Temptation accomplished I

Storia scritta per la AkaRen Week 2024

Day 3: Reverance | Salvation | Blasphemy

Il sole era tramontato già da un po' oltre le verdeggianti colline del piccolo paesino di campagna situato proprio lì, tingendo per un breve istante il panorama di oro e magenta, lasciando così spazio alle prime stelle che avevano iniziato a brillare alte nel cielo. Solo quando anche la luna fece capolino da dietro una sottile coltre di nuvole, padre Rengoku riuscì finalmente a chiudere le porte della chiesa a cui lo avevano assegnato e a concedersi un attimo di respiro. Quel giorno era stato particolarmente lungo e faticoso, pieno di fedeli che entravano e uscivano dal confessionale alla ricerca del perdono divino dei propri peccati, di liturgie eucaristiche e preparativi in vista della settimana santa che avrebbe portato pace e rinascita nei cuori dei suoi nuovi parrocchiani.

Padre Rengoku era stato trasferito lì in un periodo molto particolare dell'anno, come sostituto del vecchio parroco ormai troppo anziano per continuare a dire messa, e si era dovuto rimboccare le maniche fin da subito: preparare le veglie e le processioni, gestire il piccolo gruppo di chierichetti, organizzare gli incontri del catechismo, accogliere pazientemente le giovani fedeli che si recavano in chiesa ogni giorno per confessarsi – anche se non avevano commesso alcun peccato – ed entrare nelle grazie della vecchia perpetua che lo aveva guardato male sin dal primo momento.

"Sei troppo bello e giovane per fare il prete. Porterai solo un sacco di guai in questa piccola comunità", gli aveva detto proprio quel giorno dopo che l'ultima giovane ragazza aveva lasciato la chiesa con movenze aggraziate, facendo gli occhi dolci a padre Rengoku e ridendo in maniera civettuola di fronte al sorriso mite che lui le aveva umilmente rivolto. Non era la prima volta che si sentiva dire di essere troppo bello e giovane per ricoprire quel ruolo, così come non era la prima volta che si ritrovava al centro delle attenzioni femminili – biondo, alto, muscoloso e al servizio del prossimo: un uomo così sarebbe stato solo da sposare. Ma finché avrebbe seguito la retta via del Signore e usato quei suoi doni per far avvicinare la gente alla chiesa e non per tentare e sedurre il prossimo, sapeva che non ci sarebbe stato alcun problema.

Dopo aver chiuso le porte ed essersi fatto aiutare dal sacrestano e dalla vecchia perpetua per rimettere a posto gli arredi sacri e la casula liturgica, padre Rengoku li congedò gentilmente, dandogli appuntamento per la mattina seguente così da ultimare i preparativi per quella settimana piena e intensa. Quando li vide uscire dalla sacrestia e sentì scattare la serratura, il giovane sacerdote decise di ripercorrere la navata centrale per sistemare i banchi e le sedie lasciate fuori posto. Avrebbe dovuto lasciare quel compito al buon vecchio Urokodaki, ma aveva preferito mandarlo a casa così che potesse riposare a dovere – e poi non gli dispiaceva occuparsi in prima persona di ciò che riguardava la sua chiesa.

In silenzio e con i passi che riecheggiavano ad ogni falcata, ritornò lentamente verso l'altare e si fermò a guardare la grossa croce lignea che lo sovrastava in tutta la sua malinconica sofferenza. Il crocifisso di quella chiesa, sebbene antico e parzialmente roso dalle tarme, era comunque il più bello che avesse mai visto. Era evidente che fosse stato creato con immensa cura dalle sapienti mani di un abile artigiano: i lineamenti e i colori del Cristo erano così vividi, così perfetti, da sembrare quasi reale.

Padre Rengoku lo guardò rapito, come la prima volta che aveva messo piede in quella chiesetta di campagna, sentendosi pervadere dall'amore e dalla fede che provava per Dio. Senza distogliere lo sguardo dal viso sofferente del Cristo, decise di fermarsi in prossimità del primo banco e di sedersi, raccogliendosi in religioso silenzio proprio di fronte a quella croce finemente lavorata. La contemplò a lungo con i suoi grandi occhi vermigli, poi decise di mettersi in ginocchio sull'inginocchiatoio di legno; giunse le mani di fronte al proprio viso, chiuse gli occhi e appoggiò la fronte sulle dita intrecciate. Iniziò a pregare e tutto il resto sparì, lasciandolo solo con sé stesso e con il Signore che ascoltava le sue suppliche dall'alto dei cieli.

Fu proprio mentre padre Rengoku cominciava a recitare l'ennesimo "Pater Noster" che qualcuno lo affiancò senza produrre il minimo rumore, sedendosi vicino a lui con un fruscio appena percettibile. In un primo momento, il prete pensò di essere stato lui stesso a produrre quel suono leggero come il posarsi di una piuma, mentre si sistemava meglio sull'inginocchiatoio per far sì che il sangue nelle gambe riprendesse a circolare regolarmente, ma si dovette ricredere quando sentì una presenza gravare su di lui.

«Padre, perdonami, perché ho molto peccato.»

Le parole si riversarono direttamente nell'orecchio di padre Rengoku, con un tono melenso e volutamente provocatorio. Nel sentire quella voce, il sacerdote spalancò le palpebre e per poco non cadde dalla panca su cui si era inginocchiato poco prima. Vide la figura di un giovane uomo, avvolta da capo a piedi in un lungo e pesante mantello nero, che se ne stava appoggiata al banco con uno strano sorriso sulle labbra. Quello fu l'unico particolare che riuscì a vedere del viso dello sconosciuto, cosa che gli fece inspiegabilmente accapponare la pelle.

«Figliolo, la chiesa è chiusa e l'ora delle confessioni è passata già da un po'.» Disse padre Rengoku dopo essersi ripreso dallo stupore iniziale, rimettendosi in piedi e spolverando lievemente la propria veste talare. «Come hai fatto ad entrare qui dentro?» Chiese poi, piegando lievemente la testa di lato e guardando intensamente il giovane uomo per cercare di capire chi, tra i suoi fedeli, si fosse intrufolato senza permesso all'interno della chiesa a quell'ora tarda.

«Ma io ho veramente tanto bisogno di confessare i miei peccati, padre. Davvero vuole mandarmi via senza aver ascoltato le pene che affliggono questa mia povera anima?» Domandò di rimando lo sconosciuto con un tono di voce disperato, che cozzava in maniera grottesca con quel sorriso beffardo che continuava a far rabbrividire il giovane prete. «Cosa si dirà in paese quando si spargerà la voce che il nuovo parroco ha negato il sacramento della confessione ad un povero mendicante bisognoso? La prego, chiedo solo un attimo del suo tempo.» Continuò, alzandosi dalla panca e avanzando lentamente verso padre Rengoku senza abbassare il cappuccio che gli copriva la faccia sorridente.

Il sacerdote sentì l'impulso di indietreggiare, ma resistette e rimase dov'era. Anche se riconosceva che fosse una persona strana e dagli atteggiamenti bizzarri, quello che aveva davanti era pur sempre un membro della sua comunità e non poteva allontanarlo solo perché glielo suggeriva il suo sesto senso – anche se, a dirla tutta, non sbagliava mai. Cercando di scacciare via una volta per tutte quella fastidiosa sensazione che continuava ad attanagliare il suo stomaco e a fargli rizzare i peli sulle braccia, sorrise bonariamente, scosse lievemente la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi raccolti in una coda bassa e allargò appena le braccia in segno di accoglienza.

«Non sto negando niente a nessuno. Io sono solo un umile servo del Signore, non potrei mai permettermi di decidere per Lui. E dato che il Signore è grande e non riposa mai, ti ascolterò e chiederemo insieme il perdono dei tuoi peccati.» Disse padre Rengoku, facendo segno al giovane ragazzo di seguirlo in direzione del confessionale.

Si incamminò dando le spalle allo sconosciuto e sentì i brividi lungo la schiena farsi più intensi e frequenti. Ignorò il propria coscienza che aveva cominciato ad urlare di non abbassare la guardia di fronte a quel misterioso uomo – forte della fede che riponeva in Dio e del coraggio che non gli era mai mancato – e cercò di mantenere il sorriso gentile di sempre. Quando arrivò quasi alla fine del banco situato nella navata opposta a quella in cui si era fermato a pregare, la voce dello sconosciuto si levò nuovamente nel silenzio suggestivo della piccola chiesa.

«Come sei nobile e servile.» Disse l'uomo con un tono profondo e sogghignante che riecheggiò in maniera sinistra lungo le navate. «Ma sento che dentro di te nascondi una forza d'animo senza eguali, per non parlare della vitalità che percepisco scorrere in tutto il tuo corpo. Mi piaci, padre, e non vedo l'ora di averti tutto per me

Quando finì di parlare, una strana folata di vento si levò improvvisamente all'interno della chiesa e le candele, la cui tremolante luce aveva illuminato l'ambiente fino a quel momento, si spensero tutte in una volta. Padre Rengoku si girò di scatto in direzione dello sconosciuto che aveva appena parlato e il respiro gli si bloccò in gola quando si ritrovò con la sua mano artigliata alla faccia, con il palmo che premeva sulle labbra e che gli impediva di parlare o gridare.

Preso alla sprovvista e con il cuore che aveva iniziato a battere furioso nel petto, il sacerdote gli afferrò il braccio con entrambe le mani e provò con tutto sé stesso a fargli perdere la presa, così da poterlo allontanare; ma lo sconosciuto era dannatamente forte e non si mosse di un singolo centimetro. Il ghigno del giovane uomo si allargò a dismisura di fronte all'espressione che si era dipinta sul viso del prete e sentì un delizioso fremito percorrergli la spina dorsale quando incrociò il suo sguardo, trovandosi a fare i conti con un'occhiata letteralmente di fuoco. Oltre ad avere una particolare colorazione che ricordava l'ardore delle fiamme stesse, in quel momento le iridi di padre Rengoku erano animate da un'insieme di emozioni differenti che rendevano il suo sguardo affilato come una lama e rovente come le lingue di fuoco dell'Inferno.

Davanti a quell'espressione così allettante, lo sconosciuto non poté fare a meno di leccarsi lentamente le labbra e di sospirare estasiato, sentendo l'eccitazione crescere a dismisura dentro di sé. Strinse maggiormente le dita sulle guance del giovane prete e lo costrinse a seguirlo fino a raggiungere nuovamente il centro della navata principale, proprio di fronte all'altare e alla grossa croce lignea. Un mugolio di dolore si riversò nel silenzio della chiesa quando padre Rengoku sentì la pelle del viso lacerarsi e bruciare al di sotto delle unghie dell'altro uomo.

«Vuoi sapere di quali peccati è macchiata la mia anima?» Gli chiese di punto in bianco, avvicinandosi appena all'orecchio destro del sacerdote per far sì che potesse sentirlo chiaramente. «Ho tentato e sedotto migliaia di uomini e donne, ho risucchiato la loro vitalità fino a farli cadere come foglie morte, e stanotte farò lo stesso con te. Nessun Dio potrà salvarti: adesso qui comando io.» Disse poi, facendo sgusciare la propria lingua fuori dalle labbra per leccare lascivamente il padiglione auricolare dell'uomo che continuava a tenere stretto per la mandibola.

Nel sentire quelle parole, padre Rengoku inorridì e sgranò gli occhi vermigli. Capì di trovarsi tra le grinfie di un assassino pazzo e maniaco, e la consapevolezza di trovarsi in pericolo lo investì con la stessa forza di un macigno. Per la prima volta in vita sua ebbe paura di ciò che sarebbe potuto accadere e, chiedendo il perdono e la grazia di Dio, abbandonò la caritatevole parte di sé che gli avrebbe impedito di fare del male al prossimo. Doveva mettersi in salvo e l'unico modo che aveva per farlo era reagire e combattere.

Prendendo a due mani tutta la forza e il coraggio che aveva dentro di sé, assestò un pugno allo stomaco di quel pazzo furioso e gli colpì le gambe con un potente calcio. Lo sconosciuto si lasciò scappare un verso di sorpresa e di dolore al tempo stesso, perdendo la presa dal viso della sua preda. Il sacerdote approfittò di quell'attimo per sfuggire dalle sue grinfie, spingendolo via e liberando il proprio viso con un movimento repentino della testa. Nel compiere quel gesto, il bruciore alle guance divenne insopportabile e sentì chiaramente del sangue caldo colare giù fino a raggiungere il suo mento.

Strinse i denti e ignorò il dolore lacerante che gli faceva pulsare tutto il volto, decidendo di conservare il fiato per correre e andare a cercare aiuto. Con uno scatto, si lanciò in direzione delle porte della chiesa che aveva chiuso lui stesso, pregando di riuscire a raggiungerle e aprirle prima che quell'assassino potesse prenderlo di nuovo. Tuttavia, prima che potesse anche solo percorrere qualche metro della navata, padre Rengoku si sentì afferrare saldamente dai capelli e gridò di dolore quando venne trascinato con forza all'indietro. Portato di peso di fronte all'altare, senza che riuscisse a fare nulla se non dimenarsi e urlare inutilmente, il sacerdote venne spinto contro il pavimento senza alcuna grazia, le scale di marmo pericolosamente vicine al viso sporco di sangue.

Le dita dello sconosciuto, che si erano aggrappate con forza ai suoi lunghi capelli biondi, lo avevano lasciato all'improvviso, facendolo sospirare di sollievo; ma un attimo dopo si strinsero nuovamente sulle sue guance, strappandogli un gemito sofferente quando andarono a premere sulle ferite fresche. Sovrastandolo e abbassandosi fino a portarsi quasi faccia a faccia con lui, l'uomo mostrò nuovamente il suo ghigno sfacciato. La luce della luna, che filtrava attraverso i rosoni dai vetri colorati e dalle finestre poste sui muri dell'abside, illuminava la figura incappucciata dello sconosciuto, rendendo quel suo sorriso ancora più inquietante e innaturale. Guardandolo meglio, padre Rengoku notò come i denti di quel pazzo somigliassero più a delle zanne appuntite, e un brivido gelido gli fece accapponare la pelle.

«Non sei solo pieno di vitalità, ma anche forte abbastanza da riuscire a respingermi e colpirmi. Nessuno era mai arrivato a tanto e questo non fa altro che renderti ancora più allettante. Sarà davvero divertente prenderti e piegarti ai miei voleri, distruggere le colonne portanti dei tuoi ideali e della fede che riponi in Lui.» Disse con voce provocatoria, indicando il Cristo intagliato che li guardava con espressione triste e sofferente. «Che ne dici, Kyojuro? Vogliamo vedere fino a che punto riuscirai a resistere prima che la tua anima vada in pezzi? Vogliamo scoprire se mi supplicherai di risparmiarti prima che l'ultimo alito di vita abbandoni il tuo corpo stanco?» Chiese poi, e da sotto il cappuccio del mantello il sacerdote giurò di vedere i suoi occhi brillare di luce propria.

Nel sentirsi chiamare per nome e nell'ascoltare quella serie di frasi inquietanti, padre Rengoku sgranò gli occhi vermigli e provò nuovamente a liberarsi dalla presa salda dello sconosciuto, cercando di colpirlo con una testata o con un altro calcio; ma l'uomo che lo sovrastava riuscì a schivare ogni attacco senza scomporsi troppo e senza perdere quel suo sorriso compiaciuto. Lo sconosciuto lo guardò dimenarsi con impeto, ridendo e trovando divertente ogni suo tentativo andato a vuoto; poi decise di mettere fine a quel gioco – anche se lo aveva trovato davvero eccitante – e gli afferrò i polsi con decisione. Si sedette senza preavviso sul ventre del sacerdote e lo bloccò sul pavimento freddo con il proprio peso, impedendogli definitivamente di muoversi e ribellarsi.

«Adesso non puoi più scappare, Kyojuro.» Lo canzonò, continuando a chiamarlo per nome come fossero amici o conoscenti di vecchia data.

«Chi sei, che cosa vuoi da me?» Riuscì finalmente a chiedere padre Rengoku, ritrovandosi libero dalla costrizione della mano che gli era stata premuta sulla bocca fino a quel momento.

«Credevo di essere stato abbastanza chiaro su quale sia il mio obiettivo: avere te.» Rispose l'uomo, ridendo divertito. «Per quanto riguarda chi sono, ormai direi che è inutile nasconderlo, arrivati a questo punto.»

Così dicendo, finalmente lo sconosciuto decise di sbottonare il lungo mantello. Abbassò lentamente il cappuccio che gli copriva il viso e rivelò una volta per tutte la sua vera natura. Il sacerdote rimase sconvolto di fronte a ciò che si era appena palesato proprio davanti ai suoi occhi, sentendo il sangue gelarsi nelle vene e la paura insinuarsi fin nelle ossa. Quello che se ne stava seduto sopra di lui – gravandogli addosso e pesando come fosse fatto di pietra e non di carne – non era un semplice uomo, ma qualcosa di cui aveva letto solo in vecchi manoscritti e trattati naturalistici: un incubus.

Con il corpo affusolato e coperto a stento da uno straccio legato in vita, linee scure e intricate a decorargli la pelle pallida, un paio di ali da pipistrello che gli spuntavano dalla schiena, possenti corna ricurve che sormontavano una capigliatura corta e dal colore innaturalmente acceso, iridi gialle e brillanti contornate da una sclera azzurra piena di venature – un po' come il vetro di quegli stessi rosoni da cui continuava a filtrare la luce lunare di quella notte –, la creatura osservava Kyojuro con malcelato divertimento, il sorriso che lasciava scoperte le sue zanne lunghe e appuntite.

«Vade retro, demone!» Gli urlò contro il sacerdote quando capì di trovarsi alle prese con una creatura malvagia, un servo del male alquanto potente e pericoloso, dimenandosi a più non posso per cercare di liberarsi dal suo soffocante incombere.

«Il mio nome è Akaza e non vado proprio da nessuna parte. Non hai alcun potere per mandarmi via da qui.» Rispose l'incubus, piegandosi ancora di più sul corpo di padre Rengoku fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo viso contorto dalla rabbia – sentimento che lui trovava alquanto delizioso, quando questo proveniva da uomini di chiesa sempre benevoli e altruisti come quello che aveva deciso di braccare quella sera.

Kyojuro digrignò i denti e lanciò ad Akaza uno sguardo ardente come il fuoco. Purtroppo, quella creatura demoniaca aveva ragione: non era un prete esorcista, quindi non aveva davvero alcun potere su di lui. Sapeva che servivano formule e preghiere latine particolari, ma nei libri che aveva studiato non c'era traccia di scritture del genere e non si era mai interessato più di tanto ad approfondire le ricerche su quei testi incompiuti e a tratti nebulosi. I pochi riti dell'esorcismo riportati su carta gli erano sempre sembrati strani e per nulla credibili, ma adesso rimpiangeva di non aver avuto l'intraprendenza di cercare altre fonti su quell'argomento.

«Se continui a guardarmi così, finirò per non resistere e ti divorerò tutto in una volta.» Sussurrò Akaza, leccandosi le labbra con un'espressione famelica dipinta sul viso attraversato dalle stesse linee scure che gli decoravano il corpo nudo.

Padre Rengoku avvertì chiaramente il respiro caldo della creatura infrangersi contro la pelle della sua mandibola, pericolosamente vicino alla giugulare, cosa che lo fece rabbrividire dalla punta dei piedi a quella dei lunghi capelli biondi che ricadevano disordinati sul pavimento. Provò ancora una volta a liberarsi dalla presa ferrea di Akaza che continuava a stringergli entrambi i polsi con le mani, fallendo miseramente e sentendosi sempre più impotente e frustrato. Tuttavia, anche se si trovava in quella situazione pericolosa, non perse la propria fede e così decise di affidarsi a Dio, cominciando a pregare nella speranza di riuscire a indebolire in qualche modo quel demone pur non essendo un esorcista.

«Pater noster, qui es in cælis: sanctificétur Nomen Tuum...» Iniziò a dire con voce alta e scandendo bene ogni singola parola, lo sguardo vermiglio ostinatamente puntato sul viso sorridente della creatura. «Advéniat Regnum Tuum...» Continuò, quando vide il ghigno di Akaza sparire e le sue labbra stringersi in una linea sottile.

Convinto di essere riuscito a scalfire l'aura maligna dell'incubus con quella preghiera, Kyojuro continuò a recitarla fino alla fine, imperterrito. Quando finì e il pensiero di ricominciare da capo affiorò nella sua mente, la creatura fece la propria mossa: senza preavviso e prima che padre Rengoku potesse parlare, Akaza annullò definitivamente la poca distanza che lo separava dal suo viso, gli afferrò la mascella con una mano artigliata e si appropriò delle sue labbra, coinvolgendolo in un bacio umido fatto di saliva e rumori osceni.

Padre Rengoku rimase impietrito, preso alla sprovvista e privato completamente di ogni pensiero logico. Solo quando sentì la lingua di Akaza spingersi ben oltre il suo palato, scivolandogli in gola con il rischio di soffocarlo, Kyojuro si ridestò e riuscì a trovare la forza per morderlo fino a farlo sanguinare. L'incubus si ritrasse appena e lo guardò con quelle sue iridi gialle e brillanti come non mai, la soddisfazione ben leggibile sul volto attraversato dalle linee scure che gli decoravano il corpo. Lasciando andare il viso del sacerdote e portando la mano a contatto con le proprie labbra, raccolse con i polpastrelli il sangue che aveva iniziato a colare dagli angoli della bocca e li leccò con gusto, aprendosi in un sorriso particolarmente raggiante e compiaciuto.

«COME OSI!» Sbottò Kyojuro, sentendo il proprio contegno scivolare via e sparire in un angolo indefinito della coscienza, la rabbia che prendeva definitivamente il sopravvento su tutto resto. «Siamo nella casa del Signore e non solo hai l'ardire di presentarti qui come fossi il padrone di questo posto, sfidando la Sua autorità, ma ti permetti anche di provare a indurre in tentazione un suo ministro! Lasciami immediatamente, o giuro che-»

Improvvisamente, padre Rengoku smise di inveire contro l'incubus e lo fissò con gli occhi sgranati. Con le guance accaldate e il fiato corto, sentì qualcosa accendersi dentro di sé e un calore languido iniziò a impossessarsi di ogni singola cellula del suo corpo. La vista gli si annebbiò lievemente e la mente venne come offuscata da una densa nebbia fitta, privandolo di ogni pensiero logico e razionale.

Ridendo soddisfatto, Akaza fece schioccare la lingua contro il palato e si abbassò nuovamente su Kyojuro, riprendendo possesso della sua bocca. Nel compiere quel gesto, l'incubus mosse volontariamente i propri fianchi su quelli del giovane prete, strusciandosi e allungandosi su di lui come un gatto in cerca di attenzioni. Un gemito strozzato si riversò nel silenzio suggestivo della chiesa, riecheggiando in maniera oscena e in qualche modo eccitante. Quel verso segnò definitivamente l'inizio della discesa di padre Rengoku verso gli Inferi.

Akaza continuò a baciare Kyojuro con ardore, esplorandogli il palato con la lingua che si era già risanata e abbeverandosi di ogni sospiro che lasciava involontariamente le labbra dell'altro. Si assicurò che il sacerdote ingoiasse quanta più saliva possibile, così da renderlo completamente assuefatto al suo potere afrodisiaco e distruggere definitivamente anche gli ultimi barlumi di resistenza. Quando lo sentì rispondere al bacio, andando incontro alla sua bocca per rincorrere e ricercare il contatto con la sua lingua, l'incubus sogghignò vittorioso.

Padre Rengoku aveva ormai perso ogni inibizione e senso morale, preda di un calore e di un'eccitazione senza eguali che gli scorreva nelle vene come lava incandescente. Con il corpo letteralmente in fiamme e la mente svuotata di ogni pensiero razionale, si mosse senza più riuscire a capire cosa stesse realmente accadendo e cosa stesse facendo. Non aveva più alcun controllo del proprio essere, si sentiva come in balia di un mare in tempesta, perso alla deriva tra le onde che lo sovrastavano e lo trascinavano verso il fondo ad ogni movimento. Aveva come la sensazione di stare soffocando e di non avere abbastanza ossigeno nei polmoni, quindi aveva iniziato a ricercarlo nella bocca di Akaza che non gli dava tregua, inconsapevole del fatto che proprio quella stessa bocca gli stesse sottraendo l'aria di cui aveva bisogno. Era troppo ubriaco, ebbro di quel dolce afrodisiaco che era la saliva dell'incubus e che lo stava facendo agitare in maniera febbrile, portandolo a spingere i fianchi in su per cercare un tipo di piacere al quale mai sarebbe dovuto soccombere.

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