studia e ammira le creature del demonio, gli esseri umani perduti e tra questi c'erano anche le streghe.

Lo sentivo e né ero totalmente certa ormai: le streghe erano ovunque, intorno a me, vicine di banco, in giro per le strade.

Solo non capivo ancora come localizzarle.

Avvertivo dentro di me il loro potere, quasi ne sentissi la puzza di marcio che proveniva dalle loro anime infauste.

Dove nascono le streghe? Chi nasce strega? Si diventa strega? Cos'è davvero una strega?

Per un po' immaginai di essere una sorta di paladina della giustizia, da grande avrei fatto la cacciatrice di streghe perché solo io, fra tutti, avvertivo la loro presenza.

Erano erbaccia che andava estirpata, con la luce di Geova sarei riuscita a scacciarle per sempre.

La mia infanzia fu questa, io che desideravo la morte di tutte le streghe, tutte eccetto una: la strega dai capelli rossi dei miei sogni.

Lei era un punto di arrivo, dovevo prima o poi rivederla e chiederle cosa volesse quella mattina da me, perché mi volse quello sguardo dolce da lontano.

A dieci anni, l'ultimo mio anno di elementari, iniziavo a non sentire più la fede di mio padre così legata a me, eppure seguivo alla regola ogni suo ordine e pregavo tutti i giorni.

Le streghe non erano più una fonte di odio, qualcosa di così maligno da sentirmi chiamata in causa per la loro eliminazione, anzi, le streghe erano divenute la mia più grande fonte di ricerca e tutto di loro volevo capire e conoscere.

Chissà per quale motivo io, la bimba inutile che nessuno era e nessuno sarebbe probabilmente stata, volevo essere una strega.

Ma come si diventa strega?

I miei tre anni di osservazione e di studio mi avevano portata a credere che le streghe più potenti fossero quelle che nascono già streghe, mentre il resto altre non erano che subordinate delle originali.

Le streghe originali avevano i capelli rossi, ma non un rosso tenue come il mio, un bel rosso vibrante.

Le streghe avevano gli occhi verdi, ma non quel verde militare che avevo io, quello color smeraldo come Serena.

Le streghe erano bellissime, con la pelle sempre perfetta, le guance tonde e le labbra carnosi come Jessica.

Le streghe erano astute, bramavano nell'ombra e sapevano come muoversi senza farsi scoprire da nessuno, come Ester.

Eppure ognuna di loro (Jessica, Serena e Ester)  non era una strega, di questo ero sicura.

Ognuna di loro aveva una debolezza, una imperfezione o una mancanza dal renderle quantomeno delle streghe originali.

Forse un giorno lo sarebbero diventate delle streghe, ma quando ero alle elementari no, loro erano bambine comuni, non erano nate streghe.

Chissà come doveva essere l'infanzia di una strega originale.

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