𝚢𝚘𝚞 𝚐𝚘𝚝 𝚊 𝚠𝚒𝚏𝚎

[she/her]

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Inizio seriamente a chiedermi se sia stata una buona idea.

Seduto sul divano di casa mia, vestito come lo sono sempre quando sono in casa, Mae al mio fianco e i tre tesisti rigidi di fronte a noi come se la mia sola presenza l'intimorisse, inizio a chiedermi se sia stata una buona idea.

Mezz'ora fa.

Dovevamo cenare mezz'ora fa.

Ma...

– Sei sicuro che abbia capito bene l'ora, Tetsurō? –

Kenma è in ritardo.

Eclatante, fastidioso, palese ritardo.

Indietreggio con la schiena, sorrido lanciando lo sguardo verso il soffitto, sospiro.

Se ha capito bene l'ora?

Oh, Mae, è che tu non conosci Kozume Kenma. Non conosci la sua pigrizia, i suoi modi di fare, la sua lentezza, la sua indecisione. Non hai la minima idea di quanto possa metterci a scegliere i vestiti, di quanto tempo passi a truccarsi perché il risultato le piaccia, di quanto poco le interessi se qualcuno la sta aspettando.

Vorrei rispondere a Mae che arriverà, la conosco, è fatta così.

Ma alzo le spalle.

– Forse si è confusa e ha capito male. Oppure è solo un po' in ritardo, può succedere. –

– Di arrivare quaranta minuti dopo? –

– Che ti devo dire, sarà una persona ritardataria. –

Mae si morde l'interno della bocca, incastra le braccia in posizione conserta e sbuffa, infastidita, cercando di non sembrare troppo offesa da questa plateale mancanza di rispetto, poi torna con lo sguardo sui suoi tre tesisti nel tentativo di cambiare argomento.

Tanto la cena si riscalda, non ci sono piatti da servire immediatamente.

E ti assicuro che ogni volta che Kenma arriva in ritardo, ne vale assolutamente la pena.

Cerco di estirpare dalla mia mente l'immagine delle mille versioni di Kenma che ho visto nel corso di questi mesi e mi concentro su quello che mi circonda adesso.

Ho una serata intera per navigarle addosso con lo sguardo e per ricordarmi quanto bella e meravigliosa sia, per ora è probabilmente un'idea migliore concentrarmi sul non sembrare uno stronzo di merda che non sopporta i tre coglioni seduti sull'altro divano del mio salotto, che parlano con mia moglie.

Sono un po' più grandi di Kenma, sono tesisti della magistrale, oscillano fra i ventitré e i ventiquattro anni, immagino, parlano con Mae come se fossero amici, ma guardano me con deferenza, come se non fossi suo marito ma una qualche forma di orribile mostro che non vede l'ora di divorarli. La ragazza è carina, coi suoi capelli lunghi e scuri e le lenti spesse di fronte agli occhi, quello vicino a lei non mi dice molto, il terzo mi fa un po' tenerezza.

Non ricordavo la sua faccia, quando mi si è presentato, ma mi sono reso conto di ricordarmi a tratti la sua voce, per le domande che fa in aula qualche volta.

È...

Non è che sia brutto, per carità, è un bel ragazzo. Sembra gentile, sembra... normale. Mi fa solo tenerezza, davvero, tenerezza perché pensa che tutta questa messinscena possa portare a qualcosa.

Kenma?

Tu vorresti conquistare Kenma?

Davvero?

Dio, se non ti sei minimamente reso conto di chi lei sia.

Per interagire con Kenma serve molta più arroganza di quella che hai tu, molto più sangue freddo, molta più spocchia, molto più egocentrismo. Serve essere dannatamente sicuri di se stessi perché lei ti scuote come un terremoto e se non sai chi sei non finirai da nessuna parte, serve decisione, serve autorità, serve... intelligenza.

Tu credi di avere anche solo un briciolo di quello che Kenma cerca in un uomo?

Dio, se l'avessi ti chiameresti Kuroo Tetsurō, e mi dispiace doverti ricordare che non è così.

Chissà se eri tu, il "verme che si è permesso di parlarle" la settimana scorsa, o se eri quello che le ha offerto gli appunti per studiare, quello che le scrive su Instagram chiamandola "principessa", quello che le chiede ossessivamente di aprire OnlyFans perché sa che sarebbe l'unico modo per vedere un centimetro della sua pelle.

Non ho idea di chi tu sia.

Quando gliel'ho chiesto, mi ha risposto la stessa cosa.

E poi si è messa in ginocchio per me per ricordarmi che a prescindere da quanti ci avessero mai potuto provare con lei, non avrebbe voluto niente di diverso da me nella vita. Per ricordarmi di chi volesse essere. Per dirmi che c'ero solo io, nessun altro, di certo non tu.

Non sono mai stato una persona particolarmente gelosa nella mia vita.

Conseguenza naturale del mio carattere arrogante è un'incredibile sicurezza in se stessi, pertanto non ho mai processato il pensiero che qualcuno potesse lasciarmi per qualcun altro o che potesse preferire qualcun altro a me, non me ne sono mai fatto un problema. Mi è capitato, credo l'ultimo anno di superiori o il primo di università, che il mio ragazzo dell'epoca mi tradisse, ma la cosa non mi ha particolarmente segnato, non mi ha mai impedito di sentirmi il centro del mondo.

Di Kenma non è che io sia geloso in senso puro.

So che lei non vuole nessun altro.

Lo so molto, molto bene.

So che mi guarda come se volesse me a prescindere da cosa sia necessario per avermi, che cerca le mie attenzioni come l'aria, che sorride solo ed esclusivamente quando sono io, a fare in modo che lo faccia.

Possiamo dire quindi che trovo... divertenti tutti i tentativi di chiunque le si approcci.

Davvero, divertenti.

Trovo divertente come pensino che per conquistarla bastino un paio di battute dolci e qualche apprezzamento, come siano ingenuamente convinti che siano loro a doverla conquistare e non lei a dar loro il permesso di provarci, quanto sottovalutino la sua capacità di mandare qualcuno affanculo nel giro di un paio di secondi.

Non sei tu a provarci con lei, è lei che ti concede di farlo.

E se è riuscita a far fare questo a me, che morale permettendo sono comunque un uomo adulto, che si conosce, è consapevole e sicuro di sé, non capisco come un branco di ragazzini non comprenda quanto potere lei abbia.

Sorride a mia moglie, il tesista, e risponde ad una sua domanda che non ho sentito.

Sei anche una brava persona, almeno lo sembri. Perché mai vuoi avvelenare te stesso nel fallimentare tentativo di prendere qualcosa che non avrai mai?

Kenma ha me.

Pensi che voglia qualcos'altro?

Pensi che qualcos'altro possa reggere anche solo minimamente il confronto?

Guarda me e guarda te stesso, da bravo.

Hai già la risposta che cerchi.

Sento il mio viso tentare di sorridere e spingo giù qualsiasi forma di malsana gioia il pensiero mi provochi, cerco di respirare, di calmarmi, di tornare alla realtà delle cose. Di cosa stanno parlando? Non ho ascoltato il discorso, non so se sinceramente m'interessa, però sarebbe educato...

Prendo il telefono.

'Fanculo l'educazione.

Sono loro che sono a cena da me, loro devono essere educati.

Scorro distrattamente fra le mail, quando m'interrompono.

– Tetsurō, ti hanno fatto una domanda. Metti via il telefono, quanti anni hai? –

Stacco lo sguardo dallo schermo e vedo Mae che sorride, come se stesse scherzando. Anch'io sorrido, in effetti fa un po' adolescente in ribellione col mondo isolarsi in compagnia, non è che abbia tutti i torti.

– Scusate, non ho sentito. –

– Ci... chiedevamo su cosa avesse fatto la tesi. Sa, col fatto che siamo tesisti anche noi e che... –

– Quale tesi? –

La ragazza che ha fatto la domanda mi guarda per un secondo.

– Perché, quante ne ha fatte? –

– Quella della triennale in Chimica, quella della magistrale in Chimica Industriale e poi l'altra in Chimica Biomolecolare, quella di dottorato in Nanoscienze e quella di post-dottorato, che però è stata più una relazione di laboratorio, in America fanno così. –

– Ha fatto il post-dottorato in America? –

Annuisco.

– Sì, ho partecipato ad una ricerca sulla microscopia crioelettronica. –

– Ah. –

Mae appoggia una mano su una delle mie ginocchia, muove dolcemente le dita su di me.

– Tetsurō ha studiato parecchio, mettiamola così. –

– È la mia vocazione, dopotutto. –

Il ragazzo al centro, quello che punta a rimorchiare Kenma, si gira verso di me.

Gli sorrido, perché mi fa tenerezza, povero, tanta tenerezza.

– Vediamo, allora. La prima tesi era sui materiali ibridi a base carbonio, ossidi o grafene, la seconda sullo studio delle interazioni host-guest in sistemi basati su nanoparticelle inorganiche a porosità controllata, la terza sulla fotoattività dei materiali in fase solida e delle specie radicaliche transienti fotoindotte, il dottorato sulla spettromicroscopia di sistemi nanostrutturati ottenuti mediante ablazione laser pulsanta a femtosecondi. –

Sciorino le parole una dietro l'altra come se nemmeno mi pesassero. Non lo fanno, no, suonano come uno scioglilingua ma sono abitudine nella mia testa. So che effetto fanno, però, lo so bene, quando alzo lo sguardo per trovare completa confusione mista a deferenza nei loro sguardi.

Vorrei che Kenma fosse qui.

Fa sempre quegli occhioni grossi e adoranti, quando parlo di quello che faccio, quello che studio e che ho studiato. Mi fanno sentire intelligente, i tesisti che spostano lo sguardo su di me in un misto di timore e ammirazione, ma mi fa sentire molto più che intelligente, Kenma, quando lo fa.

– Oh, wow. – dice uno dei tre, e l'altro si accoda, la ragazza si sistema gli occhiali sul ponte del naso.

Mae alza le spalle.

– Sì, suona piuttosto bene. –

– "Suona"? – la incalzo.

Si gira verso di me, sorride, mi pizzica una coscia attraverso i pantaloni.

– Non fare l'antipatico, Tetsurō. –

– Non lo faccio. –

Sorride di nuovo, lo rifaccio io, finisce là.

Finisce là?

Naah, diciamo più che il discorso si prende una pausa.

Stiro le gambe oltre la seduta del divano, mi tiro su dallo schienale, guardo il tavolino di vetro dove ho appoggiato il telefono, l'ora scintilla sullo schermo. Anche Mae porta lo sguardo dalla stessa parte e, quando lo fa, schiocca la lingua.

– Quaranta minuti. Sono tantini, miseria. È una cosa che fa spesso? –

Apro la bocca per rispondere ma il tesista risponde prima di me.

– Un po', a lezione arriva sempre in ritardo, sembra sempre che abbia la testa sulle nuvole. Se vuole posso provare a scriverle un messaggio. –

– Oh, sì, così almeno sappiamo quanto ancora c'è da aspettare. –

Il ragazzo prende il telefono, Mae lo guarda scrivere incuriosita e io mi ritrovo con le labbra separate per parlare ma con la voce assolutamente in silenzio.

Scusami?

Scusa, cosa?

Tu conosci le abitudini di Kenma?

Tu non hai la minima idea delle abitudini di Kenma.

Perché cazzo hai il suo numero? La ragazza mi deve delle spiegazioni, miseria se non me le deve.

Lo guardo scivolare con le dita sulle lettere quasi schifato.

"La testa sulle nuvole".

Sì, certo, come no.

Perché Kenma è disattenta, distratta e distaccata, non è una vipera che ama farsi aspettare perché le piace che le persone dipendano da come usa il suo tempo e perché la fa sentire come il centro di qualsiasi serata.

Idiota.

– "Attraverso la strada e ci sono, credo. Chiedi scusa al professor Kuroo da parte mia, non trovavo le mie calze preferite e la maschera dei capelli doveva star su più del previsto." – legge ad alta voce, quando appare un messaggio di risposta.

Mae aggrotta le sopracciglia.

– La... maschera per capelli? –

– Sarà la prima scusa che le sarà venuta in mente, Mae. –

– Ah, forse sì. –

Riguarda il messaggio, stringe le labbra, ride appena.

– Ha proprio la testa sulle nuvole, la ragazza, eh? Mi fa morire che dica di chiedere scusa solo a Tetsurō, deve essersi scordata che siamo in cinque. –

Il tesista la guarda di rimando.

– È una persona particolare. –

– Si vede. –

– Già. –

Mi alzo prima di scoppiare a ridere.

Mi tiro su, mi avvicino al citofono e mi mordo forte l'interno della bocca per non scoppiare a ridere, davvero, mi trattengo e cerco di pensare a tutt'altro.

Si dev'essere... "dimenticata"?

Dio, quanto poco sapete di Kenma.

Dio, quanto siete ingenui nei suoi confronti.

Ve la farei vedere, la vera Kenma. Ma non credo ne abbiate il diritto, e non credo neppure che possiate reggerne il peso.

– Tetsurō? – mi sento chiamare da mia moglie ad un metro da me, che mi guarda vicino al citofono.

– Dimmi. –

Il tesista è rivolto verso di me.

– Dice che è sotto, se puoi aprirle. –

– Scrivile che siamo al quinto piano. – rispondo, poi tiro via la cornetta del citofono, premo il bottone per aprire il portone e sgancio la porta d'ingresso aprendola a metà, verso di me.

– Vai a scaldare il tteokbokki, Mae? –

– Vado. –

– Grazie. –

Si alza dal divano, lascia i tre tesisti seduti e me di fronte alla porta e raggiunge la cucina, riservandomi un sorriso prima di girare nella stanza e scomparire dalla mia visuale.

Ho cucinato io, e se cucino io, si mangia coreano. Non che non ami il cibo giapponese, ma il coreano mi piace di più e sono molto più bravo a farlo, quindi la scelta è ovvia. L'unico problema è che quasi tutti i piatti coreani, tteokbokki compreso, sono estremamente piccanti, e so che Kenma non ama il piccante, ma ho fatto il condimento anche nella sua versione meno infernale, dovrebbe andar bene.

Appoggio la schiena contro il muro a fianco della porta, getto lo sguardo nello spiraglio di corridoio che vedo.

I numeri sull'ascensore salgono.

Tre, quattro, cinque.

Si fermano.

Prendo fiato.

Le porte si aprono.

Vorrei dire che espiro, ma quando ci provo, davvero, non ci riesco.

Lei è...

Dio, è...

La gonna è cortissima. Davvero, cortissima. Credo non ci si possa fare nemmeno un costume, con il quantitativo del tessuto che la compone. È liscia, rosa chiaro, ha due piccoli spacchi sul principio delle cosce che si aprono quando cammina, si mescola al colore della sua pelle e la fa sembrare più tenue, più soffice. Non ha una maglia, ha una fascia bianca che le corre sul petto e nulla di più, il cardigan di lana aperto sul corpo e...

Le calze.

Le sue calze preferite, aveva detto, no?

Quelle.

Bianche, mezze trasparenti, alte fino a metà delle cosce, col merletto sull'orlo e le bande di pizzo sui lati, che stringono la sua pelle verso l'interno quel po' che mi ricorda quando morbida sia effettivamente da toccare.

Non dico niente.

Davvero, non dico niente.

Non posso...

"Distratta", "con la testa sulle nuvole", lei?

Lei non è nessuna delle due cose.

Lei è terribile, tremenda, crudele, malefica e completamente fuori di testa.

Sa esattamente quello che fa.

Quello che mi fa.

Quando la guardo in viso mi rendo conto che si è tagliata i capelli, ora sono pari e dritti proprio sotto al viso, che ha messo il lucidalabbra che le fa scintillare la bocca come se avesse appena baciato qualcuno e che il mascara sulle sue ciglia è una maledizione, perché le fa sembrare gli occhi ancora più grandi di quanto non siano.

Mi sorride.

Incastra gli occhi coi miei.

Non parla forte, anzi, sussurra al punto che quasi non comprendo le sue parole.

– Ciao, Tetsurō, come sto? –

Rispondo con lo stesso tono di voce.

– Benissimo. –

– Grazie. –

– È la verità. –

Si avvicina di qualche passo sul corridoio, poi si ferma, prima di arrivare effettivamente alla porta, prende la gonna in vita e l'abbassa fin sotto il fianco.

– Guarda. – mormora.

E io guardo, Dio, guardo e trovo...

Non trovo niente.

È quello il problema.

Che non trovo niente, e dove dovrebbe esserci il bordo delle sue mutande, c'è solo pelle chiara e morbida.

Kenma, Kenma, Kenma.

Sei completamente fuori di testa, Kenma.

Completamente, fottutamente, platealmente fuori di testa.

Rimette a posto la gonna, mi guarda di nuovo.

– Ti amo. – le mimo con le labbra.

– Anche se sono una stronza? –

Annuisco.

– Proprio perché lo sei. –

E poi chiude la distanza fra noi, io apro la porta e la presento al mondo dentro casa mia, col sorriso sulle labbra molto più onesto di prima, e il cuore che batte un po' più veloce.

C'è qualcosa che si sposta dentro di me, quando entra in casa mia.

Non saprei definire in maniera cosciente che cosa, so soltanto che succede. Somiglia alla sensazione di un ingranaggio che si sposta, di una leva che viene tirata, delle palline di plastica che entrano nella nicchia dentro i giocattoli sui tappi delle bolle di sapone.

Non siamo più io e te, Kenma.

Ora siamo noi e loro.

E quando penso "noi", penso a te, non penso a Mae, che è tristemente "loro", ora.

Quando entri e infili le tue spalle sottili nella porta, ti sfili gli anfibi in un secondo e percorri di fronte a me lo spazio che ti separa dal salotto, quando ti fermi sullo stipite della porta e alzi una mano per salutare, mentre guardo la tua schiena, mi sembra di essere arrivato con te.

Di presentare agli altri qualcosa di mio.

Sapevo di amare Kenma.

Non sapevo di provare nei suoi confronti questa... sensazione di protezione.

Io ho sempre protetto gli altri, nella mia vita prima di lei. Ho protetto mia madre dal mondo nonostante fossi troppo piccolo per capire che mi stava trascinando ad un ruolo che non avrei potuto in nessun modo ricoprire, ho protetto i miei amici dai lati più spigolosi del mio carattere, ho protetto mia moglie dal mio narcisismo e il mondo dalla cattiveria che mi porto dentro.

Non so perché ora mi sembra per un attimo che tu protegga me.

Sei...

Sei molto più piccola di me e la nostra relazione si struttura sul fatto che sia tu a farti proteggere da me come tutti gli altri, però...

No, ecco cos'è.

Non è che mi senta propriamente protetto.

Mi sento capito, che è diverso.

Qui, con i tuoi fianchi tondi, la tua pelle chiara, i capelli lisci e morbidi della tua nuca e il profumo che si espande dal retro del tuo collo, mi sento come se tu fossi dalla mia parte, Kenma.

Come se per una volta qualcuno fosse dalla mia parte.

Dalla mia.

La mia e basta.

E devo ammettere che questo, più della bellezza del tuo corpo, mi fa pensare che ti amo, ti amo davvero.

– Buonasera. Sono... io sono Kenma. Ho fatto un po' in ritardo. –

La platea si gira.

Seduti al tavolo, con le ciotole piene di cibo ben posizionate sulla tovaglia, intenti ad aprire una bottiglia di vino, quando sentono la sua voce si girano.

Le reazioni sono...

Mae è curiosa. Infastidita dal ritardo, dal fatto che Kenma dovesse essere qui quasi un'ora fa e che adesso, invece di dire "scusate per il ritardo" o "spero che mi perdoniate per il ritardo" stia semplicemente constatando il fatto di esserlo senza giustificarsi.

La ragazza, che è seduta in mezzo, fra gli altri due tesisti, ha qualcosa di simile all'astio nello sguardo, ma non riesco a comprendere se sia naturale o strutturato, se derivi da un'interazione pregressa o semplicemente a pelle Kenma le stia sul cazzo.

I due coglioni seduti al tavolo stanno per sbavare.

Soprattutto quello a cui piace Kenma, che ha osato scriverle.

Non mi stupirei se la sua mascella cadesse sbattendo contro la ceramica del piatto, davvero, se il cervello gli colasse dalle orecchie e gli occhi gli si rompessero da quanto forte li sta spalancando.

Idiota.

Guardala bene.

Rimirala, fissala, spogliala con gli occhi, infila il tuo sguardo in ogni centimetro di pelle nuda, immaginati come sarebbe passare le dita sotto gli elastici delle calze, come sarebbe stringere le sue cosce fra le mani, portartela sul grembo, sentire il suo corpo tremare sotto al tuo.

Guardala, davvero, guardala.

Guarda quello che non puoi avere.

Guarda quello che è mio.

Povero cretino, a credere di poterti permettere qualcosa che posso permettermi solo io.

– Non avete già iniziato a cenare, vero? –

Mi scuoto dal mare dei miei pensieri.

– No, no, vieni. – dice Mae al posto mio, indicandole la sedia vicina al tesista che la fissa, tentando un sorriso che non le riesce tanto bene.

– Oh, menomale. Arrivo. –

Si avvicina al tavolo, tira indietro la sedia con una mano, disegna un sorriso su quel faccino così perfetto, non si siede ma si appoggia con un ginocchio sulla seduta per sporgersi verso il resto del tavolo.

Allunga la mano.

La prima a stringerla è Mae.

Mae, che afferra quella mano così sottile con la sua, stringe le dita e scontra lo sguardo contro quello di Kenma.

– Sono Maeko, la moglie di Kuroo, piacere. –

Kenma sorride.

– Kenma, faccio il corso di Chimica con lui. –

Si guardano.

Passa un secondo che sembra infinito.

Poi Kenma sorride, Mae fa lo stesso, lasciano le loro mani e l'aria torna respirabile.

Mi si era fermato il cuore.

Kenma si gira verso gli altri tre, ripete il gesto, si presenta e stringe le loro mani, sorride serafica e malefica, li guarda negli occhi ma come fa sempre con gli sconosciuti, alternando ad un brevissimo contatto visivo il movimento delle pupille verso il basso.

Poi si gira verso di me.

Non li stacca, gli occhi, quando guarda me.

Non li stacca, no.

Alza appena appena gli angoli della bocca.

– Lei che fa, rimane là, viene a tavola con noi? Se deve rimanere là impalato vengo a presentarmi anche con lei. –

Rido appena.

– Guarda che lo so chi sei, Kenma. –

– Avevo paura se ne fosse dimenticato. –

Batte con la mano sullo spazio fra il piatto di fronte a sé e quello accanto.

Aspetta che mi avvicini.

Poi si siede bene quando lo faccio io, spinge impercettibilmente la sedia dalla mia parte, appoggia un gomito sul tavolo, la guancia sulla mano, il capo che pende verso di me, squadra la tavolata, sorride si ferma.

Ora possiamo mangiare.

Possiamo...

Nessuno dà cenno di muoversi.

Sembra che la sua sola presenza sia così catalizzante e magnetica che il mondo le si sia fermato addosso. La fissiamo tutti. Maeko, che guarda la sua postura infantile e per niente elegante, i tesisti che le fissano senza nemmeno troppa vergogna le cosce, la ragazza, io.

Finché...

Tu lo sai che sei il pianeta attorno al quale noi satelliti ruotiamo attorno.

Lo sai e ti piace, Kenma.

Sai che ti amerei qualsiasi cosa facessi, sai che il tuo carattere mi piace, sai tutto di me e io so tutto di te anche se non sappiamo così tanto nemmeno di noi stessi, quindi...

– Facciamo la preghiera? Dobbiamo ringraziare qualche Dio per il cibo in tavola o... –

Mae la guarda.

– Oh, no, no, assolutamente no, è solo che... –

– No, perché non sta mangiando nessuno e lo so che sono arrivata in ritardo ma ora ci sono e ho davvero fame quindi se potessimo che so... mangiare, ecco, sarei super contenta. –

Non nascondo la risata.

No.

Rido e basta.

– Tu e la tua lingua biforcuta. – borbotto, mentre mi sporgo per prendere la prima ciotola dal mezzo della tavola e porgerla a Mae che la prende in completo sbigottimento.

– Non ho nessuna lingua biforcuta. –

Scuoto le spalle.

– Per la cronaca, è così anche a lezione, dovreste sentire come tratta i suoi compagni. –

– Deve smetterla di prendermi in giro o la declasserò dal posto di mio professore preferito, Kuroo. –

Le lancio un'occhiata.

– E chi ci metti al posto mio? Quello di Informatica che sputa quando parla o quello strabico di Analisi? –

– Sta facendo bodyshaming. –

– No, sto constatando dei fatti. Sei tu che fai bodyshaming nella tua testa perché li associ automaticamente a qualcosa di negativo. –

– Io non faccio bodyshaming! –

La guardo e sorrido.

– Sì che lo fai. –

– Io non lo faccio! –

– Lo... –

Alzo gli occhi.

Oh, merda. Merda, merda. Mi ero... dimenticato, credo. Dimenticato che siamo in pubblico e che c'è mia moglie ad un metro da me che guarda completamente confusa me e Kenma e tre coglioni che ci fissano e che...

Mae allunga la mano per il piatto della ragazza al suo fianco.

Glielo passa.

Poi ride, ride piano, e il sangue ricomincia a scorrermi nelle vene.

– Anche secondo me è colpa tua, Tetsurō, sono d'accordo con Kenma. – mormora, per cercare di essere carina, di essere persino... materna, immagino, servendo la prima porzione, un sorriso dolce disegnato sul volto.

Kenma si morde l'interno della bocca.

– Vero? Glielo dica. Non mi dà mai ragione su niente. –

– Discutete spesso? –

Il tesista a fianco di Kenma, quello che oltre ad essere un povero illuso continuo a dimenticarmi essere un altro mio studente, tenta di intervenire, lo fa, e non so per quale motivo mi suona fuori luogo anche solo l'idea che ha di averne il diritto.

– Qualche volta discutono sugli esercizi perché Kenma li fa a modo suo. –

– Li fa male. – intervengo.

– Non è affatto vero. – ribatte lei, piccata.

Fa il broncio, si sporge verso Mae che sta servendo il ragazzo di cui non ricorderò nemmeno la faccia fra un paio d'ore.

– Suo marito è troppo rigido. Se mi ascoltasse potrei completamente rivoluzionare il mondo della scienza. –

– Kenma, ti ho solo detto che non puoi lasciare i coefficienti frazionari nei bilanciamenti. –

– Se si potesse rivoluzionerebbe il mondo della scienza! –

Mae ride, tutti ridono, anche Kenma.

Poi serve il tesista a fianco di Kenma, si sporge per farlo, e la guarda.

– Tetsurō è fatto così, è convinto di avere sempre ragione. Se fai un po' finta di niente poi gli passa e torna normale, garantisco. –

Il sorriso scompare dal suo bel faccino.

Completamente.

– Ah, ma io stavo scherzando. Lo intendevo come scherzo. No, non mi permetterei mai di dire che non ha ragione, ha sempre ragione, lo so. È tipo... la persona più intelligente che abbia mai visto. –

– Non dire così o si monta la testa. –

– Perché non dovrebbe, me la monterei anch'io se avessi un cervello come il suo. –

Si piega verso il ragazzo al suo fianco, spinge il gomito contro di lui. Quello sembra pietrificato dal gesto in una trance di completo innamoramento, la guarda come se volesse baciarla, pende dalle sue labbra.

– Non pensi anche tu che Kuroo sia la persona più intelligente che tu abbia mai visto? –

Boccheggia.

– Sì, lo... lo... lo penso, io lo... –

– Ecco, bravo. –

Sento una delle sue gambe colpire piano la mia, reprimo con tutto il cuore l'istinto di lasciar scivolare la mano sotto il tavolo e prenderle la coscia, la guardo per un istante e il mio ego s'infiamma, prende fuoco, si assesta e si fa strada dentro di me.

Questo, intendo, quando dico che sei dalla mia parte.

Sei sempre dalla mia parte.

Anche quando si tratta di far finta di non esserlo.

Mae guarda Kenma un po' stranita, ma come con tutte le cose bizzarre che sembrano esserle successe davanti, lascia scivolare via la sensazione scrollando le spalle e riprende a servire.

Allunga la mano verso il piatto di Kenma.

Ma Kenma scuote la testa.

– No, no, serva prima gli altri, così assaggio il loro per vedere se riesco a mangiarlo. Sa, non amo molto il piccante. –

– Oh, ok, come vuoi. Tetsurō ha fatto anche la versione non... –

– Se posso preferirei assaggiare prima questo, così non le faccio scaldare l'altro inutilmente. –

Mia moglie annuisce, e passa all'ultima persona del tavolo.

Prende il mio piatto, lo riempie, sorride quando la ringrazio e riporta la ciotola al centro del tavolo, prima di sedersi e prendere in mano le bacchette.

– Buon appetito, allora. –

Tutti ringraziano, esclusa Kenma, prendo anch'io le mie bacchette e faccio per pinzare un po' del cibo sul mio piatto per portarlo alla bocca.

Il tesista a fianco della mia amante sporge il piatto verso di lei.

– Vuoi assaggiare dal mio? –

Lei sorride.

Prende le bacchette fra le mani.

E poi si gira verso di me, prende il cibo dal mio piatto, lo porta alla bocca e mastica.

È vicina.

Così è vicina.

Coi suoi occhi enormi che mi guardano dal basso, le guance un po' gonfie, il sorriso sulle labbra.

Sbatte le ciglia verso di me.

Manda giù.

– È un po' forte. Posso chiederle di portarmi l'altro, professore? –

– Come vuoi, Kenma. –

– Grazie. –

– Di... di niente. –

E faccio fatica a staccarmi dalla visuale del suo viso, del ponte del suo naso, dalle sue labbra che scintillano, perché l'ho vista più di una volta, questa faccia, e ricordarmi di quei contesti e di quelle immagini, al momento, mi offusca la mente.

Ce la faccio.

Dopo un attimo che sembra un secolo ce la faccio.

La mia mente non si libera, ma ce la faccio.

Indietreggio con la sedia, mi alzo e vado verso la cucina.

Con gli occhi che cercano di non guardarla e la testa piena soltanto di lei.

Trovo la teglia col tteokbokki non piccante sopra il gas, la prendo e la infilo nel forno, giro la manopola e mi rendo conto di non essere da solo quando la porta dello stipite cigola, sento chiari passi dietro di me e una mano vola ad accarezzarmi i capelli.

– Pensavi che non riuscissi a mettere una teglia in forno da solo, Mae? –

– Sono venuta solo per controllare che non dessi fuoco alla casa. –

– Quanta fiducia che hai, in me. –

– Lo sai che scherzo. –

La trovo lì, mia moglie, in piedi dietro di me quando mi giro. Lì che mi circonda la vita con le braccia, che si schiaccia contro di me appoggiando l'orecchio al mio petto, lì che mi abbraccia come se non mi vedesse da giorni nella solitudine momentanea della cucina.

Ricambio la stretta.

So di non poter fare altro.

La ricambio con la mente che vaga.

Con un'altra donna nella testa.

– Credo che il nostro piano possa essere un fallimento, Tetsurō. –

– Quale piano? –

Mae sbuffa, muove la guancia contro il mio sterno.

– Quello di far mettere insieme il mio studente e la tua, scemo. Andrà a finire malissimo, vero? –

– Perché lo dici? –

La sento sospirare.

– L'anello. Non l'hai notato? Ha un anello enorme sulla mano sinistra. E poi... non so, non mi sembra interessata. Mi sembra sia più qui per fare un dispetto che per altro. –

– Chi, Kenma? –

– E chi altri, se no? –

Le accarezzo i capelli, alzo le spalle.

– Non ti piace il suo atteggiamento? –

– È insopportabile. C'è qualcosa in lei di insopportabile, a pelle. Quale persona si presenterebbe a casa di un suo professore con quaranta minuti di ritardo senza chiedere scusa, vestita come se dovesse spogliarsi su un palo e si lagnerebbe che nessuno mangia? –

– Anche tu mettevi gonne così corte quando avevi la sua età. –

– Sì, e non avrei dovuto. Mi rendo conto ora di quanto siano inopportune. –

– Non credo lo fossero, se posso dire la mia. –

Si stacca piano da me e sorride.

– Ti piacevano le mie gonne corte? –

In realtà...

Sì, credo che mi piacessero, quando avevo venticinque anni. Le trovavo sexy e mi piaceva come avvolgessero le tue gambe.

Ora...

– Molto, Mae. –

– Forse dovrei tirarne fuori qualcuna. –

– Potresti farlo. –

Sorride di nuovo e si alza sulla punta dei piedi, preme le labbra sulle mie e immagino di essere più piegato, con le mani su una pelle diversa, quando rispondo.

Insopportabile, lei.

Solo perché mi tratta bene?

Solo perché mi tratta come mi merito?

Voi siete insopportabili.

Voi.

Siete... siete voi.

Mi ritrovo con la fronte appoggiata contro la sua, il suo respiro contro il viso, i suoi capelli fra le mani.

Come diavolo fai a non capire, Mae?

Non lo senti, che sono rigido, che non sono a mio agio? Non lo vedi, come la guardo? Non vedi quanto i miei muscoli si sciolgano quando mi parla? Non vedi quanto la ami, Mae, non lo vedi nei miei occhi?

– Comunque è strano che ti stia così simpatica, non mi aspettavo che andassi d'accordo con quel tipo di persona. È insolente, credevo non ti piacesse. –

– È piacevole. –

– Ti diverte? –

Scuoto le spalle in finta noncuranza.

– È una persona interessante, mettiamola così. –

– A me sembra solo una ragazzina molto viziata che vive in un mondo dove esiste solo lei. –

– Ti sbagli. –

Aggrotta le sopracciglia.

– Mi sbaglio? –

– Sì. –

Lo so che non dovrei difenderla e che tutto quello che dico è potenzialmente problematico e potrebbe farci scoprire, ma non è giusto che Mae dica questo di Kenma quando non la conosce, e non sto difendendo la donna che amo, sto difendendo qualcuno che non si merita una supposizione così offensiva.

– Quando ci entri in confidenza è una persona molto dolce. È solo complicato superare i suoi modi di fare, anche se, dalla mia, li trovo piuttosto... divertenti. –

– Trovi divertente che faccia la stronza? –

– Più o meno. –

Mi guarda dritto negli occhi.

– Certo che tu sei strano. –

– Sempre stato. –

Non fa altro che sbuffare, quando le rispondo, alzare gli occhi al cielo e indietreggiare di qualche passo. Lo fa perché possa girarmi e aprire lo sportello del forno per controllare il cibo. Kenma non mangia le cose troppo calde, deve stare attenta perché ha la lingua sensibile e se la brucia con niente.

– Mi passi qualcosa per assaggiare se sono caldi? –

– Arrivo. –

Smanetta nel cassetto delle posate, mi passa un mestolo qualsiasi, lo prendo, ringrazio e assaggio.

– Sono pronti. Tu torna a tavola, è maleducato lasciare gli ospiti da soli, lo porto io. –

– Maleducato? –

Piego la faccia per guardarla.

C'è qualcosa di...

– Non erano divertenti, per te, le persone maleducate? –

– Mae, non essere ridicola. –

Si morde l'interno della bocca, quando mi tiro su per cercare le presine sui gancetti attaccati sugli scaffali.

– Ridicola? Quella è divertente e io sono ridicola? –

– Ma sei seria? –

Non lo so.

Non lo so, se sia seria. Se sia davvero gelosa, se sia resa conto di qualcosa, se stia scherzando. Non ne ho idea. Ma quello che le passa negli occhi somiglia...

Oh, no.

Sfida.

Quella è sfida.

E non è per me, la sfida, è per...

– Torno di là. – dice, tagliando completamente la conversazione, ignorando la mia domanda e la mia espressione confusa.

E prima che possa fermarla, cercare di capirci qualcosa, scompare e io mi ritrovo con la teglia in mano nella solitudine della cucina.

Sono...

Dovrei essere spaventato, credo.

Ma non è così.

Sono...

Oddio, faccio davvero così schifo? Mi viene da ridere, davvero. Da ridere all'idea che Mae creda di poter andare là ed equiparare in qualche modo l'atteggiamento di Kenma, da ridere all'idea che pensa che io sceglierei lei se dovessero mai avere un conflitto.

Maeko, amore mio, forse non è poi vero quanto credi che mi conosci come dici.

Se mi conoscessi davvero sapresti quello che sto pensando, e non immagineresti neppure di poter fare qualcosa di così stupido.

Verso il contenuto della teglia nella ciotola che ho di fronte, prendo un mestolo pulito, sciacquo quello sporco e l'infilo nella lavastoviglie, prendo il cibo e torno di là.

La scena che mi si para di fronte è esattamente quella di prima, Kenma seduta male con la gamba sotto al sedere e il gomito sul tavolo, il tesista che la fissa, i due ragazzi in silenzio, Mae dall'altra parte che mangia e basta, un silenzio carico di tensione che li circonda.

Cerco di non incendiare la polvere da sparo.

Faccio piano.

Torno a tavola e servo Kenma senza dire niente.

Sto per sedermi, quando si aggrappa alla mia maglietta.

– Può darmene un altro po'? Non ho pranzato, ho fame per davvero. –

– Non hai pranzato? –

Si morde l'interno della bocca, sbatte le palpebre.

– Ho avuto da fare in pausa pranzo e poi avevo lezione. –

Riprendo la ciotola e le servo altro cibo.

– Dovresti mangiare, invece di perdere tempo. –

– Le assicuro che era di vitale importanza. –

Mi sistemo seduto l'attimo seguente, sorridendo, con la mente piena delle immagini di vitale importanza. No, avrei preferito che mangiassi, davvero. Però, in effetti, non è che sia stato poi tanto ma...

La tesista, la ragazza, decide di squarciare il silenzio per la prima volta in... ore, immagino.

– Kenma? –

– Sì? –

Kenma ha le guance piene di cibo, quando si gira a guardarla e mi fa tenerezza.

Tante delle cose che fa, dei suoi atteggiamenti, somigliano a quelli di qualcuno che è cresciuto da solo e troppo in fretta, senza una propria educazione genitoriale, un po' come viene.

– Che crema usi? Scusa se te lo chiedo ma non so se sia il trucco o cosa ma... –

– No, non uso il fondotinta, è la mia. –

– È perfetta. –

Manda giù e sorride, si passa distrattamente le dita sul viso.

Anch'io.

Anche io, Kenma, voglio farlo anch'io.

Passare le dita sulla tua pelle, toccarne la consistenza, portarti verso di me, baciarti, guardarti da vicino, studiare la tela perfetta e d'alabastro che compone il tuo volto, tutti i nei chiari e le piccole lentiggini sparse qua e là e immergermi nelle pagliuzze dorate dei tuoi occhi e...

– Skincare coreana. –

Alza una mano e conta con le dita.

– Olio detergente, detersione a base d'acqua, esfoliante, preferisco quelli chimici agli scrub, tonico, essenza, siero, maschera, contorno occhi, crema e protezione solare. La sera non uso la crema ma una maschera notturna, quando dormo da sola. La lasci su e giuro che la pelle il giorno dopo è super morbida. –

– Oh, Dio, e quanto ci metti? –

Scuote le spalle.

– Un'oretta, di solito. –

Mae ridacchia.

– Dio, ma ci sprechi un sacco di tempo, allora. Io non potrei mai. –

Kenma sorride, pianta gli occhi sul suo piatto, pungola la sua stessa guancia con la lingua.

Mi colpisce di nuovo la gamba sotto il tavolo.

Poi tira su lo sguardo, lo scaraventa verso quello di Maeko e...

– Si vede. –

Cala il silenzio.

Letteralmente, il silenzio.

Non si sente nessuno masticare, nessuno beve, nessuno fiata. Io incastro gli occhi su un punto della tovaglia per cercare di ritrovare il mio Zen e non scoppiare a ridere, Kenma fissa Mae che la fissa di rimando, i tesisti sono statue di sale, non vola una parola.

È scoppiata, la polvere da sparo? Siamo a quel punto della serata in cui esplode tutto, io ti difendo da mia moglie e le rivelo che amo te e non lei, veniamo buttati fuori di casa e scappiamo verso l'orizzonte insieme? Siamo a quello in cui Mae si alza e ti prende a testate? Quello in cui ti prende a male parole?

No, Tetsurō, non ridere.

Non ridere, bastardo, non ridere.

Non è...

– Professore, me lo versa un po' di vino? –

Ok, ok.

Fa' finta di niente.

Non è successo niente.

Niente di niente.

Respiro a pieni polmoni.

– Non puoi, Kenma. –

– Eddai, solo per questa volta. –

Si gira verso di me, di nuovo si aggrappa alla manica della mia maglietta, inizia a tirare verso di sé come se stesse facendo i capricci.

– "No" significa "no". –

– La prego, per favore. Per favorissimo, per favore. –

La guardo.

Alzo gli angoli della bocca.

– Sei troppo piccola per bere, no. Smetti di fare così. –

Fa' il broncio, si allontana da me e pianta di nuovo il gomito sulla tavola, la guancia sulla mano aperta, riprende le bacchette che aveva lasciato là e giochicchia con il cibo sul piatto.

– Antipatico. – borbotta.

– Come vuoi. –

Riprende a mangiare e riprendo io, gli altri quattro ci seguono, dopo un altro paio di occhiate stranite e qualche alzata di spalle.

Scampata.

L'abbiamo scampata.

Per ora l'abbiamo scampata.

Non ho mangiato nemmeno metà del mio piatto e già mi sembra di aver perso vent'anni di vita.

Sono a tre quarti della mia porzione, quando Kenma parla di nuovo, lei che è il centro dell'attenzione e sembra aver completamente mandato a fare in culo il suo carattere taciturno in favore della più plateale forma di tortura nei miei confronti.

Questa volta si rivolge ai tre tesisti.

Sempre col sorriso malefico in faccia e la voce giusto un po' lagnosa che ha sempre.

– Voi tre che studiate? –

– Letteratura inglese. – risponde la ragazza.

– Con me. – completa Mae.

– Oh, wow, quindi io e il professore siamo le uniche due persone che si scervellano coi calcoli, qui. –

Il tesista al suo fianco la guarda.

– Anche... anche io. Faccio il corso con te. –

– Davvero? –

Soffre, e io dentro di me rido.

– Abbiamo... eravamo seduti vicini a lezione, oggi, sai che ti ho chiesto il numero e tu... –

Kenma si sposta i capelli dal viso.

– Ops, mi dev'essere passato di mente. Giuro che non ricordavo che fossi tu. –

– Ma se ti ho scritto un messaggio pri... –

– Eri tu? Credevo che fosse lui. –

Indica l'altro ragazzo seduto un paio di sedie più avanti, che la guarda di rimando con gli occhi spalancati e prova a mugugnare un "no, non ero io, ero...".

Il tesista al fianco di Kenma non so se sia più ferito o confuso o disturbato o cosa, so che gli trema un po' il labbro, che l'espressione gli diventa più rigida.

– Ho anche la foto, come fai a non essertene resa conto? –

– Non guardo le foto delle persone che mi scrivono, se lo facessi non risponderei a nessuno, hai un'idea di quante persone provino a mandarmi messaggi? –

– Dio, sei davvero... sei davvero una stronza. –

Le mie bacchette fanno un rumore acuto, quando le appoggio sul bordo del piatto e il metallo si scontra con la ceramica, la sedia striscia un po' quando giro il busto verso di lui.

Mae ride.

Ride, davvero, lei ride.

Lei...

– Non parlarle così. –

Il ragazzino mi guarda.

Ci prova, a reggere il contatto visivo, ma cede dopo un secondo. Lo guardo male, ma talmente male, che china la testa, torna a mangiare, chiede "scusa", non proferisce parola.

Kenma mi tira un'altra botta con la gamba sotto il tavolo, chiude le labbra attorno alle bacchette per mangiare e lo fa lentamente, in un modo lievemente allusivo, sbatte le ciglia, mi dice "grazie" senza dirmelo, senza bisogno di parole.

Non c'è problema.

Davvero, non c'è problema.

Questa è solo la punta dell'iceberg delle cose che potrei fare per te.

Per l'ennesima volta, torno a mangiare convinto che sia tornata la pace, per l'ennesima volta mi sbaglio. Ma non subito, non mi sbaglio subito, perché per una decina di minuti, di fatto, non succede nulla. Mangiamo, ci scambiamo qualche parola qua e là, Kenma mi accarezza il ginocchio quando Mae parla coi tesisti di qualcosa che riguarda il loro corso, io le sorrido e niente di più.

Niente di più, davvero.

Almeno da questo lato del tavolo.

C'è una cosa di cui, con tutto lo stress, la tensione e le parole sbottate una dietro l'altra, non mi sono reso conto. Ed è di quanto in fretta finisca il vino e di chi lo beva.

A me il vino piace, come piacciono in generale gli alcolici, ma non lo amo abbinato con la cena di stasera o col cibo orientale in generale, perché non è pensato per quello, non ci si sposa bene.

Mae ama il vino.

Mae ama il vino e mi rendo conto, quando si alza per andare a prenderne un'altra bottiglia, che ha il bicchiere vuoto, che la mia visione periferica gliel'ha visto pieno più volte nell'ultima mezz'ora, e che è altamente probabile che ne abbia bevuto parecchio.

È sbronza?

Non lo so.

Non regge bene, ma sembra essere in grado di camminare dritta quando porta via i piatti e l'aiuto a lavarli. Non è sobria e me ne accorgo quando mi chiude le braccia intorno al collo attaccata al lavabo nel tentativo di trascinarmi in qualcosa che decisamente non è appropriato con gli ospiti in casa, quando mi bacia in mezzo al salotto con Kenma che mi fissa tanto forte che temo potrebbe avermi scavato la pelle con lo sguardo, quando tira fuori il gelato dal congelatore e lo schiaffa in mezzo alla tavola senza coppette, senza cucchiaini, per sedersi l'attimo dopo e prenderne un po' col retro di una forchetta.

La cosa mi preoccupa. Che sia sbronza, intendo, non del gelato, ovviamente.

Mi preoccupa che non abbia inibizioni, che si lasci andare.

Ma non potendoci fare niente recupero quel che lascia indietro, prendo le coppette al posto suo, i cucchiaini, sistemo la lavastoviglie che si era dimenticata di fare e la stacco da me, dicendole che non è opportuno, di controllarsi.

Non è che mi stia facendo fare "brutta figura", no, non mi permetterei mai di pensare una cosa del genere, è più che...

Di tutti gli scenari che mi prefiguravo questo è sicuramente il più rischioso.

Ma ormai ci siamo, quindi...

– È buono il gelato, vero? – chiede, con le guance rosse, seduta male sulla sedia in un modo che non è infantile e carino come quello di Kenma.

La sua tesista le sorride.

– Molto, professoressa. –

– Ah, sono felice. A voi piace? –

Indica me e Kenma, io annuisco, Kenma fa spallucce.

– Glielo dico quando lo mangio. Ora è un po' freddo. –

– È gelato, è normale che sia freddo. –

– È troppo freddo, ora. Ho la lingua sensibile. –

Mae rotea gli occhi.

– Delicatina, eh? –

Kenma sorride.

– Direi di sì. –

Gira il gelato nella coppetta per farlo aderire meglio alle pareti di vetro e scaldarlo prima, poi intinge il cucchiaino in una delle parti meno solide e tira fuori la lingua, ce lo appoggia sopra e la ritrae, sporcandosi giusto il centro delle labbra.

– Se è così ansiosa di saperlo, sì è buono, molto buono. Non lo mangio di solito ma questo è buono. –

Mae la guarda malissimo.

– Non lo mangi perché ti rovina la linea? –

– Non ho detto que... –

– Magari se mangiassi un po' di più ti crescerebbero le tette. Non credo che sarebbe così malvagio se mettessi su un po' di carne addosso a quel tuo corpicino ossuto. –

Kenma spalanca gli occhi verso di lei.

– Maeko. – la riprendo.

Fissa lei e fissa me col sorriso più plateale del mondo spiaccicato in faccia, mia moglie, poi si assesta su di me e piega la testa.

I tre tesisti hanno in faccia l'espressione che hanno da tutta la sera.

"Vi prego, fateci scappare da qui."

– Che c'è, Tetsurō? È vero, ho solo detto la verità. –

– È scortese. –

– Quindi lei può e io no? –

Cerco di prendere fiato e pensare nel modo più lucido possibile.

Devo solo cercare di salvare la situazione, solo...

Vedo Kenma con la coda dell'occhio. Ha ancora gli occhi spalancati come fanali, ha le mani chiuse sul bordo del suo cardigan e lo sta tirando verso di sé, come a chiuderlo, come a coprirsi. Non sembra una reazione cosciente, più un riflesso, ma guardarla cercare di... nascondersi, mi spezza qualcosa dentro.

– Maeko, chiedile scusa. –

– Perché dovrei farlo? Lei mi ha detto che sono vecchia, prima. –

– Non l'ho mai fatto! –

Mae stringe lo sguardo.

– Hai detto che si vede che non faccio la skincare coreana o come cazzo l'hai chiamata. –

– È lei che mi ha detto che perdo tempo a farla, le ho solo... –

– Maeko, chiedile scusa. Kenma, non ti preoccupare, non è colpa tua. –

Mia moglie prende la coppetta di gelato e la sposta, appoggia entrambi i gomiti sul tavolo e si sporge verso di me, la faccia ancora più rossa in corrispondenza delle guance, i capelli che le scappano dal mollettone in cui li ha infilati e lo sguardo assassino verso di me e verso di lei.

– Non darmi ordini, Tetsurō. –

– Non era un ordine, era un'idea caldamente consigliata. –

– Sì, come tutto quello che dici. Devi davvero smettere di credere di avere il diritto di dirmi che cosa fare, non sei Dio, non tutto quello che pensi è per forza la cosa giusta. –

– Mae, non è il luogo di parlare di questo, non stiamo parlando di me. Chiedi scusa a Kenma e finisce qui. –

– Finisce qui? –

Si gira verso i tesisti.

– Lui pensa che finisca qui, guardatelo, il coglione. Finisce qui, per lui. Perché il fatto che creda di poter fare quello che gli pare non è il problema, sono io, il problema. Poverino, proprio non ci arriva, eh? –

Merda, ma quanto cazzo... quanto cazzo ha bevuto?

No, no, non possiamo addentrarci in questo, no.

– Maeko, non ora. –

– Il super genio della Chimica, lo scienziato del momento, Kuroo Tetsurō. È bravissimo a straparlare di tutte le duemila milioni di tesi che ha fatto ma nonostante queste è troppo stupido per capire che non ha alcun diritto di dirmi che cosa cazzo devo fare. –

Non è la prima volta che mi si rivolge così ma è più violenta del solito, nella scelta delle parole, ora, e non riesco a capire se sia Kenma e la sua presenza in generale, l'alcol o cos'altro.

Devo fermarla.

Devo...

– Patetico, tutto questo ego, per un uomo che ha paura persino di chiamare al telefono sua madre. –

Mi cade il cucchiaino nella coppetta.

Tintinna.

Il rumore si spande nella stanza come uno squarcio, entra nelle mie orecchie e risuona nei miei timpani come un grido, come un urlo, come una preghiera d'aiuto.

Tutto scompare.

Tutto, tutto.

L'idea di dover far finta di niente, l'idea di dover proteggere questa povera donna da quello che io sbaglio quotidianamente, l'idea di doverle qualcosa perché l'ho ferita anche se lei non lo sa.

Tutto.

Come se non fossi nel mio corpo ma fuori, vedo Kenma spiaccicare una mano sul tavolo e tirarsi su, vedo le sue labbra formare le parole "brutta stron...", vedo il fuoco nei suoi occhi, vedo la rabbia nel suo corpo.

La fermo.

Le metto una mano sul braccio e la fermo.

Non dico niente ma capisce.

Si risiede, sempre con lo stesso inferno che brucia dietro le iridi chiare, ma zitta, ferma, obbediente, dolce e comprensiva.

È per questo, Maeko.

Questo è il vero motivo.

Questo e basta.

Il motivo è che se Kenma fosse te, ora, se fosse lei, mia moglie, che ha bevuto troppo vino a cena e ci fossero ospiti in casa, non avrebbe mai, mai, mai reagito così.

Sarebbe diventata espansiva, forse mi si sarebbe seduta vicina e avrebbe giocato coi miei capelli, mi avrebbe preso in giro solo su cose che mi avrebbero fatto ridere, mi avrebbe aiutato a fare la lavastoviglie, avrebbe salutato gli ospiti in maniera educata anche solo per fare un piacere a me, mi avrebbe ricordato quanto è fiera di me e quanto mi ama quando saremmo rimasti da soli.

Ma tu no.

Perché tu conosci la versione di me che reagisce a questa tua gratuita crudeltà con un sorriso e un'accondiscendenza non naturali, la versione che non vuole discutere, che ti dà ragione per non sembrare una stronza.

Mi dispiace.

A me...

Dispiace.

Ma...

– Patetico è ubriacarsi di vino a trentacinque anni a tavola, cercare di sopperire alla consapevolezza di avere un ruolo mediocre nelle vite altrui cercando di fare stupidi giochetti romantici con gente a cui non frega un cazzo, prendersela con qualcuno solo perché è più bello di te, commentare il corpo di una persona come se ne avessi anche solo il minimo diritto, sputare sentenze e mettersi in imbarazzo di fronte ai tuoi stessi studenti. –

Non sono arrabbiato, no.

Sono...

Stranamente, violentemente, crudelmente calmo.

– Io non ti dico che cosa devi fare perché penso di averne il diritto, Maeko, lo faccio per farti un favore, per aiutarti a non sembrare un'idiota alla nostra età. –

Ha gli occhi grandi e lucidi, Mae, ma non riesco a fermarmi.

– Continui a dire che mi monto la testa e che sono stupido e che devo ridimensionarmi continuamente, anche quando nessuno te lo chiede. Dev'essere dura vivere nel complesso d'inferiorità, vero? Durissima. Alzarti e guardare qualcuno che ce l'ha fatta quando tu hai un corso che non segue nessuno con un esame eccessivamente difficile solo per far finta che la materia sia interessante. Ma questo non ti dà il diritto di criticarmi per sentirti meglio o di tirare fuori storie che ti ho confidato perché mi fidavo di te in mezzo a persone che non c'entrano niente. –

– Tetsurō, io non volevo...

– Nemmeno io. Nemmeno io volevo. Ma è successo. –

Mi tiro indietro sulla sedia.

Mi rivolgo a tutte le altre persone nella stanza.

– Prendete le vostre cose, vi accompagno a casa. Perdonate me e mia moglie per quello che è successo, certi problemi dovrebbero rimanere privati ma immagino che non tutti riusciamo a capirlo, qui. Spero che a parte questo la cena vi sia piaciuta. –

Fanno per alzarsi, lasciano là il gelato, pietrificati, e si allontanano per raggiungere il salotto dove hanno lasciato le loro cose.

Tutti tranne Kenma, ovviamente, che rimane là, come se volesse starmi vicino, come se...

– Vai, Kenma, arrivo. – le dico, sorridendole, ed è solo quando lo faccio, che si alza anche lei.

La seguo un attimo dopo.

Mi tiro su e me ne vado un attimo dopo.

Prima guardo Mae.

Ha le guance rigate di lacrime.

Non so se sia perché se n'è pentita, perché il tono della mi voce l'abbia spaventata o perché sia sbronza, non ne ho idea, non m'interessa.

Non provo alcun tipo di pena per lei, però.

– Non so a che ora torno, forse domani mattina. Vado a farmi un giro. Fatti una doccia fredda, cerca di riprenderti e poi ne parliamo quando torno. –

– Tetsurō, io non intendevo che... –

– Non ho alcuna intenzione di parlarne adesso. –

Lascio là tutto, mi sporgo solo verso il mobile al fondo della stanza per prendere le sigarette.

– Puoi rimanere qui e aiutarmi e... –

– No. –

Non si alza, rimane là.

Prendo fiato, prima di uscire.

– Ci vediamo domani. –

– Dove... dove vai a... –

– Non lo so, Mae, non lo so. –

Singhiozza.

La guardo un'ultima volta.

– Ti amo, Tetsurō, mi dispiace, mi dispiace se... –

Esco dalla stanza.

Io no.

Io proprio no, Mae.

E posso dire?

Sarà anche tutta colpa mia, e sarai tu completamente innocente, ma ora penso che un po' te lo meriti.

Un po'.

Solo un po'.

Perché la verità è che non mi hai mai amato neppure tu.

Amavi l'altro me.

Forse lui lo amavi davvero.

Ma quel me non esiste più e ora, Maeko, ora...

Ora ami qualcuno che non esiste. Che non esisterà mai più, che in realtà non è manco mai esistito. Ami qualcuno che non ti può più amare, che non è in grado di farlo.

Pensavo che una parte di me ti amasse ancora, prima di stasera. Sapevo che l'amore nei confronti di Kenma sarebbe stato sempre, per sempre più forte.

Ma...

Ami la persona da cui vai quando tutto ti cade addosso. Ami la persona che ti fa sentire al sicuro, che ti protegge anche se non nel senso pratico del termine, quella che ti fa sentire giusto nonostante tutto, anche se sei un bastardo stronzo figlio di puttana come me.

Quella persona non sei tu.

E un po' ora ti odio mentre capisco che, probabilmente, tu non hai nemmeno mai provato ad esserla.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

ok qui la mia è una preghiera VI PREGO DITEMI CHE NE PENSATE PERCHÈ SONO MOLTO MOLTO MOLTO INSICURA like mi impegno con i dialoghi collettivi ma ho sempre paura di fare uno schifo so pls i beg of u tell me smthing

poi basta non ho nient'altro da dire che sono in ritardo devo uscire ciao cuori vi amo see u soon baci baci

mel :)

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