Non si torna più indietro
Rimase lì, barricata in casa, per proteggersi dalla luce. Avrebbe voluto almeno scostare una tenda, aprire un'imposta, sentire un refolo d'aria calda sulla pelle gelida. Ma anche queste piccole gioie le erano negate, ormai. Si accucciò sul letto, abbracciandosi le gambe e puntando il mento sulle ginocchia. Una lacrima disegnò un cerchio scuro sulla gonna verde. Poi un'altra. Quante volte aveva pianto in quelle ultime ore? Troppe. E ancora parevano non bastarle, non riuscivano a liberarla di quel vuoto pesante come un macigno che ora aveva nel cuore. Un macigno che odorava già di sangue innocente. Un macigno con su scritti i nomi dei suoi familiari, persi in un'unica notte di terrore. Sarebbe stato più facile, per lei, dormire sotto la lapide, anziché portarsela nel petto. Sono diventata un mostro. Lo ripeté più volte. Ci si sarebbe mai abituata, a quell'idea? Si fissò una mano: era pallida, del pallore spettrale di un cadavere. Le unghie erano diventate violacee, più lunghe. Dov'erano finite quelle piccole unghie rosee e rosicchiate? Dov'era finita la sua vita di prima? Sono diventata un mostro.
Un mostro sanguinolento e orribile, selvaggio, senza scrupoli né emozioni. Un assassino spietato e perennemente affamato, senza pace, dannato per l'eternità in un corpo già morto. Era diventata come gli assassini della sua famiglia. E non poteva accettarlo. Non poteva, non riusciva. Si alzò, seguita dagli sguardi attenti dei due lupi. Tolse il mantello e si diresse verso la porta. La aprì con forza, lasciando entrare una lama di luce, che illuminò il pulviscolo danzante. Un solo passo la separava da quel chiarore sereno, un passo profondo quanto un abisso. Il cuore non le batteva. Non avvertiva più quel familiare calore al petto, quando si sentiva nervosa o emozionata. C'era solo tanto freddo. Come poteva accettare di convivere con un corpo del genere e condurre una vita ancora peggiore? Magari distruggendo altre famiglie, com'era accaduto alla propria?
Mise con decisione, o forse con disperazione, un piede fuori dall'ombra protettiva. Il tocco del sole sulla pelle fu come un'artigliata nella carne. Urlò, ma resistette: uscì fuori ancora, finché il sole non l'ebbe abbracciata tutta. Le sembrò di essersi buttata nel fuoco. Urlò, urlò disperata. Chiamò il padre, chiamò la madre, ma non venne nessuno. Quel sole che tante volte l'aveva baciata e riscaldata, ora le era nemico. E la uccideva.
Si svegliò al buio della stanza, nel letto. Non si sentiva più il corpo. Una figura grossa e nera le stava seduta accanto e sentì che era lui.
«Mi hai salvata...» sussurrò, senza forze. Marcus non rispose. «Grazie...» Sì, gli era grata. Aveva voluto uccidersi, lo aveva desiderato profondamente, ma scoprì, con una punta di amarezza, di essere contenta che Marcus l'avesse sottratta al caldo abbraccio della morte. «Non voglio essere un vampiro...» mormorò. Gli occhi, già rossi e gonfi, si inumidirono di nuovo. Si portò le mani al viso, per nasconderlo. Notò che eranobendate. «I vampiri hanno ucciso la mia famiglia, nonvoglio essere una di loro...» La lacrima corse lungo la gota, verso l'orecchio a punta. «Non voglio uccidere le persone, non voglio mangiare... la carne umana...» rabbrividì di disgusto al pensiero. «Voglio tornare a essere quella che ero...»«Non puoi. Non si torna più indietro» replicò Marcus. Non c'era desiderio di consolarla, nella sua voce. Ma neppure indifferenza. La ragazza non riuscì a intuire cosa stesse pensando, ma nonostante tutto era felice che le fosse rimasto vicino. La sua presenza era rassicurante, come un punto fermo in un mondo diventato improvvisamente caotico. Cercò la mano calda di lui e la strinse debolmente. Marcus trasalì a quel gelido contatto, e la ritirò istintivamente. Ma la ragazza non se ne accorse. Si era già addormentata.
Strinse a pugno la mano che lei gli aveva sfiorato. Sentiva ancora sulla pelle il suo tocco, freddo di morte. Era una vampira, una creatura diabolica, che manteneva in vita un corpo morto attraverso il sangue vivo degli altri. Eppure l'aveva salvata. L'aveva salvata due volte.
Marcus si passò una mano sul viso stanco, sedendosi sulla sedia a dondolo della cucina. Ho perso di vista il mio compito. Lui, un Cacciatore, stava accudendo una vampira. La difendeva, le procurava il cibo. Il senso di colpa lo morse più a fondo. Perché non riusciva a ucciderla? Come lei, ormai, anche Marcus sentiva di non poter più tornare indietro. Con un gesto rabbioso, si alzòdalla sedia. Tanto vale andare fino in fondo, allora.
Tornò da lei, nella stanza, la scoprì: l'aveva bendata dalla testa ai piedi, ma naturalmente non sarebbe servito. Il suo corpo era troppo indebolito e affamato per guarire. Serrò la mascella: ormai aveva deciso.La svegliò, scuotendola senza tante cerimonie.«Devi mangiare» le intimò. Ella emise un verso disperato e voltò la faccia, rifiutandosi. «Avanti, alzati» le ingiunse ancora. La tirò su come se fosse stata una piuma. La portò nella cucina, mentre lei scalciava e si dibatteva.«Lasciami, non voglio! Non lo voglio fare!» Marcus, incurante delle sue proteste, la stese accanto a un cervo. L'animale era ancora vivo: con un dardo piantato nella zampa posteriore e un altro in quella anteriore, non era più in grado di stare in piedi ma scalciava debolmente e si lamentava, le corna che sbattevano contro il pavimento di legno a ogni movimento. La sua sofferenza era evidente. Marcus, presto affiancato dalle figure sinuose dei due lupi, che osservavano il cervo leccandosi avidamente i baffi, rimase a osservarla. La ragazza ebbe conati di vomito dalla fame, tentando palesemente di resistere con tutte le sue forze all'odore invitante del sangue.
«Basta negarti, mangia» le ordinò Marcus, perentorio. La ragazza lesse negli occhi del Cacciatore la certezza che il suo destino si compiva quella sera. Non si rifiutò più.
Si avvicinò strisciando all'animale, guidata dall'odore dolciastro e un po' metallico del sangue che gli usciva dalle ferite. Non era difficile, bastava lasciar fare al suo corpo, lui sapeva cosa fare. L'animale, quasi avvertendo la minacciosa presenza della ragazza, scalciò con più decisione, mugolando. I canini si allungarono fino a sfiorarle il mento, ma quasi non se ne accorse. Si avvicinò ancora, l'animale tentò di tenerla lontana con le corna, ma i suoi movimenti erano deboli e lenti. Lei le afferrò con una mano e gli tenne il muso ben fermo sul pavimento. Pareva quasi non rendersi conto della forza che le serviva per farlo. Il cervo gemette ancora, dibattendosi con la forza della disperazione. Ma la ragazza gli affondò ugualmente con avidità il viso nel collo.Il suo corpo sembrò rinascere ancora. Smise di tremare, le ustioni guarirono a una a una, con velocità impressionante, recuperando sempre più le forze man mano che il sangue le colava giù per la gola, sulle labbra, sul mento. L'animale era morto ma lei si sentiva, paradossalmente, viva. Estremamente consapevole di sé e di ciò che la circondava come mai le era capitato prima, la linfa vitale del cervo acuì le sue percezioni, ingigantì la portata dei suoi sensi, rendendola sensibile al minimo movimento, al minimo fruscio. Quando si sollevò dal corpo dell'animale, aveva la bocca e il collo imbrattati di sangue, ma un'espressione di beatitudine sul volto.
Era una vampira.
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