Tempting Whispers
Maschere.
Maschere ovunque che bisbigliavano senza sosta, sussurrando parole incomprensibili.
Si era addormentato in camera propria dopo l'ennesima giornata sfiancante, pronto a svegliarsi più volte durante il corso della notte in attesa che Morfeo lo riaccogliesse svogliatamente tra le sue calde braccia.
Invece, nel sollevare le palpebre pesanti, si era ritrovato in piedi e scalzo in un luogo a lui sconosciuto, circondato da estranei senza volto che sussurravano incessantemente qualche sorta di segreto, ballandogli intorno come nulla fosse al ritmo di una melodia lontana. Vestito solo di una cappa scura che lo copriva fino alla punta dei piedi, invaso dalla paura, Aiden si toccò il viso d'istinto solamente per scoprire che anch'esso fosse celato agli occhi altrui dal medesimo ornamento. Ne saggiò i lineamenti, duri al tatto e finemente cesellati, sfiorando gli zigomi perfetti per poi lisciare le piume che ne adornavano i bordi imitando una chioma folta e nera come la pece.
Nessuno si distingueva in quella cacofonia di mormorii instancabili, livellati nell'aspetto da quel travestimento bizzarramente lugubre.
Sollevò lo sguardo, tentando di capire in che razza di posto fosse finito, ma le pareti in pietra gelida, gli arazzi color carminio e l'enorme candelabro che fievole illuminava l'ambiente, non gli furono di alcun aiuto. La sensazione di essersi perduto si fece largo nel suo animo smarrito.
Non si rese conto di aver inconsciamente afferrato la spalla del proprio vicino fino a quando il silenzio, cupo e terrificante, non calò su di lui come una pesante mannaia, nell'enorme salone circolare.
Tutti, dal primo all'ultimo, si erano voltati a fissarlo, interrompendo all'unisono quella litania e con essa anche la musica era cessata.
Aiden trattenne il respiro, la schiena percorsa da mille brividi. Forse quelle persone sapevano cosa diamine stesse accadendo e perché non fosse nel proprio letto. Le sue labbra però si schiusero a fatica; la lingua era inspiegabilmente incollata al palato, la bocca impastata, come quando aveva assunto per la prima e ultima volta in vita sua un sedativo per alleviare l'insonnia. Questo poteva spiegare la sua narcosi, mentre lo prelevavano dalla propria abitazione nel bel mezzo della notte: lo avevano drogato.
«D-do... Dove siamo?», riuscì finalmente ad articolare. «Che sta succedendo?»
Qualche attimo e, come un coro che si esibiva insieme da anni, dissero: «Attendiamo.»
Il ragazzo restò spiazzato da quel singolare responso.
«Cosa, la polizia? Avete chiamato i soccorsi?»
Tacquero, i loro sguardi ancorati su di lui.
Il ragazzo si sentiva abbandonato tra tanti; gli era evidente che quegli individui fossero sotto l'effetto di qualche stupefacente, considerando quanto le loro pupille fossero innaturalmente dilatate. Non riusciva a non badare ai loro occhi, unico particolare visibile attraverso la maschera. Probabilmente era il solo abbastanza lucido da poter valutare la situazione.
Si guardò nuovamente attorno alla ricerca di un'uscita e finalmente, oltre quel muro fatto di corpi anonimi, intravide una piccola porta in legno dai cardini in ferro battuto. Si fece spazio tra di loro e quando ne afferrò la maniglia d'ottone, un singolo urlo composto da centinaia di voci lo fece sobbalzare.
«NO!», gridarono, ed Aiden ritirò la mano come se si fosse terribilmente scottato.
«No?! Oddio, c'è una bomba?!»
Tutti scossero la testa in segno di diniego, talmente in sincronia da essere raccapriccianti. «Gli invitati a questo ballo non lasciano il salone», disse uno.
«Non tolgono la maschera», proseguì un altro.
«Per nessuna ragione», concluse un terzo.
Credono di essere a una festa, pensò, supponendo che fossero stati ipnotizzati in massa.
«Perché...?», chiese.
Come un unico canto, questi intonarono: «È così da sempre e sempre così sarà.»
A quelle parole, un moto d'ira scattò nell'animo da sempre in rivolta di Aiden: non si sarebbe mai arreso senza battersi, perché senza lotta non esisteva vittoria e se voleva sopravvivere doveva combattere.
Con un clangore sordo sulla pavimentazione grezza, si liberò del manufatto suscitando stupore al di sotto di quei travestimenti grotteschi, rigettando quell'imposizione stabilita da chissà chi e spalancando la porta. Ne varcò la soglia, senza voltarsi indietro né esitare un istante di più.
Trovatosi in un corridoio freddo e spoglio, riusciva chiaramente a percepire il suono del proprio respiro ridondare tra i mattoni scheggiati, le intercapedini ricolme di spifferi tremolanti e poche lanterne ad illuminargli la strada deserta. Col fiato che si addensava ad ogni nuovo respiro, Aiden si chiese se non avesse agito d'impulso abbandonando il salone finché un quieto mormorare rimbalzò indistinto tra le pareti, giungendo alle sue orecchie tese. L'adrenalina prese a scorrergli nelle vene ed accelerò il passo, spaventato all'idea che i rapitori si fossero già accorti della sua assenza e lo avessero seguito; per riacciuffarlo o per ucciderlo, non aveva intenzione di scoprirlo.
Con il batticuore, sbucò in una piccola area disseminata di ingressi che affacciavano sull'ignoto. Guardandosi freneticamente intorno, desiderò di non essersi privato di quella maledetta maschera; si sentiva esposto, vulnerabile. Le voci si fecero più vicine, il discorso più nitido ed Aiden si catapultò nel primo rifugio disponibile, ovvero dietro un tendaggio. Erano proprio lì davanti, poteva chiaramente sentirne la presenza. Serrò le dita sul tessuto scarlatto.
«... -mpi moderni!»
«Preferirei non parlarne; l'ultimo che mi è capitato era asciutto come il letto di un fiume in pieno deserto.»
Sbirciò attraverso un minuscolo spiraglio nella stoffa e le iridi smeraldine del giovane ingoiarono la pupilla nell'attimo in cui due figure gli passarono davanti. Volando.
Ali, grandi e nere, sostenevano quei corpi antropomorfi, dalle cosce carnose che gradualmente perdevano la loro liscezza, ricoprendosi di fitta peluria scura; al posto dei piedi, zampe grosse e rapaci, con artigli talmente acuminati da poter dilaniare un uomo; una coda fine ed appuntita partiva alla base della loro schiena, e delle corna minute spuntavano tra le chiome setose; i seni nudi erano così fiorenti e sodi che avrebbero potuto ridare la vista ad un cieco, tanto erano perfetti. I loro occhi brillavano ferali nel buio, mentre sorpassavano il suo nascondiglio di fortuna proseguendo quel loro chiacchiericcio.
«È diventato veramente difficoltoso portare a termine il lavoro. Gli esemplari di questa sciocca specie non fanno altro che trastullarsi davanti a quegli apparecchi infernali.»
«Hai proprio ragione! Le loro sacche sono sempre vuote e raggrinzite: sprecano il loro seme in fazzoletti arrotolati, piuttosto che mettere a frutto una simile abbondanza! Quale spreco!»
«Concordo, e la cosa triste è che, oltre ad essere privi di succo, sono anche estremamente veloci nel raggiungere l'apice, rendendo il nostro impiego ancor più noioso e desolante di quanto già non sia... Con simili presupposti, scommetto che a quelli là va molto meglio», borbottò l'ultima con risentimento, e scomparvero oltre uno dei numerosi archi.
Aiden si appiattì contro il muro dietro di sé, irrigidito da capo a piedi come una statua di sale. Non poteva crederci. Inconcepibile. Assolutamente impossibile.
Succubi.
Le malefiche e seducenti protagoniste dei racconti medievali che si lamentavano di PornHub e di eiaculazione precoce. L'unica spiegazione plausibile era di aver battuto la testa cadendo dal letto, e adesso la sua mente intontita andava a briglia sciolta, galoppando la frustrazione sessuale che lo accompagnava da quattro mesi a quella parte; ironia della sorte, pareva fosse il solo a non imitare le pessime ma appaganti abitudini dell'intero genere umano. Sì, il suo subconscio lo stava decisamente prendendo per il culo.
Era così preso da quei pensieri, esilaranti ed aberranti insieme, da non accorgersi della silente ombra sopraggiunta alle proprie spalle.
«Cosa ci fai qui?»
Aiden sussultò, il cuore che voleva schizzargli fuori dal petto. L'aria gli mancò nei polmoni nel posare lo sguardo sulla cosa più terrificante che avesse mai visto nella sua breve e misera esistenza.
Tenebra, pura e semplice, dai contorni fumosi e senza spessore alcuno. Quel nulla assoluto pareva inghiottirlo, fagocitarlo al pari di una bestia pronta al macello mentre due occhi, stretti come capocchie di spillo, lo trapassavano da parte a parte scavandogli nell'anima. La sua aura lo opprimeva, e la sensazione di venir schiacciato al suolo da una tale invisibile potenza lo atterriva. La più grande paura della sua infanzia, l'uomo nero, lo aveva trovato e nessuna luce o rassicurazione lo avrebbe spazzato via. Travolto da una paura folle indietreggiò goffamente, abbandonando così il proprio nascondiglio e mostrando il volto impallidito.
Le iridi cangianti dell'essere scintillarono di genuina curiosità, mentre si protendeva in avanti per esaminarlo con maggior attenzione.
Sull'orlo del collasso, Aiden respirava a fatica. Non riusciva ad elaborare nulla che fosse vagamente coerente. L'orrore si era impadronito di ogni fibra del suo essere, rendendolo inerme.
«Sei cosciente», decretò il mostro, come se quella semplice constatazione fosse un'anomalia a cui non aveva mai assistito, un evento singolare e non la normalità - se di questa si poteva assurdamente parlare. Volteggiò intorno al giovane, studiandolo con profondo interesse tentando di comprendere il motivo di quella che, evidentemente, considerava una disfunzione.
«Hai perso l'uso della parola?», gli chiese quindi con voce baritonale e sinistra.
Aiden aveva paura di morire. Aveva paura di vivere e scoprire cosa quella creatura fosse in grado di fare, e quali sofferenze potesse infliggere.
«N-non dovrei e-esserlo? C-cosciente, intendo...» rispose, racimolando tutto il coraggio che possedeva.
«Interessante...»
Sotto i suoi occhi sgranati e stupefatti, la creatura mutò le proprie terrificanti sembianze, abbandonando quelle dell'altrui fobia per assumere una forma che il ragazzo potesse quantomeno accettare; voleva proseguire quell'indagine che aveva spezzato la sua monotonia, e provocargli un attacco cardiaco era poco indicato allo scopo.
Occhi magnetici dalle mille sfumature dell'azzurro, incastonati in pelle di porcellana screziata da venature violacee, fissarono Aiden. Il demone, le cui fattezze adesso ricordavano distintamente quelle delle Succubi, teneva le braccia conserte sul torace nudo, tamburellandovi ripetutamente le dita dagli artigli acuminati. Lo scrutò qualche altro istante, prima di accennare un impercettibile sorriso. «No, non dovresti. Non qui, almeno.»
La confusione nel giovane aumentava sempre più. «Cosa vuol dire?»
«Ciò che ho detto. Questo è un crocevia, un piano dimensionale transitorio: nel limbo nessuno è padrone delle proprie azioni, bensì asseconda le poche tacite leggi che lo governano.»
«Limbo? Sono morto?!»
L'altro sollevò teatralmente gli occhi al cielo.
«Siamo nel vuoto che voi uomini percepite appena svegli al mattino e che non riuscite ad afferrare. Le reminiscenze che avete di questo luogo si cancellano, quando l'io si desta del tutto. Non hai tirato le cuoia... non ancora», e mostrò una fila di denti aguzzi che diedero ad Aiden i brividi.
«Nessuno aveva mai abbandonato il salone, prima di te. Non vuoi scoprire cosa accade qui, mh? Il perché nascondete il vostro volto?»
Lo sguardo di Aiden saettava dalla sottile e guizzante appendice alle protuberanze ricurve tra le ciocche corvine dell'altro, scrutava le enormi ali dall'ampio scheletro chiedendosi quale sarebbe stato il proprio destino. Cosa intendeva con crocevia? C'erano altre creature del demonio, lì? E se stava sragionando nel sonno, perché sembrava tutto così dannatamente realistico?
Non si accorse del cambiamento nel suo stato d'animo finché il sudore ad imperlare la fronte naturalmente abbronzata non assunse un'origine diversa dalla sola paura.
Come un morbo che si impossessa dell'organismo da infettare, Aiden percepì l'eccitazione strisciargli sotto l'epidermide, raggiungendo ogni nervatura del suo corpo nudo al di sotto del mantello scuro. I brividi provocati da ansia e timore divennero fremiti di aspettativa, mentre intorno a lui ogni cosa andava sbiadendosi. La mente faticava a comprendere il perché di una simile reazione fisica, impossibile in una circostanza tanto critica quanto pericolosa; eppure, la vitalità crescente tra le proprie gambe era il segno tangibile dell'appetito che lo stava consumando, partendo dalle viscere. La voglia bruciò i sentimenti negativi che lo avevano attanagliato fino a qualche secondo prima, sostituendosi ad essi, ed il fiato corto di Aiden divenne un ansito convulso.
«C-cosa sta succedendo?», rantolò, portandosi le mani alla gola improvvisamente arsa. Il demone gli si avvicinò con passi languidi e cadenzati, un movimento ipnotico che costrinse il giovane a boccheggiare, mentre si opponeva con tenacia a quella sensazione di esaltante lussuria.
«Sono un Incubo, è nella mia natura donare piacere e pretenderne altrettanto.»
«Credevo che g-gli Incubi seducessero l-le donne...», biascicò a fatica, i sensi ormai intorpiditi e la testa che girava.
«Credenza popolare. Abbiamo i nostri gusti e le nostre peculiarità, proprio come voi, e ti trovo incredibilmente stuzzicante... È ammirevole come tenti di resistermi. Dimmi, umano, qual è il tuo nome...?»
Avrebbe voluto tacere, sigillarsi le labbra per impedire che qualunque suono fuoriuscisse dalla sua bocca fattasi di fuoco; invece, gemette vergognosamente la propria risposta.
«A-Aiden.»
«Hai ancora paura di me, Aiden?»
SÌ, voleva urlare fino a svuotarsi i polmoni, strapparsi la carne di dosso per liberarsi di quell'inspiegabile bramosia.
Un piagnucolio disperato fu tutto ciò emise.
Cadde sulle ginocchia, ferendosi contro le lastre ruvide, in una posizione sottomessa che stonava con la sua indole battagliera ed orgogliosa. Eppure si ritrovò a gattonare al cospetto di quella creatura malefica, piegandosi a un sortilegio di cui era caduto vittima e da cui non sapeva come sprigionarsi, anelando delle attenzioni che il suo spirito non voleva ma che il corpo, al contrario, desiderava.
Le dita dell'Incubo trovarono i suoi riccioli ribelli, piegandogli la testa all'indietro per meglio osservarne le iridi smeraldine. Si umettò le labbra, la lingua che saettava veloce pregustando un sapore che non accarezzava il suo palato da secoli.
Voleva scappare, Aiden, fuggire da quel tocco, quel luogo, quella cuncupiscenza che gli erodeva il cervello ed ogni pensiero lucido, assoggettandolo ad una volontà che non sentiva come propria ma che aveva accettato come tale.
Tutto di quell'essere mefistofelico lo attraeva, invogliandolo a cedergli il controllo e farsi usare come una bambola di pezza, esigendo un godimento divenuto necessario e inderogabile. I suoi lineamenti dapprima terrificanti adesso gli parevano sublimi, seducenti, ed il ragazzo si trovò a guaire quando la mano dell'altro scivolò sul suo viso; ne inseguì il tocco, schiudendo la bocca nel debole tentativo di intrappolare una falange e succhiarla, in una tacita richiesta.
L'incubo sorrise, diabolico e tentatore, e lo liberò della cappa che scivolò via dalle sue spalle con un fruscìo delicato.
Senza veli, completamente esposto a quegli occhi sibillini, Aiden non si era mai sentito tanto bene in vita sua. Come poteva un essere tanto bello e sublime paragonarsi a un tormento onirico?
L'ambiente iniziava a perdere i suoi contorni, facendosi sempre più offuscato ad ogni parola che la creatura sussurrava, rassicurante, tessendo parole di cui non capiva più il significato. Aiden sentiva il sangue ribollire nelle vene, percependo un calore talmente vivido e intenso da farlo tremare senza ritegno, la propria virilità pulsare mentre rispondeva al richiamo dell'incantesimo che lo aveva costretto ad offrirsi al suo carnefice.
«Lasciati andare...», gli soffiò quest'ultimo all'orecchio, leccandogli il lobo, e quello fu il punto di non ritorno; il ragazzo gli afferrò impetuosamente i fianchi, travolto dalla lussuria, strofinando il viso sul suo addome scolpito alla ricerca dell'oggetto che gli avrebbe donato infinito piacere.
«Questo è... un sogno... vero?», ebbe la forza di chiedere, dando fondo a ciò che rimaneva della sua razionalità. Come se la risposta a quel punto contasse davvero, o potesse in qualche modo frenarlo dal dare libero sfogo alla propria libidine. Come se fosse realmente in grado di distoglierlo da quel singolo pensiero che gli martellava in testa, urlandogli di farsi possedere da quell'essere fatto di lascivia pura.
«Può essere il più bello della tua intera esistenza, se lo desideri.»
Una proposta. Una promessa.
Ed Aiden cedette al pari di una diga che crolla sotto il peso dell'acqua che invade ogni cosa, seminando distruzione per poi giurare vita.
Si trovò sotto di lui, intrappolato dal suo peso mentre le enormi ali si distendevano per poi avvolgerli in un bozzolo caldo e sicuro. Si impossessò di quelle labbra ammaliatrici, divorandole come un affamato che assapora una leccornia dopo mesi di digiuno, un assetato che trangugia fresco liquido con cui dissetarsi.
Si disintegrò sotto il suo tocco esperto per rinascere dalle ceneri che il demone, mordendolo e graffiandolo, lasciava al suo passaggio; araba fenice, in un delirio dalle fattezze mistiche ed ammalianti.
Il ragazzo mugolò nella sua bocca, smarrendosi in un tripudio di sensi, e l'Incubo lo prese, facendosi spazio in quel corpo sudato e bollente. Aiden urlò il proprio godimento, incatenato alla creatura che lo aveva catturato e rinchiuso in una gabbia dalle sbarre invisibili in cui aveva bloccato la sua volontà.
E mentre lo possedeva, spingendosi dentro di lui con impeto crescente, spalancò l'enorme bocca avventandosi sul suo viso.
Schiuse le palpebre e sentì una strana sensazione di vuoto pervaderlo e un peso sul petto, mentre il soffitto invadeva con prepotenza la sua visuale.
Aiden si tirò su a sedere, le gambe che ciondolavano fuori dal letto e zoppicò fino al bagno, le spalle doloranti e una strana sensazione di bruciore al fondoschiena. Svuotò la vescica, gli slip resi umidi da alcune gocce di sperma che dovevano essergli sfuggite a causa di qualche fantasia erotica di cui, purtroppo, non ricordava nulla. L'orologio segnava le sette del mattino: erano mesi che non dormiva otto ore di fila.
Passandosi una mano tra i riccioli in disordine, tornò in camera dove ricadde pesantemente sul materasso. L'impressione di aver smarrito qualcosa, totalmente svanita. Il ragazzo pensò di approfittare di quella strana congiunzione astrale e coricarsi un altro po'. Si infilò quindi sotto le coperte e, pochi istanti dopo, il suo respiro divenne lento e regolare.
Nel fitto buio della stanza, due piccole gemme dalle sfumature dell'oceano lacerarono l'oscurità, cristalline, eteree, seguite da una fila di denti bianchi ed appuntiti.
Profondamente addormentato, Aiden si mosse nel sonno mugolando qualcosa e l'Incubo sorrise, il dito indice davanti alle labbra: era riuscito a fermarsi appena in tempo e a non cibarsene prima che il divertimento fosse finito, destandolo; non vedeva l'ora di prendersi gioco di quelle sciocche Succubi e deriderle, portando loro in dono il prezioso ed abbondante frutto di cui erano alla disperata ricerca.
Si dissolse come nebbia e con lui il suono del suo riso, debole e sinistro, ed Aiden non vide mai la piuma nera volteggiare nell'aria, andando a posarsi delicatamente sul pavimento per poi scomparire, unica prova del suo sogno.
Perchè lo era, giusto...?
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