𝚑𝚒𝚜 𝚎𝚢𝚎𝚜 𝚝𝚘 𝚊 𝚜𝚝𝚞𝚍𝚎𝚗𝚝

[he/him]

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Trentacinque anni sono quell'età in cui hai la vita completamente sotto controllo.

Non sei vecchio, non sei giovane.

Non sei incastrato nella routine, non sei distrutto e schiacciato da decenni di ripetizione, non sei annichilito e alienato da qualcosa che non sai più come cambiare, ma non sei nemmeno precario, incerto, insicuro di quel che ti attende.

Non sei svolazzante e variabile come un ventenne, non sei noioso e stanco come un quarantenne.

Sai quel che vuoi, gran parte l'hai già. Sai quel che hai dato, non c'è molto altro che tu possa dare. Hai l'esperienza, ma hai anche il margine della novità, hai la calma stabile ma anche l'emozione passeggera, hai il controllo, sia su quello che è, sia su quello che potrebbe essere.

Trentacinque anni sono quell'età dove sai dove stai andando a parare.

Dove sai quello che fai.

Dove sai chi sei, come sei, chi e che cosa porti e chi e che cosa perdi, a cosa torni, a cosa aspiri.

Trentacinque anni sono un'età controllata.

Io, io ho trentacinque anni.

Apro la porta dell'aula con tutta la calma del mondo, percorro pochi passi sul pavimento chiaro con il volto rivolto alla scrivania, lascio scivolare via la tensione dalle mie spalle e sospiro, nel silenzio più tombale, mentre cammino.

Io so chi sono.

Credo lo sapessi anche quando avevo diciannove anni, quando ho scelto di studiare quel che ho studiato, ma ora lo so meglio, ne sono molto più certo.

Sono Kuroo Tetsurō, la promessa del mondo della Chimica giapponese, lo scienziato, quello che si è laureato in anticipo, quello che non manca ad una festa ma al contempo ha un più che ottimo rendimento universitario, quello che piace, quello che fa scena.

Sono quello che ha fatto la magistrale dopo la triennale e la magistrale dopo la magistrale, quello del dottorato, quello del dipartimento, quello del corso, quello che chiamano a lavorare, quello che adorano, quello che insegna.

Sono quello alto, quello bello, quello affascinante che attira gli studenti degli altri corsi.

So chi sono.

E lo sanno anche gli altri, lo so come so che l'aula in cui entro è muta, perché tutti stanno guardando me.

Ho sempre amato la Chimica. Non so perché, so che è sempre stato così. Mi è sempre riuscita bene, nelle sue formule dritte e nei suoi calcoli sperimentali, è sempre stata il mio più grande talento. Ho sempre saputo che sarebbe stata il mio futuro.

Non credevo che fare il professore universitario lo fosse, ma le cose certe volte prendono strane pieghe, e questa, a ragion veduta, non è nemmeno stata poi così male.

Poso la cartella sulla sedia, mi tiro indietro i capelli con la mano, sono passati anni e sono meno indomabili, ma continuano ad essere strambi nel loro colore nero pece anche adesso, che ho trentacinque anni.

Mi slaccio i polsini della camicia.

Tiro su le maniche.

Riconosco distintamente il rumore di una risatina femminile verso il fondo dell'aula, sorrido d'istinto, so che effetto faccio ai miei studenti, non è nemmeno più una sorpresa, più un rassegnato orgoglio che ribolle nel petto, un divertimento innocuo, niente di che.

Apro il PC dell'aula, inserisco le mie credenziali e aspetto che il sistema carichi.

Do un'occhiatina all'orologio, guardo le lancette indicare perfettamente le otto e trenta, vedo che il sistema ha caricato, accedo al drive, scarico le mie slide, le metto su, condivido lo schermo con il proiettore.

Circumnavigo la scrivania, mi appoggio, respiro.

Sono sempre stato bravo in qualsiasi cosa mi ritrovassi a fare. Ero bravo a fare sport al liceo, ero bravo all'università, sono bravo ora.

Ma adesso... non è la bravura, è l'attitudine, a colpirmi.

Non mi ero mai reso conto di quanto mi piacesse questa posizione.

Sono contento, a trentacinque anni, di averlo capito.

Fare il professore è la mia vocazione.

Lo so quando alzo gli occhi e guardo la platea attendermi come se fossi Amleto, in piedi sul suo palco, a dichiarare la sua follia indecisa di fronte all'intera Danimarca.

Non tengo corsi solo al dipartimento e al corso di laurea di Chimica. Essendo piuttosto giovane nel panorama, tendono a darmi materie molto specifiche inerenti più strettamente al mio corso di studi o materie molto generiche, molto ampie, come questa.

– Ciao, ragazzi, e benvenuti al corso di Chimica. Sono Kuroo Tetsurō, sarò il vostro professore fino alla fine del semestre. Trovate i miei contatti personali sul sito, ho già caricato le modalità d'esame, vi pregherei di guardarle e farmi domande se ne avete, o via mail, o di persona. –

Le parole che ho ripetuto tante volte mi scivolano via dalle labbra come acqua.

– Questo è l'unico corso che avrete di Chimica in tutta la triennale, sono otto crediti formativi, circa un'ottantina di ore di lezione. Abbiamo un'ora e mezza il lunedì, tre ore il mercoledì e una e mezza il venerdì. So che il venerdì è l'ultimo turno quindi cercherò di tenere gli esercizi per quel giorno così da avere una lezione più leggera. –

Appoggio i palmi delle mani sul bordo della scrivania, mi piego indietro per appoggiarmici sopra senza sedermi, sorrido.

– Spero che ci divertiremo insieme. –

E il rumore che mi accoglie è quello di sempre, quello che conosco, la più logica e lineare conseguenza a quello che vivo ogni giorno.

Sospira.

L'aula sospira.

E io sorrido di nuovo, scorrendo con lo sguardo fra le fila degli studenti che pendono, ora, dalle mie labbra.

Chimica è una materia che ad Ingegneria fanno solo al primo anno, tutti gli indirizzi. È un esame tutto sommato piuttosto semplice, non di quelli orribili e pesantissimi che ti rovinano la vita, una cosa piuttosto classica.

Di norma non amo insegnare la Chimica a chi non vuole farne la sua vita.

Ma questo c'è e di questo non mi lamento, che saranno noiosi, asettici o che altro, ma gli studenti di Ingegneria sono perseveranti, di norma, e non causano particolari problemi.

L'aula è piena.

Brulica di questi diciannovenni spaventati al primo corso della loro vita, che mi guardano con gli occhi grandi e vitrei e fissano in me l'immagine di quello che dovrebbe essere un professore universitario, le mani che tremano, i fogli sotto le penne, gli sguardi evasivi.

Sono tanti ragazzi.

Poche ragazze.

– Oggi procederò con la presentazione del corso, iniziamo a fare lezione mercoledì. Tutto quello che dico è scritto da qualche parte sul sito, quindi se qualcuno di voi ha di meglio da fare, non fatevi problemi ad andare via. –

L'aula zittisce.

E il mio petto si riempie di intera, maschile e schifosa arroganza quando vedo che nessuno, nessuno fa un passo per alzarsi, per andarsene, per allontanarsi da me.

Fascino.

Quello che ho io, è fascino.

La parola fascino deriva dal latino fascinum, e significa "amuleto", "maleficio". Il fascino va oltre la bellezza, va oltre l'aspetto fisico, si compone di dettagli e inflessioni, di piccolezze che si sommano assieme per creare un'immagine finale attraente, persuasiva, interessante.

So di essere bello.

Lo ero a vent'anni e lo sono ora.

Sono alto, molto alto, ho le mani grandi, le spalle larghe, il fisico ben piazzato ma longilineo, al contempo, felino, oserei dire. I miei occhi sono tagliati quel giusto che basta perché il mio sguardo intimorisca, ho il naso dritto, da che ho smesso di giocare al liceo non ho mai mancato un allenamento in palestra.

Ma non è la bellezza che fa di me quello che sono.

Non è la sfacciata messa in mostra dei dettagli che mi rendono "un bell'uomo".

È il fascino.

E il fascino non ha limiti, non ne ha mai avuti, e non ne avrà mai.

Porto le mani sui polsini tirati su, li sistemo sopra i gomiti, stiro il collo di lato perché ho le spalle indolenzite, metto una gamba di fronte all'altra, guardo i miei studenti uno per uno.

– Che indirizzo di Ingegneria siete? Il corso è uguale per tutti, non è che serva saperlo, ma sono curioso. –

Fisso il mio sguardo su una ragazza in prima fila, giovane, carina, coi capelli scuri tirati su in una coda, gli occhiali sul ponte del naso.

So esattamente l'effetto che le faccio.

"Sta chiedendo a me? Cazzo, cazzo, devo rispondere, se non rispondo è un casino, merda, ora cosa gli dico, ora..."

Alzo appena il bordo della bocca, il sangue le sale alla faccia così tanto che sembra potrebbe uscirle dal naso da un momento all'altro.

– In... info... informatica. –

– Oh, perfetto. Sono sempre stato negato con l'informatica, chissà perché mi hanno dato questo corso. –

La tensione si spezza, qualcuno ride, sento l'aria sciogliersi, farsi più informale, più tranquilla.

Sono un ottimo professore e lo so. Non lo sono solo perché amo la materia e perché mi sono a suo tempo laureato col massimo dei voti, no. Lo sono perché m'infilo nelle teste delle persone e le coinvolgo, le affascino, le costringo ad appassionarsi a me e a quello che spiego di conseguenza.

Scherzare e cercare di formare un rapporto con una classe di ragazzini è una delle cose che mi permettono di essere come sono.

– Immagino che siate già tutti molto più bravi di me. Ma grazie a Dio non sono qui per insegnarvi quello, direi che vi è andata bene. –

Sistemo l'orologio sul polso, abbasso lo sguardo e lo riporto su.

– Le slide sono in giapponese, c'è qualche studente che ha bisogno della versione inglese? –

Un paio alzano la mano.

Sono nella terza fila, sorrido a tutti e due, li vedo arrossire nonostante non siano ragazze, perché come ho detto il fascino è inarrestabile, di certo non si fa fermare da una cosa così stupida come il concetto sociale di genere.

– Di dove siete? –

– Corea. –

Sospiro.

– Anche io, da parte di madre. Se vi è più comodo ve le traduco direttamente in coreano, non è un problema. –

Si guardano, vedo gli altri studenti aggiungere alla mia prima impressione anche la gentilezza che sto dimostrando, li vedo scendere sempre di più nella rete di quello che sono, nella personalità che ho.

– Generalmente spiego senza darci troppo peso quindi non stateci molto attaccati, ma immagino che il giapponese sia più facile da capire che da leggere, no? Se avete bisogno ve le traduco, davvero. –

– Sarebbe perfetto. –

– Allora le carico nei prossimi giorni. –

Sorrido ancora, potrei giurare di sentire l'intera aula fermarsi a guardarmi.

Sorrido storto.

Ho sempre sorriso storto.

Ma non è antiestetico, anzi.

È sensuale, mi è stato detto. È malizioso, sembra pieno di cattive intenzioni, anche se è solo un sorriso, fa stringere le cosce a chi mi guarda perché ti entra in testa, ti...

Ti seduce.

Io, come persona, ti seduco.

Non so perché, so che è come sono fatto.

– Non c'è obbligo di frequenza a questo corso, non c'è il foglio presenze. C'è però un form di domande, è anonimo, vedo le domande solo io e senza i vostri nomi, se volete chiedermi qualcosa durante la lezione ma v'imbarazza farlo a voce. Se seguite in differita o non seguite siete costretti a mandarmi una mail, mi dispiace ma non posso fare altrimenti. –

Li vedo tutti in fila prendere i telefoni, accedere all'app, guardare il link che so essere là da anni.

Serve?

Ai fini della lezione no.

A dirla tutta, non mi ha mai aiutato più di tanto.

Ma è divertente.

Perché questi piccoli pervertiti che stanno lasciando l'adolescenza ne pensano di ogni, su di me, e chiedono, vogliono, pretendono. Amo dar loro un po' di me, perché li ossessiona, e li rende ottimi studenti, anche se l'interesse iniziale è più concentrato su quello che sono, non su quello che faccio.

Mi sporgo indietro verso il mio telefono, le prime notifiche che spuntano dalla parte alta.

– Avete già chiesto qualcosa? Non mi aspettavo avreste fatto così in fretta. – scherzo, sbloccando lo schermo e schiacciando sul banner che mi dice, in alto, che "anonimo ha risposto al form".

Il mio sorriso si adagia nella sua forma più pigra.

Lo sapevo.

Li conosco.

Basterà dargli un'altra decina di minuti e sarò pieno, pieno di domande su me stesso, pieno zeppo di approcci imbarazzanti e goffi, pieno di stronzate che mi divertiranno da morire, perché mi diverte, essere il centro di tutta questa adorazione.

– Siete stati veloci. – aggiungo poi, scorrendo col polpastrello fra i chili e chili di "quanti anni ha", "è single", "lei è bellissimo".

Mi schiarisco la voce.

Alzo la testa.

– Allora, posso dirvi che... –

Le mie parole vengono spazzate via. Completamente erose e cacciate dal rumore della porta che si apre, dello scricchiolio fastidioso di una cerniera non oliata accanto al mio viso.

C'è un ritardatario.

Mi giro per guardarlo come fa la classe intera, e quando la porta lascia intravedere la figura che spunta dallo stipite, qualcosa dentro il mio petto si attorciglia.

È piccolo.

Di statura.

Sarà un metro e settanta, forse meno, coi capelli lisci, decolorati sulle punte. Ha un paio di pantaloni stretti, una maglietta di qualche taglia più grande, gli occhi enormi, felini, le ciglia lunghe, a giudicare dall'ombra che gli gettano sulle guance.

È interessante.

M'interessa.

– Non gliel'hanno detto che la lezione iniziava dieci minuti fa? – gli chiedo, col tono scherzoso, meno autoritario del previsto.

Non risponde subito.

Si ferma a guardarmi.

E riconosco perfettamente quello che pensa, anche se è convinto di nasconderlo.

– Ho perso... ho perso la metro. Mi... scusi. –

Minuto.

Con i polsi sottili, le mani piccole, le gambe corte. Delicato nell'aspetto, sembra che qualcuno l'abbia preso e sbiadito, niente di lui fa contrasto, tutto sembra lieve e appena accennato.

Ha la pelle chiara, i capelli chiari, gli occhi che oscillano fra un castano e un verde e assumono quella sfumatura a metà, che sembra oro bianco. Non sorride, si tortura il labbro inferiore coi denti, tiene lo zaino su una spalla sola e si vede che pesa, che non vede l'ora di toglierselo dalla schiena.

– Nome e numero di matricola. –

Deglutisce.

– Kenma Kozume, ventotto-sessantacinque-quarantaquattro. –

Me lo stampo in mente.

– La prossima volta si ricordi che è maleducato entrare in aula quando la lezione è già iniziata. –

– Lo farò, mi scusi. –

– Vai a sederti. –

Mi sfila davanti, imbuca il corridoio centrale fra i posti, sale di qualche scalino e si mette seduto nel silenzio più completo, imbarazzato dal fatto che lo stiano fissando tutti, che lo stia facendo io.

Tira fuori il quaderno dallo zaino, la penna, pensa di chiedere al vicino cosa stessimo facendo ma si vergogna, non lo fa, rimane a fissare la lavagna dietro di me con le guance rosate, le mani che tremano.

Esile.

Di conformazione esile, con le spalle sottili, il collo chiaro. Ha le braccia magre, bianche, la pelle liscia. Giovane, è giovane. È interessante. Lo è davvero.

– Come stavo dicendo prima, lo ripeto per il vostro compagno, c'è un form per domande anonime sul sito. Stavo per leggerne qualcuna. –

Mi lancia uno sguardo strano.

Intimorito ma aggressivo, incredibilmente diretto.

Interessante.

Lui è interessante.

– Molte non c'entrano niente con il nostro corso, ma se v'interessa così tanto la risposta credo meritiate di averla, no? –

No, in realtà no. Non gli deve interessare della mia vita, della mia persona.

Ma deve anche farlo, perché mi fa sentire più forte, perché mi rende migliore, perché amo che le persone vogliano sapere da morire di me.

– La più gettonata è su quanti anni io abbia. Trentacinque, ne faccio trentasei a novembre. –

Sento qualcuno dire "scorpione", ma non commento.

– Se so di essere bello... sì, lo so. Ma grazie lo stesso. –

Qualcuno ride, qualcuno reagisce con l'istintiva repulsione per chi crede in se stesso, qualcun altro ancora spalanca gli occhi, perché l'arroganza affascina su qualcuno che sa quel che ha e sa come usarlo.

– Se sono etero, no. Bisessuale. Preferisco le ragazze ma sono bi. –

Sono aperto a tutto, non mi precludo niente, non l'ho mai fatto.

– Se sono single, mi chiedete. Ecco... –

Sono affascinante, flirto di conseguenza. Sono seducente e sono allusivo, ma la realtà è che fa parte della mia persona e del mio lavoro, ma di me nella vita reale...

– Sono sposato. Da quattro anni. Amo molto mia moglie. –

E qui il castello nelle loro teste cade, ma se ne costruisce un altro, uno più complesso, di mattoni più infidi, più fastidiosi.

Non sono il professore single e relativamente giovane da conquistare.

Ma sono il professore bello, affascinante e sposato che attrae, che è intoccabile, che è un'aspirazione della testa e non una realtà concreta.

Divento un'idealizzazione quando sanno che sono sposato.

E non va mai oltre questo, anche se so quanto deboli tutti siano a me.

È vero, sono sposato. È vero, amo mia moglie. È vero, sono seducente, ma non la tradisco, non lo farei mai. Sono... come dire, sono un adulto, e loro sono un branco di diciannovenni, a prescindere da qualsiasi cosa è più un giochetto mentale che altro, lo so io, ora lo sanno anche loro.

Io sembro un'allusione che cammina.

Ma non lo sono.

Non...

"Tua moglie lo sa che spogli con gli occhi gli studenti che arrivano in ritardo?"

La domanda rimane là, sullo schermo, al fondo del mio cellulare.

Tiro su lo sguardo, lo pianto addosso a Kenma.

Sorride.

Lui...

"O forse sono speciale e l'hai fatto solo con me?"

– Non l'ho fatto. – dico ad alta voce, d'istinto.

Gli studenti sono confusi, me ne rendo conto, tutti tranne Kenma che continua a sorridere, si mordicchia l'interno della bocca, sbatte le palpebre guardandomi.

Mi eri sembrato... timido.

Molto timido.

Molto...

"Sa che non ho nemmeno diciannove anni? Li faccio fra un mese. Non pensa che sia davvero schifoso da parte sua guardarmi come se volesse strapparmi i vestiti di dosso?"

Diciotto anni.

Diciotto anni, diciassette meno di me, che mi guarda come se fossi io la preda e lui il predatore, competitivo, giovane, stupido, le dita che tamburellano sul legno, le labbra rosate piegate in un sorriso.

– Alcuni di voi dovrebbero trattenersi con le domande, è vero che è anonimo, ma certe cose sono inappropriate. –

"L'unica cosa inappropriata è come mi ha guardato. Guarda così anche la sua signora o è un privilegio mio personale?"

– Non fatevi irretire dal beneficio che io non sappia chi siete o che non possa dimostrarlo, davvero. Siamo pur sempre ad un corso universitario, le vostre fantasie non mi riguardano. –

"Fantasie?"

– Come vi ho già detto sono sposato, ho trentacinque anni. Chi di voi mi sta riempiendo il form di messaggi da tredicenne pieno di ormoni, se lo ricordi, grazie. Il fatto che abbia un corso con voi non implica che abbia il tempo di dare attenzione alle vostre stronzate. –

"Fanculo".

– Ora, a meno che non appaia qualcos'altro che volete necessariamente sapere da me, procederei col parlarvi del corso, che dite? –

Gli studenti capiscono e non capiscono. Tutti loro hanno pensato di scrivermi cose inappropriate, lo so da come mi guardano, e il fatto stesso che abbiano formulato il pensiero cosciente rende per loro plausibile che qualcuno l'abbia fatto.

Ma sono confusi, lo sono davvero.

Tutti tranne Kenma che ora non sorride più, ora ha il broncio sul viso.

Stronzetto.

Ha delle belle labbra.

Il viso morbido, giovane, gli zigomi alti ma la mascella ingentilita dall'età, il naso piccolo, gli occhi che prendono metà del viso solo loro, grandi come sono.

Fai così con tutti i professori?

Ti presenti in quel modo timidino e incerto e ti mangi le parole per poi passare a tentare di sedurli un attimo dopo?

Funziona?

Perché non stento a credere che funzioni?

Ci sei rimasto male che ti ho chiesto il nome e il numero di matricola? Sei così infastidito dal fatto che ti ho messo in imbarazzo davanti a tutti da volerti vendicare? O sei solo un ragazzino stupido che pensa di poter fare qualsiasi cosa gli passi per la mente?

– Mi sembra che non ci sia nient'altro. Ok, inizio. –

Il mio cellulare vibra un'altra volta.

Lo guardo di striscio, sorrido e lascio perdere.

"La odio".

Anch'io.

Anche io, anche...

Anche io.

Non sei la prima persona che ci prova con me.

Non sei la prima che rifiuto.

E non sarai dicerto l'ultima.

Non sei la prima che trovo attraente. Trovare attraente qualcuno non equivale a tradire e sto con mia moglie da quasi dieci anni, quattro sono quelli che siamo stati sposati, non pensare di venire a fare lo splendido con me solo perché sei attraente.

Non funziona così.

Non funziona così davvero, non...

Si tira i capelli dietro l'orecchio.

Appoggia le braccia sul banco e ci schiaffa il mento sopra l'attimo dopo, come se si annoiasse, come se sperasse in qualcosa di divertente, un po' d'attenzione, un po' di movimento.

Non somiglia per niente a mia moglie.

Non so perché mi venga da pensarlo.

Mia moglie è una bella donna, ha la mia età, è professoressa anche lei, fa i corsi di inglese, lavora in un altro dipartimento. È alta, ha le gambe lunghe, l'eleganza di una donna adulta che porta con fierezza ogni anno che ha vissuto. È come me, non è vecchia, non è giovane.

Mi passa per la mente un pensiero davvero orribile.

La sua pelle...

La pelle di mia moglie non è così... liscia.

Non è così bianca, non è così soda, non è così invitante.

Io...

Non ho mai tradito.

Davvero, non ho mai tradito, non ho mai, mai, mai tradito. Amo mia moglie, la amo, ci conosciamo da tanto, io e lei, ci conosciamo e ci amiamo e questo è solo un attimo di défaillance che sto avendo perché Kenma è attraente, niente di più.

Ne hai avuti di studenti attraenti, di studentesse formose e carine piantate al primo banco a mostrarti la loro bellezza. Non è la prima volta, non è...

Lascio il telefono sulla scrivania.

Prendo il telecomando per cambiare le slide, cerco di non pensarci.

Non è il tuo tipo, Tetsurō, non è il tuo tipo. È giovane, è vero, è giovane e bello e le tue mani lascerebbero il segno su quella sua bella pelle chiara e ha le labbra sottili e gli occhi grandi e vederlo piangere sarebbe meraviglioso e...

No.

Non si può.

Sei sposato.

È solo uno studente stupido che pensa di darti fastidio perché hai dato fastidio a lui.

Sei il titolare del corso, cazzo, non puoi farti piegare così da uno che si è offeso perché ti sei incazzato dopo che è arrivato in ritardo. Ti è successo più volte che cercassero di farti vacillare, non ha mai funzionato, perché ora sì?

Sei un adulto.

Sei un adulto e...

Guardo la fede sul mio dito mentre smanetto col telecomando alla ricerca del bottone per mandare avanti le slide.

Sono sposato.

Amo mia moglie.

Non è affatto vero che adorerei vedere la mia fede rilucermi sull'anulare mentre stringo la mano alla base del collo molto più sottile e molto più chiaro di uno studente in terza fila che mi guarda e sogna esattamente quello che sto sognando io.

Alcune lezioni le so a memoria.

Davvero, le so a memoria, parola per parola, movimento per movimento, contatto visivo per contatto visivo.

Non tutte, anzi, non la maggior parte. Di norma mi ricordo la scaletta, mi ricordo la lista delle cose da dire e riempio gli spazi come nei compiti di lingua delle medie, con un po' di fantasia, con un po' di connettivi logici o esempi che attirino l'attenzione.

Ma questa no, questa la so a memoria.

Credo sia perché la prima lezione che ho fatto, allo stesso modo in cui è stata la prima che ho visto nella vita, era una lezione introduttiva.

So le battute da fare, so i momenti esatti un cui cambiare slide, so quando stiracchiarmi la schiena e sentire le persone che sospirano al pensiero di questo stesso movimento fatto però senza la camicia addosso, so i sorrisi, persino oserei dire quando sbattere le palpebre.

Sciorino una parola dietro l'altra come una filastrocca.

"L'esame è composto di un test ed uno scritto", "iniziamo col contesto storico", "questa materia è possibile che non vi serva a niente ai fini del corso di laurea", "non ci sono libri usate gli appunti", "faccio consulenza nel mio ufficio il martedì alle diciotto", "ci sarà un'ora di esercitazione alla settimana", "le relazioni di laboratorio non sono obbligatorie ma alzano il voto".

Sempre la solita roba.

Sempre la solita roba con le solite persone.

No?

No.

Assolutamente no.

Non mi capita spesso di avere pensieri intrusivi ma Dio, se Kozume Kenma "ventotto-sessantacinque-quarantaquattro" non è la personificazione di un pensiero intrusivo.

Cerco di non guardarlo.

Passo un'ora e mezza cercando di non guardarlo.

Ci riesco?

No, non ci riesco.

Il mio cervello sputa fuori una miriade di paragoni, e non vorrei che lo facesse, vorrei che si fermasse. Vorrei che smettesse di urlarmi quanto bello Kenma sia e quanto... quanto più giovane sia rispetto alla persona che ho scelto per condividere la mia vita.

Chissà che consistenza ha la sua pelle.

Chissà che cosa si prova ad avere quelle cosce sottili strette attorno alla vita, a pregarti di tenerlo su, a pregarti di stringerci sopra le mani.

Chissà quanto forte urla, chissà se piange, chissà se gli rotolano gli occhi indietro, chissà se trema, chissà che pensa, chissà che dice, chissà...

– E quindi niente, questo è, per oggi. Ci vediamo mercoledì, cercate di arrivare puntuali. Passate una buona giornata. –

Sento la frase spuntare fuori dalle mie labbra in... automatico. Non mi ero reso conto di star parlando, quasi, tantomeno che la lezione stesse per finire, ma... l'ho detto, che questa lezione la so a memoria, no?

Ho finito.

Ho finito e adesso...

Sono sempre di fronte alla scrivania. Ricordo chiaramente di essermi mosso durante la lezione, ma finisco qui, finisco sempre qui.

Ho le braccia incrociate, la gola un po' secca, guardo i ragazzi.

Ho finito.

Basta.

Siediti e prenditi un attimo, Tetsurō, siediti e prenditi un attimo.

Nel rumore timido degli studenti che radunano le loro cose e si alzano, che chiacchierano fra di loro conoscendosi magari per la prima volta, rifaccio il giro della scrivania che ho fatto all'inizio, tiro indietro la sedia e mi ci metto sopra, guardo distrattamente il computer, fisso il quadrante dell'orologio.

Mi sembra di non averla passata, quest'ora e mezza.

Lo giuro, mi sembra che non sia mai avvenuta.

Chissà, cazzo, chissà se...

Il ragazzo vicino a Kenma gli parla, quando alzo lo sguardo. Gli sta sorridendo, ma è un sorriso imbarazzato, un sorriso alla "mi piaci ma non so come dirtelo" e alla "ti prego non uccidermi a pedate", parla e si sporge verso di lui.

Alza una mano, c'è sopra il telefono, non le leggo le labbra ma intendo dal contesto.

Kenma accetta.

Ma il suo viso è annoiato, quando lo fa, ed è impressionante come anche la noia si disegni in un modo dolce e delicato sui tratti timidi del suo volto.

Sembra una bambolina di porcellana.

Il broncio, la fronte leggermente alta, gli occhi grandi.

Merda, spero davvero che decida che questo corso non fa per lui e che decida di dare l'esame senza seguire in presenza.

Mi distraggo verso il mio telefono non perché lo voglia, ma perché mi costringo. Leggo le mail, pare che ci sia una qualche improbabile riunione di dipartimento di cui mi ero scordato che è stata posticipata, che il sito dell'università sia stato rimodernato, che abbiano messo una macchinetta con l'acqua frizzante al secondo piano.

Ho Chimica Industriale al terzo anno di Ingegneria Chimica, fra mezz'ora, ma ricordo vagamente che l'aula fosse qui vicino, quindi non mi metto fretta, rimango seduto.

Devo solo riprendere aria.

Devo solo...

Tiro giù la tendina delle notifiche.

"Scusa se non mi sono svegliata con te, spero che la tua giornata vada bene, ti amo".

Merda.

Merda, merda, mi dispiace.

Sono un cretino, sono un pezzo di merda, giuro che non lo farò più, giuro che ti compro un regalo mentre torno a casa, giuro che...

– Professore? –

Alzo lo sguardo impietrito.

Non mi ero accorto che si fosse avvicinato.

Non credevo avesse la faccia tosta di permettersi di farlo.

Dopo aver visto il messaggio di mia moglie sono davvero deciso a mettere al suo posto questo ragazzino, davvero, davvero deciso a spiegargli per filo e per segno che non deve mai più permettersi di...

– Scusi se la disturbo, volevo chiederle una cosa. –

Ha la voce flebile, intimidita, ariosa. È sottile, si sente appena.

Che fai, prima mi scrivi le cose sporche nelle domande per il corso e poi t'intimidisci a parlarmi di persona? Davvero?

– Se è di nuovo qualcosa di inappropriato sarò costretto a chiedere alla commissione disciplinare di prendere provvedimenti. –

Spalanca gli occhi.

– "Di nuovo"? Io non le ho mai detto qualcosa di inappropriato, professore, credo che abbia sbagliato persona. –

Certo, ho sbagliato persona, come no.

Non rispondo, lascio cadere la questione, così per fargli vedere quanta poca importanza abbia per me, quanto inutile e piccolo e stupido credo sia il suo patetico tentativo di provarci con...

– Non è che per caso sperava che fossi io così tanto che si è confuso? –

Pianto gli occhi sui suoi.

Bastardo.

Piccolo bastardo.

Sei davvero, davvero...

– E comunque non l'avrei mai fatto se non mi avesse bullizzato pubblicamente per dieci minuti di ritardo. Non è colpa mia, è lei che mi ha costretto. Non è che posso costringere la metro ad andare più veloce, io... –

– Credi che scrivermi quelle cose fosse il modo migliore di affrontare la questione? –

Fa spallucce, sporge il labbro inferiore.

– Di sicuro il più divertente. –

Come si permette, è quello che mi chiedo, come? Come, se sembra così timido, come, come, come fa, come riesce, come...

– Comunque non sono qui per questo. Se ancora le va di parlarmi e non vuole mandarmi alla commissione disciplinare. –

– Parla. –

– Oh, menomale. –

Si sporge sulla scrivania, sbatte le ciglia lunghe, mi sorride.

Porcellana.

Sembra fatto di porcellana.

Liscio, con le labbra rosate e le guance di un tenue color pesca, sembra che qualcuno l'abbia dipinto. Sembra una figura tratteggiata con la china e colorata con i pigmenti più chiari in circolazione, nell'aura angelica che lo circonda.

Cerco di pensare a mia moglie.

Al fatto che mi ami, che sappia che odore ha e che cosa le piace fare, alle cose che condividiamo e ai ricordi che ci legano, ma...

Non riesco.

Non riesco a mandarlo via.

È semplicemente...

– Volevo solo informarla che non sono una persona cisgender. Sono genderfluid, uso i pronomi maschili e femminili, ma non insieme, o uno o l'altro. Se vesto vestiti femminili uso il femminile, idem con il maschile. Spero che non la infastidisca, ma non me la sento di farmi dare del maschile tutto il corso perché mi sono messo i pantaloni il primo giorno, volevo solo chiederle se potesse farmi questo favore. –

Rimango a guardarlo.

Rimango a guardarlo e...

La gonna.

Kenma con la gonna, con un paio di calze tirate sulle cosce, con i tacchi, con il pizzo, il tulle, il velluto, Kenma con un vestito, con un paio di collant, con...

– Non vedo perché dovrebbe infastidirmi e non ti faccio un favore a rispettare chi sei. Vuoi che lo comunichi anche agli altri professori? –

– Sarebbe molto bello, se lo facesse. –

– Perfetto. –

È sorpreso, dalla gentilezza, e si vede.

Le sue guance diventano più scure, ci affluisce più sangue.

Il modo in cui il rossore non rimane isolato sugli zigomi ma scende giù, sulla tela chiara, fino all'arco di cupido, è...

– Abbiamo iniziato col piede sbagliato, noi due. Facciamo finta che niente di quello che è successo oggi sia mai accaduto e cerchiamo di aiutarci a vicenda, va bene? – sento dire dalla mia stessa voce, mentre scorro a metà fra l'incantamento e la completa trance i tratti del suo viso.

Sbatte le ciglia.

– Vuole che andiamo d'accordo, professore? –

– Mh-mh. –

– Anche a me piacerebbe andare d'accordo con lei. –

– Allora siamo sulla stessa lunghezza d'onda. –

Sorride, ma è malefico, quando lo fa. Infila sul braccio la spallina dello zaino che non aveva infilato, sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, indietreggia di mezzo passo.

– Ci vediamo mercoledì, professore. Passi una buona giornata. –

– Anche tu, Kenma. –

Indietreggia ancora.

– Mi saluti sua moglie. –

Scompare prima che possa rispondergli e rimango fermo, immobile, lo sguardo fisso nel vuoto e le parole che rimbombano in testa, esattamente, chiaramente come un coglione.

"Mi saluti sua moglie".

"Mi saluti sua moglie"?

Piccolo, piccolo bastardo. Piccolo stronzetto infame, bastardo, figlio di...

Se ti saluto mia moglie? No, cazzo, non ho la minima intenzione di farlo, perché non ho la minima intenzione di pensare a te, nemmeno un secondo, nemmeno uno.

Arrogante, stronzo, egoista figlio di puttana.

Non so se volerti bocciare per farti un dispetto o promuovere pur di non vederti mai più, davvero.

Hai diciott'anni, cazzo, con quale faccia tosta?

E con quale timidezza, con quale...

No, non è timido.

Giungo alla durissima conclusione che non è timido.

È solo stronzo.

Mette su questa facciata pacata e dolce e riservata e in realtà è odioso, ecco com'è, ecco come si presenta.

Insopportabile.

Riprendo il mio telefono in mano e cerco di nuovo i messaggi di mia moglie.

Mi viene da sorridere, cerco di rilassarmi, di lasciarmi scivolare via dal corpo l'ansia, il turbamento.

Lei è...

Dolce. Dolce e pacata, disponibile, una bella persona. Mi fa sentire bene con me stesso, mi aiuta, mi calma. Mi ha sempre aiutato, mi ha sempre sorretto, è sempre stata un punto di riferimento, è sempre...

Mare nei giorni senza vento.

Mare piatto e calmo.

Cazzo, se non mi sembra ora come ora di vedere le onde incresparsi e infuriarsi attorno ad una figura più sottile, più minuta, più angelica.

Ma non la voglio la tempesta, io, no?

Non la voglio.

Non la voglio.

Io voglio la normalità di avere trentacinque anni e sapere chi si è, quel che si è, perché lo si è. Voglio essere un uomo normale, non...

Un pezzo di merda che sbava dietro al primo centimetro di pelle soda.

Io non sono questo.

Davvero, non lo sono.

Io sono...

È lui a volere le mie mani addosso, non l'inverso. È lui a sperare e pregare la mia attenzione, è lui che non vede l'ora di ricevere un minuto del mio tempo, non è forse così?

Non è mica il primo.

Lo so quante altre persone sono state lui, la mia intera carriera è basata sul fatto che le persone siano come lui, sul fatto che cadano nella rete del mio carisma.

Il problema è che non mi era mai successo di...

Essere sposati non equivale a non vedere la bellezza degli altri.

Ma equivale a non sentirsene particolarmente influenzati, a non svalutare anni di relazione per un attimo di infatuazione, a sapere che cosa uno ama, nella vita, nonostante quello che succede nei secondi che passano.

Continuo a ripetermelo, a dirmelo, a giurarlo a me stesso. Io amo mia moglie, il fatto di avere uno studente di bell'aspetto non cambia le cose, non le cambia, davvero. Amo mia moglie, la amo, il sesso non c'entra, l'attrazione sessuale non c'entra, niente c'entra, c'entra solo che...

Il sesso.

Chissà come dev'essere fare sesso con lui.

Chissà come dev'essere stringere le mani sui fianchi chiari di quel suo corpicino esile e osservarlo contorcersi ad ogni spinta, ad ogni istante.

Mi sembra di sentirmelo addosso.

Tonico, stretto, giovane, giovane, così...

Dio, Tetsurō, quanti cazzo di anni hai, già?

Lo sai quanto fa trentacinque diviso due, Tetsurō?

Fa diciassette virgola cinque.

Quello che stai immaginando di scoparti nonostante il fatto che sei inevitabilmente, chiaramente sposato, è un ragazzino che ha letteralmente la metà dei tuoi anni. Per essere adulto è adulto, ma ha comunque la metà dei tuoi anni. È un tuo studente. Questa cosa è stupida, così stupida come poche cose lo sono state mai.

Smettila.

Smettila, smettila, smettila, sme...

Apro Instagram sul telefono. Non lo uso quasi mai, sono vecchio per queste cose, ma credo di avere l'app installata di default sul cellulare e a mia moglie piace postare le cose, è mio dovere di marito mettere "mi piace" a qualsiasi cosa lei decida di condividere.

Mi spunta una sua foto nella homepage, una foto dove sorride, col suo viso dolce, in mezzo ad un gruppo di colleghi che si tengono per le spalle.

Mia moglie.

L'amore della mia vita.

Mia...

Premo sulla barra di ricerca.

Scrivo "Kozume Kenma".

Spunta subito, lui e i suoi tremila follower, lui e il suo nome accanto ad un "she/he" scritto in grigio, lui e il suo profilo come lui, tenue, tenue ma incredibilmente invitante.

Non ci sono colleghi.

Non ci sono colleghi che si tengono per le spalle o che sorridono.

Ci sono le sue cosce strette da un paio di parigine bianche, coi fiocchetti sui bordi che stringono verso l'interno. C'è un vestito corto, il cornicione di una finestra al primo piano, uno sfondo scuro sulla città, una sigaretta fra le labbra, clavicole che s'intravedono, l'elastico di un reggiseno, lo smalto sulle unghie.

Vorrei poter scuotere la testa e tornare a mia moglie e ai suoi progetti universitari.

Ma non ci riesco.

Io...

Io non ci riesco.

Sembra crema. La sua pelle sembra crema, soda ma morbida, che scompare e si piega se c'infili le dita attraverso. Il colore è lattiginoso, chiaro, eburneo. Porcellana, Kenma è di porcellana, ma è anche di crema, di panna, di...

Spengo il cellulare.

Ho Chimica Industriale.

Devo andare.

Fumerò una sigaretta.

Comprerò una bella collana costosa a mia moglie, stasera, quando tornerò a casa.

Perché oggi è la prima volta, in dieci anni di relazione, che la mia testa l'ha seriamente, indubbiamente tradita.

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VOGLIO SOLO DIRLO PER FUGARE QUALSIASI DUBBIO non date della troia alla moglie di kuroo è actually l'unico personaggio che non ne può niente. kuroo è la troia. e kenma, ma più kuroo. lasciate in pace la povera donna, davvero, se leggete per bene la storia vi rendete conto di quanto povera gabbiana sia l'unica che ha un minimo di senso morale.

poi

spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo!!! magari lo stile non vi piace o il tema e se così fosse mi scuso ma niente in realtà io sono una grande fan delle cose un po' grigie un po' controverse e niente spero che non vi dispiaccia etc etc

credo che il prossimo possa uscire domani o dopodomani

per il resto have a nice day

see u soon <3

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