𝚒 𝚔𝚗𝚘𝚠 𝚒'𝚖 𝚢𝚘𝚞𝚗𝚐

[she/her]

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– Io entro, Tetsu, ti scrivo poi i posti che mi danno così mi raggiungete. –

– Ok, grazie, Mae. –

– Di che, figurati. –

Si sporge di lato, mi sorride, mi bacia una guancia e scompare verso l'ingresso dell'aula magna, infilandosi fra le persone radunate in piccoli gruppi che parlano fra di loro e allontanandosi da me.

Scavo con la mano nel cappotto.

Tiro fuori il pacchetto di sigarette, ne prendo una, infilo il filtro fra le labbra, l'accendo, prendo un tiro.

Mi isolo nei miei pensieri e stacco l'audio del mondo esterno, guardo distrattamente di fronte a me, fumo in silenzio.

Di nuovo in ritardo.

Kenma è di nuovo in ritardo.

Impertinente, ecco cos'è.

È impertinente.

Mi ritrovo a sorridere da solo con la sigaretta fra le labbra al pensiero.

Batto la cenere per terra, prendo un altro tiro, cerco di sciogliere le spalle e di controllare il mio viso per non destare curiosità nelle persone che mi conoscono, mi giro verso la strada.

Sai chi è che arriva in ritardo, Kenma? Le spose. Le spose, davvero, le spose. E lo sai perché, questo? Perché le persone devono aspettarle, devono avere quel nodo di timore alla base dello stomaco che non si presentino, perché loro sono la festa, loro sono l'evento, senza di loro non si fa niente.

Fai la sposa, Kenma?

La fai solo perché non siamo da soli.

Quando siamo da soli non ti fai aspettare mai.

Ma se si tratta di dar noia a qualcuno che non sia io, allora nessuno ti sconfigge, vero?

Prendo un altro tiro, lascio uscire il fumo dalle labbra, sposto lo sguardo verso il fondo della scalinata che precede l'ingresso, distante solo di un paio di metri da me. Le persone parlano fra di loro, si guardano e ridono, di Mae non c'è traccia, credo che sia entrata.

Chissà se anche loro vivono quello che vivo io.

Se ci sono persone come me, su quella scalinata.

No, come me no.

Nessuno è come me.

Dimenticarmelo, mi fa quasi ridere.

Batto altra cenere via dalla sigaretta, percorro un passo distratto verso la strada, vedo una ragazza, credo una studentessa, passarmi accanto con gli occhi spalancati, le sorrido.

Inciampa e si regge sulla sua amica, le diventa la faccia del colore del fuoco, distoglie lo sguardo e si allontana, io nascondo una risata.

È proprio vero, che non invecchio, cazzo. O quantomeno che il mio fascino non lo fa, mettiamola così.

Trentasei.

Oggi ne faccio trentasei.

Trenta... trentasei.

Sento le mie labbra tirarsi su di nuovo, questa volta per quanto ci provi non tornano a posto, chiudo la bocca attorno al filtro, lascio che la mia mente navighi.

Tu non ne hai nemmeno venti.

Io sono più vicino ai quaranta che ai trenta e tu non ne hai nemmeno venti.

Non me lo sarei mai, mai, mai immaginato. Nemmeno negli scenari più improbabili, lo giuro. Se qualcuno mi avesse detto sei mesi fa che avrei tradito mia moglie con una studentessa e che quella studentessa sarebbe stata del primo anno di triennale, praticamente uscita da meno di un anno dal liceo, gli avrei riso in faccia.

Guarda tu come vanno le cose, eh?

Hai proprio tagliato la testa a tutte le aspettative che avevo sulla mia vita, Kenma.

Giù, con la lama della tua ghigliottina sulla mia vita perfetta, sulla mia relazione perfetta, il mio lavoro perfetto. Non hai lasciato superstiti, hai ucciso finché il campo di battaglia non è diventato il plateale bagno di sangue di una strage, hai eliminato tutto quello che credevo rendesse me... me.

Però, Dio se non è vero, non mi sono mai sentito più me stesso di così.

Mi sale un brivido d'impazienza lungo la schiena, quando una macchina si ferma lungo la strada, ma non c'è Kenma dentro, e quel brivido diventa delusione.

Dove sei?

Oh, Kenma, dove sei?

Ti ho vista solo un'ora e mezza a lezione, oggi, non credi sia crudele da parte tua non dedicarmi nemmeno un po' del tuo tempo?

Mi manchi, mi manchi tanto.

È il mio compleanno, non dovresti essere con me a festeggiare?

Il mio telefono vibra, lo tiro fuori, guardo il messaggio e lo rimetto a posto.

Mae ha trovato i posti in platea. "Due in prima fila, così non ci perdiamo il discorso", ha detto.

Prendo un grande respiro all'idea.

Faccio il discorso d'inaugurazione al Gala dell'Università da quando mi hanno assunto. Perché sono il più importante qui? No, non per quello, ce l'abbiamo un rettore, però...

"Tetsurō, perché non fai tu il discorso? Io sono rettore da vent'anni, ne avrò fatti un milione, e con quella faccia c'è anche caso che ci trasmettono in TV."

Era ovvio che volessero me, no?

Ovvio.

Non metto in dubbio che renda piuttosto attraente la prospettiva di studio, avere me come volto dell'Università di Tokyo. Senza contare che sono il più sveglio, qui, il più promettente, l'unico che vincerà un Nobel e di sicuro il preferito degli studenti.

Parlare in pubblico non mi ha mai messo ansia, anzi mi è sempre piaciuto, per questo ho accettato.

Mi piace.

Mi piace che le persone pendano dalle mie labbra, che l'attenzione sia solo su di me, che ascoltino me. Mi piace che gli occhi siano tutti dalla mia parte, che i volti degli altri comunichino quanto affascinante io sia, quanto perfetto e bello e forte sento di essere.

Mae ha preso due posti, eh?

Ha tutta l'intenzione di fare la gentile con Kenma, miseria.

Mi viene da ridere al pensiero che dovrò fare il discorso con mia moglie e la mia amante ad un paio di metri da me in prima fila, tutte e due che mi fissano con gli occhi spalancati e che mi fanno sentire l'unico uomo nel mondo.

Da film, no?

Sì, è un po' da film.

Decisamente un po' da film.

Prendo l'ennesimo tiro, trattengo il fumo nei polmoni per un secondo, lo lascio uscire, mi sposto verso il posacenere vicino al primo arco d'ingresso, spengo la sigaretta fra le pietrine messe apposta.

Non si buttano per terra se la gente ti guarda.

Solo quando non ti guarda nessuno.

No?

Dio, se l'ipocrisia non è uno dei miei tratti caratterizzanti più forti, fa quasi ridere.

Sistemo la giacca sotto al cappotto più per istinto che per una vera e propria necessità, tiro indietro i capelli e torno verso la strada.

Le persone che mi passano accanto, tutte dirette dove sarò diretto io fra qualche istante, sono tremendamente, noiosamente uguali. Non sono un esperto di moda e sinceramente non provo alcun tipo di particolare interesse nella cosa, ma ad un certo punto della mia vita, un'idea su cosa gli abiti dicano di una persona me la sono fatta.

E quello che mi comunica un vestito lungo di un colore scuro, né scollato né accollato, con le maniche a metà del braccio, attillato sopra ma largo sotto, con il paio di tacchi più noiosi e banali mai creati, è che non sei una persona interessante.

Mi mordo la lingua da solo.

Merda, Kuroo, Mae è vestita esattamente così, non fare il pezzo di merda.

Scuoto via il pensiero e torno al mio dolce far niente nell'attesa che Kenma si presenti. Adorabile, carina e dolce quanto le pare, ma miseria se la ragazza non è ritardataria.

Mi sento salutare e alzo la testa.

Sorrido al ragazzo che agita la mano verso di me, rispondo con un gesto del capo, aspetto che mi mimi un "buonasera" fra le labbra e passi oltre me, la mia faccia torna com'era prima un secondo dopo.

E chi cazzo lo sa chi è questo.

Un esercitatore? Un dottorando? Boh, per quanto mi riguarda potrei non averlo mai visto nella vita, considerato quanto di lui mi ricordo.

Forse sono davvero uno stronzo. Cioè, so di esserlo, ma forse lo sono tanto. Tanto... tanto. Non ricordarsi le persone con cui lavori ti rende stronzo? Beh, di certo lo fa scoparti una diciannovenne quando sei sposato con una donna con cui stai da dieci anni, però questo...

Mi viene da ridere.

È Kenma, che non si ricorda mai le altre persone. Che elimina le loro facce dal suo database di ricordi nel giro di un paio di secondi. E penso sempre che sia una stronza quando lo fa, ma penso anche che sia davvero attraente, perché di me si ricorda, di me sa tutto. Sarò uno stronzo attraente anch'io, allora, mi dico. Potrebbe andare peggio. Molto, molto...

Chissà come si è vestita.

Mi ha detto che avrebbe messo un vestito, è tutto quello che so. Quando ho provato a chiederle una foto o un qualsiasi suggerimento sulla cosa, si è categoricamente rifiutata dicendo che "poi non me lo fai mettere, Tetsurō, quindi no, lo scopri quando è troppo tardi per lamentarsi".

Non è un buon segno, vero?

No, non lo è.

Eppure...

L'idea, solo l'idea, mi piace.

L'idea che stia in piedi di fianco a me, bella come un angelo, con la sua perfezione di porcellana e il suo profumo intossicante, di fronte a tutte le persone che mi conoscono.

Non sei il mio trofeo, Kenma, non lo sei, al massimo per come sono andate le cose io sono il tuo.

Però...

L'ha detto lei, no? Che sarebbe venuta perché voleva far vedere a tutti che l'unico a potersi permettere qualcuno come lei fossi io. L'ha detto lei. Non è colpa mia se penso che possa essere una sensazione piacevole, l'ha detto lei.

Dio, non vedo l'ora.

Eccola, la creatura più bella che mai vi capiterà di guardare nella vostra vita. La sua pelle chiarissima, i capelli che sembrano d'oro, il naso perfetto e le labbra rosate, il corpo sottile, la figura sinuosa, la voce intessuta di fili d'aria e il profumo vanigliato a tratti quasi stucchevole, per quanto è dolce.

Con chi è?

Con me, dite?

Che altro vi aspettavate?

Come sarebbe potuta essere con uno qualsiasi di voialtri?

La mia Kenma, la mia piccola Kenma. La dimostrazione più palese del fatto che io sono il centro del mondo, che il Sole non sorge senza di me, che come sono io non lo sarà nessun altro.

Mi fai male.

Mi fai male davvero, piccola tentatrice.

Mi rendi il peggior uomo possibile, e, cosa che mi spaventa ancora di più, me lo fai piacere come non mi è mai piaciuto niente.

Scivolo via dalle mie speculazioni quando l'ennesima macchina si ferma di fronte alla strada.

Ne sono passate tante, negli ultimi cinque minuti, il Gala inizierà a momenti e stanno arrivando tutti, però c'è qualcosa che mi dice di guardare questa, di cercare in questa, e ascolto l'istinto, cosa che negli ultimi mesi sono diventato piuttosto bravo a fare.

Alla guida c'è qualcuno che non conosco, che però ha la faccia familiare.

La portiera del passeggero si apre, ma è dal lato opposto al mio, non vedo chiaramente che cosa succeda. So soltanto che nessuno sembra scendere dalla macchina, per ora, e che l'unico barlume che carpisco somiglia pericolosamente a... un ciuffo di capelli biondi.

Mi avvicino subito.

Subito.

– Ok, grazie, vai a casa. Ci vediamo a lezione. – sento dire dalla voce di Kenma e aggrotto le sopracciglia, un po' confuso.

– In che senso "vai a casa"? –

La voce che le risponde è più confusa di me.

– Vai a casa. È difficile da capire? Vai a casa. –

– Ma credevo che... –

Riconosco la risata. La riconosco, perché è angelica, tintinna appena, ma è completamente permeata dalla più sfacciata malizia che abbia mai sentito in una persona.

– Che ti avessi chiesto di portarmi al Gala nel senso che saremmo andati insieme? Sul serio? Io e te? No, volevo solo il passaggio. –

Mi escono gli occhi dalle orbite.

Lei ha...

È un genio.

Un genio.

– Ho pure comprato il vestito per venire! –

– Sì, l'avevo capito, c'è il cartellino ancora attaccato dietro, coglione. –

Dovrei intervenire in qualche modo? No, perché dovrei farlo, alla fine è divertente e credo che Kenma se la stia più che cavando da sola, quindi...

Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni, mi fermo, rimango ad ascoltare e basta.

– Kenma, sei la persona più insopportabile che io abbia mai conosciuto, davvero. Come cazzo si fa ad essere così cattivi? Tu ti approfitti delle persone e le usi e sei una... –

– Sì, sì, sì, come vuoi. Sono orribile cattivissima oscena tutto quello che ti pare. Tu però sei un illuso, lascia che te lo dica. È un consiglio, il mio, se le cose sembrano troppo belle per essere vere è perché non sono vere. –

Ride di nuovo.

Rigiri il coltello nella piaga, Kenma?

Certo che lo fai.

Sei tu stessa, dopotutto, il coltello.

La intravedo quando si piega, ancora dentro l'abitacolo ma con la portiera aperta, per guardare dal finestrino dell'autista. Mi guarda e mi sorride, io non vedo nient'altro che non sia il suo viso.

Batte con la nocca sul finestrino, dalla mia parte.

– Lo vedi? –

Il tipo mi guarda, poi si gira verso Kenma.

– Chi, Kuroo di Chimica? –

Schiocca la lingua.

– Kuroo Tetsurō, cinque lauree e la faccia più attraente di tutto il cazzo di universo. Quello è un uomo che può permettersi me, non tu. –

Il tipo mi guarda malissimo.

Io sorrido, sorrido e basta, fingendo di non sentire quello che stanno dicendo.

L'ha detto lei, non l'ho detto io.

L'ha detto lei.

– Ora uscirò dalla macchina e tu, da bravo, te ne tornerai dove devi stare. Lontano da me a guardare le mie foto con le mani nei pantaloni. –

– Sei davvero una... –

Mi guarda di nuovo, batte di nuovo sul finestrino con la mano verso di me.

– Riguardalo un'altra volta, tanto che ci sei. Ti prego, non è l'uomo più bello del mondo? Trovo attraenti gli uomini alti ma lui non è solo alto, è proprio tutto bello. E la sua voce, anche. Sono sempre un lago quando parla, tu no? –

Il tipo mi fissa male un'altra volta, poi si sposta su Kenma, costernato.

– L'archetipo di uomo. Così, dovete diventare tutti. Cioè, almeno dovreste provarci. Non credo sia possibile per uno qualsiasi di voi raggiungere quel livello di perfezione però dovreste davvero provarci, se aveste un terzo del fascino di Kuroo Tetsurō sono sicura che stareste molto meglio con voi ste... –

– Scendi. Davvero, scendi. –

– Ti sei offeso? –

Lo sento sospirare.

– Scendi, prima che ti metta le mani addosso. –

– Dio, quanta aggressività. –

Ride un'ultima volta, poi vedo la sua testa comparire dalla cima dell'abitacolo, capisco che è uscita. Chiude la portiera con un tonfo, non fa quasi in tempo a fare un passo indietro che la macchia scompare da di fronte a lei.

Si spaventa.

Fa un saltello indietro.

Però finisce tutto in un attimo, perché quello dopo la macchina non c'è più, e ci sono io, di fronte a lei.

Io...

Con le labbra che si separano e gli occhi spalancati, fermo immobile nella notte che mi circonda.

Il mio corpo non reagisce.

Il mio cervello non processa.

Ridevo, un attimo fa? Ridevo di quanto crudele tu fossi con chiunque non sia io? Cosa stavo facendo, un attimo fa, che cosa diavolo stavo...

Ho pensato, non so quanto tempo fa, non so nell'arco della mia attesa in quale posizione specifica, non me lo ricordo neppure, che i vestiti comunicassero di una persona la propria interiorità, che rendessero chiaro e palese che tipo di persona fosse chi li indossa.

L'ho pensato, vero?

E ho pensato che tu e Mae siete completamente diverse.

Dimenticavo di ricordare anche in cosa, siate diverse, e ora invece non serve ricordarlo perché lo so, lo conosco, lo comprendo meglio che in qualsiasi altro momento della mia vita.

Kenma ha un vestito, addosso.

Uno di quei vestiti corti che arriva solo fino alla cima delle cosce, stretto esattamente sotto il seno da una cucitura che non stringe, segna solo otticamente la forma del corpo, con le maniche larghe, arricciate sulle spalle, morbide, svolazzanti, che approdano in un paio di bande elastiche sui gomiti.

È un vestito comune, l'ho visto indosso a più di una ragazza.

Si confà alla sua età.

È giusto.

O almeno lo sarebbe, se non fosse completamente, chiaramente trasparente.

È nero, ma il nero che ne compone il tessuto non è una campitura bidimensionale e fitta che copre il corpo, no, è un velato accenno di presenza, una sorta di sbiadita barriera fra la sua pelle e i miei occhi.

Ha un body, sotto. Scosciato come poche cose che ho avuto il piacere di vedere al mondo, nero e aderente, con le spalline larghe e la scollatura rotonda. Le mostra il tatuaggio, la forma dei fianchi, la vita stretta, il petto magro. È un indumento intimo, semplice ma intimo, e si vede perfettamente.

Poi ci sono gli stivali.

Alti fino a metà delle cosce, di pelle, aderenti, sempre neri. Hanno un tacco esageratamente alto, il plateau di almeno cinque centimetri, si stringono sulle sue gambe come se ci fossero fusi indosso.

Ha i guanti.

Stessa pelle, le coprono tutto il braccio fin quasi alla spalla.

I capelli sono lisci, lisci e perfetti attorno al suo viso, ha gli occhi scuriti dalla matita sia sopra che sotto, due chili di mascara sulle ciglia, le brillano le labbra, gli orecchini che porta sono semplici fili d'argento, la catenella della borsa le si aggrappa alla spalla e cattura la luce.

È...

Lei è...

Mae ha messo un vestito lungo. Non me ne ricordo il colore e siamo venuti assieme. Un po' scollato, niente di eclatante, coi tacchi. Non ha messo gioielli particolarmente elaborati, solo le perle che le danno un paio d'anni in più rispetto a quelli che effettivamente ha, credo si sia messa un po' di rossetto.

È questo, che intendo, quando dico che comunicate nel modo in cui vi presentate.

Che si vede da questo, quanto siate diverse.

Che si vede da questo, chi sei.

Sei fastidiosa. Fastidiosa al punto che vai ad un Gala mezza nuda, con la gonna corta, perché ti piace e tu fai quello che ti piace, non quello che dovresti. Sei giovane, metti cose da ragazza giovane. Ti piace che le persone ti guardino, che fissino i loro occhi su di te anche più del necessario e che si sentano inebriate dal tuo aspetto. Sei sensuale, ricordi, rimandi al sesso, ed eppure sei anche serafica e questo ti rende così...

Immorale.

Meravigliosamente immorale.

Meravigliosamente...

– Wow. –

Sbatto le palpebre per la prima volta da quando l'ho vista, sposto in alto lo sguardo, sul suo viso, il mio cervello processa la parola che ha detto.

– Wow? –

Annuisce.

– Wow. – ripete.

Si sta facendo un complimento da sola? Si sta...

Oh, miseria, no. Mi distrae così tanto da qualsiasi cosa esista sulla Terra che certe volte mi dimentico persino di esistere nel mondo nelle fattezze di un uomo, più nello specifico per il mio caso, un bell'uomo.

Mi scorre gli occhi addosso, dalle gambe al viso, con la stessa enfasi che potrei aver avuto io qualche attimo fa, si morde l'interno della bocca, approda ai miei occhi e sorride. Piega il capo per squadrarmi con un'altra angolazione, mi riguarda di nuovo, s'impasta le labbra e le lascia libere un attimo dopo, evita i miei occhi e guarda tutto, tutto di me, tranne quelli.

Ho messo il tre pezzi, quello grigio scuro, quello di sartoria che mi sta alla perfezione. La camicia è bianca, la cravatta di un grigio un po' più chiaro del completo, stessa scala di colori ma un po' meno saturato. So che mi sta bene, perché esalta la mia fisicità, la mia statura, le mie gambe lunghe, le mie spalle larghe. So anche che il grigio fa risaltare il nero dei miei capelli e lo rende più intenso, più scuro, e che fa sembrare oro l'ambra dei miei occhi.

Senza contare, poi, che vestito così non dimostro un anno di meno rispetto a quello che ho. Che sembro e sono un bell'uomo di trentasei anni con un'ottima carriera e tonnellate di fiducia in me stesso.

E sappiamo tutti che a Kenma piace, ricordarsi quanti anni ho.

No?

Sono così, io, quando ti guardo?

Ti senti anche tu come mi sento io, ora?

Ti senti anche tu al centro dell'attenzione, bella, forte, migliore di chiunque altro, quando ti guardo?

Perché così mi fai sentire.

Così...

– Non so se l'hai sentito prima ma l'ho detto al tipo che mi ha accompagnata, non capisco perché ci siano uomini che non crepano d'invidia quando ti vedono. Sei l'uomo più bello del mondo. –

Sorrido, mi avvicino di mezzo passo.

– Ho sentito, ma grazie di avermelo ripetuto, Kenma. –

– No, forse tu non ti rendi conto, parliamone. –

Indietreggia del mezzo passo che avevo guadagnato e mi riguarda. Credo sia più facile vedere la figura intera, così, o qualcosa del genere.

– Non so quando e non so come ma prima o poi tu mi scopi con questo addosso. E non è una richiesta, è una pretesa. –

Rido, allungo una mano verso le mie labbra e premo l'indice in verticale sulla punta del mio naso.

– Parla piano, bestiolina. –

– No, non parlo piano, è una cosa che non si può dire piano. –

– Come vuoi, allora. –                                        

Alza gli angoli della bocca, sporge una mano verso di me che la prendo senza pensarci. Si fa aiutare a superare il dislivello del marciapiede, poi lascia le mie dita, mi si mette di fronte.

– Io, invece? Ti piaccio? –

– Sei mozzafiato, Kenma. –

Sorride, le si scalda il principio delle guance nonostante si veda quanto si aspettasse la mia risposta, si guarda dall'alto e sistema il vestito con le mani.

– Sai cos'è una cosa che ho pensato di questi vestiti mentre li mettevo e che mi ha resa molto felice? –

– Cosa? –

Si guarda velocemente attorno per controllare che nessuno ci guardi, poi mi appoggia una mano sulla spalla, piega la testa, sbatte piano la tempia contro l'osso della mia clavicola.

– Che ho quindici centimetri di tacco e sono comunque molto più bassa di te. Lo trovo super carino e super attraente. –

In effetti i suoi tacchi sono alti, decisamente alti, ed eppure il centro della sua testa mi sfiora... la spalla.

È proprio minuta, Kenma, lo è davvero.

Mi concedo, solo per un istante, di accarezzarle un fianco. Non mi chino a baciarla come vorrei e non strizzo la sua pelle come mi piacerebbe fare, no, passo solo le mie dita vicino alla sua pelle e mi accontento nonostante il mio corpo mi urli di volerne di più.

Ci guardiamo per qualche istante.

Poi mi giro verso la scalinata dell'ingresso e faccio cenno di andare, lei capisce e mi segue.

– Riesci a camminarci? – scherzo, guardandola sistemarsi un attimo gli stivali sulle cosce.

Mi guarda da sotto le ciglia.

– Certo che so camminarci, per chi mi hai presa? –

Le sorrido.

– Sono altissimi. –

Fa spallucce.

– Quasi trecentomila yen da Versace, non sono solo altissimi, sono anche bellissimi e mi stanno benissimo. –

– Su questo non c'era dubbio, Kenma. –

– Ecco, giusto così. –

È vero che sono bellissimi ed è vero che le stanno benissimo. Le abbracciano la pelle e le fanno sembrare chilometriche le gambe, la alzano quel tanto che le allunga la figura e s'intonano con i guanti che fanno lo stesso identico effetto.

Mi passa un'idea per la testa e non la scaccio.

Anzi, mi chino dalla sua parte e gliela sussurro all'orecchio, di modo che possa sentirmi solo lei.

– Sai dove mi piacerebbero quegli stivali? –

Si gira verso di me.

– Con la gonna quella con le pieghette nere che ho messo a lezione giove... –

– Sulle mie spalle, Kenma. Starebbero benissimo. Sai quando ti prendo le cosce e ti piego in due e tu metti le caviglie vicino alla mia faccia? Quella posizione che ti piace tanto perché dici che ti sembra di sentirtelo in gola da quanto in fondo ti arriva. Ci starebbero benissimo. –

Mi sento cacciare via da una delle sue mani che si apre su una mia spalla e mi spinge, forte, indietro.

Il verso che raggiunge le mie orecchie è un lamento.

Quando alzo lo sguardo sul suo ha le pupille dilatate, si sta mordendo l'interno della bocca e le sue guance hanno un tono rosato decisamente visibile addosso.

– Sei un figlio di puttana. –

Le sorrido.

– Come mai? –

– Un figlio di puttana, il re dei figli di puttana. –

Ridacchio.

– Avanti, Kenma, era solo uno scenario. Sei grande abbastanza per controllare i tuoi istinti, non credi? Datti pace, bestiolina, abbiamo un Gala a cui andare. –

– Non possiamo scappare, scopare e tornare qui? –

– No, temo di no, ho un discorso da fare. –

Stringe le labbra, caccia un urletto infastidito dalla gola che viene attutito in un mugugno dalla bocca chiusa.

– Perché deve essere attraente tutto quello che fai? Ti odio, Tetsurō, sei il mio incubo. Il mio incubo, il mio... –

– Trovi attraente che io faccia un discorso? –

– Sì. –

Si ferma quando arriviamo al bordo della scalinata, mi prende il bordo della giacca e lo tira per sistemarlo.

– Quando lavori in generale, ma soprattutto quando parli e tutti ti ascoltano. Mi sembra che tutti s'innamorino un po' di te quando lo fai, ma tu guardi solo me e io mi sento bellissima e mi sento importante. Un po' un trofeo, non so se mi spiego. –

– Ti piace essere un trofeo? –

Fa spallucce.

– Non sempre, ogni tanto. –

China lo sguardo e lo tira di nuovo verso di me.

– È che le persone si vergognavano di me quand'ero piccola, sai. Ora l'idea che qualcuno mi usi come trofeo, che mi metta in mostra e che si vanti di me mi fa... non lo so, cosa mi fa. Un effetto strano. Però... –

Si guarda attorno un'altra volta, fissa tutte le persone sulle scale, una ad una, poi torna su di me.

– Dev'essere una persona che se lo meriti. Una molto attraente, molto intelligente, che gli altri rispettano istintivamente e che attira l'attenzione almeno quanto me. –

– Stai parlando di me, Kenma? –

– Sto decisamente parlando di te. –

Baciarti.

Vorrei baciarti.

Vorrei...

Sporgo il braccio verso di lei.

– Vuoi fare un po' il trofeo, allora? –

Spalanca un po' gli occhi.

– Ora? –

Annuisco.

– Ora. –

Avvicina timidamente il braccio al mio, avvolge l'avambraccio attorno al mio bicipite, apre le dita sul tessuto del mio cappotto.

– E Maeko? – mi chiede.

– Se ce lo chiede ti stavo aiutando a scendere le scale senza romperti l'osso del collo. –

– Oh, ok. –

Mi giro verso la scalinata. Qualche testa inizia a girarsi e non so se sia verso di me o verso Kenma, verso i miei due metri in un completo di sartoria o la sua pelle d'avorio stretta in un body e stivali di pelle.

– Pronta? –

– Sono... sono pronta. –

Scendo il primo scalino.

Le sue scarpe fanno un rumore secco, duro sul marmo, che riverbera nell'eco della scalinata. Le persone che fino ad allora non facevano altro che parlottare fra loro si girano quasi distrattamente, a cercare la fonte di quel rumore, e poi si fermano, quando appoggiano lo sguardo su di lei.

La fissano.

Forse fissano anche me, ma so per certo che fissano lei.

Al secondo scalino cala il silenzio.

Non fiata nessuno, l'intera platea è rivolta e incantata su Kenma, su di noi, non credo stiano nemmeno sbattendo le palpebre. Sembra di star sospesi a mezz'aria in una dimensione surreale, eterea, formata e intessuta negli sguardi degli altri che ci scorrono addosso.

Mi giro verso Kenma.

C'è...

Stupore, all'inizio.

"Stanno davvero guardando me?"

Poi un po' di confusione, poi...

Le stringo il braccio col mio.

Sorrido il mio sorriso più egocentrico, bastardo e malizioso possibile, quello un po' storto che è mio di fabbrica.

Quando mi guarda...

"Sei davvero così fiero che ci sia io, qui con te?"

Glielo leggo negli occhi.

È un "sì", quel che rispondo coi miei.

Ed eccole, l'insicurezza, lo stupore, la confusione che le sfumano via dalle dita. Quel grammo dell'innocenza di una diciannovenne che copre i vuoti dentro di sé con le spine del suo carattere scompare, e so che ama che scompaia, che si sente meglio, quando scompare.

Al suo posto appare Kenma, la mia Kenma, la Kenma che mi fa fare quel che vuole come lo vuole, quando lo vuole.

Cleopatra col suo Aspide, Cleopatra che mette la veste e compie il suo destino immortale.

Fiera, stronza, insopportabile, con gli occhi che ti dicono che non potrai mai essere come lei, il corpo che scioglie qualsiasi gusto personale ed è egualmente attraente per tutti, il profumo che t'intossica, i movimenti delicati, eleganti, la bellezza serafica e sfacciata assieme.

Mi si aggrappa al braccio e scende le scale con me.

Le scende uno scalino alla volta, piano, sorridendo di tanto in tanto.

Si sente una principessa, lo so, lo vedo. Si sente una principessa quando una delle mie colleghe si gira verso di me e apre la bocca per salutarmi ma il suo sguardo le esaurisce la voce in gola nel timore di dire qualcosa che potrebbe urtarla, quando le altre persone attratte da me chinano lo sguardo di fronte a cotanta perfezione, quando i volti della gente si girano al suo passaggio.

Felice, euforica, è così che si sente e lo so.

E mi piace, Dio quanto mi piace, Dio quanto mi fa sentire bene.

Lei si sente così perfetta perché è a braccetto con me, vero? Perché è un trofeo ma non il trofeo di una persona a caso, l'ha detto lei, ma il mio.

Siamo un circolo vizioso.

Io gonfio il tuo ego e tu gonfi il mio, il mio egocentrismo s'innamora della tua cattiveria e la tua cattiveria s'innamora del mio egocentrismo, io cado in pezzi per te e tu ami ogni singolo pezzo più del precedente.

Siamo tremendamente problematici.

Lo siamo, Kenma.

Ma non siamo forse fatti per stare insieme? Obiettivamente, non siamo le uniche due persone in grado di amarci a questo modo?

Oh, Kenma.

Siamo il centro del mondo.

Lo vedi come si ferma a guardarci la gente?

Siamo tremendamente problematici e vorrebbero comunque essere noi.

La guardo, lei guarda me.

Ci sorridiamo.

Lo so, che stiamo pensando la stessa cosa, noi pensiamo sempre la stessa cosa. Lo so, che sei d'accordo con me, che l'evidenza dei fatti ci porta alla stessa identica conclusione.

Saremo anche l'apoteosi del fallimento della morale, Kenma.

Ma siamo perfetti, Dio, siamo perfetti. Siamo belli e siamo importanti, siamo quel tipo di persone che fermano il tempo in una stanza solo entrando e quel tipo di persone a cui lo sguardo altrui rimane incollato addosso, siamo quello che tutti vorrebbero essere.

Ti amo.

Ti amo tanto.

E so, che anche tu ami me.

L'unica cosa che ci distoglie dalla surrealtà di quello che ci circonda, è il flash di una foto quando arriviamo al termine della scalinata. Chiaro ed istantaneo, ci si spalma addosso e poi scompare, ci tira fuori dai nostri pensieri.

Giro la faccia.

C'è una ragazza con una macchina fotografica professionale in mano che ci guarda e sorride, si avvicina quando ci avviciniamo all'ingresso effettivo dell'aula magna, sorride ancora di più.

– Buonasera! – saluta.

– Buonasera. – rispondo, un po' confuso dal fatto che non ho idea di chi sia ma egualmente educato.

Kenma non dice niente, si avvicina al mio braccio e si stringe come se volesse essere protetta.

– Sono una giornalista del Tokyo Shinbun, sono qui per l'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università. Mi perdoni per la foto ma era decisamente un'immagine da prima pagina. Lei è il professor Kuroo Tetsurō? –

Annuisco.

– Proprio io. –

Lascia scendere la macchina fotografica sul petto, le rimane legata al collo dal cinturino, scava nella tasca e tira fuori un bloc-notes, una penna che stappa infilando il tappo fra le labbra, cala gli occhiali sul ponte del naso.

– Posso farle qualche domanda? –

– Perché a me? –

– Perché il suo dipartimento è famoso a livello internazionale e lei lavora in quel posto da quanti, quattro anni, cinque? È il volto dell'Università di Tokyo. E poi non è lei che legge il discorso d'inaugurazione? –

– Sì, sono io. –

– Ecco. –

Scrive il mio nome in cima al foglietto. Poi indica Kenma con la penna, alza le sopracciglia.

– Lei è sua moglie? Mi hanno detto che era sposato, certo, me l'aspettavo un po' più grande, ma... –

– Oh, no, lei è... –

Kenma mi si stringe attorno al braccio ancora più forte, si sporge oltre la mia spalla e guarda la giornalista.

– Sembriamo sposati?  –

Quella fa spallucce.

– Sembrate... sembrate una coppia, immagino. –

Sorride a trentadue denti, Kenma, ma non dice altro e mi lascia lo spazio per negare qualcosa che, in realtà, non è poi tanto falso.

– Non è mia moglie. Le ho dato il braccio solo perché ha i tacchi alti e non volevo che inciampasse per le scale. –

– E ora? –

Guardo Kenma avvolta sul mio braccio.

Ora è perché mi va, stronza.

Lascio scivolare via il corpo della mia amante dal mio braccio, lei alza gli occhi al cielo ma non protesta.

– Non me n'ero accorto. –

La giornalista mi guarda ma non dice niente.

Riprende il suo taccuino e alza i fogli per guardare le domande.

– Allora, posso farle qualche domanda? –

Piego la testa di lato per guardare cos'ha scritto e scorro con lo sguardo brevemente fra le cose annotate, poi la riguardo e le sorrido.

– Sono tutte cose che dirò nel discorso, forse le conviene ascoltare prima quello e se c'è qualche altra curiosità che me la chieda dopo. –

– Ne è sicuro? Oppure vuole solo evitare le domande? –

– Se avessi voluto evitare le domande non mi sarei fermato a parlarle. –

Kenma ride appena, si mette una mano di fronte alle labbra e mi lancia un'occhiatina.

La giornalista guarda male lei e me, poi sospira.

– Ok, giusto così. Vengo a cercarla dopo. La prego di non evitarmi perché ci porto da mangiare in tavola, io, con questo. –

– Le prometto che dopo non la eviterò. –

– Grazie. –

Si toglie gli occhiali e li riporta su fra i capelli, mette via il taccuino, riprende la macchina fotografica.

– Se la fa fare un'altra foto, almeno? –

Ridacchio.

– Ci sono tante altre persone rilevanti per l'Università giapponese a cui farle, qui. –

– Sì, ma nessuno è bello come lei. Avanti, stia buono e mi faccia vendere qualche copia. –

– Ok, ok, va bene. –

Indietreggio di qualche passo e mi trascino dietro Kenma, perché se deve vendere qualche copia che ne venda a tonnellate, a questo punto, la osservo smanettare con la macchina fotografica e puntarla su di noi.

– Ok, fatemi un sorriso. –

Prendo fiato, sento Kenma fare lo stesso. Non so cosa succeda, poi, so solo che sento tirare il tessuto del vestito, ad un certo punto, e che di riflesso mi giro verso Kenma. So che il mio sorriso si rilassa, quando cerco nel suo sguardo il motivo del suo gesto, so che tutto il mio corpo si rilassa.

Lei mi guarda.

L'attimo dopo il flash scatta e immerge noi intenti a guardarci l'un l'altra.

Non faccio in tempo a protestare che la giornalista dice un "perfetto grazie", prende la sua roba e si dilegua in aula magna come se niente fosse.

Noi rimaniamo là.

Interdetti.

Un po' confusi.

E... e basta, credo.

Non so bene cosa sia successo, tutto quello che so è ci ha scattato una foto dove ci guardavamo a vicenda, e rimuovo la cosa un istante dopo, davvero, lascio perdere e così fa Kenma, alzando le spalle e dicendo un "ok" poco convinto.

– Entriamo? – chiedo, per cambiare argomento.

– Fra quanto hai il discorso? –

– Credo una ventina di minuti. –

– Non possiamo andare a fumare nell'attesa? –

Abbasso le sopracciglia verso di lei.

– Io ho appena fumato, non ho voglia di rifare le scale e sai che non voglio che fumi. –

Abbassa il tono della voce.

– Ma se mi trovi tanto carina quando fumo. –

– Sai che sei troppo piccola. –

Ridacchia.

Poi mi tira giù verso di sé e mette la mano vicino al mio orecchio come a dirmi un segreto.

– Sono abbastanza grande per fami scopare fino a perdere i sensi ma non per fumare? –

– Non ti ho mai fatto perdere i sensi. –

– L'altro giorno ricordo di aver pensato che sarei morta. –

– Sì, ma non è successo. –

Si stacca dal mio orecchio, ma mi si avvicina e mi guarda dal basso. Una cerbiatta, certi giorni, e una volpe altri, oggi decisamente la sua prima versione. Sbatte le ciglia.

– Una sola. Per favore. Una sola. –

– Kenma. –

– Giuro che faccio la brava, se me ne dai una. –

– Ho detto no, Kenma. –

Fa il broncio.

– Fai l'autoritario con me, Tetsurō? –

– Fai finta che non ti piaccia, Kenma? –

– Giuro che se non mi dai immediatamente una sigaretta, io... –

– Tetsu! –

Ci giriamo di sasso.

Davvero, di sasso.

Rigidi e con gli occhi spalancati verso l'ingresso principale.

Maeko ci guarda.

Oh, merda, Maeko. C'è anche Maeko, stasera, l'ha invitata Maeko. Miseria, perché devo sempre dimenticarmi di queste cose che...

Kenma fa mezzo passo indietro, io sorrido a mia moglie, cerco di tranquillizzarmi e le appoggio una mano sulla spalla affettuosamente quando si avvicina.

– Mae, non eri dentro a prendere i posti? –

– Li ho presi, ma è passata mezz'ora ed ero preoccupata perché non vi vedevo arrivare e credevo che vi foste persi. Tutto bene? –

Kenma la guarda.

La guarda e la disprezza davvero tanto.

Le sorride.

– Benissimo, il professore mi stava impedendo di fumare una sigaretta. Può dirglielo che deve smettere di comportarsi come se fosse il mio ragazzo e farmi fare quello che mi pare? –

Mae ride, anche se un po' imbarazzata.

– Si comporta come se fosse il tuo ragazzo? –

– Sa, come quei tipi che ti dicono cosa puoi fare o non fare. Come un padre, come un fidanzato. –

– Un padre e un fidanzato sono due cose molto diverse. – risponde Mae, ridacchiando.

– Lei dice? –

Mae mi guarda, poi guarda Kenma.

– Direi proprio di sì, Kenma. –

– Mmh, se ne è convinta. –

Sospiro per intromettermi.

– A prescindere da come decidi di vivere le tue relazioni, Kenma, sei troppo piccola per fumare, è un dato di fatto. –

– Lei è davvero un guastafeste. –

Stringo lo sguardo su di lei.

– E io che pensavo di essere piuttosto divertente. –

– Lo è solo quando sta zitto. –

Mae ride, Kenma ride, la situazione sembra sciogliersi, tutto sembra evaporare. Il fatto che ci abbia trovati praticamente spiaccicati assieme, la battuta sul mio ruolo nella sua vita, tutto scompare nell'aria fredda nella sera.

– Mi piace molto come è vestita, comunque, professoressa. –

– Davvero? –

Vedo Kenma squadrare il vestito lungo di Mae. È un bel vestito, molto classico, di un colore viola scuro, caldo, che s'intona con la sua carnagione.

– È proprio in palette. –

– In palette? –

Kenma sorride e annuisce.

– Lei è un autumn deep, si vede da un chilometro. Il color melanzana le sta proprio bene. –

– Tu credi? Beh... grazie. –

Si tira su i guanti, Kenma, poi mi si mette un po' più vicino, giusto un po'.

– Io sono una summer light, il professore invece è palesemente winter deep. Sa che abbiamo quasi gli stessi colori solo con saturazioni diverse? Infatti sembra un po' che siamo vestiti coordinati, stasera. –

Mae perde quel po' di sorriso che aveva conquistato, ma non si fa trascinare dal fastidio, anzi, annuisce e non si lamenta.

– Un po' sì, è vero. –

Kenma mi stringe una mano sul braccio.

– Ha visto? Forse è per quello che la signora pensava che fossi sua moglie. Lo sa, professoressa? Una giornalista ci ha scambiati per marito e moglie, prima. Non è una cosa troppo tenera? –

Quando Mae diventa di sale decido d'intervenire per non trasformare il Gala in un bagno di sangue.

– Si è confusa, Kenma, è stato molto divertente. Ora, che ne dite di andare a... –

– Divertente? Non tenero, professore? –

La guardo.

– Divertente. – ripeto.

– Tenero. – dice lei.

Kenma, ti prego, Kenma, non...

Mi guarda negli occhi, poi sorride, e lascia perdere. Lascia perdere perché sa cosa fare, anche se le piace fare casino, e la amo per questo.

Mi lascia andare, indietreggia, torna verso Mae e mi dà quasi le spalle.

– Ha preso un posto anche per me, professoressa? Spero che sia in prima fila, voglio vedere il discorso da vicino. –

– Sì, l'ho preso anche per te. Siamo proprio al centro, così possiamo vederlo bene. –

– Perfetto, grazie mille. –

Kenma prende Mae sotto braccio, le si avvicina.

– Su, faccia strada, così Kuroo può andare dietro al palco a prepararsi. –

Mae è rigida, all'inizio, quando la prende, ma poi... sembra rilassarsi. Si rilassa, sì, sorride, ignora tutto quello che è appena successo e si lascia trasportare.

– Ok, andiamo. A dopo, Tetsurō! – dice, senza girarsi a guardarmi.

– A dopo. – rispondo io.

Fanno qualche passo, poi Kenma si gira oltre la spalla, per un istante. Si gira col mento dalla mia parte, mi guarda, le sue ciglia si muovono quando mi squadra.

Muove le labbra e mima una parola senza dirla, ma sono talmente bravo a leggere quel che dice, ormai, che la capisco.

Dice "tenero".

E io annuisco, sorrido e la lascio andar via a braccetto con mia moglie.

Sì, Kenma.

Tenero.

Perché è quello che siamo noi, no?

Mi viene da ridere.

No, noi non siamo teneri.

Siamo tante cose, ma teneri proprio no.

Ma come vuoi.

Tutto, come vuoi.

Per me, sarà sempre come vuoi tu.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

ok scusate sono sparita un po' ma sono uscita e niente im bacc spero che il prossimo esca presto im gonna try ciao cuori buona serata ora vado a bere di nuovo

se mi dite se il capitolo vi è piaciuto mi rendete felice sisisisi

per il resto buona serata a tuttə
see u soon
mel <3

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