𝚖𝚎𝚜𝚜 𝚊𝚛𝚘𝚞𝚗𝚍 '𝚝𝚒𝚕 𝚢𝚘𝚞 𝚐𝚎𝚝 𝚗𝚞𝚖𝚋
[he/him]
➭ ✧❁ SMUT ALERT
➭ ✧❁ come ho detto nel capitoli precedenti kenma è biologicamente femmina. nonostante questo, identificandosi nel genere maschile in questo capitolo ho cercato di non usare termini troppo espliciti in riferimento ai suoi genitali. ci tengo però a dirlo nel caso a qualcuno generasse disforia l'idea di questa cosa, ecco.
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Apro gli occhi che è l'alba.
Ho la testa pesante, il corpo intorpidito, fuori dalle coperte fa freddo. La luce non filtra bene dalle tapparelle, vedo solo i bordi dei mobili nella stanza, c'è silenzio, pace.
Richiudo gli occhi per un attimo, prendo un grande respiro e mi giro sul fianco, porto Kenma contro il mio petto e l'osservo appoggiare la fronte sul mio sterno, circondarmi il collo con un braccio, la vita con una gamba e spiaccicarsi contro di me alla ricerca di calore, di affetto, forse soltanto della mia presenza.
Tuffo il naso fra i suoi capelli, ricambio la stretta.
È una strana sensazione, quella di dormire nel suo stesso letto una notte intera.
Il suo corpo è esile ma inspiegabilmente forte quando si tratta di stringertelo addosso, la sua pelle è costantemente fredda, detesta tenere le cosce premute assieme quindi ci mette in mezzo qualcosa, un cuscino di solito, la mia gamba questa volta. Non tiene l'intimo quando dorme, nonostante faccia freddo fuori preferisce vestirsi poco e mettere due piumoni uno sopra l'altro, sembra un angelo quando prende sonno.
Ogni tanto sospira, nel sonno, una via di mezzo fra un mugugno e un gemito, non saprei bene come definirlo. È come se tingesse il suo respiro con una goccia della sua voce. È un rumore tenero, direi, forse appena appena sensuale, ed è piacevole perché nonostante tutto mi ricorda che è con me, qui, e che siamo insieme.
Non apre gli occhi, quando l'aiuto a spostarsi verso di me, non dice niente, si adagia sul mio corpo senza proteste, rimane inerme sotto le mie mani e continua a dormire.
Infilo una mano sotto la sua maglietta, rilasso le mie dita contro la sua spina dorsale, mi risistemo sul letto e rilasso i muscoli, col suo cuore che batte esattamente contro al mio.
Ieri sera...
Non ne abbiamo quasi parlato.
Ho portato i tesisti a casa, uno ad uno, poi mi sono diretto da Kenma, sono entrato a casa sua, le ho praticamente strappato i vestiti di dosso, abbiamo fatto sesso e mi sono addormentato con lei.
Non abbiamo parlato di quello che era successo.
Non l'abbiamo fatto perché...
Prendo fiato a pieni polmoni.
Non è colpa di Maeko.
Non è colpa sua.
Lo è...
Al dieci per cento, per aver alzato un po' il gomito e per aver fatto una o due battute inappropriate e maleducate. Per essersi fatta prendere e non essersi controllata, per essersi dimenticata della sua età, di aver voluto in prima persona la cena e non essersene presa cura, per aver usato contro di me qualcosa che le avevo confidato.
Ma il resto...
Io credo che Mae abbia capito.
Non coscientemente, non in modo chiaro e distinto, non in quel senso. Credo che il suo corpo, le sue emozioni abbiano capito, e che l'abbiano fatta sentire stretta, confusa, ansiosa, preoccupata, distrutta. Credo che si sia sentita soffocare ogni minuto, ogni secondo, che abbia bevuto per togliersi la rigidità dalle spalle, che abbia scherzato su Kenma perché io guardavo il suo corpo con tanta, troppa attenzione, che abbia provato a farmi sentire male solo per alleviare il dolore che io, in primis, le ho provocato.
Appoggio la mano aperta sulle scapole di Kenma.
È vero che mi ha aggredito verbalmente, è vero.
È vero che ha cercato di umiliarmi.
È vero che non avrebbe dovuto.
Ma credo che l'abbia fatto perché si sia sentita ferita nonostante non sapesse dove cercare il responsabile. Credo che l'abbia fatto perché sa che ho colpa ma non sa di che cosa.
Non so se mi pento di averle risposto male.
So che non se lo meritava.
So che...
Chiudo le labbra sulla sua fronte, scendo con la mano fino alla sua vita, passo i polpastrelli sulla sua anca, sull'osso che sporge poco sopra la sua coscia, torno su e mi fermo su una clavicola.
Mi è sempre capitato, nella vita, di avere momenti in cui facevo quel che mi diceva l'istinto e mi pentivo l'attimo dopo ragionandoci sopra con la logica. Ma non così, mai così, mai in questo modo. Ero convinto, così dannatamente convinto, ieri sera, di avere ragione, quando...
È vero che le persone sono responsabili di quel che dicono, ed è vero che certe cose uno non dovrebbe nemmeno pensarle, però è anche vero che nessuno è perfetto, che tutti fanno errori e che io di certo non ho alcun diritto di giudicare Mae come partner e sposa.
Anzi, ricomincio a sentirmi in colpa, al pensiero.
Ricomincio davvero a sentirmi in colpa.
È vero che non voglio stare più con lei, ma è anche vero che lei si dev'essere sentita allontanata da un giorno all'altro, emarginata dalla mia vita, relegata ad un ruolo di contorno e che si sia sentita confusa.
Nei suoi panni io credo avrei fatto molto, molto di peggio.
Il giorno prima sei felicemente sposata e guardi il mondo dietro le lenti di una vita da adulta realizzata con un'esistenza stabile, quello dopo tuo marito trentacinquenne ti porta a casa un metro e sessantacinque di occhi grandi, ciglia lunghe e pelle chiara con la gonna più corta mai vista e il veleno al posto del sangue nelle vene e ti sembra di non avere più un posto. Come avrebbe dovuto reagire? Come?
Senza contare, poi, che Mae ha sempre avuto questo tipo di reazioni nei miei confronti, da ubriaca. Certo, i termini e i toni erano più aggressivi, questa volta, ma la cosa non mi era nuova. Quindi perché avrei dovuto reagire così ad una cosa che avevo permesso più volte?
Dio, povera, povera Mae.
Povera Mae.
Trasformata nel cattivo della situazione nonostante in realtà sia l'unica vittima di tutto questo.
Dovrei parlarle.
Tornare a casa e parlarle.
È vero che non la amo più ed è vero che l'ho odiata un po', ieri sera, per non averci mai provato nel vero modo in cui mi sarebbe servito, ma è una bella persona, è dolce, totalmente innocente. Non si meritava niente, niente.
Alla fine, se guardiamo in faccia la realtà, lo sappiamo tutti chi è il vero pezzo di merda nella relazione.
Lo sappiamo tutti chi è che dopo aver umiliato sua moglie ha fatto sesso con l'amante e ci ha dormito fingendo persino di essere la vittima, lo sappiamo chi è che si fa un'altra persona e poi pretende di sentirsi in qualche modo ferito.
Mae merita delle scuse.
E delle spiegazioni, e delle ragioni, delle motivazioni, delle belle parole e...
– Ssh, smettila di pensare, sento le rotelle girare da qui. –
Vuoto.
Per un attimo, vuoto totale.
La mia testa diventa il vuoto totale di ogni pensiero.
– 'Giorno, Kenma. –
Chino lo sguardo, trovo i suoi occhi semi aperti che mi guardano. Ha la guancia su cui ha dormito appena più scura del solito, la voce più raschiata, i capelli più disordinati.
Mi sorride, poi chiude gli occhi di nuovo, si sistema un po' meglio, chiude le dita sul mio collo e muove le unghie sulla mia nuca.
– Mmh, sì che è un buon giorno, questo. –
Tira su una mano e se l'appoggia di fronte al viso, sbadiglia, si trascina i capelli dietro l'orecchio, aderisce meglio contro di me.
– Come mai? –
– Perché sei qui. –
Il suo viso brilla e riluce come una stella, la sua pelle chiara, il rossore sul ponte del naso. Sei bellissi...
Bacio il ponte del suo naso.
– Sei il mio ragazzo o la mia ragazza, stamattina? –
Si muove contro si me, s'inarca per stiracchiarsi, stende un braccio dietro la sua testa poi lo riporta sul mio viso, ancora meglio la gamba sulla mia vita, stira per bene il collo.
– Fammici pensare. –
– Tutto il tempo che ti serve. –
– Fammi le coccole, intanto. –
Rido piano alla richiesta così dispotica, ma obbedisco. Tiro il suo corpo più vicino a me, tiro su la maglietta che indossa per infilare le mani contro la sua pelle, stringo forte il suo petto contro il mio e navigo nel sentore dolce del suo profumo per un attimo che sembra infinito.
Lascio qualche bacio fra i suoi capelli, sulle sue tempie.
Rimango in silenzio mentre pensa, mentre si riprende a sufficienza dal sonno per cercare di capire stamattina chi è.
Più stiamo zitti, più i pensieri cominciano a tornarmi nel fondo della testa.
Non è che siano dubbi su di te o su di noi, Kenma, sono solo preoccupato per Mae che ora è sola e che ho abbandonato solo perché...
– Un ragazzo. Oggi sono un ragazzo. –
– Scusami? –
Mi pizzica la punta del naso con le dita.
– Ho detto che oggi sono un ragazzo. –
– Oh, ok, perfetto. –
Gli sorrido e lui mi sorride di rimando, ma quando mi risistemo sul cuscino smette di farlo, sistema la faccia di fronte alla mia e mi fissa, in silenzio.
Ha gli occhi vitrei del mattino, una sottilissima striscia scura sotto le ciglia che indica con quanta fretta si sia struccato, le labbra secche.
Bello, bello che mi si ferma il cuore.
Bello che potrei fare di tutto per te.
Bello che l'ho tradita, e dopo averla tradita le ho anche dato la colpa di come ha manifestato i suoi sentimenti, bello che l'ho umiliata perché ha reagito d'istinto alla sensazione di aver perso ognuna delle sue certezze, bello che...
– Tetsurō, stai pensando a qualcosa che non sia io? –
Sbatto le palpebre.
– Eh? –
– Hai gli occhi vuoti di quando pensi. Dimmi, a cosa pensi? –
Alzo gli angoli delle labbra.
– Faccio gli occhi vuoti quando penso? –
– Stai sviando la mia domanda. –
– No, trovo solo carino il fatto che tu sappia che... –
Pianta le pupille sulle mie.
Poi apre una mano sulla mia spalla, mi spinge indietro finché non appoggio la schiena sul materasso e mi sale sopra, a cavalcioni, sedendosi sul mio bacino e reggendosi con le mani sul mio addome.
– Dimmi la verità, Tetsurō. –
Lo guardo.
Un angelo, sembra un angelo. I capelli sono arruffati dal sonno, ma la luce che entra dalla finestra in fondo alla stanza li fa brillare come se fossero fatti di sottilissimi fili d'oro, la maglietta che ha addosso, la mia, gli cade su una spalla e mostra chiaramente il segno di un morso, l'orlo è tirato su fino al principio delle cosce, il suo sguardo è di ferro.
– Mi dispiace per Maeko. Sono... sono dispiaciuto per Maeko, Kenma. Credo di aver esagerato, ieri sera, e credo anche che... –
Mi aspetto di tutto, da lui. So com'è fatto, so com'è il suo carattere. Mi aspetto uno schiaffo o una battuta al vetriolo, mi aspetto un'occhiata assassina, qualsiasi cosa.
Ma non mi aspetto questo.
Non mi aspetto...
Si china verso di me e preme le labbra sulle mie con calma.
Mi sta...
Non è geloso? Non è...
Mi sciolgo, al contatto con la sua bocca. Mi sciolgo, quando muove le labbra contro di me. Sa ancora di dentifricio, credo perché dopo tutto quello che è successo ieri sera siamo andati a dormire piuttosto tardi, ma sa anche del suo sapore tipico, della fragola che ha sempre avvolta contro la lingua.
– Oh, Tetsurō. Sei preoccupato per lei, non è vero? –
Infila le dita fra i miei capelli quasi a farmele lui, le coccole.
– Un po', perché... –
– Sei così dolce, Tetsurō. Quella t'insulta e ti tratta male e tu ancora ti preoccupi per lei. Sei dolce, così dolce, sono così felice che tu sia così dolce. –
Lui pensa che io sia...
– Non è una questione di essere dolci, Kenma, è che l'ho trattata male e sono preoccupato per... –
Si adagia col petto contro il mio, stringe la mia faccia con più forza di prima, mi costringe a girare il collo e mescola di nuovo le labbra con le mie.
– Tu non l'hai trattata male. Lei si è fatta trattare male, sono due cose diverse. –
– Non credo che lei volesse... –
– Tu non hai fatto niente che non vada, Tetsurō, l'hai solo rimessa al posto in cui doveva stare. Non è colpa tua se si è dimenticata quale fosse. –
Affilati.
Ha gli occhi affilati come lame.
Minacciosi, duri, affilati, magnetici. Mi catturano e non riesco a distogliere lo sguardo, non riesco a fuggire.
Pietrificato da Medusa, Tetsurō, è questo che sei? O ammaliato dai bei riccioli di Circe? Sei Paride che dà la mela ad Afrodite per avere anche solo per un attimo la bella Elena, sei Odisseo legato all'albero della nave che prega di essere lasciato andare per incontrare le Sirene?
No, non sei niente di tutto questo.
Sei solo uno stronzo, solo uno...
– Ti ha insultato. Ha cercato di farti sentire inferiore, Tetsurō. –
Strofina piano le labbra contro la mia tempia, mi sorride addosso, inarca il bacino contro di me, si muove piano, delicatamente, come una serpe.
Avvicina la bocca al mio orecchio, la sua voce diventa un filo.
– Lei se lo meritava, Tetsurō, hai fatto la cosa giusta. Lei non ti adora, non merita che tu sprechi il tuo tempo con lei. –
Apre la mano contro il mio petto, scende piano verso gli addominali.
– Io invece ti adoro. Lo sai che ti adoro, Tetsurō, vero? –
Deglutisco la saliva.
– Lo... lo so. –
– Vuoi vedere quanto ti adoro? Vuoi dimenticarti un po' tutte le brutte cose che hai in testa? –
Prende una delle mie mani con la sua, se la porta addosso, sul retro di una coscia, sul culo. Sembra che mi stia chiedendo, pregando di toccarlo, che il suo corpo si spinga contro di me quasi a sciogliermisi addosso.
Io non so cosa fare, mi sento... mi sento...
Non è colpa di Mae e io devo chiederle scusa, devo spiegarle come stanno le cose, devo...
Il mio cervello si appanna.
Quando Kenma appoggia la lingua poco sotto il mio orecchio e mi mordicchia la pelle con la mano che s'infila sotto l'elastico dei miei pantaloni, il mio cervello si appanna.
Ancora meno di un filo, la sua voce è un barlume, un accenno. È dolce, ariosa e sensuale come al solito, risuona nel mio orecchio e nella mia testa, spazza via qualsiasi altro pensiero.
– Puoi scoparmi finché non ti ricordi chi sei, Tetsurō, lo sai. Puoi scoparmi finché non ti senti di nuovo al centro del mondo, finché non ti ricordi quanto vali. Puoi farmi tutto quello che vuoi, e io me lo lascerò fare, perché ti amo e perché ti adoro. –
Cerco il suo sguardo ma quando provo a girare il collo una delle sue mani mi ferma. Le sue labbra si chiudono nello spazio sotto la mia mandibola, verso il centro della gola, sull'angolo della mia bocca.
– Ti va di sfogarti un po' su di me, Tetsurō? –
Si riallinea con il mio corpo, torna su, con il viso dritto verso di me. Ha il bacino sul mio, so che non ha le mutande sotto la maglia, tiene le mani piantate sulla mia pancia, gli occhi sui miei. Si muove, piano, piano e in maniera straziante contro di me, quel poco che basta per estirpare ogni singola, minuscola goccia di sangue dal mio cervello.
Io ci avevo anche provato, a prendermi le mie responsabilità.
Ci avevo provato.
Avevo pensato di doverle delle spiegazioni.
Ma...
Annuisco.
Guardo Kenma e annuisco.
E lui sorride, come il sornione serpente che è da che lo conosco, si muove più chiaramente sul mio bacino e si lascia cadere di lato, con la schiena sul letto, in attesa che mi tiri su e lo raggiunga, cosa che faccio in un attimo.
Non sento più il senso di colpa.
Davvero.
Non lo sento.
Ogni pensiero somigliante a "non è colpa di Mae, è colpa mia" torna a scintillare nel chiaro "come può essere colpa mia, io non ho colpe, solo ragioni", ogni granello di rispetto che avevo raccolto nei confronti di una donna distrutta da qualcosa di cui non sa nemmeno il nome viene spazzato via dalla bufera di Kenma su di me.
Alla fine si riduce tutto a questo, vero?
Al fatto che non so resisterti.
Al fatto che ti trovo bellissimo, che il mio corpo cerca il tuo, vuole il tuo, aspira al tuo. Alla consapevolezza che alla fine sono solo un adulto che sbava dietro al corpo di quello che è a malapena considerabile tale, che faccio schifo, e che nonostante ne sia consapevole non possa farci nulla.
Sei meraviglioso.
Meraviglioso.
E malefico, nella tua cattiveria, che però amo come amo te, perché è dalla mia parte e mi fa sentire bene, anche se ferisce le persone a cui tengo.
Raggiungo il suo collo con il viso, chiudo gli occhi contro la sua pelle ed inspiro profondamente, lascio scivolare le mani contro i suoi fianchi, sovrasto il suo corpo con il mio.
Ride piano, quando gli mordo una spalla.
Ride e mi stringe la schiena con le gambe e mi lascia accesso col sorriso più cristallino di sempre e...
– Non pensavo che avrebbe funzionato così be... ahia! Fai piano, mi fai ma... –
Ho le dita così strette su di lui che temo le ossa possano rompersi fra le mie mani. I miei denti non mordicchiano, non assaggiano, mordono e lacerano la pelle.
– L'hai detto tu che potevo... che potevo... –
Stacco la faccia da lui.
Lo guardo negli occhi.
Lo so com'è il mio viso, ora. Lo so.
L'ho già detto, che come tutti i narcisisti, io nasco da una ferita che mi ha fatto sentire niente.
E ho già detto che va a fasi, il mio ego, non è sempre smisurato, qualche volta si ridimensiona, lascia spazio anche ad altro, mi permette di essere più lucido.
Ora è in quell'esatto momento in cui è al minimo del suo vigore. Quello in cui mi rendo conto di cosa ho sbagliato, di cosa ho fatto e che cosa ho fallito. È nella fase in cui torna normale, in cui mi lascia in pace.
Quello in cui sono un essere umano come gli altri.
Quello in cui mi rendo conto di cosa ho fatto a mia moglie.
Dovrebbe essere il respiro di sollievo, questo momento, no? No, di solito è il panico, è la paura di essere patetico, di essere niente, di essere un fallito, di far schifo in tutto e per tutto, di non valere niente, né come uomo, né come scienziato, né come persona.
Ma adesso...
So com'è la mia faccia perché so che sto quasi sorridendo, so che ho la mascella contratta in qualcosa che vaga fra la furia e l'eccitazione più sconfinata, so che le mie pupille sono così dilatate che a malapena si nota il colore ambrato dei miei occhi, so che sembro sul punto di uccidere qualcuno.
Certo che valgo qualcosa.
Tu me lo dici ogni giorno.
Certo che non faccio schifo, certo che sono il migliore, certo che ho ragione.
Non ho bisogno dei dubbi se sei qui con me, non ho bisogno di pensare a lei o di sentirmi in colpa o di dividere in percentuali le responsabilità e dirmi per quali motivi sono un pezzo di merda.
Ho bisogno di te.
Di te, di divorarti intero, di entrare nel tuo corpo così in fondo che uscirne sarà un'impresa, di prendere ogni centimetro di te per me stesso e di imprimere sulla tua pelle tutta la frustrazione, il fastidio che provo all'idea che mezz'ora fa non ero un cazzo di nessuno.
Di te che mi seduci e mi riporti ai tuoi occhi quando mi sento in colpa, di te che...
– Oh, ma certo che puoi, puoi farmi tutto quello che vuoi. Ma considerando che l'hai fatto anche ieri notte e che non ti risparmi proprio quando lo fai puoi anche essere un po' più delica...ah! –
Lo ribalto.
Pancia sotto, spalle contro il materasso, anche tirate su.
Ha detto "certo che puoi".
Ha detto "sì".
Io, più di questo, non voglio sentirlo. Non mi serve. Se dirà "basta" smetterò, se sentirò "no" non farò nient'altro, ma per ora ha detto "sì" ed è questo che mi interessa.
Guardo la maglietta che gli cade verso l'alto, la prendo e la risistemo, gli copro un po' meglio la pancia e i fianchi. Non si spoglia volentieri quando è un ragazzo, so che al momento non ho grande controllo di me stesso ma non voglio farlo sentire a disagio.
– Vivo? –
Ride piano, apre un po' di più le ginocchia, mette la guancia contro il letto per guardarmi.
– Mi sa non per molto. –
– Ti va bene... così? –
La posizione in cui è il suo corpo è meravigliosa, a detta mia, lo è davvero. Lo è come le sue spalle spuntino dal collo troppo largo della maglietta, come il suo culo sia esattamente di fronte alla mia faccia, come scintilli il suo interno coscia e come si vedano i segni delle mani spuntare appena dai fianchi.
Ma se c'è qualcosa che lo fa sentire...
– Va bene, Tetsurō. –
– Sicuro? –
– Sì. –
Pianto una mano al centro della sua schiena, lo costringo ad inarcarsi e guardo come il suo bacino si strofini sul mio di riflesso.
Cerca me, Kenma.
Me e basta.
Me che non ho mai avuto uno straccio di colpa, me che sono meraviglioso, che lui adora, che lui...
Abbasso l'elastico dei pantaloni, stringo una mano addosso a me stesso, non entro dentro il suo corpo ma mi metto sopra, su di lui, muovo il bacino un paio di volte per godermi la sensazione.
Geme.
Chiama il mio nome.
E tutto diventa sempre più fumoso e distante, nella mia testa.
Sì, Kenma, così, bravo. Così, fammi sentire così, fammi sentire forte, seducimi, prendimi, distruggimi, rovinami e fatti rovinare da me.
Quanto sei perfetto.
Quanto sei...
Stringo forte le mani sulla sua pelle e tiro il suo bacino ancora più verso l'alto.
– Tetsurō! –
Guardo verso il basso e mi lecco le labbra.
Oh, piccolo Kenma.
Piccolo, dolce Kenma.
Sembri così esile, contro di me. Come fai a sopportare tutto questo, come fai a sopportare me senza sentirti divelto a metà dalle radici?
Mi eccita, Dio, quanto mi eccita, che tu spinga al limite il tuo corpicino per accogliere me.
Mi fai sentire grande, forte, in più sensi che quello puramente sessuale.
Mi muovo un altro paio di volte, finché non vedo la patina umida della sua eccitazione praticamente colargli in mezzo alle gambe.
Mi fermo.
Lo guardo.
Si tiene al letto con le mani, spinge indietro le anche e tiene il petto piatto contro il materasso, mi guarda, le sue labbra scintillano di saliva.
Mi sorride.
– Su, Tetsurō, continua. –
– Lo vuoi? –
Si morde l'interno di una guancia, fa leva sulle ginocchia e si muove contro di me.
Il calore, la sensazione del suo corpo su di me, non fanno altro che aggiungere benzina all'incendio che ho sotto la pelle.
– Certo che lo voglio, Tetsurō. Lo voglio. Tutto. –
Sbatte le palpebre, io sento lo stomaco stringersi in quello che non so se sia dolore o eccitazione.
Apre ancora un po' le gambe.
– Dammelo, per favore. Dammelo, Tetsurō. –
Slega una mano dalle lenzuola a cui si stava così disperatamente aggrappando, la porta su se stesso, afferra il retro di una coscia e tira verso l'esterno.
– Su, Tetsurō, fallo. È quello che vuoi fare, no? Niente più brutti pensieri, se lo fai. Solo noi due, come al solito. Solo io, io e basta. –
È quello che voglio fare?
Quello che...
– Lei non è brava per te come sono bravo io. Lei ti tratta male e pensa di meritarsi anche il tuo tempo, dopo averlo fatto. Lo sai che non è vero, Tetsurō, lo sai che solo chi ti adora merita il tuo tempo. –
Si apre un po' di più, gli rotolano gli occhi un po' all'indietro, quando si strofina di nuovo contro di me.
Indietreggio per allinearmi con il suo corpo, mi sistemo e...
– Perché avere dubbi e pensare di aver sbagliato qualcosa, quando puoi scoparmi e star bene e non pensare a nient'altro, Tetsurō? A che ti serve, tutto il resto, quando io sono disposto a tutto pur di farti stare un po' meglio? –
Spinge indietro il bacino e riconosce la sensazione del mio corpo che inizia ad entrare dentro il suo.
– Ho bisogno di te, Tetsurō. Ti prego. –
Usa il tono lagnoso, quello... quello che sembra un capriccio, una pretesa infantile. Dispotico, volgare, stronzo com'è stronzo lui, eccitante, sensuale, invitante.
– Ho bisogno che mi usi per sentirti meglio, Tetsurō. Sono qui per te, lo sai. –
Chiude gli occhi, si spinge più indietro, più indietro, sento su di me la definita, meravigliosa sensazione del suo corpo che mi avvolge, la mia coscienza scompare, svanisce, diventa nebbia.
– Ti amo, Tetsurō, e tu ami me. Amare quella è stata una prigione per così tanto tempo, è stato così triste, così soffocante. Ma amare me... –
Apre la mano sul materasso e facendo leva sul palmo e sulle spalle si spinge contro di me fino in fondo. Le sue labbra si separano in un gemito silenzioso, gli occhi gli rotolano indietro ancora di più, le ciglia sfarfallano, le sue gambe tremano.
Ci mette un paio di respiri a riprendere la voce.
Ma lo fa, alla fine, lo fa.
– Amare me è... senti quanto è piacevole amare me, Tetsurō. Senti quando è bello. Quanto ti piace, quanto... –
Tiro via la sua mano con la mia, mi sporgo verso il suo corpo, apro le dita sulle sue scapole, prendo il suo fianco, stringo forte.
È così esile che la mia mano aperta quasi gli copre completamente la distesa della schiena.
Spingo verso il basso, lo schiaccio sul letto, serro la stretta sul bacino, e mi muovo.
Mi muovo e non mi fermo.
No, non lo faccio.
Non...
– Cazzo, Kenma, cazzo, cazzo, sei... –
– Dio, Tetsurō, oddio, oddio, o... –
So solo che il letto trema. Che la testiera del letto sbatte contro il muro, che tutta l'intelaiatura si muove e cigola ad ogni spinta. So che il suo corpo cerca di sfuggirmi ma lo tengo premuto sul materasso, che le sue gambe tremano come foglie, che...
Stretto.
Sei sempre così stretto e così piacevole, sei sempre così esageratamente giovane ed esile, sempre così bello.
Gemi gemiti che quasi sembrano urla, ti aggrappi alle lenzuola come se potessero darti un attimo di pace, piangi come se ti facesse male, quando sappiamo entrambi che non ti fa male.
Questo, volevi?
Me?
Me in questo modo?
Volevi che spingessi dentro di te tutto quello che non va in me, che mettessi tutta la rabbia, l'ira, la frustrazione che provo nel non poter fare della mia vita quello che mi pare nel movimento del mio corpo nel tuo?
Questo?
Tu volevi...
– Tetsurō, Tetsurō, Tetsurō, ti prego, ti prego, ti... –
– L'hai voluto tu, ora te lo prendi e stai zitto. –
Mi lancia un'occhiata.
È... erotica.
Mi spingo così forte dentro il suo corpo che gli si piega quasi il bacino in maniera innaturale, che mi sembra cerchi di fare resistenza.
– Merda, nemmeno ci entro. Rilassati, Kenma. –
– Io non... –
– Lo vuoi? Lo volevi, un attimo fa. Ora ti rilassi e lo prendi. Da bravo, Kenma. –
Gli tremano le mani, le cosce, tutto. Mi guarda con gli occhioni pieni di lacrime, il labbro inferiore trema e il suo corpo con esso, sento che prova a rilassarsi ma il tentativo è inutile, continua a stringersi, a stringersi sempre di più e...
Forzo la mano.
Lo stringo e forzo la mano.
Mi spingo dentro a prescindere da quanta resistenza faccia il suo corpo.
La sensazione è...
Lo sento singhiozzare, vedo le lacrime e la saliva colargli dal viso sul letto, le gambe tremano così tanto che temo, non le tenessi, potrebbero cadere in pezzi.
Gli ho fatto ma...
– Dio, Tetsurō, ancora, ancora, ti prego. –
No, ma che male. È Kenma. Kenma è disposto a tutto pur di farmi star bene, a tutto. Gli piace tutto quello che gli do, gli piaccio io, mi ama, è fatto per me, è per me, è...
Riprendo a muovermi.
Fuori e dentro dal suo corpo, fuori e dentro. Con i suoi gemiti che sembrano quasi urla arruffati contro il letto, la mia voce che risuona in qualcosa di più gutturale e aggressivo di tanto in tanto, il calore nella pancia che si stringe sempre di più.
Dio, sì, cazzo, sì.
Questo è quello di cui avevo bisogno, questo, solo questo.
Solo il tuo corpo che si stringe su di me.
Solo questo.
Nessun dubbio, nessuna pretesa, nessun senso di colpa. Solo tu, tu, tu. Tu che mi fai sentire il centro del mondo, che mi fai sentire una divinità, che mi fai sentire in grado di fare tutto.
Kenma, maledetta serpe.
Quanto cazzo ti...
Il mio bacino aderisce contro il suo, sento i suoi polpacci alzarsi e premersi contro il retro delle mie cosce, il suo corpo si stira in avanti, le braccia stese, il viso distrutto, la schiena perfettamente inarcata.
Mi fermo un istante.
Completamente dentro di lui.
Mi fermo a guardarlo.
Lui...
Sai che ne vale la pena, Kenma?
Di essere il fondo del barile dell'umanità, di essere un uomo di merda, di far schifo, di infrangere ogni regola morale.
Ne vale proprio la pena.
Perché tu sei...
Allungo un braccio verso i suoi capelli, chiudo le dita in mezzo e lo tiro su. Pesa poco, non faccio nemmeno fatica. Lascio che il retro delle sue spalle aderisca contro le mie clavicole, piego il collo di lato, mescolo le labbra con le sue.
Sei l'amore della mia vita.
Lo sei.
E ci meritiamo a vicenda, cazzo.
Perché siamo le persone migliori del mondo?
No, perché facciamo schifo tutti e due.
Ci meritiamo a vicenda.
Perché fingere che non sia così?
È così.
Sei l'amore della mia vita.
E non è che tu lo sia nonostante i tuoi difetti, no, lo sei per quelli, per quelli che ai miei occhi, chiamare "difetti" è un crimine.
Lo sei perché sei infido, perché sei scorretto, infantile, volgare, maleducato. Perché hai la lingua biforcuta, perché cerchi e riesci a manipolarmi col sesso, perché hai diciassette anni meno di me, perché sei più giovane di mia moglie, perché sei più bello di lei. Perché ti fai le regole, perché non rispetti nessuno, perché sei insopportabile.
Ti amo, Kenma.
Io...
Prende una delle mie mani con le sue.
Mi stacco e seguo il movimento.
È in ginocchio sul letto, fuso al mio corpo, la testa gettata indietro su una delle mie spalle.
Appoggia le mie dita contro la sua pancia, copre la mia mano con la sua molto più piccola, spinge verso l'interno, si piega indietro per tendere meglio l'addome.
– Muoviti, Tetsurō. Muoviti una volta. –
Obbedisco.
Esco piano da lui, poi rientro.
Mi sento.
Il palmo della mia mano preme forte contro la sua pancia, contro il suo addome, e l'angolazione è giusta perché il movimento sia più profondo.
Sento me stesso.
Sento me stesso entrare e uscire dal suo corpo.
Non avevo mai...
Spinge più forte la mia mano verso il suo addome.
– Lo senti? –
– Sì, Kenma. –
Sorride, guarda la sua stessa pancia con orgoglio, quasi, con fierezza. Accarezza la pelle chiara e il dorso della mia mano, poi adagia di nuovo la nuca sulla mia spalla e mi rivolge gli occhi.
– Questo è il posto dove devi stare, Tetsurō, non credi? Qui nessuno ti dice niente, nessuno si permette di dirti nulla. Qui sei la persona più importante del mondo ed esisti solo tu. –
Annuisco.
Come un cretino, totalmente inebetito dalle sue parole, annuisco e non dico niente.
– Qui sei al sicuro, Tetsurō. –
Si lecca le labbra.
– Non hai bisogno di nessun altro, quando sei qui con me. –
– Io non ho mai bisogno di nessun altro. –
Sorride, sporge il collo verso di me.
– Davvero? –
Deglutisco la saliva, faccio "sì" con la testa.
– Non ti sentivi in colpa per tua moglie, prima? Non avevi bisogno che lei sapesse che... –
– Non era vero. Era un'impressione, un momento. Non me ne frega un cazzo, in realtà, non me ne frega un cazzo, Kenma. Solo di te, m'importa. Di noi. –
Accarezza la mia guancia.
– Anche a me importa solo di noi. –
Sbatte le ciglia, si sporge e stampa le labbra contro le mie. È dolce, siamo fermi, in questo momento, e tutto lo è, dolce. Sento il suo sapore, la sua consistenza, lo tratto con la delicatezza con cui merita di essere trattato, lo sento sospirare piano quando mi sposto impercettibilmente e tocco un punto più sensibile dentro di lui.
– Dimmi che mi ami, Tetsurō. –
– Ti amo, Kenma. –
– Anche io ti amo. –
Mi specchio nei suoi occhi.
– Scusami se ti ho parlato di lei, prima, davvero non intendevo sul serio che... –
– Ssh, è stato un momento, non preoccuparti, non preoccuparti. Va tutto bene. Ora stiamo rimettendo le cose a posto, lo so che ami solo me. –
Annuisco.
– Solo te. –
– Solo me. – ripete.
Lascia andare la mia mano, la riporto su, verso il suo bacino, e lo guardo accarezzarsi il ventre per un ultima volta. Sento quasi il contatto su di me, la dolcezza con cui lo fa, il modo adorante in cui guarda quel pezzo del suo corpo dove ci sono anch'io.
Poi si stende di nuovo.
Torna giù.
Mi sorride e mi dice "ricomincia" e io ricomincio, col cuore in gola, la pace nel corpo e il fuoco nelle vene.
Non finisco finché non urla.
Non smetto finché non mi prega.
Gli tengo il bacino stretto fra le dita come se non sapessi quanto è facile lasciargli segni sulla carne, sbatto il mio corpo sul suo forte che il rumore quasi supera la sua voce, infilo la mano davanti a lui quando lo sento avvicinarsi per stimolarlo e gettarlo oltre il limite, più di una volta.
Amo come reagisca al mio corpo.
Lo amo.
Amo come si stringa quando sente la mia voce, come continui a bagnarsi sempre di più, sempre di più, come spalanchi le cosce, come sia sfinito e nonostante tutto continui a chiedermene ancora.
Ho buttato al vento dieci anni di relazione e quattro di matrimonio per questo?
L'ho fatto?
Non so se sia solo per questo.
Ma anche lo fosse...
Quando si gira dalla mia parte, con gli occhi rossi e una pozza di lacrime attaccata al viso, quando spinge il bacino in sincrono col mio e mi dice "ti prego, vienimi dentro, Tetsurō, ti prego", mi dico che anche fosse solo per questo, questo lo vale.
Lo vale, lo vale.
Lo vale il mio orgasmo che sembra estirparmi ogni preoccupazione dal corpo, lo vale il suo che lo scuote fin nelle ossa, lo vale la sensazione di uscire dal suo corpo e veder gocciolare me fuori da lui, lo vale stendermi sul suo letto e abbracciarlo mentre riprendo fiato.
Mai fatto cosa più giusta.
Mai nella vita.
Mai.
Chi se ne frega se ieri sera ho fatto lo stronzo, chi se ne frega se Mae sta male perché sono distante da lei e perché sente di avermi perso anche se non sa come.
Che cazzo me ne importa?
Questo, m'importa.
Kenma.
Niente di più.
Davvero niente, niente di più.
Apro gli occhi una seconda volta qualche ora più tardi, e a questo giro, la luce è decisamente più calda, l'aria sa un po' di sudore e di sesso, Kenma è spiaccicato contro di me, io ho i capelli un casino e qualcosa fa rumore.
Qualcosa che somiglia pericolosamente al mio telefono.
Qualcosa che lo sveglia anche se cerco di fare in modo che non lo faccio.
– Che cazzo è? –
– Il mio cellulare. –
– E perché cazzo suona? –
Mi tiro su, indolenzito come poche volte sono stato nella vita, e mi sporgo verso il comodino.
– Mae mi chiama. –
– Mandala affanculo. –
– Se vuoi la richiamo dopo. –
Afferro il cellulare con le mani, ma non faccio niente, osservo la schermata con gli occhi vuoti e rivolgo il mio sguardo, l'istante successivo, a Kenma.
Solleva una palpebra.
Una sola.
L'altra rimane a metà.
– Che cazzo vuole? –
– Probabilmente sapere perché suo marito non è tornato a casa, che cazzo sta facendo, e se la odia. –
– Perché ama me, perché abbiamo fatto il sesso più faticoso della nostra vita, sì, la odi. – borbotta, rispondendo ad ogni domanda in fila.
Ridacchio, torno a guardare la schermata.
Un paio di squilli e lascerà perdere.
Ne sono sicuro, un paio di...
– Rispondi. –
Guardo Kenma.
– Davvero? –
– Rispondi. –
Faccio spallucce.
– Ok. –
Scorro con il dito sulla schermata, avvicino il cellulare all'orecchio, fisso Kenma che allunga piano le braccia per legarle alla mia vita mentre lo faccio e sorrido, perché lo amo, Dio quanto lo amo, questo esserino così cattivo.
– Tetsurō? –
Torno sulla Terra per un attimo.
La voce di Mae è... spugnosa. Ha pianto, di sicuro. È preoccupata, anche, un po' ferita, credo. Un paio d'ore fa questa cosa mi avrebbe distrutto, ma ora, dopo che Kenma si è così dolcemente occupato di me, la cosa mi lascia sinceramente indifferente.
– Mae, ciao. –
La sento tirare su col naso, io mi chino per guardare Kenma che si adagia con il corpo sul mio grembo, il viso premuto sulla mia pancia, il respiro pacifico sulla mia pelle.
Gli accarezzo i capelli.
– Come va? Sei ancora arrabbiato? –
Il silenzio è tale, nella stanza e nella casa, che le parole rotolano fuori dalla cornetta così forte che chiunque potrebbe sentirle.
E di quel chiunque fa parte l'esserino sulle mie gambe, che sorride.
Non parla chiaramente, sussurra appena.
– No che non sei arrabbiato, hai me, come potresti esserlo. –
Nascondo una risatina.
Prendo fiato.
– No, Mae. Non sono arrabbiato. –
– Sicuro? –
Prendo fra le dita il lobo dell'orecchio di Kenma, lo strofino piano.
– Sicurissimo. Sto meglio. –
– Dio, menomale. –
Mae cerca di prendere fiato ma la voce le trema, povera, come un terremoto. Non singhiozza, almeno non forte che possa sentirla, ma tira su col naso un'altra volta.
– Dove... dove sei? Torni a casa? Quando arrivi? –
Kenma mi lancia un'occhiata di ghiaccio.
"No, tu da qui non te ne vai", sembra dirmi. Ma lascia scivolare la cosa un attimo dopo, annuisce e mi dà il permesso ufficiale di fingere gentilezza con la donna che insieme abbiamo distrutto a questo modo.
M'invento la scusa più probabile.
– Sono al laboratorio, sai che lavorare mi calma. Torno fra un paio d'ore, ho ancora qualcosa da mettere a posto qui. Se devi andare a lavoro ci vediamo stasera. –
– No, no, mi sono data malata. –
– Oh, ok. –
Vedo la creaturina addosso a me fare una smorfia con le labbra. Poi mi si avvicina ancora e mi bacia appena sopra l'ombelico, sorride contro il mio addome, si rilassa ancora.
– Mi dispiace per ieri sera. Davvero, Tetsurō, sono mortificata. Ho fatto una figura orribile, non avrei dovuto bere. Non so cosa mi sia preso, ero nervosa e non so nemmeno perché e Kenma è... una persona particolare, come hai detto tu. Non ho reagito bene, lo so. Mi dispiace tanto. –
Particolare?
E dillo pure, che è uno stronzo. Dillo, che è la verità. Non hai nemmeno il coraggio di farlo?
– Non c'è problema, Mae, ho reagito male anche io. Davvero, non preoccuparti. –
– Non litigavamo più così dalla vacanza del primo anniversario. –
– Già, è vero. – rispondo ridacchiando piano.
Kenma mi pizzica un fianco.
Quando abbasso lo sguardo trovo palese fastidio nei suoi occhi.
– Quale vacanza? – mima con le labbra.
– Dopo. – accenno.
– Stronzo. –
Sorrido, mi chino, lascio il bacio più silenzioso della storia fra i suoi capelli.
Torno a Mae, che ha detto qualcosa ma che non ho sentito.
– Scusami, mi sono distratto un attimo. Che stavi dicendo? –
– Che sono felice che tu non te la sia presa troppo. Sono stata cattiva con te e non te lo meritavi. Hai anche cercato di fare in modo che tutti andassero d'accordo e io... –
– Mae, davvero, non c'è problema. –
Sospira, se la conosco come credo di fare si passa una mano fra i capelli nervosamente, si morde le cuticole per non rovinare la manicure ma scaricare comunque il fastidio su qualcosa.
– Ti prometto che non bevo più. – borbotta poi, mugugnando le parole palesemente con le dita fra le labbra.
– Sai che non ti chiederei mai una cosa del genere. –
– No, davvero. Mai più. Mi rendo sempre ridicola quando bevo e sono cattiva con te che non te lo meriti e... –
– Mae, siamo stati entrambi il problema, non tu da sola. Davvero, ascoltami, va tutto bene. Tutto, tutto bene. –
– Quindi abbiamo fatto pace? –
Rido appena.
– Abbiamo fatto pace. –
– Perfetto. –
Kenma mi guarda dal basso e mi fa la linguaccia, poi si indica.
Sì, ho fatto pace con te per far pace con lei, ok, non fare il fiscale. Ho beneficiato dell'amore che mi dai per coprire il vuoto che si era creato con una persona che dovrò lasciare.
Maledetto, sei troppo carino persino per te ste...
– Voglio fare pace anche con Kenma. Anche con gli altri, ma soprattutto con Kenma. Sono stata una stronza e mi sono comportata come se avessi la sua età, ho fatto finta di essere una sua pari. Vorrei poterci parlare per potermi far perdonare, davvero. –
A questa, rimango di stucco. Io e Kenma, rimaniamo di stucco.
Lei vuole...
Dio, no.
Com'è possibile che lo voglia?
Pace con Kenma?
Io non...
– Sono sicuro che a Kenma non importi, Mae, non ce n'è bisogno. Alla fine non è che dobbiate andare per forza d'accordo, non è nemmeno un tuo studente. –
– No, voglio farlo. Sul serio, Tetsu. –
Lo guardo.
Ha gli occhi confusi come i miei.
– Pensavo di invitarlo al Gala dell'Università di venerdì. Possiamo portare degli accompagnatori, magari invito qualche mio studente un po' meno impacciato e potrebbe divertirsi. Così, come gesto di pace. –
– Al Gala? –
Il Gala è un evento pubblico interdipartimentale, una sorta di festa dell'Università, una di quelle cose noiosissime e infinite dove partecipano tutti i professori di tutti i corsi, dove si balla musica classica suonata dal vivo, ci si veste bene e si beve spumante costoso.
Ovviamente, perché il mondo mi vuole male, è l'Undici di Novembre tutti gli anni, che fra tutte le date è quella del mio, ora, trentaseiesimo compleanno.
– Sì, al Gala. So che non ti piace ma è un evento carino, magari si diverte e posso provare a parlarci per chiedere scusa. –
– Non so se sia una buona... –
Mi pizzica la pancia.
Forte, fortissimo.
Forte che devo trattenermi dal dire "ahia" alla cornetta.
Quando abbasso lo sguardo verso di lui, sta forsennatamente annuendo.
Vuole venire?
Oh, direi di sì, direi che vuole venire.
– So che la mia ultima idea è stata una merda ma secondo me questa potrebbe non esserlo. Sì, Tetsu, voglio invitare Kenma al Gala. Tanto ci saranno studenti di tutti i professori, non salterà di certo all'occhio se ne porti uno pure tu. –
Prendo fiato.
– Ok, immagino, se lo dici tu. –
– Lo dico io. –
– Come preferisci. –
Faccio spallucce anche se non può vedermi e sospiro.
È un'idea di merda. È palesemente un'idea di merda. Se sia Kenma sia Maeko, che sono i poli opposti dell'attrazione che ho provato nella mia vita, concordano su un'idea, è chiaramente un'idea di merda.
Ma...
Lui vuole venire.
E Mae ha deciso di invitarlo.
Quindi...
– Ok, allora siamo d'accordo. Scusami ancora per ieri sera e ricordati dell'invito, vado a mettere un po' a posto e a farmi una doccia. Ti aspetto a casa, ok? –
Sono un po' frastornato, rispondo meccanicamente.
– Ok, ok. Ci vediamo... dopo. –
– Ciao, Tetsu, ti amo. –
– Anche... –
Guardo Kenma.
Sorrido, parlo a lui. Che queste due parole senza mentire faccio un po' di fatica a dirle.
– Anche io, Mae. Ciao. –
La sento sorridere anche se il gesto non ha un vero e proprio rumore, so che lo fa, e poi stacca la chiamata lasciandomi là, con Kenma sulle gambe, il telefono in mano, in un posto dove non immagina nemmeno lontanamente che sia.
Povera Mae.
Povera Mae, mi dispia...
Mollo il telefono sul comodino, prendo il mio amante fra le braccia, lo tiro sopra di me e mi stendo, il petto contro il suo, fra le lenzuola che dovrò lavare.
Chino la fronte sulla sua, lo bacio, ascolto il suo respiro.
Quando mi stacco mi sorride.
– La ami? –
Scuoto la testa.
– Non lei. –
– E chi? –
– Te, mostriciattolo. –
– Davvero? –
Strofino la punta del naso sulla sua.
– Davvero. –
Ci baciamo di nuovo, la pace m'invade un'altra volta.
Dimmi tu se dev'essere la cosa più sbagliata possibile la più giusta che io abbia mai fatto.
Gli accarezzo la schiena con la mano.
– E niente, quindi sei invitato al Gala. Venerdì, alle otto. Si cena e si beve, ma tu non puoi. Si balla, anche. Ti devi vestire elegante. –
– Mi vestirò da troia. –
– Fai un po' come ti pare. –
Ride piano e rido anch'io, m'immagino il suo corpo avvolto in abiti diversi da quelli che porta di norma, l'immagine stona. È vero, ti vestirai come vuoi. A me piaci così, dopotutto, non ti vorrei in nessun altro modo.
– Perché sei voluto venire? – è l'unica curiosità che mi concedo.
Fa spallucce.
– Mai stato ad un Gala. –
– Per questo? –
Annuisce, appoggia l'orecchio contro il mio petto, ascolta il battito del mio cuore.
– E poi è il tuo compleanno e voglio farti un bel regalo. Voglio venire là e ricordarti quanto sei fortunato ad avermi, far vedere a tutti i tuoi colleghi che sei l'unico a potersi permettere qualcuno come me, dar fastidio a tua moglie e mangiare cibo gratis. –
– Oh, mi sembra un ottimo piano. –
– Lo è. –
Mi pizzica il ponte del naso con le dita, poi si china bacia lo stesso punto.
– Voglio anche succhiarti il cazzo prima della mezzanotte, di buon'auspicio. –
Mi strozzo con la saliva e tossisco, quando mi riprendo rido, lo guardo col suo solito scintillio malefico dietro gli occhi che mi fissa come se fossi una preda.
– Di buon'auspicio? Non erano le candeline, di buon'auspicio? –
– Ti assicuro che questo è meglio. –
– Oh, non lo metto in dubbio. –
Si stringe più forte addosso a me, chiude gli occhi, come se volesse tornare a dormire, o quantomeno a riposarsi per un attimo. Non dico niente, non dico più niente, ma muovo le mie dita contro di lui per aiutarlo nell'intento. Lo studio, lo guardo.
Bello come un angelo.
Terrificante e malefico come il peggiore dei demoni, ma bello come un angelo.
Sembra oro tutto quello che ti sta attorno.
Sei davvero stato dipinto dal più delicato degli artisti, tu.
Si sistema meglio, pare che prenda sonno, ma prima che possa effettivamente farlo, impasta le labbra fra di loro.
– E comunque sarai tu a chiedermelo quando vedrai come sarò vestito. –
– Di succhiarmi il cazzo? –
– Esatto. –
Rido appena.
– Te lo chiederei in qualunque modo tu fossi vestito, lo sai. –
– Anche ora? –
– Anche ora. –
Mugugna qualcosa, si stiracchia, cerca di aprire gli occhi ma fallisce, li richiude e si rimette steso sul mio petto, mi stringe di nuovo.
– Ok, dammi dieci minuti. –
– Dieci? –
– Facciamo venti. –
– E venti sia. –
Sbadiglia, mi prende le mani e se le porta addosso quasi per ordinarmi di abbracciarlo, obbedisco. Annego nel suo profumo, mi rilasso anch'io, sento tutto nel mio corpo, dal senso di colpa alla preoccupazione all'insicurezza, scivolare via e annidarsi da un'altra parte, mi sento pesante, chiudo gli occhi.
– Tetsurō? –
Li apro di colpo.
– Dimmi. –
– Facciamo anche trenta. –
Mi viene da ridere, lo faccio.
Rido.
Sei così...
Perfetto, Kenma.
Piccolo malefico Kenma.
Piccolo impertinente, malefico Kenma.
– Va bene, tutti quelli che vuoi. –
Sorride.
E poi si addormenta.
E con lo stesso sorriso che in volto ha lui, lo stesso, un secondo dopo mi addormento anch'io.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
questo capitolo è :: mel che si fa prendere da chissà che cazzo c'ha in testa. non doveva esserci dello smut, ora c'è. perchè? perchè ho dei problemi. lo sapete come sono fatta.
e 2 è IO CHE VI RICORDO CHE KUROO E KENMA SONO DUE MERDE no perchè mi sembrava che fossero troppo umani e questa cosa non va bene cioè ricordiamoci tutt* sono due stronzi ecco così ora lo sapete
tra l'altro curiosità kenma ripete ossessivamente il nome di kuroo perché è una delle tecniche manipolati e più efficaci per farsi dar retta da qualcuno, non so come funzioni me l'ha detto il mio psicologo
niente, spero di riuscire a postare presto il prossimo, ho un po' cambiato i programmi ma dovrebbero essere se non sbaglio ancora tre capitoli, spero che questo vi sia piaciuto, ci vediamo super prestissimo e niente
baci baci
mel <3
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