𝚢𝚘𝚞 𝚠𝚎𝚛𝚎 𝚑𝚎𝚛 𝚍𝚎𝚜𝚒𝚛𝚎

[he/him]

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Entro nella stanza sospirando.

Non c'è tanta luce, i finestroni sono oscurati, la lampada getta una luce quasi asettica sulle pareti, il silenzio è tombale, sembra che il mondo qui dentro si sia fermato.

Mi guardo dietro, prima di chiudermi la porta alle spalle.

Non c'è, non è ancora arrivato.

Non l'ha mai perso, il vizio di arrivare in ritardo, e questa cosa mi fa sorridere. Ogni volta, cazzo, ogni volta che si tratta di qualcuno che non sia io, in tempo non si presenta.

Piccolo e stronzo, non è cambiato di una virgola.

Ascolto il gancio della porta chiudersi, vedo la maniglia salire e scendere, torno a guardare la stanza quando la mia mano arriva in fondo e la porta è definitivamente chiusa.

Sospiro di nuovo, perché sono... stanco. Di questa cosa sono davvero stanco, sfinito a tratti. Ma ha detto che se l'avessi portato avremmo chiuso qui la trattativa, per cui mi riservo di convincermi che la mia stanchezza avrà una fine, quando entrerà, non so fra quanto, da quella porta per mettere a posto le cose come fa sempre.

Rivolgo lo sguardo alle persone nella stanza.

Siete sfiniti anche voi, non è vero?

Certo, vi paghiamo per stare qui, ma non metto in dubbio che ve ne siate stancati davvero, almeno quanto me ne sono stancato io.

Saluto.

Mi avvicino al tavolo, sposto la sedia con la mano, mi metto seduto, cerco di prendere fiato senza mettermi a urlare.

Non ne posso più.

Non ne posso davvero più.

Basta.

Basta pratiche, basta firme, basta discussioni. Basta patteggiamenti, basta liti, basta voci che mi dicono quel che devo o non devo fare, basta ore interminabili seduto qui a pagare col mio tempo il crimine di essermi innamorato di qualcun altro che ho commesso.

Spero che arrivi presto.

So che la sua sola presenza mi rallegrerebbe.

Anche se non dovesse finire oggi come vorrei, anche se tutto fosse solo un'altra pagliacciata per perdere tempo.

La cosa non sarebbe così dolorosa, se fossi qui con me.

Spero che arrivi presto, davvero.

Il mio avvocato mi guarda attraverso le lenti spesse di un paio di occhiali, squadra l'aria vicino a me, aggrotta le sopracciglia in una domanda sorda che non fa.

Dov'è, mi stai chiedendo, vero?

E io che pensavo avessi capito che tipo di persona è.

Anche se non l'hai mai visto, anche se qui non l'ho mai portato.

Ne abbiamo parlato più volte, dopotutto, credevo ti fossi quantomeno fatto un'idea su di lui. Su quanto impertinente e fastidioso possa essere, se ci si mette, e di quanto ami e adori dar noia agli altri solo per il gusto di farlo.

Lui fa come vuole.

Lui fa...

Faccio spallucce, il mio avvocato annuisce.

Ha le ombre sotto gli occhi.

Non credo di essere io, il motivo di tanta stanchezza, ma non metto in dubbio che questa cosa l'occupi più di quanto si sarebbe auspicato.

Ti capisco, sai?

Ti capisco.

Non ne puoi più.

Nemmeno io, ne posso più, a dirla tutta.

Ma sappiamo tutti e due che la responsabilità di questo non è mia, quindi per favore, non prendertela con me e sopportami ancora un po'.

Giusto un...

– Dov'è il suo compagno? –

Alzo lo sguardo verso l'avvocato seduto dall'altra parte del tavolo.

Apro la bocca per rispondere ma vengo preceduto.

– Sempre in ritardo, sempre sempre in ritardo. Quel bastardo non arriva in tempo manco se lo paghi, se tutto va bene dovremo aspettarlo anche un'ora. –

Sbuffo.

– Arriverà prima. –

– Ne sei sicuro, Tetsurō? Non te lo ricordi quanto ci ha messo ad arrivare da noi quando l'abbiamo invitato a cena? È uno stronzo senza rispetto per nessuno, lo è sempre stato. –

– Maeko, evita. –

– Non evito manco per niente. –

Sposto gli occhi su di lei.

È inviperita come lo è sempre quando si tratta di Kenma, sembra avere il veleno in corpo e non metto in dubbio che lo abbia, ma...

È passato un anno, da quel Gala.

Sono successe tante cose.

Non le devo più la deferenza di prima, non provo nei suoi confronti quasi nessun tipo di senso di colpa, e ho qualcuno da proteggere.

– Kenma arriverà quando se la sentirà di arrivare. Se hai così tanta fretta di iniziare questa cosa possiamo farlo, non credo si offenderà. –

– Sei davvero dolce con lui, non credi? Magari se lo fossi stato anche con me non saremmo qui adesso, ma saremmo nella nostra casa a... –

– Maeko, te lo ripeto, evita. –

A questo non risponde, anzi, mi guarda con due pugnali intagliati nelle iridi, stringe i denti. Non dice nient'altro, però, e china la testa un attimo dopo, scrollando le spalle come se non le importasse più.

Il mio avvocato si schiarisce la voce.

– Allora iniziamo? –

– Sì. – confermo.

– Perfetto. –

Prende la sua cartelletta piena di fogli, la apre al fondo, scorre gli ultimi appunti con lo sguardo e si sistema gli occhiali sul viso, riassume un po' di professionalità e lascia perdere la patina di stanchezza che lo permeava fino ad un secondo fa.

Si rivolge all'avvocato di Mae.

– Abbiamo un'offerta, è l'ultima. La sua cliente può avere la metà del patrimonio che le spetta, compresa la casa con l'arredamento, ma deve lasciare la proprietà della macchina, della casa al mare e degli oggetti qui segnati. –

L'uomo di fronte a me si sporge, prende il foglio, lo squadra.

– E...? –

– Il mio cliente non sporgerà denuncia. –

Mae mi guarda.

Sembra chiedermi se è vero.

È vero, lo è.

Anche se...

– Ma verrà emanata un'ordinanza restrittiva a lui e al suo compagno per durata indefinita. Su questo non possiamo transigere. –

La speranza sul volto della mia quasi ex moglie, a questo punto, diventa disillusione.

E dopo disillusione anche rabbia, che si manifesta come si manifesta da che l'ho lasciata.

Gridando.

– Un'ordinanza restrittiva? Mi arrestano se vengo a parlarti? Ma stai scherzando, Tetsurō? Siamo stati insieme per anni e vuoi allontanarmi come se fossi una criminale solo perché ho fatto un paio di stronzate? Te l'ha detto lui, di farlo, vero? Ti ha convinto lui. Sei il suo cazzo di animaletto domestico, Tetsurō, non capisco perché non vuoi svegliarti e guardare la realtà delle co... –

– Maeko, ti sei presentata a casa nostra alle quattro di notte minacciando di uccidere Kenma. Ci hai fatto una foto dalla finestra e l'hai mandata al comitato disciplinare credendo che mi avrebbero licenziato. Hai passato un mese a urlare sotto casa nostra che ci avresti uccisi in mezzo a tutto il vicinato. Tu sei una criminale. –

– Stavo solo cercando di affrontare il fatto che tu mi abbia tradita con quel... quel... –

– Tradire non è un crimine. Minacciare qualcuno di morte e diffamarlo sì. –

Spalanca gli occhi, ride.

Ride di gusto, ma è una risata acida, amara, che sembra qualcuno le strappi direttamente dalla gola.

– Ne parli come fosse colpa mia. Ma lo sappiamo tutti e due che non è colpa mia, Tetsurō, sei tu che mi hai portato a questo, sei tu che mi hai costretto. –

Sospiro l'ennesima volta.

Alzo gli occhi al cielo, indietreggio sulla sedia.

– Io ti avrei costretto a minacciare di morte il mio compagno e a spiarci dalla finestra? –

Si sposta i capelli dal viso e le sue mani tremano, quando lo fa.

– Non vi stavo spiando. Stavo solo... guardando come stavi. E io lo so che tu sapevi che c'ero anch'io, lo so, tu l'hai fatto apposta, lui, l'ha fatto apposta, l'ha fatto... –

Perdo la pazienza.

Sfilo la cartellina da sotto la mano del mio avvocato, tiro via i fogli uno dietro l'altro, la trovo attaccata con una clip di metallo al fascicolo con la mia dichiarazione.

La stacco, la lascio strisciare sul tavolo, la giro perché la veda dal lato giusto.

– Questo era un momento privato, Maeko, un momento privato. Casa nostra è al settimo piano, non si vede dalla strada, tu sei salita sul palazzo di fronte apposta per guardare dentro e hai utilizzato dell'attrezzatura specifica per scattarla. –

Tiene gli occhi incollati alla foto come se non riuscisse a staccarli.

Sono vitrei, vacui, distanti.

Quante volte l'avrà riguardata?

Un milione, un miliardo. Ed eppure sembra la guardi sempre per la prima volta, e sembra che le faccia sempre più male, sempre più...

L'ha scattata lei.

Lei ha voluto vederla.

Non è mia responsabilità quel che lei stessa si è fatta da sola.

La riguardo anch'io, giusto per rivivere quel ricordo.

Stavamo... è chiaro cosa stessimo facendo in quel momento, vero? Ed eppure lo ricordo come fosse ieri, e se da una parte mi disgusta e mi fa ribollire il sangue nelle vene l'idea che questa stessa foto lei l'abbia mandata sul mio posto di lavoro, dove a nessuno dovrebbe interessare cosa faccio a porte chiuse, mi fa sorridere la sensazione di immergermi in quella serata un'altra volta.

Era aprile, credo, o l'inizio di maggio. Erano un paio di sere che rimanevo a lavoro fino a tardi – per davvero, questa volta – e tornavo a casa che Kenma era già a dormire sul letto, ed ero comunque contento di poterlo vedere là, fra le coperte, rannicchiato a dormire pacificamente con la mano sporta dalla mia parte del letto, come se mi stesse cercando.

Ma quella sera no.

Quella sera mi aveva aspettato.

Con...

La lingerie di pizzo, non quella nera della prima volta che mi si è spogliato davanti, ma quella rossa, che prima di allora non avevo mai visto, che si avvolge sulle sue cosce e sulla sua vita, che emerge a contatto con la sua pelle diafana e la fa sembrare ancora più morbida, ancora più liscia.

Mi ricordo le sue mani dietro il mio collo, il suo profumo, la sensazione di tornare a casa dopo giornate interminabili di lavoro senza sosta, le sue labbra sulle mie, le mie sulle sue, i nostri corpi uniti e fusi e...

– Ti fa ridere, Tetsurō? Ti fa ridere davvero? –

Riemergo dai miei pensieri e mi rendo conto che no, non sto ridendo, ma che la mia faccia è decisamente...

Scusa, Mae.

Mi sono perso un attimo.

A vedere sulla carta l'immagine del corpo di Kenma teso sotto il mio, mi sono perso.

Mi schiarisco la voce.

– Per quanto sia stato scorretto da parte tua rimane comunque una bella foto. –

Ci appoggia la mano sopra e la spinge verso di me, quasi isterica, la rilancia indietro e strappa i suoi occhi da qualcosa che credeva mi avrebbe ferito, ma che in realtà è più una minaccia per lei che per me.

– Una bella foto? Ti sembra una bella foto? Una foto dove tu e quella troia state... –

– Non dare della troia a Kenma. –

– No? Non devo dargli della troia? Perché, cos'è? È una troia, e una troia dev'essere chiamata col suo nome. Io l'ho accolto in casa mia, ho cercato di trattarlo bene e lui per ripagarmi si è scopato mio marito. Se non è una troia lui non vedo chi lo debba essere. –

Si lecca le labbra secche, prende fiato, sfarfalla con le ciglia come se stesse cercando di non piangere e colpisce ripetutamente la parte bassa del tavolo col ginocchio che le trema in un gesto di nervosismo.

– Quando arriva? Così glielo dico in faccia. L'hai nascosto da me, vero? Che c'è, hai paura che gli faccia qualcosa, Tetsurō? Hai paura di me? –

– Ho paura di te, Maeko, sì. E gli ho chiesto di non venire perché volevo nasconderlo da te. Ma sta arrivando, te lo garantisco, perché lui a differenza mia non ha minimamente paura di te. –

– Farebbe bene ad averne. –

Mi spingo verso il bordo della scrivania, appoggio le mani sul legno, mi sporgo dalla sua parte.

– Lo stai minacciando, Maeko? In una seduta registrata con gli avvocati? –

– Sì, lo sto minacciando. –

Piego ancora di più la testa, la guardo in faccia, sorrido ma non con accondiscendenza, non con stanchezza, non con sfinimento.

Con tutta la cattiveria che possiedo.

– Se continui di questo passo ti tolgo tutto fino all'ultimo centesimo. Ti denuncio, ti faccio perdere il lavoro e ti lascio per strada, Maeko. –

– Come se avessi davvero il coraggio di... –

– Ho avuto il coraggio di lasciarti, non credere neanche per un minuto che non ce l'abbia per proteggere la persona che amo. –

Rimane zitta.

Rimango zitto io.

Ci guardiamo, il silenzio è tombale, l'aria è pesante, minaccia...

Vuoi la guerra, Maeko?

Che cos'hai dalla tua parte?

Due cose, avevi, due cose e le hai perse lasciandomi l'unico con delle armi in mano.

Avevi il fatto che Kenma fosse un mio studente, ma Kenma ha richiesto di cambiare professore due giorni dopo che ti avevo lasciata per lui, e non ha nessuna mia valutazione, l'accusa non sussiste più.

Avevi il tradimento.

Da portare in tribunale nel caso non fossimo scesi a patteggiamento era un'ottima arma.

Ma tu ci hai minacciati, hai invaso la nostra privacy, ci hai diffamati, hai compiuto dei crimini reali, crimini che la legge considera tali, e il mio tradimento, che lo è solo ad un livello morale, ormai non pesa praticamente niente.

Sei completamente disarmata.

Dovresti accettare la mia gentilezza di...

La porta si spalanca.

Il rumore è fulmineo, fa sobbalzare tutti nella stanza, la maniglia si sgancia con un suono metallico, il legno fende l'aria con un sibilo, ci giriamo tutti assieme.

Sembra che entri aria, luce, vita dalla porta aperta.

Sembra che la tensione si spezzi, che la tempesta imperversi per davvero, che la rabbia tramuti in confusione, in stupore.

Ci sono un paio di passi.

Il suono delle suole di gomma delle Converse che fischiano contro il pavimento, il suono del tessuto che fruscia contro la pelle, il profumo di zucchero.

Tutto quello che provo, in un attimo scompare.

La rabbia, il nervosismo, la frustrazione.

Come la prima volta che t'ho visto.

Come la prima.

Le minacce, il disgusto, la paura, l'ansia. Assorbi ogni singola vibrazione, ogni spiraglio scuro che permea questa stanza, e lo rimandi indietro bianco, dorato.

L'avevo detto che sarebbe arrivato.

L'avevo detto.

E mi sento improvvisamente meglio quando arriva, perché lo guardo e mi sembra che il mondo sia il posto più bello del mondo, che la stanchezza sia un lontano ricordo, e che tutto quello che sta succedendo qui non valga niente, niente, in confronto a quanto bene mi fa stare.

Sorrido.

Mi giro sulla sedia, non mi alzo ma scosto quella accanto a me.

Kenma mi guarda.

Mi guarda e...

– Ops, scusate il ritardo, vengo da casa e devo aver preso sonno. Spero che possiate perdonarmi. –

Si scosta i capelli disordinati dal viso, segno che probabilmente non sta mentendo e davvero s'era addormentato.

Poi passa oltre la sedia che ho spostato, mi passa davanti, si tira una ciocca dietro l'orecchio e si china.

– Ciao, Tetsurō, scusa se ho fatto tardi. Il mostriciattolo mi fa sembrare ogni cosa il triplo più faticosa e devo essere collassato sul divano. Spero che non ti dispiaccia troppo. –

Incontro le sue labbra a metà strada, sorrido subito dopo averlo baciato, lo aiuto a sedersi.

– Non c'è problema, anzi, sono felice che tu abbia dormito un po'. –

– Credo di essere morto per tre o quattro ore, quando mi sono svegliato non sapevo nemmeno su che pianeta fossi. Grazie a Dio ho trovato subito un taxi, o credo che non sarei mai arrivato. –

Appoggio una mano sulla sua coscia, muovo le dita sul tessuto dei jeans, lo riguardo e gli sorrido di nuovo, perché è così bello, mi fa stare così bene.

– Hai mangiato qualcosa prima di uscire? –

– Ho mangiato gli Yakgwa che hai fatto ieri mentre ero in macchina, stavo crepando di fame. Sempre più buoni, comunque, è impressionante quanto tu sia bravo a cucinare. –

– Sono felice che ti siano piaciuti. –

– Mi sono molto più che piaciuti. –

Tira su una gamba sotto il sedere, mi fa cenno di avvicinarmi e sposto la sedia per diminuire la distanza fra noi, se fossimo soli gli bacerei una tempia, una guancia, di nuovo le labbra, gli accarezzerei i capelli che sembrano fili di seta, sentirei il suo profumo.

Profuma ancora di più, adesso.

E la sua pelle è più luminosa, i suoi capelli più folti, più lucidi, ha le ciglia ancora più lunghe, la bellezza è più sfrontata, più palese.

Quando si gira verso l'altra parte del tavolo, il mio stomaco si attorciglia.

Mi sale una fiammata di ansia momentanea.

Perché sei qui? Lei potrebbe farti del male, potrebbe farvi del male, Kenma. Perché sei qui? Devo proteggervi, io devo... non guardarli, Maeko, non farlo. Non permetterti di torcere anche solo un capello a...

Seguo il suo sguardo.

E mi rendo conto di una cosa a cui non avevo pensato, finora.

Mi rendo conto che...

Sono mesi che Kenma e Mae non si vedono.

Tre, quattro? Forse cinque.

E Mae non sa...

Ha gli occhi sgranati, la bocca aperta, l'espressione non so se sia scioccata, addolorata o confusa, il suo corpo è fermo, congelato, immobile.

Prova a parlare.

Al primo tentativo non riesce.

E al secondo...

– Che hai fatto alla pancia? –

Kenma la guarda.

Si mette tutte e due le mani sul ventre.

Fa abbastanza caldo, anche se è ottobre, e siccome le magliette normali non gli entrano per ora ne porta di corte, che arrivano giusto giusto alla fine del petto, al limite del binder che ora mette perché ha preso un paio di taglie.

Ha i pantaloni a vita bassa, larghi come sempre, e la pancia completamente scoperta.

Credevo gli avrebbe provocato disforia mostrarla in questo modo, e certi giorni è effettivamente così. Altri, la sua identità di genere non è minimamente compromessa da questa cosa, e anzi sembra renderlo parecchio fiero. Oggi è uno di quei giorni, e questo mi fa sorridere. Non perché abbia nulla da dire su come si senta con se stesso, il corpo è suo e di conseguenza le scelte e la percezione, ma perché mi fa sentire a mio agio che si senta a suo agio, che non pensi che ci sia qualcosa che non va nell'essere come è, che si veda un po' come lo vedo io.

Sorride.

– In che senso "che hai fatto alla pancia"? Credo sia piuttosto chiaro, Maeko, che cosa ho fatto alla pancia. Non lo sapevi? Non ci hai spiati negli ultimi mesi? –

Mae non risponde, Kenma si guarda dall'alto, accarezza la pelle tesa e piega la testa.

– Certo, all'inizio non si vedeva, quindi l'ultima volta che ci siamo visti forse non te ne sei accorta, ma... –

Si gira verso di me, allunga le dita verso le mie, io seguo il suo movimento. Mi fa appoggiare la mano sopra le sue, sempre sul suo addome, gli si scaldano le guance per l'emozione, io sorrido a guardarlo così, felice ed emozionato come lo sono io.

Muovo il palmo sopra il suo, il movimento è circolare, delicato.

– Ero sinceramente convinto lo sapessi, davvero. A quanto pare invece no, quindi te lo dico ora. –

Alza gli occhi e la pugnala.

Le tira la daga sul cuore, lo squarcia, lo distrugge sorridendo.

– Aspetto un bambino, Maeko. Sono al sesto mese di gravidanza. –

La reazione è...

Congelamento.

Mae rimane in silenzio per una buona decina di secondi.

Lo guarda, ci guarda, me e le nostre mani congiunte sopra il pancione di Kenma, poi apre la bocca per parlare ma non lo fa, troppo sbigottita da quel che ha di fronte, troppo scioccata.

Ma Kenma è perfettamente in grado di parlare e come sempre, come sempre lo fa.

– È successo per caso, a dirla tutta. Ho avuto un periodo un po' complicato all'Università per colpa di qualcuno che ha deciso di diffondere una mia foto privata e mi sono completamente chiuso in casa perché a quanto pare le persone erano tanto curiose di farmi domande sui miei genitali e su cosa indossassi sotto i vestiti. –

Si accarezza di nuovo l'addome, poi tira su le mani e si guarda distrattamente le unghie.

– Non volevo uscire di casa, ero praticamente terrorizzato. Credo di aver saltato un paio di volte la pillola senza nemmeno rendermene conto e... sai com'è, se non la prendi con costanza non funziona bene. Quindi mentre Tetsurō mi ricordava quanto fosse bello il mio corpo nonostante tutto quello che dicevano gli altri, è successo. –

Mae rimane nel suo stupore, la bocca aperta e gli occhi feriti, non reagisce.

– Quando mi sono reso conto che non mi arrivava il ciclo ho fatto un test ed ecco... sì, aspettavo un bambino. Non credevo che Tetsurō volesse figli, ma ne abbiamo parlato tanto e alla fine abbiamo deciso di averlo. Ci amiamo e siamo economicamente stabili e lui ha degli orari flessibili per dedicargli tutto il tempo che gli servirà. –

Si gira verso di me, mi sorride, socchiude gli occhi nel farlo e sembra radioso, anche se so che sotto sotto è come è sempre, malefico, velenoso e tagliente.

– Non vedo l'ora di avere un piccolo Tetsurō in giro per casa. Se sarà come te sarà il bambino più bello del mondo e il più intelligente. Sono così fiero del nostro mostriciattolo. –

– Anch'io. – rispondo, perché è vero, perché lo penso.

Non c'è segno di reazione dall'altra parte del tavolo, ancora, per cui Kenma continua nella sua falciatura di teste, le parole zuccherine ma una più intrisa di cattiveria dell'altra.

Se gli avessi chiesto di avere pietà di lei, forse un paio di mesi fa l'avrei pure convinto.

Ma dopo gli ultimi avvenimenti e dopo la consapevolezza che il rischio della sua rabbia non lo corriamo solo noi due ma anche una creatura completamente innocente, non me la sento di sentirmi... compassionevole.

Non dopo un anno.

Non... non più.

– È un maschietto, biologicamente, quindi per ora usiamo i pronomi maschili. Se poi quando sarà nato dovessimo accorgerci o dovesse dirci che ci siamo sbagliati ovviamente questa cosa cambierà. Sta benissimo, giusto ieri io e Tetsurō siamo andati all'ecografia di controllo. So che la mia pancia sembra enorme ma è figlio suo, quindi credo nascerà direttamente di un metro e ottanta. –

Ride piano alla sua stessa battuta e lo faccio io, me lo dice sempre, che questo figlio sembra essere più grande di lui, a momenti. L'idea del parto un po' mi mette soggezione ma me la tengo per me, la mia soggezione, visto che non sarò io a doverci avere effettivamente a che fare.

– Se volete ho le foto dell'ecografia nella cover del telefono, ve le faccio vedere. Un secondo che... –

Con la più completa nonchalance si tasta le tasche dei jeans, quando trova il cellulare lo tira fuori. Ha un anno, il suo cellulare, e non ha più la catenella di perline, ora, ma un piccolo gattino nero legato alla porta audio che dice gli ricorda tanto me.

Lo gira appoggiando lo schermo sul tavolo, lo spinge a metà fra noi e Mae, batte con l'indice sulla piccola foto in bianco e nero incastrata nella cover trasparente.

– So che non si capisce tanto ma non è adorabile? Guardate, quello è il cuore. Fa un effetto quando vedi che batte sullo schermo. –

Segue il suo dito, Maeko, e guarda la foto, ma di nuovo, non parla.

Lo lascia fare il suo monologo in un silenzio tombale, di pietra.

Ad ogni parola, però, c'è qualcosa che dentro di lei si rompe.

– Tetsurō si è commosso la prima volta che l'abbiamo visto – mi passa una mano sul braccio, stringe il muscolo e poi ci si aggrappa sopra, si sporge dalla mia parte e appoggia la tempia contro la mia spalla – ed è stato adorabile, davvero. Continuava a dirmi che mi amava e che non mi avrebbe mai lasciato e che nostro figlio era meraviglioso. –

Ride piano, mi guarda e io sorrido, perché sta dicendo la verità e me lo ricordo anch'io.

– E poi quando scalcia e mi balla il tango nella pancia se Tetsurō gli parla si rilassa subito. È come me, adora la sua voce, sono sicuro che potrebbe stare ad ascoltarla per ore come faccio io e che lo fa sentire subito meglio. –

Mi giro dalla sua parte, gli sorrido, lui alza una mano per accarezzarmi una guancia.

– Sono così fiero del nostro bambino, Tetsurō. Sarai un padre meraviglioso, e non vedo l'ora di vederti giocare con tuo figlio al piccolo chimico. Sarà bellissimo, ti giuro che sarà bellissimo. –

Ridacchio alla sua battuta, mi sporgo quando lo fa lui e lo bacio giusto un secondo, solo per ringraziarlo e per dimostrare quanto felice io sia di stare con lui.

Ci stacchiamo l'attimo dopo.

Torniamo seduti.

Kenma riprende il suo telefono, lo porge a me invece di rimetterselo in tasca e lo faccio io al posto suo, appoggia entrambe le braccia sul suo pancione e sospira.

Guarda Maeko.

Maeko che è da quando Kenma è entrato che è praticamente muta.

Maeko che...

Boccheggia.

Sembra che le manchi l'aria.

Sembra che stia per soffocare, per esplodere, per lasciarci le penne qui ed ora.

Ha il viso arrossato, l'espressione vacua, gli occhi lucidi ma nessuna lacrima che le riga le guance.

Sposta lo sguardo verso di me.

Deglutisce la saliva e s'inumidisce le labbra secche, prende un grande respiro e parla, per la prima volta, da che Kenma è arrivato a distruggere tutte le sue certezze.

– Il bambino è tuo? – mi chiede.

– Credo che Kenma sia stato piuttosto chiaro su questa cosa. –

– È tuo davvero? –

La creaturina vicino a me ride, davvero, ride, poi si sporge sul tavolo, abbassa le sopracciglia.

– I bambini si fanno in un modo ben preciso, Maeko, e siccome tuo marito è l'unico uomo da cui mi faccio giornalmente scopare sono sicuro al cento per cento che il figlio sia suo. Sempre se non sono il throwback moderno della Vergine Maria. Anche se non sono poi tanto vergine, a dirla tutta. –

– Kenma. – lo riprendo.

– Che c'è? Non posso fare le battute sul Cristianesimo? –

– Non parlare della nostra vita sessuale, non sono affari loro. –

– Perché no? A tua moglie piace la nostra vita sessuale, ci fa pure le foto! Le sto solo facendo un favore. –

Chiama sempre Maeko "mia moglie" e me "suo marito" perché non essendo finalizzato il divorzio gli piace rigirare il dito nella piaga. Lo fa un po' per ricordare la sua posizione in mezzo a noi due e un po' per darmi fastidio.

Gli pizzico una guancia, lui arriccia il naso, poi sbuffa, apre le mani e dice "va bene, ok, va bene" e torna in silenzio al mio fianco.

Mae riprova a parlare.

Ha la voce flebile, stanca, ma alla fine la capisco, riesco a capirla.

– Tu non mi avevi detto che... che... –

Singhiozza.

– Quando... due anni fa. Due anni fa, tu avevi detto che... –

Si asciuga la faccia con una mano, il suo avvocato le porge un fazzoletto, lei lo accetta e si asciuga le guance.

– Tu non lo volevi... tu non lo... non lo volevi, con me tu non... –

Sospiro.

Mi tiro su dallo schienale.

– Stai parlando del fatto che ti ho detto che non volevo figli, Mae? –

Annuisce.

– Tu non li vole... –

– Le cose cambiano. Le persone cambiano. Vuoi sapere perché cambino? –

– Voglio sapere perché con lui... con lui sì e con me... cazzo, cazzo, perché io no, perché... –

Sporgo lo sguardo verso Kenma, gli tiro una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi sorride appena appena, si adagia al mio contatto ma non dice niente.

– Perché io e te non eravamo innamorati per davvero, perché i figli sarebbero diventati un modo per tenermi legato a te e non creature di cui occuparci, perché avresti scaricato su di loro la frustrazione del fatto che in realtà non mi sopporti e perché sì, Mae. –

– Io non avrei scaricato su di loro la frustrazione di... –

– L'avresti fatto perché non eri davvero innamorata di me. –

– Io ti amavo, eri tu che non lo facevi! –

Kenma sospira, allunga una mano verso di me e mi spinge indietro, in una posizione più rilassata. Poi si accarezza il pancione e storce il naso.

– Urla meno, per favore, il bambino non ti sopporta. –

– Il bambino non... –

– Poi, se posso, il tuo discorso è un po' una merda. Se Tetsurō non se l'è sentita con te è più che lecito che ti abbia detto di no, non ti puoi lamentare di questa cosa. Hai una minima idea di come si comporti un padre che non vuole figli e che non si sente pronto ad averli? Io sì. Se non li vuoi la cosa migliore è non farli. –

– Ma allora perché cazzo... –

– Perché mi ama, Maeko, perché mi ama e perché io amo lui. In tutto. Non in un pezzo e basta. Io e Tetsurō siamo fatti per stare assieme, voi eravate una coppia funzionale, non perfetta. –

– Noi due non eravamo... –

– Lo eravamo – intervengo – e non capisco perché tu non te ne sia mai resa conto. Non capisco perché tu sia ancora così tanto aggrappata all'idea del nostro matrimonio quando è chiaro che nessuno dei due fosse felice. –

– Noi eravamo felici! –

– No, non è vero. –

Sembra a metà fra una crisi di panico e una di rabbia, sembra voler rompere qualcosa a mani nude, guarda Kenma con cattiveria, con violenza, con lo sguardo che aveva quando ha suonato alla porta di casa alle quattro di notte dicendo che l'avrebbe ammazzato.

Ma questa volta non si muove.

Rimane ferma.

Passa qualche istante in cui attendo una reazione esplosiva, rabbiosa, pericolosa, ma non avviene niente di tutto ciò, rimane immobile.

È trascorso un minuto buono quando Kenma interviene di nuovo.

Non si riferisce a lei, però, ma al nostro avvocato.

– Immagino le abbiate fatto l'offerta prima che arrivassi. Ha firmato? Posso finalmente portarmi a casa Tetsurō e tenermelo? –

Lui, che come la controparte di Mae è rimasto in silenzio tutto il tempo visibilmente incuriosito da Kenma ma egualmente impietosito dalle reazioni della mia ex moglie, si riprende.

Gli arrossiscono le guance.

Come se l'avesse beccato a...

– Non ha ancora firmato. Si sono messi a litigare su... –

– Sull'ordinanza restrittiva, vero? Dio, lo sapevo, ho detto a Tetsurō che non era necessaria, ma lui deve sempre essere iperprotettivo. –

– È necessaria, Kenma. Non transigo. –

– Eddai, cosa credi che possa farmi? –

Mi giro dalla sua parte e lo guardo nel modo più serio che posso. Perde il sorriso, quando faccio così, e so che cosa gli passa per la testa, anche se questo non è il momento.

– Io non metto in pericolo te e nostro figlio, Kenma. –

– No? –

– No. –

Alza appena appena gli angoli della bocca.

Poi tende un braccio dalla mia parte, me lo lega dietro il collo e mi spinge verso di sé, verso il basso, mi bacia e dura un po' più di prima.

Prima di staccarsi si ferma con le labbra vicino al mio orecchio.

– Poi quando torniamo a casa ne riparliamo. – mormora, prima di rimettersi a posto e girarsi verso Mae.

La guarda, schiocca due volte le dita per attirare la sua attenzione.

– Hey, tu, sì, tu. Ci sei? Ti sei ripresa? La smettiamo di frignare? Hai trentasette anni, su, svegliati. Perché non accetti l'offerta e ce ne andiamo tutti a casa? Ho da fare, non posso stare qui tutto il giorno. –

Si mette sulle ginocchia, si tira su e si allunga verso il primo foglio sul tavolo.

Quando lo gira e si rende conto che è la nostra foto e non l'offerta, mi guarda per un secondo.

– Che comunque avresti un futuro come fotografa erotica, eh, te lo dico, mi hai beccato proprio nel momento clou, tempismo perfetto. –

La tira via, poi prende l'altro foglio, quello giusto, stavolta, e lo spinge verso Maeko.

– Tieni. –

Mae lo guarda.

– Non ho la minima intenzione di accettare niente da voi. Niente, niente che non sia... –

– Senti, taglia corto. Accetta il patteggiamento, firma il divorzio e a mai più rivederci. –

– No. –

Kenma ride.

– Beh, allora credo che ci rivedremo il prossimo mese. Non vedo l'ora di venire qui e sbatterti in faccia quanto perfetta sia la vita mia e di tuo marito. Per me non c'è problema. –

Batte con la mano sul foglio.

– Perché non accetti, Maeko? –

– Perché voglio rovinarvi la vita come voi l'avere rovinata a me. –

Kenma piega la testa.

– Davvero? Pensaci, Maeko. Pensaci bene. Ogni mese, ogni cazzo di mese, io e Tetsurō e nostro figlio qui di fronte a te a farti vedere quanto siamo felici. Ogni mese a farti vedere che cosa significa amarsi e stare insieme mentre tu ti mangi le mani. Ci stai rovinando la vita? O la stai rovinando a te stessa? –

Mae prova a rispondere ma Kenma la precede.

– Tu credi di avere una speranza di riprendertelo, Maeko? Credi davvero che tornerà con te? È per questo, che lo fai? Per vederlo e per provare a convincerlo a tornare con te? –

Ridacchia, guarda la mia ex moglie come se quasi la cosa fosse comica.

– Non succederà mai. Mai. Kuroo Tetsurō è mio, è la persona da cui torno a casa tutte le sere, è il padre di mio figlio, appartiene a me. Lui non tornerà mai da te. Non importa quanto male tu mi faccia, quanto tu cerchi di rovinarmi la vita. Lui è mio. –

Di nuovo, indica il foglio.

– Sinceramente non capisco perché tu non riesca ad andare oltre un uomo che ti ha tradita. Cioè, lo capisco, è Tetsurō, per carità, però... vai avanti, Maeko, cambia città, cambia lavoro, è un consiglio spassionato. –

A Mae tremano le mani.

– Ora, visto che il tuo è chiaramente un problema d'orgoglio, io e Tetsurō usciremo da quella porta e ci sederemo in sala d'attesa, tu firmerai senza che noi ti guardiamo, te ne andrai e ti farai una vita. Perché questo è una rottura di cazzo per me, ma per te è davvero molto peggio. Intesi? –

Non risponde.

All'inizio, poi...

– Sei solo una troia. Solo una troia, cazzo. Mi hai rovinato la vita, se potessi ti ammazzerei con le mie mani, se potessi... –

Kenma sporge il labbro e annuisce.

– Se potessi cosa mi faresti? Mi faresti sparire? E poi? Poi credi che ti rivorrebbe? Mae, non ci si comporta così con le altre persone, non è carino. –

– Non chiamarmi "Mae". –

– Ti chiamo come cazzo mi pare. –

Si sporge di più dalla sua parte e Maeko fa lo stesso, ma quando vedo la distanza fra loro diventare sempre minore, sono io ad intervenire.

Tiro Kenma indietro.

– Kenma, andiamo fuori. –

– Eh? Ma mi stavo divertendo, voglio vedere se ha davvero il coraggio di picchiare una persona in gravidanza. –

– Non so se ce l'abbia ma andiamo fuori. Lasciamole il tempo di pensarci. –

– Sicuro sicuro? –

– Sicuro. –

– Ok, allora. –

Libera le gambe dalla posizione improponibile in cui le aveva infilate, si tira su reggendosi sulla sedia, aspetta che io faccia lo stesso.

Si sporge verso l'avvocato.

– Puoi fare in modo che firmi per favore? Ti paghiamo. Per favore. –

– Non posso costringere la cliente a... –

– Trova un modo, non m'interessa quale. –

Prende la mia mano e gli sorride a trentadue denti.

Poi apre la porta, passa in mezzo senza salutare nessuno, né Mae né il suo avvocato, zompetta tutto allegro nella sala d'aspetto vuota dello studio.

C'è più luce, qui.

C'è più luce che lo colpisce.

È meraviglioso.

Davvero, lo è.

Con gli occhi che brillano, i capelli disordinati e la pelle diafana, con il suo bel pancione completamente scoperto e le mani sottili che ci si muovono sopra.

Sempre più bello.

– Siediti. –

– Eh? –

Indica il divanetto.

– Siediti, così mi siedo su di te. –

– Oh, ok. –

Mi dirigo verso il divanetto e mi siedo meccanicamente, apro un po' le gambe perché Kenma riesca ad arrivarci in mezzo, poi l'aiuto a sedersi sopra di me. Prima si sarebbe sicuramente messo a cavalcioni, ma ora è un po' complicato con gli spazi e si siede al contrario, con le scapole che battono sul mio petto.

Prende le mie mani e se le mette sull'addome.

– Fammi le coccole, prima che mi metta a piangere. –

– Ti viene da piangere? –

– Sono gli ormoni della gravidanza. –

– Sicuro? –

Si stende sopra di me, io muovo le dita sulla pelle tesa e mi pare di sentire un minuscolo movimento, ad un certo punto, confermato dal sorriso che spunta sul viso di Kenma.

– Sì, non ho pena di quella donna, lo sai. E se non aspettassi il bimbo le sarei saltato addosso sul serio. Ti guarda come se le appartenessi. È irritante. –

– Lo sai che non le appartengo. –

– Lo so, ma mi dà fastidio lo stesso. –

Sorrido contro la sua nuca, poi appoggio il mento sulla sua spalla, giro il viso ber baciargli la guancia e strofinare il naso contro la sua tempia.

– Com'è stata la tua giornata? –

– Prima del riposino durato un'era geologica? –

– Esatto. –

Ride piano.

– Sfiancante. Forse è il caso che iniziamo a fare sesso un po' meno aggressivo. Già trasportare tuo figlio in giro è faticoso, farlo con le gambe che tremano perché devi metterti a fare il dio del sesso tutte le sere è un'impresa. –

– Lo sai che sei tu a chiedermelo. –

– Lo so! Ma ho diritto di lamentarmi lo stesso. –

Gli bacio di nuovo la guancia, poi fermo la mano, la apro sopra il suo ombelico.

– Non è colpa mia, è della biologia, comunque. Ho letto un articolo che dice che è normale per un uomo eccitarsi continuamente se vede il proprio partner in gravidanza. È una cosa legata alla bellezza della fertilità e vai tu a capire cosa. Comunque è normale. –

– Niente di te è normale, Tetsurō, te lo assicuro. –

– Invece sì. –

Sento un altro movimento sotto la mia mano. È un po' più intenso, e Kenma invece di sorridere ora ride per davvero.

– Mi fa il solletico, la bestiolina. –

Sposto il viso verso il basso.

– Non fare i dispetti a tuo padre, fai il bravo. Siamo in un posto pubblico, lo sai? O sei come lui e fai sempre quello che ti pare dove ti pare? –

Si muove un'altra volta.

Ridiamo insieme, io e Kenma. Ridiamo perché io me l'immagino proprio, il broncio impertinente del mio compagno traslitterato nell'espressione più dolce e più morbida di un bambino, e ci giurerei, sarà esattamente quello che vedrò quando nascerà.

Piccola peste.

So che lui vorrebbe fosse come me, ma egoisticamente io... vorrei che fosse tutto Kenma. Solo per... poterlo vedere anche nel viso di qualcun altro, forse, non lo so.

– Sai che oggi ho pensato ad un bel nome per te, bestiolina? –

Kenma si gira verso di me.

– Quale? –

– Tsukasa. Mi piace come suona, Kuroo Tsukasa. Ed è un nome neutro. –

– Tsukasa? –

Ci pensa un po' su.

– Kuroo Tsukasa. Kuroo Tetsurō, Kuroo Kenma, Kuroo Tsukasa. Sì, mi piace un sacco, sembriamo tantissimo una famiglia! –

– Noi siamo una famiglia. –

– Lo so, ma così lo siamo... lo siamo un sacco. –

Si tira un po' su, pianta le mani sul pancione e le muove.

– Tsukasa, ti piace? Ti chiamerò sempre Tsu, come soprannome. E quando avrai otto anni e sarai alto come tuo padre mi prenderai tutti i biscotti dagli scaffali alti al supermercato, ti comprerò tutti i vestiti che vuoi e ti verrò sempre a prendere quando tornerai dalle gite. Il mio papà non mi veniva mai a prendere ma io ti verrò a prendere sempre, sempre. Ah, e Tetsu ti cucinerà tutto il cibo coreano che vuoi e ti insegnerò a giocare a tutti i giochi della Nintendo così potremo giocare insieme. Che ne dici, Tsu? Ti piace? –

Si muove.

Sorrido.

– Credo che gli piaccia. –

– Sono così felice che gli piaccia. –

Si stende su di me.

Gira la testa, mi prende il viso con le mani e mi bacia.

– Sono così felice che tutto questo stia succedendo a me, a noi. Non hai idea di quanto lo sia. –

Mi specchio nei suoi occhi, lo bacio di nuovo, tengo la fronte appoggiata contro la sua.

– Anche io. Ti amo tanto, Kenma. –

– Lo so e lo faccio anch'io. –

– Ti ami? –

– No, scemo, amo te. –

– Ok, allora. –

Rimaniamo fermi qualche istante.

Se penso...

Se penso alla prima volta che ti ho visto, mi si ferma il cuore. Se penso a quando sei entrato in ritardo nella mia aula e hai iniziato a scrivermi cose sconce in un form pubblico, davvero, mi si ferma il cuore.

Chi l'avrebbe mai detto, Kenma.

Io...

Io pensavo che saremmo caduti in pezzi nel migliore dei casi.

Pensavo che avremmo distrutto tutto quello che ci stava attorno e che saremmo stati noi due, quelli completamente impazziti ed esauriti dagli avvenimenti che noi stessi avevamo provocato.

E invece...

Lo so che abbiamo sbagliato.

Lo so.

Abbiamo obiettivamente sbagliato, non c'è che dire, tradire è una cosa meschina e crudele, non si fa. Tu sei insopportabile, io penso di vivere in un mondo dove tutte le persone che non sono me e te non hanno la minima importanza, siamo due persone di merda, davvero, lo siamo.

Ma il mondo non dovrebbe punirli, quelli come noi?

E allora perché non l'ha fatto, Kenma?

Perché noi siamo qui felici a parlare del nome di mio figlio e l'unica vittima di tutta questa storia ha completamente perso la testa?

Il karma non esiste, credo.

Oppure se esiste, deve ancora falciarci.

Oppure...

Giusto, sbagliato, alla fine sono solo parole.

La morale, sono solo parole.

Perché dovrei limitare la mia felicità per fare la "cosa giusta", chi cazzo farebbe la "cosa giusta" se sapesse che lo renderebbe un infelice? Un cretino, un idiota. Io non sono un eroe, io non porto il peso del mondo, io non voglio alzarmi la mattina e guardarmi sapendo di essere l'uomo migliore della terra, voglio alzarmi e tornare a letto subito dopo perché l'amore della mia vita detesta stare a letto da solo.

Siamo lo schifo del mondo.

Siamo orribili, patetici, sbagliati.

Io faccio trentasette anni fra due settimane e Kenma ne ha fatti venti una decina di giorni fa, sono tanti, diciassette anni, sei vecchio per lui, lui è troppo giovane per sapere quello che vuole dalla vita, ti lascerà, tu lo tradirai come hai tradito la tua ex moglie, vostro figlio crescerà infelice, sarete dei genitori di me...

'Fanculo.

E chi lo dice?

Le vostre regolette etiche del cazzo?

Sapete a cosa servono?

Solo a fermarvi.

Io non voglio fermarmi.

Ho fatto bene a non farlo.

'Fanculo la differenza di età, 'fanculo il fatto che fossi un tuo professore, 'fanculo Maeko, 'fanculo.

Lo rifarei.

Se tornassi indietro lo rifarei.

Questo mi rende una persona di merda?

Va bene.

Sarò una persona di merda.

Ma sono anche tanto, tanto innamorato, e preferisco essere una persona di merda innamorata che uno specchio d'acqua di giustizia infelice.

Chi vi dice il contrario, non ha mai provato quanto soddisfacente possa essere fare la cosa sbagliata.

Mai capito perché l'uomo ascolti Dio, quando il peccato è così dolce.

La porta cigola, alzo lo sguardo e riemergo dagli occhi d'oro bianco di Kenma.

Il mio avvocato fa capolino con la testa.

– Ha firmato. –

Sorrido.

– Bene. –

Stringo Kenma, appoggio la fronte sulla sua nuca e respiro.

Ora capisco perché Antonio si sia ammazzato all'idea che Cleopatra fosse morta, lo sai? Capisco perché non si sia asciugato le lacrime e non sia tornato a Roma.

Perché Roma è bella, Kenma.

Roma è bella.

Ma Cleopatra, lei, nemmeno le parole potevano descrivere quanto lo fosse di più.

Non ci sarebbe niente se non ci fossi tu.

Niente.

Ma ora c'è tutto.

E non m'interessa quanto schifo devo fare per tenere quel tutto.

Lo farò.

Kenma si muove su di me, quindi lo lascio andare e lo vedo girarsi dalla mia parte. Sorride a trentadue denti, strofina il naso sul mio.

Lo guardo.

Lo guardo e lo bacio.

Fino a perdermi dentro di lui.

Lo sai che cosa dice Cleopatra ad Antonio all'inizio dell'Opera, Kenma?

Sembri dirmelo anche tu, in questo istante.

Sono sicuro che in qualche modo tu lo stia facendo.

Dice...

"L'eternità era nelle nostre labbra e nei nostri occhi."

L'eternità.

Che concetto... ampio.

Vuoto, infinito, incomprensibile.

Non credo ci aspetti l'eternità.

Ma se ci aspettasse non ne avrei paura.

Perché ci sei tu.

Solo tu.

Da quanto sei arrivato, solo tu.

Sempre e solo tu.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

premettendo che lascio i miei sproloqui su perchè per come per cosa ai ringraziamenti volevo solo specificare una cosa suuuuuuuuu questo capitolo

allora

ho scelto di inserire la gravidanza di kenma in un capitolo con kenma che è un ragazzo, ovviamente prima di farlo sono andata su internet e ho cercato esperienze e testimonianze di ragazzi nella sua stessa situazione. ho letto tante cose, la maggior parte parlano di grandi episodi di disforia (che ho menzionato proprio per questo) ma ho anche letto di qualche ragazzo che invece si sentiva più a suo agio con la pancia (non con il seno, solo con la pancia) e per questo ho deciso di inserire questo elemento. so che l'esperienza, in ogni caso, è puramente soggettiva, quindi mi riservo di sentire i vostri pareri se ne avete!!

a prescindere da tutto, volevo dire

io vedo sempre la gente scrivere "omg gli untagged mpreg fanno schifo" ok bro qua non si parla di una persona mpreg perchè kenma è una persona non binaria e io so che quando si parla di mpreg la gente parla degli omegaverse ma in generale dovremmo un po' smetterla con questa storia perchè ci sono ragazzi in gravidanza, è una cosa normale, makin it funny is not helping the cause

niente comunque ci vediamo ai ringraziamenti

by bbies

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