Tell me your lies
Non so cosa sia accaduto, né perché sia successo proprio a noi. Eravamo una coppia invidiata da tutti, collaudata, complice, ma, a un certo punto, qualcosa ha iniziato a cedere fino a collassare. So che la colpa non è solo di Ginevra, che a spingerla in questo delirio sono stato io, ma è difficile da mandare giù, non quando si ha alle spalle tutto il vissuto che abbiamo noi. Ci siamo conosciuti che avevamo quindici anni, abbiamo frequentato la stessa scuola, la stessa facoltà e non esisteva nulla che non volessimo condividere: nella gioia, nella fatica e nel dolore eravamo una cosa sola. Lei era me e io ero lei. Membra dello stesso corpo. Ma qualcosa si è rotto e ci siamo persi. Dopo l'aborto del nostro terzo figlio, Ginevra è cambiata lentamente e irreversibilmente e io non sono stato in grado di comprendere, fino in fondo, quel dolore che le stava lacerando l'anima, giorno dopo giorno. Tuttavia, pur soffrendo come un cane anch'io, mi ripetei fino all'infinito che se Dio aveva deciso di portarsi il nostro piccolo, così prematuramente, doveva essere stata la cosa migliore, visto che Ginevra era rimasta incinta durante una pesante terapia farmacologica. Quella notizia aveva sconvolto entrambi, ma mentre io mi sforzavo di pensare che sarebbe andato tutto bene, lei si rifiutava categoricamente di pensare a quella creatura come un dono e non come a un dolore che avrebbe dovuto affrontare. Forse lei avvertiva, nel suo istinto di donna e madre, che quel bambino non avrebbe mai visto la luce e aveva inconsciamente costruito intorno alla suo cuore una corazza per non soffrire troppo, una volta perso. In realtà, lei amava quell'esserino molto più di quanto non immaginassi e il suo aborto spontaneo la travolse lasciandola devastata a vita. Il mio amore e quello dei nostri due bambini non fu sufficiente a colmare quella ferita che, ogni giorno, diventava più profonda.
Poi, di colpo, accadde qualcosa di inaspettato. Ginevra sembrò, improvvisamente, decisa a cambiare la propria routine: nonostante i suoi impegni lavorativi, iniziò a darsi da fare per essere presente in ogni occasione che riguardasse i nostri bambini e nelle mie; prese a curare il suo aspetto molto di più; si decise a coltivare tutti i suoi hobby artistici, anche trascinandomi a diverse mostre e appuntamenti culturali. Sembrava rifiorita e io ero felicissimo. La tempesta era finita e mi compiacqui del fatto che, da sola, avesse trovato quella forza necessaria a risanare le sue ferite. Era rinata dalle sue stesse ceneri come una meravigliosa Fenice. Andava benissimo così e io non potei che accontentarla in ogni sua decisione o proponimento. Fino al giorno in cui la vidi risprofondare nel baratro della sua disperazione e, a quel punto, pensai che mai più sarei riuscito a tirarla fuori di lì.
Entrai nella nostra camera e la vidi seduta ai piedi del letto mentre stringeva il suo cellulare tra le mani. Mi avvicinai a lei e la osservai qualche istante prima di parlare. Se ne stava con le mani in grembo e lo sguardo fisso nel vuoto, immobile, vuota e con le lacrime che scendevano copiose lungo le sue guance pallide. L'avevo vista così distrutta solo dopo essere tornati dall'ospedale, in seguito all'aborto. Sentii il cuore frantumarsi un'ennesima volta e iniziai a tremare per la paura di averla persa per sempre. Improvvisamente, mi resi conto di quanto tutta la sua tristezza avesse, per l'ennesima volta, tinto le pareti della nostra casa di un grigio antracite, come se fosse un mostro che divorava lentamente e inesorabilmente dapprima le sue membra e poi quelle di chiunque facesse parte del suo mondo. Avvertii subito una morsa attanagliarmi petto e gola, mentre la mente mi riportava ai giorni bui di quel primo collasso psicologico. Quel giorno però, compresi che dovevo uscire fuori tutta la forza e l'amore che avevo dentro per riprenderla e portarla nuovamente alla luce. Così, mi feci coraggio e decisi di sedermi accanto a lei sperando che mi parlasse.
«Ginny, tesoro, che succede?» le chiesi con un filo di voce, cercando di prenderle le mani.
Era fredda come il marmo, tanto che ebbi un sussulto.
«Niente», rispose laconica con la voce rotta dal pianto incessante.
«Non ti credo. Dimmelo, per l'amor di Dio!» la implorai.
«È difficile da spiegare», aggiunse ermetica, continuando a fissare il vuoto.
Il mostro incombeva su di lei come un avvoltoio in attesa della sua battuta finale, del suo ultimo ansito di vita.
«Almeno, provaci, cuore mio», dissi mandando giù un nodo di saliva che mi stringeva la gola.
«Mi manca», asserì.
Subito il mio pensiero andò a quel bimbo mai nato.
«Parlamene», le domandai delicatamente.
«Sei sicuro di voler sapere ogni cosa?» rispose rivolgendomi, improvvisamente, uno sguardo duro.
A quel punto, mi parve che il demone le avesse animato il petto, inghiottendone l'anima.
«Voglio sapere ogni cosa per poterti aiutare.»
Sogghignò mestamente e poi tornò a fissare il cellulare che aveva tra le mani.
«Mi manca e sento che questa nuova perdita mi ucciderà. Non so come tutto questo sia iniziato, ma il solo pensiero che sia lontano da me annienta il mio spirito.»
A quelle parole, qualcosa scattò nella mia mente e mi mise in allerta, rendendomi avido di ulteriori informazioni.
«Non capisco, spiegami!»
«Non c'è molto da capire, credimi. All'inizio, quando questa follia è cominciata, eravamo solo due persone che condividevano il medesimo interesse. Poi, lui mi ha chiesto di leggere delle bozze di poesie che aveva scritto, prima di inviarle alla sua casa editrice, e in ogni singola parola mi ci sono ritrovata, come se ogni riga fosse stata scritta per me. Gli chiesi spiegazioni e lui mi disse che da quando mi aveva conosciuta non poteva smettere di scrivere. Decisi allora di allontanarmi da quell'uomo, nonostante fosse stato per me l'unico vero amico che avessi avuto dopo lungo tempo e l'unica persona che fosse stata in grado di ascoltare attentamente tutto il dolore che avevo nel cuore, raccogliendolo e decidendo volontariamente di portarne parte del peso sulle proprie spalle. Ero felice di aver trovato una persona tanto speciale e credetti che fosse addirittura un angelo, inviatomi a lenire le mie ferite. Ma dopo aver letto quelle poesie, capii che dovevo allontanarmi da lui perché non potevo permettere che quell'amicizia, divenuta quasi vitale per me, potesse sfociare in qualcosa di più profondo, non volevo illuderlo e farlo soffrire, dopo tutto quello che aveva fatto per me. Decisi allora di uscire, anche se a malincuore, dal nostro gruppo di lettura del venerdì sera. Ma, improvvisamente, mi accorsi di quanto mi sentissi vuota senza di lui e compresi che, un pezzo alla volta, era stato in grado, e in poco tempo, di ricostruire quella mia anima frantumata. Mi chiese ripetutamente spiegazioni, ma non sapendo cosa rispondergli avevo deciso di interrompere qualsiasi contatto con lui. In realtà, mi mancava terribilmente e fui proprio io a cercarlo, decidendo di essere chiara con lui e intimandogli di non considerarmi in altro modo se non come un'amica, così come lo consideravo io. Lui parve abbozzare e mi disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché potesse ritornare nella mia vita.»
Ginevra s'interruppe e sembrò che ogni singolo pensiero uscito dalla sua bocca le fosse costato una nuova piccola ferita nella sua fragile anima. Io, invece, mi accorsi di essere stato in apnea tutto il tempo del suo racconto, morendo a ogni sua parola.
«Va' avanti!» le ordinai, masochisticamente.
Fu a quel punto che avvertii incombere sulle nostre teste, inzozzando l'aria già mefitica, un altro demone gongolante per il suo prendere parte a quella tragedia, messa in scena in quello che una volta era stato il nostro talamo: l'ira.
«Iniziai ad aver bisogno di lui, quasi come una droga. Per giornate intere lo riempivo di tutti i miei pensieri e lui assorbiva senza problemi, come se fosse stato lì solo per quel preciso motivo. Gli raccontavo di te, dei nostri bambini, delle vicissitudini quotidiane, di cose frivole, proprio come si fa tra amici di lunga data, e stavo bene. Ogni cosa sembrava essere stata riportata nella giusta prospettiva e mi sentivo leggera, capace di affrontare la vita con più spensieratezza. Finché non mi accorsi che lui stava diventando per me qualcosa di più intimo rispetto a un semplice amico. Un venerdì sera, dopo la riunione con il gruppo, mi invitò a bere qualcosa in un pub vicino alla sede dell'associazione. Mentre eravamo seduti a parlare del libro da leggere, insieme a tutti gli altri componenti del gruppo, mi ritrovai a osservarlo insistentemente, fino a bramarlo. Volevo baciarlo, abbracciarlo. Dio solo sa, quanto desiderassi un contatto più intimo con lui. Io non so bene cosa sia successo e perché accadde una cosa simile, ma, da quel momento, iniziai a volerlo e desiderarlo ogni giorno di più.»
«Cristo! Basta, ti prego!» sbottai sentendo il petto andare in fiamme.
Dovetti fermarla perché non riuscivo più a sentire ciò che aveva da dirmi. Mi faceva troppo male, così dovetti alzarmi da quel dannato letto e andare vicino la finestra per prendere aria. Tutto attorno a me sembrava di colpo essersi sgretolato fino a dissolversi completamente, non c'erano rumori, non c'era nemmeno più quell'aria che anelavo di respirare di ritorno dal lavoro: l'aria di casa e di famiglia.
Un'intera vita stava venendo giù come se fosse stata fatta di sabbia - costruita sulle bugie - che una violenta ondata aveva travolto cancellandola. Mi partii un pugno contro il muro, ma ero talmente anestetizzato da tutto il dolore che provavo nell'anima da non riuscire più ad avvertirne altro.
«Perché Ginevra? Non mi ami più? È questo che stai cercando di dirmi?» domandai cercando di ritrovare un minimo di contegno, tentando con tutte le mie forze di trattenere la rabbia, tenendo a bada il mostro che cingeva nei suoi artigli la mia mente.
Mia moglie mi guardò e fu la prima volta in cui lessi nei suoi occhi il terrore e l'orrore nei miei confronti. La vidi stringersi nelle spalle fino quasi ad accartocciarsi su sé stessa, come se volesse scomparire e, per un istante, ho desiderato anch'io si dileguasse, per metterla in salvo da tutta la rabbia che aveva svegliato nel mio animo e che riuscivo a malapena a controllare.
«È proprio questo il punto,» asserì balbettando, mentre si torturava le dita della mano, ormai libere da quel dannato cellulare che aveva poggiato accanto a lei, «ti amo più del primo giorno e darei la mia vita per te e i nostri figli ed è stato questo amore a salvarmi dal tentato suicidio. Proprio per questo amore non ho valicato l'ennesimo limite dal quale non sarei più potuta tornare indietro», continuò fissandomi con uno sguardo supplico come se cercasse in me una briciola di conforto e non solo di giudizio.
Ero confuso, frastornato da tutta quella valanga di orrore che il mio cuore non era più in grado di tollerare. Eppure le sue ultime parole avevano scavato una breccia in quella coltre di rabbia che avvolgeva quello stesso cuore. Mi amava, amava la nostra famiglia, eppure non riuscivo a cavarmi dalla testa l'immagine di lei avvinghiata a quello sconosciuto. Dovevo comprendere cosa l'avesse portata fino a quel punto, fin dove si fosse spinta, come se il conoscere quei dettagli mi avrebbe permesso di odiarla con una differente intensità.
«Perché ti manca? Cosa hai fatto con lui? Lo ami?» chiesi di getto, disgustandomi dei miei stessi pensieri.
«In realtà, non so cosa provo per lui. So che, in breve tempo, mi ha permesso di tornare a respirare, riempiendomi di speranza verso il futuro. No, non credo proprio di amarlo, ma l'ho desiderato con tutta me stessa. Ho desiderato i suoi baci e le sue premure ed è questo a fare di me comunque un' adultera. Volevo che mi dicesse quanto fossi importante per lui, ma non era così, avevo costruito una fantasia e ora è andato via», dichiarò ritornando a sprofondare nel suo malessere.
«Non capisco! Hai detto che ti aveva dedicato delle poesie», chiesi ancora più confuso.
Rise. Ginevra scoppiò in una fragorosa e inopportuna, drammatica risata isterica.
«Non erano per me. Non ero io la destinataria, ma solo la musa, il veicolo. Niente, non ero niente per lui. Capisci? Avevo abbandonato il gruppo perché temevo si fosse preso una cotta per me quando, in realtà, ero io ad anelare che fosse così. Era solo un'anima sensibile che mi ha regalato la speranza, che mi ha dato conforto nel momento più buio della mia esistenza e io l'ho idealizzato come un uomo interessato a me, sotto ben altri aspetti. Mettici pure che è un bel ragazzo, di qualche anno più giovane e con i miei stessi interessi. Cercavo la serenità. Quella pace interiore che non provavo più da tempo. Non riuscivo nemmeno a immaginarmi a letto con lui, perché la mia mente si rifiuta di concepire una cosa del genere e il mio corpo conosce solo l'unione sacra al tuo. Volevo che mi toccasse per capire se sarebbe cambiato qualcosa, una sorta di elettroshock per la mia anima.»
Mi sentivo come intrappolato in una bolla di fumo, senza aria che non fosse satura di anidride carbonica tossica, con la gola in fiamme e le mani strette a pugno, storto in un intreccio di nervi e membra avvizzite dalla delusione e dal disprezzo.
In me si faceva lentamente e subdolamente largo, strisciando come un verme sulla carogna da cui s'è formato, il pensiero che ad aver "merito" di tutto quel teatro di maschere e finzione non fosse che da attribuire a quella disfunzione innescatasi nella comunicazione tra me e Ginevra. Io avevo voltato le spalle per primo, gloriandomi di aver lasciato a lei l'ingrato compito di trovar la cura per rimarginare quelle ferite, che avrebbero dovuto essere anche mie.
Meschino, becero e scellerato, me ne stavo lì a leccare come un cane il sangue che sgorgava dal mio cuore, additando quell'essere più mesto di me, che moriva distrutto da i suoi stessi mali.
«Cosa ti manca davvero di lui? Cosa non sei più riuscita a trovare in me?» le chiesi svuotato.
Ginevra alzò nuovamente quei suoi occhi privi di vita e mi fissò con le iridi grigie spente, cinerea con le labbra arse e livide come se il gelo l'avesse animata.
«Non lo so davvero. Mi manca la sensazione che mi faceva provare l'idea di averlo nella mia vita. Mi sentivo viva, anche quando ho capito che era tutto sbagliato. Riguardo a noi, non c'è molto da dire. Credo sia una tappa fisiologica nella vita di coppia. Si arriva a un punto in cui ogni cosa diventa talmente naturale e prevedibile da cadere addirittura nella pateticità.
Ecco, sì, mi sentivo patetica e rassegnata, come se conoscessi fin troppo bene le prossime battute. Non c'era più nulla di speciale, nulla per cui valesse davvero la pena di darsi da fare. Non mi sentivo più motivata, mettici pure la crisi dei quarant'anni. Solo che poi mi sono vista come una di quelle donnette mature e insoddisfatte, in cerca di un brivido che le faccia sentire ancora esseri umani, e lì ho compreso quanto tutta questa situazione mi avesse resa più vuota di quanto già non mi sentissi. Ho capito che lui non avrebbe mai potuto riempire alcun vuoto e che la mia era solo una felicità effimera, una sorta di placebo temporaneo», disse con tono monocorde.
«Ma hai detto che ti manca. Spiegami, perché non ci sto capendo più niente! Non so che emozione provare di fronte a tutte queste confessioni che mi hanno travolto con la stessa potenza distruttiva di uno tsunami. Ti confesso che sono incazzato e frustrato, al tempo stesso. Vorrei, però, capire in cosa ho sbagliato per creare tutto questo, rendendoti tanto vulnerabile!»
«Non ti angustiare Lorenzo, abbiamo sbagliato in due, ma, ora che sai, mi sento più leggera. So, che vuoi sapere se ti abbia anche tradito fisicamente. No, non l'ho fatto, ma ho barattato la mia dignità e moralità in cambio di un'illusione. Eppure quell'idea, tutta quella fantasia che avevo generato nella mia mente, ora sembra essersi dissolta e sono anche consapevole del fatto che tutta questa storia avrà delle pesanti conseguenze, ma devo assumermi le mie responsabilità», asserì risoluta, alzandosi dal letto e raggiungendomi vicino alla finestra.
A quelle parole, sentii come la punta di un trapano perforarmi cuore e polmoni. Improvvisamente, iniziai ad annaspare come un pesce tirato via dall'acqua. Non poteva essere, non poteva finire così, non quella vita che aveva senso solo con lei.
«Vuoi lasciarmi?» chiesi con un filo di voce.
«E tu? Vuoi che ti lasci?» chiese con il terrore dipinto sul volto.
«Forse dovrei dirti di sì, ma non ne ho la forza. Forse è colpa dell'abitudine, perché è così naturale averti affianco, che non riesco a immaginare la mia vita senza di te. Allora penso che la colpa, in fondo, sia più la mia, perché ho lasciato che ti perdessi e ti allontanarsi da me. Dunque, credo sia giunto il momento che anch'io mi assuma le mie responsabilità», asserii afferrandole le braccia e fissandola dritto in quei suoi occhi color onice.
Vidi affacciarsi dalle sue lunghe ciglia inferiori le lacrime, che lentamente iniziarono a segnare nuovamente le gote pallide.
«Credi che ce la faremo?» chiese tra i singhiozzi.
«Credo di sì, ma voglio sapere perché ti manca e voglio che tu sia sincera!»
«Perché lui era diverso, apparteneva alla mia fantasia, ma non poteva essere reale come te e mai avrebbe potuto prendere il tuo posto! Un sogno, alla fine, manca un po' a tutti, ma quando si spalancano per bene gli occhi, ci si rende conto di dover cercare di lavorare sulla realtà affinché il sogno possa concretizzarsi. E la mia realtà sei tu.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top