𝚍𝚘𝚗'𝚝 𝚢𝚘𝚞 𝚕𝚎𝚊𝚟𝚎 𝚖𝚎 𝚑𝚎𝚛𝚎

[he/him]

➭ ✧❁ c'è una menzione di abuso fisico (non sessuale!!)

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Slavato.

Il mondo, mi sembra slavato.

Grigio, sbiadito, slavato.

Mi sembra...

Uguale, tutto uguale.

Mi sembra che si ripeta, mi sembra che... le giornate non passino, mi sembra di vivere sempre gli stessi cinque minuti, mi sembra di essere rimasto bloccato.

Noioso.

È tutto così noioso.

Mi annoiavo anche prima?

Ero felice per davvero o fingevo, prima di tutto questo?

Come faccio a tornare quello che ero?

Slavato, il mondo di fuori è slavato, oggi, lo sarà domani, lo era ieri.

Sembra disegnato con una di quelle matite a punta dura che lasciano un graffio più che un tratto sulla carta, sfumato male, ombreggiato su qualche bordo, tremendamente piatto, bidimensionale, noioso.

Che facevo, due mesi fa, a questo punto della giornata?

Che facevo, l'anno scorso, quello prima, quello prima ancora?

Non me lo ricordo.

Me lo ricordassi, il ricordo non sarebbe dolce e rassicurante come mi induco a pensare che sia.

È slavato, il mondo è slavato, è grigio.

Fa schifo.

Mi annoia terribilmente, mi scorre addosso e sembra non passare mai, è afoso anche se è solo l'inizio di ottobre, non perché sia caldo, ma perché mi si appiccica alla pelle.

È grigio, il mondo è grigio.

Non brilla, non si apre, non mostra, non fa vedere. È sempre la stessa pellicola reiterata nel tempo e invecchiata dall'usura, è sempre lo stesso bianco e nero nello sfondo pallido che è la routine.

Quanti giorni sono passati?

Tre o quattro.

Solo tre o quattro.

Solo...

Ogni sera vorrei che fosse l'ultimo.

Ogni sera vorrei svegliarmi e scoprire che il mondo non è grigio, che mi sono sbagliato, che non ho fatto niente, che il senso di colpa non mi sta divorando accompagnato dalla mortale solitudine del mio cuore.

Ma continua ad essere grigio.

Ed io continuo ad essere infelice.

"Spero che tu rimanga infelice per sempre", aveva detto così? Non ricordo le parole, ma ricordo il senso.

Sembra che il tuo sortilegio avrà l'effetto sperato, Kenma.

Lo sembra davvero.

Perché...

Porto la sigaretta alle labbra, appoggio le spalle contro il muro del corridoio esterno dell'aula dove ho appena finito di fare lezione, ascolto i rumori del posto che mi circonda, il chiacchiericcio, le risa, il rumore dei fogli, dei tasti dei computer, dei mouse che cliccano lo schermo.

Non l'ho fatto per paura.

Non l'ho fatto per ferirti.

Io non l'ho fatto per quello, Kenma.

Io...

L'ho fatto perché vi meritate di più, tutti e due. Tu e Mae, vi meritate di più, e non c'è niente di buono che io possa darvi, e tanto vale, per questo, che io me ne vada e che mi allontani, che vi guardi essere felici lontani da me.

L'ho fatto perché...

L'ho fatto per un sacco di buone ragioni.

Il problema è che vorrei non averlo fatto.

Ogni secondo che passa, vorrei non averlo fatto.

Perché il mondo è grigio, perché mi annoio, perché la calma non è mai stata così devastante e perché ho scoperto, coi pezzi di vetro che mi hai lasciato dentro la testa, Kenma, che "dopo di te" non è ricomporsi e rimettersi assieme, ma sentire la tua mancanza ad ogni battito del cuore.

Io...

Non so che cosa provassi per te.

Non so dirlo.

So solo che...

Stamattina Maeko mi ha portato il caffè a letto, si è seduta sul bordo del materasso e mi ha accarezzato i capelli in silenzio. Mi ha baciato una tempia e mi ha detto che sarebbe andato tutto bene. Mi ha consolato, nonostante non sapesse per cosa fossi triste.

Come posso farle questo?

Come?

Come posso tradire una donna che mi consola perché mi manca qualcuno che non è lei?

Non posso.

Non si può.

Non...

Prendo un altro tiro, le dita mi formicolano.

La mia testa dice...

Mi dice che non devo amare qualcuno solo perché è buono. Che Mae è dolce, è buona, è una bravissima persona, ma che tutte queste cose non siano necessariamente motivo di amore, mi dice che l'amore non è una valutazione morale, più una mescolanza di pregi e difetti in un miscuglio che sia appagante, e piacevole alla fine della fiera.

Ma...

Io l'ho amata perché era buona, no? L'ho amata e mi sono messo assieme a lei perché era buona, l'ho sposata perché era buona, è buona anche ora, non si merita questo, non si merita me, non merita...

Come faccio?

Che cosa faccio?

Io vorrei fare tutto e sento di non poter fare niente.

Vorrei mandare tutto a fare in culo.

Tutto.

La complessità delle relazioni interpersonali, le regole del vivere comune, la morale della società, questo senso di colpa di merda che mi attanaglia lo stomaco, tutto.

'Fanculo, cazzo, 'fanculo.

Io lo so quello che voglio, lo so, lo so ed eppure...

Mi sembra di rovinare tutto solo volendolo. Mi sembra di rovinare Kenma solo volendolo e di rovinare anche Mae solo volendo Kenma, mi sembra di distruggere tutto quando io vorrei solo avere quel che voglio senza far soffrire nessuno, mi sembra che qualcuno mi stia trapassando il petto con una lama.

Il mondo è grigio.

Io voglio Kenma.

Io non voglio far soffrire mia moglie.

Io voglio che tutto sia come prima ma anche che sia diverso, voglio che nessuno ce l'abbia con me, vorrei non avere diciassette anni più del ragazzino per cui mi sono preso una cotta, vorrei non aver conosciuto Mae ma Kenma dieci anni fa in un altro contesto e in un'età più consona, vorrei che tutto sparisse e che fosse come voglio che sia.

Ma non sono sempre Narciso, io.

Solo quando parlo del mio lavoro, dove sono bravo a prescindere da tutto. Quando Kenma accarezza il mio ego e fa in modo che prenda il sopravvento su di me.

Ora, ora non sono Narciso.

Ora sono Macbeth.

Macbeth che vede la moglie impazzire nell'immaginazione del sangue, Macbeth che si pente, Macbeth che sa di aver commesso l'omicidio e che nega con se stesso fino alla follia, Macbeth che crede di essere invincibile e sa nonostante questo che il suo destino è segnato.

E Macbeth che fa, alla fine dell'opera?

Combatte.

Combatte e muore.

La sua testa rotola a terra.

E la profezia si compie, quando lui se ne va, e il resto del mondo va avanti quando scompare e si decompone nella terra, perché tutti stanno meglio senza di lui che ha commerciato la sua ambizione con il puro senso morale.

Grigio, il mondo è grigio.

Mi annoio.

Morirò di noia?

Chi lo sa.

So solo che non so se dire di essere già morto, tanto straziante è vivere in questa ferma, perenne condizione di non sapere che farsene di se stessi.

Prendo l'ultimo tiro a pieni polmoni, sento la gola bruciare ma non tossisco, espiro, schiaccio il mozzicone nel posacenere.

In laboratorio.

Devo andare in laboratorio e buttarmi nel mio lavoro finché non mi dimenticherò di tutta questa storia. Immergermi nei miei orribili calcoli e lasciar perdere tutto il resto.

Potrei.

Non è venerdì ma potrei.

Magari ci faccio un salto, magari ci passo davanti e butto un occhio.

Apro la porta dietro di me, torno in aula.

C'è casino dal corridoio.

Non me ne curo, non m'interessa, raduno le mie cose in silenzio, cercando di dirmi che no, un'altra sigaretta non mi serve, ne ho già fumate due di fila, il cancro al polmone non è la soluzione ai miei problemi.

Sistemo gli appunti, le relazioni consegnate in ritardo, metto tutto a posto.

Fisso i posti.

Era là anche oggi.

Terza fila, secondo posto dal centro.

È...

Non mi ha guardato in faccia e io ho cercato di non guardare in faccia lui. Solo di tanto in tanto gli ho lanciato un'occhiatina veloce così, per sfizio, e mi sono ritrovato col cuore in frantumi a guardare le sue mani che tremavano nel tentativo di prendere appunti che sono piuttosto certo non abbia preso.

Ma è meglio così.

Sei troppo per me.

Mae è troppo per me.

Non so dove io abbia messo il Tetsurō a cui gira il mondo attorno ma di sicuro non è qui, e temo che la sua era sia ormai ben che conclusa.

Sento altro casino fuori dalla porta.

Che ha la gente da urlare?

Saranno le cinque, cazzo, è sera, andatevene a casa, smettete di disturbarmi.

Sono troppo impegnato ad autocommiserarmi per dar retta a qualsiasi cosa succeda.

Appoggio la tracolla della borsa sulla spalla, mi siedo sul bordo della scrivania, aspetto per un istante che il rumore si diradi e fisso il muro al fondo dell'aula.

Come sono arrivato qui, Kenma?

Come ho fatto a diventare questo?

Vorrei...

Io lo so cosa sono.

Lo so.

Sono un trentacinquenne molto intelligente che fa il professore all'Università, un po' troppo arrogante e un po' troppo sicuro di se stesso, con una bella moglie, una bella casa, una bella macchina e una bella vita. Sono un trentacinquenne che si è preso una sbandata per qualcuno che ha la metà dei suoi anni, un trentacinquenne che ha tradito la fiducia della persona che aveva promesso di amare, un trentacinquenne che ha fatto nulla più di un casino dietro l'altro da quando ti conosce.

Non c'è scusante, per me, vero?

Non c'è giustificazione.

Ma non voglio una giustificazione.

Io voglio...

Voglio solo...

Mae mi ama, perché il suo amore non mi basta più? Io so di voler essere amato ma perché da lei non va bene, perché da lei...

Perché lei ama una persona che non esiste, Tetsurō, perché questo te l'ha fatto vedere chiaramente Kenma ma era vero anche prima, perché lei ama quello che hai fatto con te stesso per farti accettare dagli altri.

Perché tu sei sempre stato questo.

Perché sei sempre stato pieno di te, sei sempre stato egoista, sempre, sempre.

L'hai solo tenuto dentro.

E perché Kenma è stata l'unica persona che l'abbia visto davvero, questo lato di te, e che abbia pensato che non fosse qualcosa di cui ti dovevi vergognare. Perché non ti ha detto di "lavorare sul tuo ego" ma anzi l'ha abbracciato come ha fatto con te.

Sei un pezzo di merda, ma non lo sei ora.

Lo sei sempre stato.

Eri solo molto più bravo a fare finta che non fosse così.

Chiudo gli occhi, li tengo chiusi, so che se li aprissi piangerei e non voglio piangere, sono troppo vecchio per piangere.

Perché a me?

Perché?

Io...

Non potevo rimanere nascosto e sotto copertura, non potevo rimanere la finzione che sono sempre stato, non potevo rimanere rinchiuso e sfogare la mia consapevolezza di essere il migliore solo nel lavoro?

No, cazzo, no.

Dovevo prendermi una sbandata per lo studente diciottenne che mi istiga e mi provoca guardandomi e parlandomi come se dipendesse da me, dovevo farmi abbindolare dal viso dolce, dai tratti tenui, dai colori sbiaditi del suo corpo.

Tradire non è un crimine.

È una cosa di merda, ma non è un crimine.

Ed eppure mi sembra di averla uccisa davvero, una persona, con questa storia.

Il Kuroo Tetsurō che ero, lui.

Lui è morto.

Lui è morto e sepolto.

E con lui c'è l'amore di Maeko, c'è il controllo, la gioia di non essere niente di speciale, la buona volontà e la morale rigida, con lui c'è tutto quello che mi rendeva una persona decente.

Che cosa mi rimane, fra le mani?

Mi rimane l'aver liberato Kenma e Maeko dalla mia influenza, solo questo. Solo la consapevolezza di aver dato a loro la possibilità di essere meglio di me.

Nient'altro.

Mi annoio.

Il mondo è grigio.

Io non credo di voler vivere in questo mondo grigio.

Ma faccio finta di volerlo fare, quando riapro gli occhi, mi tiro su, prendo coraggio ed esco dalla porta sul corridoio.

'Fanculo, è tutta colpa mia.

Di cosa voglio lamentarmi?

Nessuno capirebbe in ogni caso quanto libero mi sia sentito per quei miseri trenta giorni.

Ci sono tante persone, le loro voci mi assordano, sembra esserci ressa, casino, e non ne comprendo il motivo. Non c'è così tanta gente, di solito, è successo qualcosa?

Non chiedo a nessuno, la cosa non m'interessa.

Cerco solo di evitare le persone.

Quanto mi ci vuole per andare in laboratorio? Non tanto, dai, forse riesco davvero a farci un salto. Devo passare in ufficio a lasciare le cose, poi posso buttarmi nelle mie ricerche e sperare che almeno loro colorino un po' il panorama che sembra così mogio, di questi tempi.

Supero un paio di persone.

Quando sento qualcuno che chiama il mio nome vorrei non fermarmi.

Lo faccio, ma non vorrei.

Viene da dietro, la voce è femminile, acuta, un po' fastidiosa, so chi è, mentre mi giro, lo so e m'infastidisce il pensiero di doverle parlare, ma non credo di potermi esimere, ora come ora.

Prendo aria.

La guardo.

È una delle segretarie del dipartimento.

– Kuroo! – ripete, chiamandomi, nonostante le sia di fronte.

Abbasso lo sguardo su di lei.

Non parlo, non voglio parlarle, non voglio...

– Sta bene, professore? Ha visto qualcosa? Sa per caso che è successo? –

– Eh? –

– Abbiamo chiamato la sicurezza ma nessuno sa che cosa è successo, lei era qui, vero? Ha visto? Sa chi è stato a... –

– Non so di cosa tu stia parlando. –

Sfarfalla con le ciglia confusa, stringe le sopracciglia, piega il viso, mi guarda.

– Oh, lei non... c'è stata una... una rissa? Credo. Mi pare di aver capito questo. Uno dei due studenti è scappato e non sappiamo dove sia e che cosa sia successo. Stiamo cercando di capire, credevo che avesse visto, ma... no, mi sa di no. –

Una rissa?

Wow.

Divertente.

Esaltante.

Sono interessato, certo, sono dannatamente interessa...

No, ma chi voglio prendere per il culo, non me ne frega un cazzo.

– Non ho visto niente. Ero... fuori a fumare. Mi spiace. –

Faccio per girarmi dall'altra parte ma mi appoggia una mano sulla spalla, costringendomi a mantenere il contatto visivo.

– Sta bene, professore? –

– Le ho detto che non ho visto nie... –

– Intendo... in generale. –

Che hai notato, le occhiaie? O il fatto che non stia sorridendo? O che il mio fascino, il mio meraviglioso, dolce, univoco fascino non c'è più e il fatto che ti sembro molto più fragile e inutile, ora?

Sei perfetto solo con la maschera indosso, Kuroo.

Senza fai schifo.

Fallo vedere a tutti quanto fai schifo.

Sembra che non vedano l'ora di vedere tutti cosa si nasconde fra le crepe.

– Ha rotto con sua moglie? Vuole... uscire per parlarne? Ho del vino nascosto nel cassetto della scrivania, se vuole possiamo andare da qualche parte e... –

– Non ho rotto con mia moglie. Sto bene. Sono solo molto stanco. –

Che cosa volete, da me?

Che cosa cazzo volete, tutti, da me?

Io non ne posso più.

Sono stanco.

Sono...

Sembra che abbia rotto con qualcuno, vero? Sembra che sia stato lasciato, anche se sono stato io a lasciare e non c'era nessuna relazione da rompere.

Patetico.

Sono patetico.

– È sicuro di stare... –

– Lasciami in pace. –

S'irrigidisce.

Il suo sguardo si fa stretto, poi ferito, umiliato quasi, alza le mani, dice "era solo per chiedere, lei è un cafone", si allontana e mi lascia là, guscio vuoto di una miriade di errori, a sospirare di noia in mezzo al corridoio.

Stupida stronza.

Sono troppo impegnato a star male per trattarti bene.

Ricomincio a camminare nel corridoio, il parlottare delle persone che si fa più intenso ad ogni passo che percorro, il rumore che si annida in piccoli gruppi di persone che parlano fra loro.

Sento un po' di cose che il mio cervello non fa sedimentare.

"Ha la lingua biforcuta, se lo meritava, il pugno."

"Sono solo scioccata che nessuno gliene abbia tirato uno prima."

"Sai che cosa ha detto per farsene dare uno?"

"Pare c'entrasse Kuroo di Chimica al primo anno"

Io, c'entro io.

Certo, come no. A questo punto datemi pure la colpa dell'Olocausto, delle bombe nucleari, che ne so. Ho capito che sono un traditore di merda, ma adesso mi sembra un po' troppino, ecco, mi sembra che stiamo un po' strabordando, cazzo.

Supero le aule, passo davanti agli armadietti.

La scena del delitto, ecco la scena del delitto.

C'è uno studente, uno piuttosto robusto, seduto per terra con la schiena sulla lamiera e un paio di amici a fianco, si tiene il pugno con una mano, sorride come se avesse appena vinto una battaglia.

Ecco il primo partecipante.

Mi sciocca quanto poco m'interessi di lui.

Tendo l'orecchio per sentire più per istinto che per altro, ma non m'importa davvero, quel che dice. Carpisco un pezzo di discorso e nulla più.

"...e allora questo mi dice "non parlare così di Kuroo" e io gli faccio "se no che mi fai" e 'sto stronzo, che te lo giuro sarà stato un trenta chili bagnato mi risponde "non dovresti nemmeno nominarlo" e io..."

Non registro le sue parole.

Davvero.

Entrano ed escono.

Le sento ma non le ascolto.

È tutto così grigio, così inutile, così sfiancante. È tutto così noioso, così pesante, così uguale.

Se solo...

Vorrei che le cose fossero andate diversamente.

Vorrei poter cambiare tutto.

Vorrei...

Supero gli armadietti, sistemo la borsa sulla spalla, cerco di svuotare la testa.

Non importa cosa vorresti, importano i fatti. Importa che non puoi stare con un tuo studente diciottenne perché gli rovineresti la vita e la rovineresti a te stesso, importa che sei sposato, che tua moglie è una bella persona e non merita niente di tutto questo, importa che non si fa, non si fa e basta, il mondo dice che non si fa e tu devi ascoltarlo, il mondo, anche se ci stai una merda, perché ha ragione, ha sempre, sempre...

Imbocco il corridoio degli uffici.

C'è la porta di legno chiusa, sul fondo, dove "Kuroo Tetsurō" scintilla in una targhetta applicata al centro.

Kuroo Tetsurō.

Chi è, davvero, Kuroo Tetsurō?

È il professore? Il genio? Il marito, lo stronzo, il viscido, lo scienziato?

Non lo so più nemmeno io.

Non so più che cosa sia io e che cosa sia maschera sociale, non so cosa sia invenzione per piacere e non so cosa sia lato nascosto occultato per anni.

Un gran casino.

Kuroo Tetsurō è un gran casino.

Un gran casino grigio.

Arrivo alla porta, prendo la maniglia, entro, richiudo la stanza dietro di me, mi fermo all'ingresso.

Chi è Kuroo Tetsurō?

Per un istante, per un istante lo so. Alzo lo sguardo e lo so, mi capita di saperlo, anche se dura poco.

Una cosa sola, che mi fa sentire me.

Kuroo Tetsurō è quella persona a cui si stringe il cuore quando guarda il divano del suo ufficio e vede Kozume Kenma con le ginocchia al petto che piange.

Quello, è Kuroo Tetsurō.

Quello, lo definisce.

Guardare Kenma col cuore in mano.

E non lo vorrebbe, ma questa è la verità.

Lascio cadere la borsa a terra, deglutisco la saliva, prendo fiato per parlare e cerco di non pensarci, cerco davvero di non pensarci, al fatto che il mondo attorno a lui non sia grigio per niente.

Mi basti sapere che è seduto. Seduto sul mio divano, nel mio spazio personale, che è entrato qui senza autorizzazione e che non dovrebbe...

Non pensarci, Tetsurō, non pensarci, su.

– Kenma, non puoi rimanere qui. Non so cosa tu stia facendo ma devo chiederti di andartene. – mi costringo a dire, le parole una più pesante della precedente, una più odiosa della precedente.

Non è vero.

Non voglio.

Ma non devi, non devi stare qui.

Singhiozza forte, non tira su la testa.

– Mi spiace davvero che tu non stia bene, ma non puoi entrare senza appuntamento. –

Perché, Kenma?

Perché?

Tu non ci devi stare, qui. Tu hai tutto il mondo che ti aspetta, là fuori, tu non puoi stare qui, io non ti faccio bene, io non...

– Per favore, Kenma, va' via. –

Pietra.

Il mio cuore è di pietra.

Ma è la cosa giusta.

Lo è per mia moglie, lo è per te.

Lo è per voi.

Di me non importa. Ho sbagliato abbastanza perché le mie volontà personali siano ininfluenti, davvero.

Faccio un passo.

Non dà cenno di spostarsi, anzi, continua a singhiozzare.

Via, devi andare via, devi andare via, devi andare via, via, via, va' via, finché sei in tempo, via, Kenma, via da me, via da questo, via, via, via, vattene via da...

Singhiozza più forte di prima.

Alza la testa.

È infagottato in una felpa molto più grande della sua taglia e i suoi pantaloni sono scuri e stretti sulla sua pelle, non gli si vedono le mani perché le maniche le nascondono, si distinguono poco le anse e le linee del suo corpo.

Ha il viso rigato di lacrime.

Ha...

La sua guancia.

È scura.

Sembra...

– Ha detto che lei era uno stronzo. Parlava coi suoi amici e ha detto "Chimica con quello stronzo di Kuroo non la do, piuttosto cambio corso, ma col cazzo che mi faccio dare un voto da uno come quello. Crede che il mondo gli giri attorno, si vede, in realtà non è niente di che". –

Ha detto...

Chi?

Chi l'ha...

Oh, credo di aver capito.

– Mi ha fatto arrabbiare. Che dicesse che lei non è niente di che, mi ha fatto arrabbiare. Non è vero che lei non è niente di che, è una stronzata, è una stronzata e io odio le stronzate e allora gli ho risposto e... –

Si tocca la guancia, per un minuscolo istante incontra i miei occhi, scoppia di nuovo a piangere.

La "rissa", Kenma, eh?

Per me.

Sei alto un metro e sessanta e ti sei fatto tirare un pugno per me.

Non lo vedi, che ti faccio solo male?

– Non voglio darle fastidio. Mi serve solo un posto dove stare finché non smettono di parlarne e posso andare a casa. Non voglio avere problemi con la commissione disciplinare, almeno non in queste condizioni. Poi me ne vado, lo giuro. –

Ha la voce sempre bella e ariosa, ma anche addolorata, stretta, triste, disperata. Mi spezza il cuore, la sua voce, mi spezza il cuore.

– Sai che non puoi... –

– Solo un minuto. Solo... solo un minuto. –

Cerco di prendere fiato, ma l'aria mi trema nel petto.

– Kenma... –

– Un minuto. La prego, un minuto. –

Non è mai un minuto.

Non sarà mai un minuto.

Sarà...

Perché colori il mondo, Kenma? Perché lo fai? Chi ti dà il diritto di farlo? Io ho una moglie, è lei, che dovrebbe farlo. E allora perché sei tu? Perché?

Non so cosa fare, con te.

So cosa voglio fare, ma farlo non fa altro che far male a te e a lei.

– Un minuto. – convengo.

– Grazie. –

Rimango fermo, all'ingresso, lui rimette la faccia contro le ginocchia e ricomincia a singhiozzare piano, nessuno dei due dice niente per diversi secondi.

Io...

Lo guardo.

Se lo guardo non faccio male a nessuno, vero?

Solo guardarlo, io voglio solo guardarlo, sono una merda anche se lo guardo? Solo...

Prende fiato.

Lo vedo prendere fiato.

Io rimango in silenzio.

– Sono biologicamente femmina. Quando sono nato, diciannove anni fa, sono nato biologicamente femmina. Mia madre e mio padre erano tanto felici di aver avuto una femmina, erano convinti che sarei diventato la loro principessina. –

Non so di cosa stia parlando, ma non lo interrompo.

– Mi hanno cresciuto in una città... piccola, sa, una di quelle città minuscole dove non succede mai un cazzo. La mia vicina di casa aveva un cane di quelli col muso schiacciato, alla mattina facevamo colazione tutti insieme, avevamo lo steccato e il giardino e tutte quelle cose che tutti vorrebbero. –

Alza un po' la testa.

– Poi un giorno ho detto a mio padre che ero un maschio. A undici anni, sono tornato a casa da mio padre e gli ho detto "lo sai papà forse sono un maschio, essere una femmina non mi piace tanto oggi". –

Faccio un passo.

D'istinto, faccio un passo.

– Mi ha picchiato. Quella è stata la prima volta, ma ha continuato fino a... che cazzo ne so, un paio di anni fa? Tre, forse? Ogni volta, professore, ogni volta che tornavo a casa coi pantaloni, ogni volta che gli rubavo le camicie, ogni volta che parlavo di me stesso al maschile. –

Un altro passo.

Ne faccio un altro.

– Lo so che non ci crederà, ma prima di... prima che mi rovinasse, io ero bravo. Ero carino, ero disponibile, ero... cazzo, ero persino dolce. Ma a cosa cazzo mi era servito essere dolce? A farmi mettere le mani addosso? A farmi dire che ero strano a scuola? A farmi essere sempre l'ultimo, sempre quello che nessuno voleva? –

Gli tremano le mani.

Le mani, le ginocchia.

– Mi sono ripromesso che non mi sarei fatto trattare male da nessuno. Che mi avrebbero odiato, ma mi avrebbero guardato quantomeno in faccia, prima di farlo. Che non avrei più abbassato la testa. –

La sua voce sembra un filo ma è assordante, Dio, quanto è assordante.

– E che me la sarei presa con gli uomini come mio padre. –

– Pensi che io sia come tuo padre? –

Alza la testa verso di me.

Non facciamo altro che... fissarci, per un attimo.

Fissarci e basta.

Scuote la testa.

– All'inizio. All'inizio credevo che lei fosse un figlio di puttana che usava la sua posizione per trattar male le persone che non le piacevano, credevo che se la credesse, che fosse convinto di avere il mondo in mano e che non fosse altro che un coglione con un ego troppo grande. Ma... –

Si asciuga la faccia.

– Poi mi sono reso conto che non è affatto vero. Lei non... lei non è come lui. Lei... lei non finge di avere potere, lei non si atteggia per avere il rispetto altrui, lei... ha potere e rispetto per davvero, non c'è nessuna finzione. Ed è gentile, mi è venuto a prendere, mi ha aiutato con la relazione, mi fa sentire bello, o bella, dipende dai giorni, mi guarda come se vedesse solo me. Mi sembra di non aver niente da dimostrare quando lei è con me. Mi sembra di non essere mai stato debole. Mi sembra di stare in un'altra dimensione in cui non sono quella persona che odiano tutti ma qualcuno... di importante. –

Tira su con il naso.

– Io pensavo... sa, pensavo che sarebbe venuto... sabato. È il mio compleanno, sabato. Non festeggio da anni ma mi sarebbe piaciuto che lei... –

Singhiozza di nuovo.

– Perché? Perché mi ha gettato via così? Perché? Io... lo so che sono giovane, lo so che non reggo il confronto con sua moglie, lo so. Lo so che sono stupido e che sono insopportabile e che faccio schifo, ma... la prego, la prego. Mi dia un posto nella sua vita. Uno qualsiasi, anche uno piccolo, ma mi dia... –

Faccio l'ennesimo passo, e uno dopo quello, un altro ancora, finché...

Arrivo al bordo del divano dov'è seduto.

Mi abbasso fino a che non sento le mie ginocchia schiacciate contro il legno del pavimento, gli prendo il viso con le mani, lo tengo su, su perché mi guardi, perché ascolti la mia voce, perché non si perda nemmeno una parola.

– Non sei tu che fai schifo, Kenma. Sono io. Io faccio schifo. Io sono orribile, insopportabile, stupido. Io. Mi sono fatto prendere dal panico l'altra sera e non mi sono spiegato, ma lo farò adesso. Niente di tutto questo è colpa tua. È solo, unicamente colpa mia. Sono io, Kenma. Io e basta. –

Sbatte le palpebre.

– Tu non sei niente meno di perfetto, Kenma. –

Io dovrei...

No, devo dirti questo. Devo, perché tu non te lo meriti di star male per uno come me, e l'idea che tu ti sia sentito...

– Ho diciassette anni più di te e sono sposato, Kenma. Io per te non vado bene, lo capisci? Ti infilerei in una situazione di merda, ti rovinerei la vita, ti farei solo sprecare il tuo tempo. Io non mi merito tutto questo. Io merito che tu mi lasci qui come lo schifo che sono e fai la tua vita lontano da me. –

Gli tremano le labbra, quando prova a parlare.

Ma lo precedo.

– Tutto questo riguarda me. Non te. Non riguarderà mai te. Sono stato un figlio di puttana a lasciarti là, lo so, è vero, Dio solo sa quanto vorrei tornare indietro e spiegarmi meglio e non farti stare male, ma... –

Tira su una mano e l'appoggia sulla mia, ferma sulla sua stessa guancia.

Sono morbide, le sue dita sulle mie.

Perché il mondo non è più grigio, Kenma?

Perché diavolo il mondo non è più...

– Se tornasse indietro per davvero, professore, se tornasse indietro per davvero, lo... lo rifarebbe? Con... me, intendo. Verrebbe a prendermi? Mi darebbe quel bacio in macchina e quello di fronte alla... –

– Kenma, se potessi scegliere per me stesso e se nessuno pagasse le conseguenze delle scelte che faccio, rifarei tutto da capo e continuerei anche adesso. –

Chino lo sguardo verso le sue ginocchia.

– Ma per quanto mi lusinghi sentirti dire che pensi che abbia il mondo in mano, Kenma, non è così. Io non ho il mondo in mano. Non ho nemmeno me stesso. Devo aver ingannato anche te con la mia messinsce... –

– Lei non inganna nessuno. –

– Non mi conosci, non puoi saperlo. –

– Mi guardi. –

– Non credo che... –

– Mi guardi. –

Tiro su la testa, i suoi occhi sono subito sui miei. Sono grandi, tanto grandi e tanto belli. Sono circondati di nero e non è il trucco, questa volta, ma le occhiaie. La guancia che tengo piano con la mano è gonfia, la pelle è arrossata, il livido che si sta formando tinge il bordo di un labbro.

– Il fatto che lei abbia fatto delle scelte sbagliate non la rende una messinscena. Io so di chi mi sono infatuato, Kuroo Tetsurō, e non è una finzione. Lei ha solo paura di accettare quanto stronzo sia in realtà, quanto il suo istinto sia egoista. –

Respira piano.

– Ma nel caso non gliel'avesse mai detto nessuno, essere uno stronzo non è un crimine. Lei non ha ucciso nessuno. Scegliere se stesso e tradire la fiducia degli altri e trattare male le persone non è carino, non è gentile, ma non è illegale. Lei può fare il cazzo che le pare. Anche a costo di far star male delle persone, lei non è obbligato a fare niente. Lei può fare il cazzo che le pare. –

Sbatte le ciglia, mi guarda senza filtri, senza dubbi.

– In quanto a me, io so che sono giovane, professore, lo so, e so anche che pensa di rovinarmi la vita, ma... in che modo dovrebbe rovinarmela? Non so se n'è accorto ma non ho amici veri, non ho talenti, non ho niente di speciale, non c'è niente che io possa perdere stando con lei. Non ho niente, io non ho... –

– Kenma, non scherzare. –

– Non lo sto facendo. –

Non lo sta...

Il mio cervello, il mio stomaco, il mio cuore sono in subbuglio.

Io so che cosa dovrei fare.

Io lo so.

Lo...

Ma è vero, che devo fare qualcosa? È vero? Sono obbligato, sono costretto, sono...

– Io ho imparato da mio padre che abbassare la testa non ti rende più felice, che star zitto mentre qualcuno se la prende con te per come sei non farà in modo che i colpi che arriveranno dopo facciano meno male. Ho imparato che nel mondo qualcuno se la prenderà con te a prescindere da quello che fai, quindi tanto vale far quello che vuoi. –

Stringe le mie mani forte, forte davvero.

– Io voglio Kuroo Tetsurō, il genio della Chimica, alto due metri e che mi guarda come se volesse mangiarmi. Voglio Kuroo Tetsurō che ha tradito sua moglie con me e che non ha un minimo di senso morale, Kuroo Tetsurō che mi tratta come un ragazzino che fa i capricci e mi bacia come se non volesse fare altro. –

– Quel Kuroo Tetsurō è un pezzo di... –

– Lo è. È un pezzo di merda. Io lo voglio lo stesso. –

Lascio andare le sue guance, ritraggo le mani, cerco di non guardarlo in faccia.

Kenma, no, Kenma.

Questo è il punto di non ritorno.

– Se andarsene la rende più felice se ne vada. Se stare qui con me la rende più felice rimanga. Faccia quello che vuole, non quello che sente di dover fare. Perché io gliel'ho urlato, che speravo che fosse infelice, ma non è vero. Io voglio che lei sia felice, e qualche volta per essere felice devi davvero essere una persona di merda. –

– Tu sei senza morale, Kenma. –

– La morale non ha mai fermato i colpi, per cui non me ne sono mai fatto niente. –

Diciotto anni.

Tu hai diciotto anni.

Sembra che tu...

La morale.

Mi serve, la morale?

Certo che serve, la morale rende un uomo umano, lo rende più di un animale, gli dà un senso, delle regole, uno schema preciso di cose da fare e non fare.

Ma se...

Accetta chi sei, Kuroo Tetsurō.

Guardati al cazzo di specchio.

Tu chi cazzo sei?

Tu sei uno stronzo per cui il mondo è grigio senza Kenma. Sei un fedifrago, sei un genio, sei un narcisista, sei un egoista, sei un ottimo professore, sei uno spigliato ma anche uno che vive per se stesso, sei uno stronzo, sai di esserlo, ma sei anche in qualche modo una persona interessante, una stratificata.

È così facile, giudicare, vero?

È così facile.

Così facile che ci sei caduto persino tu.

"Dovrebbe rimettersi con sua moglie, lasciar perdere il diciottenne, farsi un cazzo di esame di coscienza e darsi un tono, quel pezzo di merda che pensa solo a se stesso".

Dovrei?

E secondo chi, dovrei?

Secondo la morale?

E chi salvo, con la morale?

Maeko l'ho comunque tradita, e non la amerei come facevo prima. Kenma sarebbe col cuore spezzato in disparte ad odiarmi, io guarderei il mondo grigio e ogni giorno sarebbe una sofferenza.

La verità è che la morale non salva nessuno.

La verità è che...

– La mia intenzione è quella di parlarne a Maeko, Kenma. Alla fine del semestre, quando abbiamo le due settimane di pausa. Voglio portarla da un terapista di coppia che mi aiuti a spiegare le mie intenzioni senza fare il bastardo manipolatore come faccio sempre e dirle la verità. –

– E lo vuoi fare perché vuoi o perché devi? –

– Perché voglio. –

Sta un attimo fermo, poi annuisce.

– E io in tutto questo? –

– Tu dovresti stare lontano da me. –

– Abbiamo già constatato il fatto che non voglio farlo. –

Così me lo rendi...

Lascia scivolare verso il basso le ginocchia, le apre un po', è lui ad avvicinarsi, questa volta, col busto che pende verso il mio viso e gli occhi che mi cercano.

– Io voglio che lei mi dica cosa prova per me. Per davvero, senza mezzi termini. A prescindere da sua moglie, dalla sua professione, da tutte le morali del mondo. –

Prendo fiato con l'intenzione di non dire la verità.

Lo faccio perché...

Perché?

Perché non lo fai?

Per non ferire chi?

Per non renderti conto di quanto schifo tu faccia, Kuroo?

Tu fai schifo.

Tu fai indubbiamente schifo.

Cerca, almeno, mentre fai schifo, di essere onesto, stronzo.

– Non riesco a smettere di pensarti. Non ci riesco. Mi sento così uno schifo, io non dovrei, non... Kenma, io non dovrei. Ma non riesco a smettere di pensarti. – confesso.

Gli si scalda la faccia.

– Ti penso sempre. Sempre, sempre. Penso al tuo corpo, alla tua voce, al tuo viso, al modo in cui ti vesti, al modo in cui mi parli, al modo in cui ti muovi. Mi fa vomitare, il mondo, se cerco di smettere di pensarti. Non ha... nessun cazzo di valore. –

China lo sguardo perché è... intimidito?

– Amo il tuo lato crudele, amo quando fai la serpe. Sei... cattivo, insopportabile, e mi piace da morire. Sei capriccioso e sei viziato e... –

Gli prendo il mento con una mano, lo costringo a tirar su la testa e a guardarmi negli occhi.

– Io avrò anche il mondo in mano, ma tu hai in mano me. E non c'è nulla che mi faccia sentire più... appagato, completo, soddisfatto, Kenma. Questo, provo per te. Mi... fai stare bene. Maeko non mi fa sentire così bene. A dir la verità, non l'ha mai fatto. –

– E allora perché vuole buttarmi fuori dalla sua vita? –

Il mondo non è slavato, nei tuoi occhi.

Il mondo è sbagliato, dentro di te, ma non è grigio.

È erroneo, è tappezzato di scelte che mi renderanno una persona solo peggiore, è oscuro, spaventoso, infinitamente peggio di quello che qualcuno dovrebbe teoricamente volere.

Ma è a colori, Kenma.

Tu sei a colori.

A colori tenui, dolci e delicati come te.

– Kenma? –

Perché dovrei voler essere quello che ero in aula, prima? Perché? Per salvarmi da regole morali che ho già infranto? Per salvare Mae da qualcosa che comunque non saprebbe? Per dire di essere una bella persona in giro?

Ho tradito mia moglie.

Sono Kuroo Tetsurō, ho tradito mia moglie.

Ho trentacinque anni, tradisco mia moglie con un ragazzino di diciott'anni, che è un mio studente e che mi ha attratto, per la prima volta, solo perché era carino.

E allora?

Chi cazzo l'ha detto che sono un esempio di morale?

Sono un cazzo di prete?

A me non frega un cazzo di quello che sembra da fuori, a me...

Io sono uno schifoso narcisista incoerente. Sono un genio, sono un fedifrago, sono un egocentrico.

Non posso far finta di non esserlo, e far finta non servirebbe a niente.

Faccio schifo.

Chi cazzo se ne frega se faccio schifo.

– Chiamami Tetsurō, Kenma. Dammi del "tu". –

– Eh? –

– Chiamami Tetsurō. –

Separa le labbra fra di loro, mi guarda, trattiene il respiro.

– Davvero? –

– Sì. –

Allunga le mani verso il mio viso, le chiude sulle mie guance, mi tira in avanti.

– Tetsurō. – dice, con la voce che è ancora spugnosa per il pianto torrenziale in cui l'ho gettato per tre, forse quattro giorni, le lettere che sembrano quasi evocative nel modo referenziale in cui le pronuncia.

– Kenma. –

Sorride.

– Promettimi che non mi dici mai più di andarmene. –

Sorrido anch'io.

– Mai più. Lo giuro, mai più. Mi dispiace tanto, davvero. Non so cosa mi sia preso, ma... –

– È acqua passata, non pensarci più. L'importante è che tu sia qui con me. –

– Sicuro? –

– Sì, Tetsurō. –

Mi piace, come dici il mio nome. Mi piace così tanto, così tanto. Sarà anche sbagliato, sarà anche immorale, schifoso, osceno. Ma lo sono io, non tu, e di questo ne sono convinto, perché tu sei perfetto così come sei e privarmi di te non farebbe altro che inaridirmi.

– Allora, ti va di venire a casa mia per il mio compleanno? –

Appoggio la punta del naso contro la sua.

– Sì, certo, certo. –

Stringe le labbra, si lascia andare in un versetto di gioia.

– Sono così felice, cazzo. Pensavo che mi odiasse, pensavo che... che... –

– Non potrei mai odiarti. –

– Neanch'io. –

Si specchia nei miei occhi.

Saremo sbagliati, Kenma, saremo la feccia del mondo, il peggio del peggio, ciò che rende il mondo un posto di merda.

Ma almeno sei a colori.

Solo tu, almeno sei a colori.

Sporgo il collo.

Le sue labbra sono sempre morbide come la prima volta.

Più gonfie, ora, più gonfie per il pianto, piene di sale, ma ugualmente morbide e delicate, piacevoli.

Se questo è uno sbaglio sono felice di sbagliare.

Se questo è il peggio che una persona possa fare ad un'altra, allora io sono il peggiore.

Apre la bocca, la apro io, mi sembra di tornare a casa dopo giorni di girovagare, di tornare al posto dove sono chi sono per come sono senza pretese.

Questo è quello che voglio.

Non dovrei.

Ma lo voglio lo stesso.

Lo bacio ancora, ancora, ancora finché non ride, finché non rido io, finché non sembra giusto, finché tutti i colori non tornano uno ad uno, finché sento di volerlo fare, finché mi va.

Lo tiro su e me lo metto sulle ginocchia, lo bacio e pettino le ciocche dei suoi capelli, bacio le sue labbra, la sua fronte, le sue tempie, lo guardo così, perché posso, perché voglio.

Si appoggia sulla mia spalla, quando finisce il fiato.

Ride piano sulla mia spalla.

E dentro di me il meccanismo torna a posto, perché è là che deve stare.

Io...

Far schifo con te non mi pesa.

Mi dispiace per mia moglie ma ci sono cose che non posso fermare, che non voglio fermare, che fermare sarebbe scorretto.

Le parlerò, lo prometto.

Alla fine della sessione le parlerò.

Ora...

Ora non m'interessa.

Di nuovo, lo bacio di nuovo, sullo zigomo, sulla tempia, sulla gua...

La guancia.

La sua...

Mi stacco, lascio che Kenma si adagi sul mio petto con calma, lo faccio sistemare con la testa sotto la mia, prendo il telefono dalla mia tasca, lo accendo.

Schifoso egoista, no?

Lo sono.

Quindi dove finisco io, dove finisce quel che è mio, c'è il baratro.

Cerco il numero giusto, appoggio il telefono all'orecchio.

– Stai chiamando... –

– Presidente della commissione disciplinare. – spiego, alla creaturina fra le mie braccia, prima che la chiamata si apra.

Si apre.

– Pronto, parla... –

– So chi parla. Sono io, Kuroo. Chiamo per la storia della rissa. –

Kenma spalanca gli occhi.

– Quella nella sede di Ingegneria? – mi sento chiedere nello speaker.

Porto la mano sulla sua testa, pettino le ciocche dei suoi capelli con le dita.

– Ah-ah. Ho trovato lo studente che è scappato. Dice che l'altro l'ha aggredito. Voglio l'aggressore fuori dall'università il prima possibile. –

Kenma si stacca dal mio petto, si spinge verso di me.

– Fuori? Professore, lei sa che... –

– O lui o io. O mandate via lui o io mi dimetto. Mi rifiuto di insegnare in un dipartimento che non tutela i propri studenti. –

C'è silenzio, dall'altra parte della cornetta.

In quel silenzio, mi chino e mescolo le labbra con quelle di Kenma.

Oh, Kenma.

Non so se il mondo io ce l'abbia davvero in mano o se sia la sensazione che mi dai, ma...

Capisco perché il mondo fosse grigio.

Senza di te, chiunque lo penserebbe.

– Ne è davvero... –

– Sicurissimo. Sono stato chiaro? –

– Sì. È stato chiaro. –

Stacco il telefono dall'orecchio.

Chiudo mentre sento dire "arrivederci", lascio cadere il cellulare sul divano, guardo Kenma come se non ci fosse nient'altro al mondo perché non c'è nient'altro, non c'è.

Io...

Mi bacia di nuovo.

– Grazie Tetsurō. –

– Di niente, Kenma. –

Il modo in cui mi piaci, fa schifo. Il modo in cui ti ho, in cui mi prendo cura di te, il modo in cui litighiamo, in cui stiamo assieme, fa schifo.

E...

Che faccia schifo.

Che faccia schifo, mi dico.

Se essere felice fa così schifo, allora farò schifo anch'io.

Davvero.

Sei l'unica persona, Kozume Kenma, per cui sono fiero di far schifo.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

io voglio solo dire una cosa velocissima. io capisco TUTTO, capisco che i personaggi vi stiano sul cazzo, capisco che non approviate la loro morale distorta, capisco le vostre percezioni. ma ricordatevi tipo cinque secondi che tutti tutti tutti i vostri commenti arrivano a me quindi prima di seppellirmi di insulti e odio magari pensateci un secondino perché sono una persona.

also NON ASSOCIATE IL COMPORTAMENTO DEI MIEI PERSONAGGI A REATI. non c'è alcun reato. all'università un professore che ha una relazione con uno studente NON È REATO, è moralmente scorretto quindi se lo studente è in un tuo corso ti licenziano, ma non è reato.

niente, ho finito con la rottura di palle ma mi sentivo di doverne parlare perché da come alcunə di voi reagiscono sembra che io stia scrivendo un'apologia al nazismo e niente vorrei solo evitare di aprire l'app e mettermi a piangere perché detto fra noi if it's that horrible potete anche smettere di leggere lo dico per dire

e niente, thats all, spero che abbiate una buona giornata, ci vediamo presto
un bacio
mel:)

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