𝚍𝚘𝚗'𝚝 𝚌𝚊𝚛𝚎 '𝚋𝚘𝚞𝚝 𝚐𝚛𝚊𝚍𝚎𝚜

[he/him]

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Oh, ecco cos'era.

Ecco cos'era, cazzo, ecco cos'era.

Sono almeno dieci minuti buoni, che ci penso, ma proprio non mi veniva in mente. Ora, però, ora sì, ora sono sicuro che sia questo, quello che cercavo, il paragone che mi serviva.

Ecco cosa sei.

Tu sei...

Sbatte le ciglia, fa il broncio, le sue sopracciglia si piegano in piena frustrazione, sospira, si morde la nocca dell'indice appena appena, guarda di sottecchi il ragazzo che parla, come se volesse ucciderlo, come se volesse pugnalarlo a mani nude.

Sei un quadro preraffaellita, Kenma.

Ecco, cosa sei.

I tratti morbidi, le forme esili, i colori tenui, sbiaditi, la commistione della delicatezza di un cherubino e della sensualità di un corpo nudo, i fiori, le edere, i rampicanti dietro di te.

Il rossore della rabbia sul principio dei tuoi zigomi, il colore chiaro delle tue braccia, le dita magre, il tuo collo.

Sei un quadro, Kenma.

Sei Ofelia di Millais, o sei Lilith di Rossetti? Sei delicato e sbiadito in uno specchio d'acqua o sei minaccioso nella tua bellezza innocente mentre passi un pettine fra i tuoi capelli?

Se qualcuno ti dipingesse, comprerei la tela.

La tua bellezza è qualcosa che voglio vedere ogni giorno.

Che voglio...

Qualche volta mi sembra di sentire di nuovo le tue labbra sulle mie, di sentire ancora il tuo sapore. Di avere sulla lingua quel sentore così strano di te, così dualista, spezzato fra l'infanzia della fragola e la costretta maturità del fumo.

Mi sembra di vederti sul sedile del passeggero, le calze, l'intimo e niente di più, che mi guardi come se ti aspettassi qualcosa da me.

Sarebbe più facile, se fossi un quadro e basta.

Ma tu sei un quadro e sei anche qualcos'altro.

Lo pensano tutte le persone che ti guardano, che sei perfetto? Lo penso solo io? Sono io che ho perso la testa come nei peggiori romanzetti o sei tu che fai girare il mondo nel verso che ti pare?

Perché me, Kenma?

Perché fai questo a me?

Ti diverte? Ti diverte e ti gonfia l'ego, sapere quanto potere tu abbia? Vuoi fottere la mia vita per sentirti più forte? Vuoi divertiti e trovi questo divertente?

Cos'è, che vuoi, da me?

Perché io so bene che cosa voglio da te, anche se non dovrei volerlo.

Osservo le sopracciglia chiare, le iridi chiare, le minuscole efelidi sul ponte del suo naso che s'intravedono appena, la linea perfetta del suo naso, l'incresparsi delle sue labbra.

Sembra davvero una pennellata, il colore che hanno.

Sembra che qualcuno abbia intinto le setole nella superficie rigida di un quarzo e te l'abbia passate sul viso, per dargli quel colore, quella pallida sfumatura innocente.

Dio, quanto sei bello, Kenma.

Non riesco a pensare a nient'altro, quando ti guardo.

A quanto tu sia bello.

Ora come ieri, come domani.

Che tu abbia le tue gonne svolazzanti e cortissime, o i pantaloni tagliati sulle ginocchia che porti oggi, che tu sfoggi le calze che ti piacciono tanto o le magliette larghe incastrate dentro la vita alta di un paio di jeans scuri, Kenma.

Qualsiasi modo.

Sei...

– Ed è per questo che volevo chiederle se potessimo togliere Kenma dalla relazione. Spero che non sia un problema, ma siamo tutti d'accordo che non sia giusto dargli il credito di un lavoro che non ha fatto. Ci dispiace esporlo così, ma... –

Eh?

Sbatto le palpebre un paio di volte e riporto il mio cervello sul pianeta Terra, cerco di ricordarmi chi sono, cosa sto facendo e chi sono queste persone che mi stanno parlando.

Sono...

Ok, sono ancora Kuroo Tetsurō, sono ancora un professore universitario, fin qui ci sono. Sono seduto alla mia cattedra, nell'aula dove faccio Elettrochimica alle magistrali il martedì, quelli di fronte a me sono cinque studenti del corso di Chimica base.

Due o tre li riconosco, credo di averli visti a lezione, uno non ho idea di chi sia, e poi... poi c'è Kenma.

Vogliono...

Mi sono distratto, non ho capito niente di quello che hanno detto, solo l'ultima frase, solo che...

– Scusami, hai detto che vuoi buttare Kenma fuori dal lavoro di gruppo? –

Lo studente di fronte a me ha le guance arrossate dall'imbarazzo di parlare con un professore, il suo corpo pende di lato, verso la sua amica e lontano da Kenma, gli tremano le mani, non mi guarda negli occhi.

Si schiarisce la voce.

– Non è che voglio fargli un dispetto, ma... la relazione era da consegnare per oggi e la sua parte manca, quindi l'abbiamo fatta noi all'ultimo. Però non è giusto che si prenda il merito se non ha lavorato. Volevamo solo dirle questa... questa cosa. –

Gli lancio un'occhiatina veloce.

Kenma è bello, Dio, quant'è bello. È infastidito, annoiato, come se tutta questa cosa fosse solo un'enorme perdita di tempo, ha una mano sulla scrivania, è quello che di fatto, è più vicino fisicamente a me.

È logico che sia quello meno intimorito.

Nemmeno una settimana fa aveva le labbra sulle mie, non credo la mia presenza ora lo metta particolarmente in soggezione.

– Avevo da fare. Mi dispiace di non aver consegnato la relazione, l'avrei fatto oggi. –

– C'eravamo accordati per mettere insieme le parti ieri. –

– Come ti ho detto, ieri avevo da fare. –

Viziato.

Petulante, fastidioso, viziato. Col tono che fa la cantilena, annoiato, le dita che tamburellano sul legno della scrivania, lo sguardo affilato.

La ragazza del suo gruppo, quella vicino al ragazzo che ha parlato prima, si sporge verso Kenma, lo guarda, si vede chiaramente che lo odia.

– Tu non fai il lavoro, tu non prendi i punti in più all'esame. Ti saresti dovuto organizzare meglio, e scommetto che quel che avevi da fare non era poi così importante. Volevi solo che facessimo il lavoro per te. –

Kenma schiocca la lingua.

– E questo chi lo dice? –

– Lo dico io. –

Guarda la ragazza negli occhi, tutta la cattiveria di un metro e settanta di pura vipera si riversa nel modo in cui lo fa, sbatte le ciglia, sorride.

– E tu, di preciso, chi cazzo sei? –

Per poco non mi saltano fuori gli occhi dalle orbite.

Ma con quale... siamo aggressivi, oggi, Kenma? Siamo incazzati perché qualcuno ci punzecchia? Siamo profondamente offesi dal fatto che qualcuno ci dica come stanno le cose?

Studierei la sua reazione.

Ma da docente, sono costretto a intervenire.

– Non mi sembra il caso di litigare, ragazzi, di sicuro non davanti a me. Non siamo al liceo, non m'interessano i vostri retroscena. –

Il tipo davanti a me dà una gomitata alla ragazza.

– Te l'avevo detto di stare zitta. –

– Scusa, è che mi sta veramente sulle palle l'atteggiamento saccente che ha. –

Ma sono idioti? Tutti questi ragazzini, sono idioti? Qualcuno dovrebbe ricordare loro che ho... delle orecchie, ecco, e che, soprattutto, le ha anche la persona di cui stanno parlando.

– Io ti starei sulle palle? Io sarei saccente? Ti ho solo detto che avevo da fare, sei tu che ne hai fatto un dramma. –

– Io non ne ho fatto un dramma, avevamo un lavoro da consegnare e tu te ne sei dimenticato e hai preferito fare le tue stronzate. –

– Non stavo facendo le mie stronzate. –

– E che stavi facendo, di così importante, allora? –

Sposto lo sguardo su Kenma.

Kenma ricambia, si lecca le labbra, sorride. Una vipera, un aspide, stille di veleno fra le sue labbra dipinte col quarzo, sono sicuro che se sorridesse ancora gli spunterebbero le zanne, al posto dei canini, per mordere e uccidere le sue vittime in un attimo.

– Stavo parlando al telefono con un uomo. Non so se sai cosa intendo, se ti è mai capitato qualcosa del genere. A giudicare da come ti comporti direi di no, ma mai dire mai. –

– Brutto... –

Mi schiarisco la voce.

E quando lo faccio, sia Kenma che la povera ragazza, si ricordano della mia presenza.

Cala il silenzio, cinque facce si girano verso di me.

La sentenza.

Devo dare la sentenza.

Devo...

È che Mae aveva una cena di lavoro. Ero stanco, ero solo, volevo solo rilassarmi, e lui... mi ha mandato una foto, e poi l'ho chiamato, e ci siamo messi a parlare e...

Non era una foto sexy.

Anche se in realtà tutto quello che fa, lo è.

Era sul suo letto, con una Switch Lite color corallo fra le mani, la mia felpa, le cosce nude, un peluche sullo sfondo.

L'ho chiamato perché sarei voluto essere là con lui.

Perché tutt'ora, vorrei essere là con lui.

– La scadenza è stasera a mezzanotte. Credo che ci sia ancora tempo per Kenma di finire la sua parte, o mi sbaglio? –

– Ma noi... –

Ammutolisco il ragazzo di fronte a me guardandolo semplicemente negli occhi.

– Non m'interessa come vi siete organizzati fra voi, davvero, non m'interessa. L'unica cosa che so è che mancano sei ore, a mezzanotte, e che mi sembra che sei ore bastino e avanzino per scrivere due pagine della relazione. –

Di norma non... non accetto questa cosa.

La relazione non è importante per l'esperimento in sé, non per andare in laboratorio, né per dimostrarmi una padronanza eccelsa della lingua. La relazione e la divisione in gruppi, sono importanti per il lavoro in team.

Chi non riesce a fare lavoro di squadra, viene penalizzato.

Se Kenma non fosse Kenma, non avrebbe i suoi punti.

Ma Kenma è Kenma, e io faccio schifo, nel controllarmi, quando si tratta di lui.

– Che parte avevi? – mi rivolgo direttamente a lui, ora, e so che anche se impercettibilmente, il mio tono è diventato più dolce.

Mi guarda sbattendo le ciglia, piega di lato la testa, la cattiveria evapora, sorride.

– Le reazioni di precipitazione. Niente di traumatico, professore, non crede? –

– È un argomento semplice, dovresti farcela. –

– Lo so. –

Vorrei... allungare una mano e passarla fra i suoi capelli. Pettinare con calma le ciocche chiare e stringerle di colpo, costringerlo ad avvicinarsi ancora, ancora, ancora di più.

Non me ne frega un cazzo della relazione.

L'importante è che questo branco di coglioni non si permetta di rovinare la creatura che sei.

Mi giro di nuovo verso di loro.

– Se volete consegnare la vostra parte potete farlo anche adesso, aggiungerò io quella di Kenma al progetto. –

– È sicuro che... –

– E non permettetevi mai più di venire a disturbarmi durante la pausa per cercare di mettere in difficoltà un vostro compagno in questo modo. –

Le voci si spengono.

Passa un intero, lungo istante di silenzio.

So che Kenma sorride, lo so, anche se non lo vedo.

Sei venuto qui per questo?

Perché ti proteggessi?

Perché sono disposto a farlo.

Non so se sono pronto a gettare alle ortiche la mia intera vita matrimoniale per te, ma se devo mettere al loro posto un paio di studenti che pensano che tu sia come loro, allora lo farò.

– Va... va bene. –

– Perfetto. –

La conversazione finisce com'era iniziata, scompare nel retro della mia testa, e indietreggio sulla sedia per allontanarmi dalla cattedra, tirarmi su e iniziare a radunare le mie cose.

Si allontanano.

Con quattro volti sconfitti e uno trionfante, si allontanano di qualche metro, lasciandomi in pace.

Kenma lo fa per ultimo.

Mi lancia una lunga, languida occhiata, prima di seguirli.

"Grazie", mi dice.

E non ho mai pensato che essere ringraziato potesse essere così appagante.

Sistemo le mie cose con calma, aguzzo l'udito per sentire quel che si dicono, perché nonostante non stiano parlando con me, la faccenda continua ad interessarmi.

Si chiudono fra di loro, come in cerchio.

Tutti ammassati l'uno sull'altro, appiccicati, in un plotone d'esecuzione che fissa Kenma, minuto, esile come esile è il suo corpo, che si staglia come la peggiore delle belve di fronte a loro.

– Allora lo consegni tu il lavo... –

Non li ascolta.

Sa che lo sto guardando e lo fa con fierezza, scandendo bene le parole.

Fissa la ragazza al centro.

– Se ti permetti un'altra volta di fare una cosa del genere, ti uccido. –

Non so se sarebbe in grado di farlo.

Visto così, direi di no, ma... c'è qualcosa di consapevole, di malefico, in lui. Non lo so, davvero, non ne ho idea.

La ragazza prende fiato, le vedo le spalle che si alzano appena, sento la sua voce perché è stridula, fastidiosa.

– Se io mi permetto? Io? Se tu che mi hai umiliata davanti... –

– Non ti ho umiliata, ho detto come stanno le cose. E non l'avrei mai fatto se non aveste deciso di comune accordo di buttarmi fuori dal lavoro di gruppo. Che c'è, prima fate gli infami e poi ve la prendete con me perché mi difendo? –

Un altro, del gruppo di ragazzi, si schiarisce la voce.

– Non ti stavi difendendo. È un mese che dobbiamo fare questo lavoro e tu non hai fatto niente. Non hai nemmeno risposto ai nostri messaggi sul gruppo, non sei venuto agli incontri. Non so come tu abbia fatto a farti dar ragione da Kuroo ma... –

Piega le labbra sottili in una linea.

Lo guarda con odio, con odio puro.

– Avevo da fare. –

– Un mese? Hai avuto da fare un mese? –

Kenma annuisce.

– Ho avuto di meglio da fare un mese intero, sì. Ed è davvero stupido che tu me lo chieda, visto che a fronte di tutto, alla fine, il professore ha dato ragione a me. –

Certo che ho dato ragione a te.

Anche se non ce l'hai, sei pur sempre...

Muoverei tutto quello che ho il diritto di muovere, per te. Una relazione di laboratorio non è niente, in confronto alla forza inarrestabile di tutto quello che mi fai.

Quello che era di fronte a me, prima, e ora sta fra la ragazza e Kenma, scuote la testa.

– Non riesco davvero a capire come possa averti dato ragione. Mi ha detto uno dell'altro gruppo che hanno chiesto di buttare fuori uno che non ha fatto niente per settimane dal lavoro finale e lui ha accettato. Perché a noi no? –

Perché sono uno schifoso incoerente.

Perché potrei avere i valori più saldi del mondo, si sgretolerebbero tutti come pietra erosa dal vento, di fronte al viso di Kenma.

Sorride e mi lancia un'occhiatina.

– Magari mi ha preso in simpatia, no? –

– In simpatia? Kuroo avrebbe preso in simpatia qualcuno? Avrebbe preso in simpatia te? –

Piega la testa, indietreggia finché la sua schiena non sbatte contro il legno dei banchetti della prima fila, mi guarda di nuovo per un secondo.

– Che c'è? Invidiosa? –

La ragazza non risponde.

Anzi, fa un passo indietro.

L'ha colpita nel vivo? È questo, che la disturba? Che io abbia dato ragione a Kenma perché... perché io sono io e non per il laboratorio?

– Non sono invidiosa, guarda che non è quello il punto. È che non hai fatto il lavoro, solo que... –

– Solo quello, eh? Solo quello. Quindi non hai assolutamente messo quella maglietta da troia per venire qui a parlare con Kuroo Tetsurō. È un caso, è una coincidenza. –

Ah.

Non l'avevo notata.

Ora che la guardo, ha il retro piuttosto striminzito, anche se davanti, non la vedo.

– Io non ho fatto la relazione, è vero, ma la farò. A prescindere da questo, noi siamo qui perché tu volevi parlare a Kuroo da vicino e farlo sembrando una studentessa che s'impegna confrontandoti con me che secondo te non faccio un cazzo. Correggimi se sbaglio. –

– Non è vero, guarda che non c'entra nie... –

– Ma Kuroo ha dato ragione a me e questa cosa è così insopportabile, per te, così tremenda. Come farai adesso? Lui è l'uomo più bello che tu abbia mai visto, passi le notti a pensare a lui, sei sicura di amarlo, lo sai che è sposato ma l'amore non si ferma per qualcosa di così banale come un matrimonio, hai già pensato al vestito da indossare quando sarete all'altare e al nome dei vostri figli. –

Porta una ciocca dietro l'orecchio.

– Ma lui non sa nemmeno che esisti. –

La ragazza rimane zitta.

Zitta per un secondo, poi prende aria.

– Ci ho appena parlato, certo che sa che esisto. Lo sa. –

Bingo.

Allora non era la relazione il problema.

Sono io, il problema.

Dio, se non mi sembrano ridicoli tutti i modi che questi ragazzini usano per approcciarmi. Tranne un ragazzino, ma quel ragazzino, è tutta un'altra storia.

– Non so se ci hai fatto caso, ma sono piuttosto sicuro che non ti abbia guardato nemmeno un secondo. E non credo sappia neppure come ti chiami. Però come mi chiamo io lo sa. –

– Lo sa solo perché gliel'abbiamo... –

– Smetti di competere per attenzioni che non avrai mai, è patetico. Tu, sei patetica. –

Insopportabile, sei insopportabile, Kenma. Sei fastidioso e sei davvero cattivo, se ti ci metti. Ma... non m'interessa quanto infantili, quanto petulanti possano essere le tue argomentazioni, a me... piace che tu sia così. Mi piace tanto. Forse troppo.

La ragazza rimane un attimo in silenzio.

Poi...

– Almeno io non mi travesto da donna quando non ho un cazzo da fare. –

Mi si gela il sangue nelle vene.

Che ha detto?

Che cazzo ha detto?

Ho sentito bene?

Kenma ha la mia stessa identica espressione in volto, gli occhi spalancati, il corpo teso, un'aura di confusione che lo permea.

Poi si scrolla il torpore via di dosso, fa un passo.

Penso di voler intervenire ma mi guarda un secondo e mi sembra che abbia la situazione sotto controllo, completamente sotto controllo.

– Io non mi travesto da donna, stronza, io sono una donna, certi giorni. Non hai alcun diritto di parlare di questo solo perché il professore di Chimica non vuole che t'inginocchi a succhiargli il cazzo. –

Mi viene quasi da ridere.

Ha... ha ragione, ha decisamente ragione, su questo punto. Certo, non ce l'aveva su quelli prima ma su questo è innegabile che l'abbia, e il modo in cui lo mostra, la volgarità, il veleno, lo rendono solo più attraente.

– E sai qual è il tuo problema con me? Che certi giorni sono una donna e in quei giorni non c'è competizione. Non ti guarda nessuno, quando sono una donna. Ti piacerebbe che smettessi di essere una donna, no? Ti piacerebbe che smettessi di far vedere a tutti quanta pena tu faccia in confronto a me. –

Prende fiato.

– Ma sai qual è la verità? –

Sorride, sembra il gatto del Cheshire, sornione, crudele, misterioso.

– Che non c'è competizione nemmeno quando sono un uomo. –

È la verità.

È... è vero.

Non c'è competizione, non c'è mai stata.

È per questo che sei indisponente con tutti, che non segui le regole convenzionali, che te le fai da solo, che ti permetti di fare quello che non dovresti neppure pensare, Kenma.

Perché non c'è competizione.

Perché sai di poter avere tutto quello che desideri.

E se anch'io faccio parte di tutto quel che desideri, temo che probabilmente avrai anche me.

È un gioco? Rovini la mia vita per gioco? O t'interesso davvero?

Ti piaccio perché sono bello, perché sono carismatico, perché sono in una posizione di potere rispetto a te e ti diverte invertire i ruoli?

Non ti capisco.

Io non ti capisco.

Ma non capirti non rende meno forte l'effetto che hai su di me.

La ragazza trema visibilmente.

– Tu sei... sei uno... –

– Uno stronzo? Un figlio di puttana? Assolutamente. Ma almeno le persone si ricordano come mi chiamo. –

Se lo ricordano, tu dici?

Dio, se non se lo ricordano.

Ma si ricordano anche il resto. Si ricordano il tuo viso, il tuo corpo, la tua pelle, le tue mani e i tuoi occhi, il suono della tua voce, il profumo dei tuoi capelli.

Io mi ricordo il tuo sapore.

Mi ricordo...

– Datemi la relazione, la consegno dopo. Se volete consegnarla adesso fate pure, ma non voglio più spendere un secondo del mio tempo a sentire queste stronzate. Tanto ho ragione io, il professore ha dato ragione a me, i vostri tentativi sono penosi. –

Alza le mani in segno di resa, indietreggia verso il suo zaino, appoggiato sopra uno dei banchi della prima fila.

Nessuno fa cenno di muoversi.

– Allora, chi la consegna? La consegno io, la consegnate voi? Non ho tutto il giorno, devo scrivere la mia parte di relazione. –

Quello che non conosco, il ragazzo di cui non ricordo la faccia e che finora non ha mai parlato, si piega per infilare le mani nella borsa, passa qualche secondo a cercare fra le tasche, tira fuori un plico di fogli dentro una bustina, li porge a Kenma.

– Consegnali tu. –

I due che mi hanno parlato, la ragazza e il ragazzo vicini, si girano verso di lui scioccati.

– Scusa? –

– Perché dovrebbe consegnarli lui, non l'ha nemmeno fatto lui! –

Kenma allunga il braccio, prende i fogli fra le dita, sorride al poverino che glieli ha passati con uno dei suoi sorrisi migliori, allusivo, sottile, malefico come malefico è lui.

– Grazie, sei molto gentile. –

– Di... di niente. –

Arrossisce.

Guarda in basso, verso la punta delle sue scarpe. La frase che dice dopo la sento a malapena, tanto sottile è la voce con cui lo fa.

– Mi piacciono... mi piacciono le tue foto su Instagram. Sei molto... carino. Se ti va un giorno possiamo andare a prendere... –

Kenma si sporge.

Gli bacia una guancia.

Di fronte ai miei occhi, si sporge e gli bacia una guancia.

Il ragazzo diventa rosso, poi viola, gli tremano le mani, la sua schiena si muove più velocemente, come se gli mancasse il respiro.

Kenma gli parla ad un centimetro di distanza ma sa che li sto ascoltando e non abbassa la voce, come per far sentire anche me, come per dire tutto anche a me.

– No, mi piace già una persona, mi spiace. Ma sono felice che almeno uno di voi sappia qual è il suo posto. Ciao, stronzi, ci vediamo a lezione. –

E con tutta la nonchalance del mondo prende il suo zaino, tiene la relazione sotto braccio ed esce, lanciandomi uno sguardo e sorridendomi piano.

Mi squilla il telefono.

C'è un messaggio sullo schermo.

"Passo da lei in ufficio a darle la relazione, non se ne vada a casa. Per favore."

Devo rimettere a posto la mia roba.

Preso com'ero dalla loro discussione mi sono dimenticato di farlo.

E devo inventarmi una scusa con Maeko.

Perché non credo tornerò a casa presto, stasera.

Credo anzi, che potrei fare un po' tardi.

Sono passate un paio d'ore, forse più, forse meno, quando mi ritrovo seduto, nel mio ufficio, con un mucchio di relazioni di fronte alla faccia e la luce fuori dalla finestra che inizia a sparire.

È vero che non sono qui per questo, ma...

Tanto che c'ero ho lavorato un po'. E tutti i gruppi tranne uno, vi lascio indovinare quale, hanno consegnato il loro lavoro, per cui...

Ne ho corrette una decina.

Sono tutte uguali, come tutti gli anni, tutte uguali. Breve descrizione dell'esperimento, considerazioni finali copiate palesemente da quel che dico io a lezione, qualche immagine qua e là, qualche colore per quelli che si sentono un po' fantasiosi, bibliografia infinita e falsa perché l'unica fonte continua ad essere Wikipedia, tante parole inutili e noiose che non so perché mi costringo a leggere tutti gli anni.

Scorro con gli occhi fra le righe.

Oh, guarda un po' te, questi fanno pure gli errori grammaticali.

Complimenti.

Bravi, davvero, alla vostra età nemmeno sapete scrivere.

Cerchio la cosa con la penna, so che non è compito mio giudicare la loro sintassi ma non è decente presentare un lavoro del genere, cazzo, è imbarazzante e se lo scordano, il punteggio pieno.

Scorro più avanti con lo sguardo, fra le righe fitte e dense di testo spaziato male, ne cerco altri ma non ce ne sono, o forse... no, eccone un altro. Analfabeti, è così difficile usare la revisione del testo? Non è che voglia fare il precisino ma non sono la loro maestra delle elementari, così è vergognoso.

Indietreggio sulla sedia, sospiro, guardo il soffitto.

Amo il mio lavoro, ma certe cose... sono pesanti. Amo essere al centro dell'attenzione, amo fare lezione, stare in laboratorio, fare ricerca, parlare ai convegni. Odio stare chiuso in una stanza a leggere chi non solo non ne sa nulla, ma neppure ci mette un po' di forza di volontà.

Sposto lo sguardo sulla mia scrivania.

C'è una cornice con la foto del mio matrimonio e nell'angolo in basso, fra la foto e il vetro, c'è incastrato un fogliettino scritto a mano che risale ormai a... quasi quindici anni fa.

Io e Mae ci siamo messi insieme che eravamo laureati, ma ci siamo conosciuti al mio secondo anno della triennale.

L'aveva fatta ridere il composto che c'era disegnato sui miei appunti, quel giorno, col suo nome scritto in caratteri cubitali.

"L'acido angelico? Che diavolo è l'acido angelico?"

Le avevo scritto la formula e disegnato il suo aspetto in un post-it che ho scoperto poi, anni dopo, aveva tenuto. Non è che fossimo stati insieme, da quel momento a cinque anni dopo, ma lei... l'aveva tenuto.

Sento il rumore di qualcuno che bussa alla porta.

Esiste anche l'acido diabolico, lo sai, Maeko? Esiste anche quello. Gli acidi bicarbossilici a lunga catena, si chiamano... acidi diabolici.

Il mio viso sorride da solo.

– Entra. –

E Kenma entra, un passo timido alla volta, con i suoi pantaloni strappati e la sua maglietta troppo grande, spazzando via ogni briciolo di senso morale che ho col solo muoversi dei suoi fianchi tondi di fronte a me.

Ha un cartone della pizza in mano, i capelli legati un po' a casaccio, qualche ciocca è scivolata via dalla coda, gli pende sul viso e si muove piano con lui, mentre cammina.

Non c'è traccia del suo zaino.

Dove l'ha messa la rela...

– 'Sera, professore. Mi scusi se ho fatto tardi, sono passato a casa a mollare la roba. Però ho preso la cena, così possiamo mangiare insieme. –

Mangiare insieme?

Vuole...

Arriva fino alla scrivania, senza chiedermi nulla prende i fogli sul mio tavolo e li rimette in una pila ordinata, prende anche quello che ho in mano, lo pinza via senza neppure chiedermi cosa sia, se mi serva, niente.

Appoggia il cartone della pizza.

S'infila fra me e la scrivania, mi spinge indietro da una spalla e sorride, prima di arrampicarsi sulla mia sedia e sedersi là, sulle mie cosce, il viso di fronte al mio, le braccia stese sulle mie spalle e un sorriso innocente, dolce, appagato.

Io...

Cosa dovrei fare?

No, cosa dovrei fare lo so. Dovrei dirgli di no, allontanarlo, costringerlo ad alzarsi, farmi dare la relazione, mandarlo via.

Cosa vorrei fare, è la domanda.

E non mi sento di rispondere, al momento, perché la risposta sarebbe davvero inelegante.

– Le piace la pizza, vero? –

– Mi piace, sì. –

– E immagino che abbia fame, a quest'ora. –

– Sì. –

– Perfetto. –

Vorrei muovermi per fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riesco. Io... non riesco a fare niente, perché il mio cervello è pieno di stimoli e non so quale seguire, non so a quale dare retta.

Io...

Voglio mandarlo via e dirgli che non può fare una cosa del genere, che l'altra sera è stata solo un caso, che non significava niente.

Vorrei chiudere le mani dentro gli squarci dei suoi pantaloni, afferrare le sue gambe, tastare la sua pelle.

Vorrei che smettesse di guardarmi in questo modo, come se mi stesse facendo un sortilegio, vorrei che mi baciasse, vorrei baciarlo io, vorrei sentire se ha sempre lo stesso sapore o se ne ha uno diverso, vorrei sentigli dire il mio nome, vorrei...

Deglutisco la saliva.

– Dov'è la relazione, Kenma? –

– Quale relazione? –

Enormi, i suoi occhi sono enormi. Enormi ed innocenti, infiniti, profondi, meravigliosi. D'oro, ma di un oro chiaro, che quasi sembra platino.

– Quella per cui hai litigato con tutti i compagni del tuo gruppo di fronte a me nemmeno tre ore fa. –

Sorride.

– L'ho dimenticata a casa. –

Mi si avvicina.

– Sono sicuro che chiuderà un occhio. –

Il suo respiro mi batte sul viso.

– Può farlo per me, non è vero, professore? –

Le punte dei nostri nasi si toccano. Kenma piega la testa di lato ma non fa nulla, lascia che senta il profumo della sua pelle, che veda le clavicole che spuntano dal colletto largo e il collo sottile.

I suoi capelli mi fanno il solletico sul viso.

– Dopotutto non l'ho fatta perché avevo da fare, ieri, no? –

– Se mi avessi detto che dovevi fare il progetto non ti avrei chiamato. –

Sorride, ma lo fa con calma, pigramente. Mi sembra di vedere il suo viso mutare dalla soddisfazione alla curiosità un passo alla volta, gli angoli della bocca che si alzano e le labbra che si tendono sotto lo sforzo dei muscoli facciali poco a poco.

– Ne è sicuro? Davvero, davvero sicuro? –

Apro la bocca per rispondere ma mi precede.

– Mi guardi negli occhi. –

Lo guardo negli occhi.

No, non ti avrei chiamato. No, non l'avrei fatto, se avessi saputo che avevi da fare. No, non ti copro con la tua relazione, dovrai dire ai tuoi compagni di corso che te la sei dimenticata, dovrai...

– 'Fanculo. –

Non ho tutta questa forza di volontà, Kenma.

Non ce l'ho.

E della relazione non me ne frega un cazzo, davvero, avrei odiato leggerla e ti avrei dato il massimo dei punti a prescindere da quanto bene l'avessi fatta perché tu sei tu e io sono un viscido che ti muore dietro e m'importa solo di cosa sai, di cosa profumi, di cosa...

Fragola e fumo.

Kenma sa di fragola e fumo.

Sa della risatina infantile che gli rotola fuori dalla gola quando azzero la distanza fra noi, sa delle sue braccia sottili che si stringono dietro al mio collo, del bacino che si alza per premersi meglio contro il mio.

Sa delle mie mani che s'infilano nei tagli dei suoi pantaloni e circondano le sue cosce, sa del rumore umido che fanno le nostre labbra, sa di tutte le certezze che mi si sgretolano fra le mani.

Io farò anche schifo, Kenma.

Ma questo non fa schifo, questo è...

Si stacca per prendere aria, sbatte appena le palpebre, mi guarda.

– Dio, non vedevo l'ora che lo face... –

Non c'è bisogno di... parlare, Kenma, non credi? A che serve? A sedurmi ancora? Mi hai sedotto, mi hai completamente sedotto, quindi, ora...

Quando lo bacio di nuovo non se l'aspetta, ma, di nuovo, ride prima di aprire le labbra sulle mie e accettare la mia bocca sulla sua.

Euforia, la tua? O soddisfazione? Entrambe, forse.

Non lo so.

Io non so più niente.

So solo... solo questo.

Amo questo, io lo amo, non m'importa della foto di mia moglie che ci guarda, non m'importa della pila di relazioni che non ho voglia di leggere, non m'importa dei diciassette anni che hai meno di me, non m'importa niente, niente, niente.

Solo tu, solo questo.

Solo il modo in cui respiri fra un bacio e l'altro, solo il sapore delle tue labbra, solo la morbidezza della tua pelle, la delicatezza delle tue mani, il tuo profumo, il tuo profumo che m'intossica, il modo in cui gemi direttamente nella mia bocca, il modo in cui pieghi il capo per raggiungermi meglio, il modo in cui stringi la mia vita con le ginocchia.

Sei Cleopatra, Kenma, sei Cleopatra e sei un quadro preraffaellita, sei un aspide, sei un pensiero intrusivo, sei un demone e sei un angelo, sei una tentazione, sei il karma, sei la mia fine, sei tutta la mia fine, sei...

Ci stacchiamo l'uno dall'altro col fiatone.

Io...

Non lo so se ho mai baciato Maeko così.

Io non lo so se l'ho mai baciata fino a finire il fiato, fino a sperare di poterci morire, con le sue labbra sulle mie, per poter ricordare del mondo solo il sapore delle sue labbra.

Ma tu, Kenma, tu...

Ride ancora, ride un'altra volta, gli occhi che si chiudono quando lo fa e la voce che sembra sempre morbida e ariosa, pacata, tenue come lo è lui.

– Immagino che fosse un "sì, Kenma, chiuderò un occhio sulla relazione". –

Annuisco appena.

– Già. –

– Gliel'hanno mai detto che è il professore migliore del mondo? –

Respiro.

– Più di una volta. –

– Beh, è vero. –

Si piega di nuovo verso di me, appoggia le mani sulle mie spalle, le sposta verso l'interno e prende il colletto della mia camicia fra le mani, lo tira verso di sé.

Non è appassionato come prima.

È giusto lo schiocco delle sue labbra sulle mie.

– Non credo nessuno gliel'abbia detto così, però. –

– No, Kenma, questo no. –

Un altro, mi dà un altro bacetto. E poi un altro. E un altro ancora e...

Avvito le braccia attorno al suo corpo, lo stringo a me di più, più forte, lui mi tiene il viso con le mani, si tira su sulle cosce, piega il mio collo perché riesca a raggiungerlo meglio, i suoi capelli scivolano via dalla coda, è piacevole, è così piacevole, cazzo, di più, voglio di più, dammi di più, ti prego, Kenma, ti prego, ti prego, ti prego dammi tutto quello che sei, tutto quello che hai, tutto di te, tutto.

Kenma, Kenma, Kenma, Kenma.

Io...

Fa un rumore sottile, come se la sua gola si stringesse, ad un certo punto.

È lagnoso, acuto, femminile, quasi.

Mi stacco.

Mi stacco e lo guardo, quel lamento che mi rimbomba nel cervello così forte che mi sembra di non sentire neppure più il suono del mio respiro.

Merda.

Sono fottuto, vero?

Lo sono?

Io sono...

Kenma mi guarda, arriccia il labbro inferiore, piega il capo e dice...

– Uffa, la odio. –

– Mi odi? –

Annuisce.

– Sì, la odio. –

È ancora tirato su con le cosce, mi guarda dall'alto.

– Come mai? –

– Lo sa quanto tempo ho passato con le mani fra le gambe per il bacio dell'altra volta, professore? Ne ha un'idea? Ed è durato un secondo. Ora... Dio, non uscirò di casa per almeno tre giorni. –

Mi viene da ridere, lo faccio.

– Che poi, anche lei, per la miseria. Non bastava genio della Chimica, ottimo professore, due metri di altezza, la faccia da attore, la voce bassa e i fottuti di modi di fare che ha, spunta fuori che sa anche baciare bene. Ci mancano venti centimetri di cazzo e un conto in banca a sei zeri e inizierò a credere che lei non sia reale. –

Rido di nuovo, questa volta più forte, un po' più forte.

– Non rida di me, è vero! È ve... –

Sporgo il collo per baciarlo l'ennesima volta.

– Credo che gli zeri siano cinque. Non che abbia niente di cui lamentarmi, so che se lavorassi nel privato guadagnerei di più ma sinceramente mi piace... –

– E l'altra cosa? –

Sbatto le ciglia.

L'altra cosa?

L'altra...

Ah.

Sorrido.

– Non so quanti centimetri sia, Kenma. Non mi sono mai messo là a misurarlo, ho sempre avuto di meglio da fa... –

Mi cade sulle cosce.

Con un tonfo appena accennato, le mani che salgono alle labbra e coprono la bocca aperta, gli occhi spalancati.

– Oh, merda. –

– Tutto bene? –

– Devo comprare... devo comprare un litro di lubrificante. E i preservativi, e... –

Aggrotto le sopracciglia.

– Scusami? –

Ha lo sguardo quasi scioccato, non rivolto a me né a nient'altro, anzi, un po' vuoto.

– Dev'essere di sabato, il giorno dopo non riuscirò ad alzarmi, o anche di venerdì, va bene anche il venerdì, devo comprare la tachipirina, devo... –

– Kenma, di cosa stai parlando? –

Sembra uscire dalla sua trance appena chiamo il suo nome.

Rifocalizza lo sguardo verso di me, sbatte le palpebre.

– Ci sono due tipi di persone a cui non interessano le proprie dimensioni, professore. Le persone asessuali sex repulsed, e non mi pare che lei sia una di loro, e quelle... come dire, quelle... diciamo quelle con cui nessuno si è mai lamentato. E nel caso in cui lei non se fosse accorto, io sono una XS, la mia testa le arriva alla spalla e per fare una di quelle sue belle cosce muscolose ce ne vogliono come minimo tre delle mie. Capisce che è un po'... –

Oh, cazzo.

Cazzo, cazzo.

È vero.

Lui è...

Il mio cervello regredisce ai quindici anni per un secondo.

Esile, minuto.

S... stretto.

Entrare dentro di lui dev'essere...

– Io e te non faremo sesso. – sputo fuori, tutto d'un colpo, per potermi togliere la sensazione dalla testa, per poter dare un freno alla mia immaginazione, per fermarmi.

Mi fissa.

Offenditi e vattene. Offenditi, tirami un ceffone e vattene. Odiami, disprezzami, mandami via, perché io da te non riesco ad allontanarmi, sei tu che devi... che devi...

– Ok, come vuole. Come dice lei, professore. –

Alza le mani in segno di resa, però un altro bacio me lo dà e lo accetto, come lo schifoso che sono, prima di indietreggiare con le ginocchia, appoggiare i palmi delle mani sul bordo della scrivania e spostarsi da me al legno più rigido dietro di lui.

Prende il cartone della pizza di cui mi ero, in realtà, dimenticato, se lo tira sulle ginocchia e lo apre.

Mi aspetto che dica qualcosa ma non lo fa, prende una fetta di pizza e l'addenta, niente di più, niente di meno, si lecca le labbra, dondola con le gambe addosso a me.

Basta?

Solo questo?

Solo...

Sporge il cartone verso di me come se niente fosse.

Prendo una fetta completamente confuso, mangio ancora più confuso.

– Vedremo. – aggiunge poi, e lo riconosco, finalmente.

Non lo contraddico.

Ma l'ansia della confusione... sparisce, e questo la dice lunga su cosa io realmente pensassi sulla questione.

La pizza non è affatto male. Certo non è calda, e la preferisco, da buon cretino quale sono, con le patatine sopra, ma non è male, e la mangio volentieri.

Kenma è... piacevole. Non è solo sensuale, è proprio piacevole. È carino il modo in cui mangia, in cui si copre le labbra con la mano prima di deglutire. Dondola le gambe giù dalla scrivania, qualche volta mi colpiscono, ma non fanno male, appena le sento.

Rimaniamo un po' in silenzio.

Poi, con tutta la calma del mondo, cambia argomento.

– Può dare meno punti agli altri membri del mio lavoro di gruppo? –

Lo guardo da sotto le ciglia.

– Perché dovrei farlo? –

– Perché glielo sto chiedendo. E perché se lo meritano. Sono stati orribili con me, non crede? –

– La ragazza sì. –

Annuisce, prende un morso, mastica e manda giù.

– Tutte le ragazze di quel corso mi odiano. Di tutti i corsi, in realtà. –

– Ti fanno tutte commenti del genere? –

Mi viene istintivo prendergli la caviglia con la mano libera, quando la dondola verso di me, e muovere le dita sulla sua pelle chiara così, per rilassarlo, per rilassare me.

– No, non mi era mai successo. Ma mi odiano comunque, glielo giuro. Mi parlano sempre dietro e ce l'hanno con me solo perché sono più bello di loro. A me spiace, davvero, ma non è che ci posso fare molto. –

Dio, se non sei...

– Dicono che m'importa solo di me stesso e che sono disposto a tutto pur di avere quello che voglio. Mi scusi, ma le sembra per caso che queste cose siano un male? –

Dovrei dirti di sì.

Il mio senso morale mi dice di sì.

– No, non credo. –

– Ecco, infatti. Mi odiano perché sono invidiose, e io non le sopporto. E poi parlano tutto il tempo solo di lei, come se potessero anche solo immaginare di avere una chance. Sono insopportabili. –

No, Kenma.

No.

Sei... tu.

Sei tu che sei insopportabile.

Loro...

È normale che loro...

Passo con le dita più in alto, dentro la gamba dei pantaloni, stringo la mano sul polpaccio, sul retro di una coscia.

Hai ragione tu.

Hai... hai ragione tu.

Come potrebbero non invidiarti, Kenma? Come potrebbero? Tu sei perfetto, certi giorni, perfetta altri. Che tu ti senta uno o l'altra, che tu ti vesta bene o meno, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi.

Se sei egocentrico? Se credi che il mondo giri attorno a te?

Sì, probabilmente sì.

Ma non è così, Kenma?

– Quanti? –

– Quanti cosa? –

Prendo fiato.

– Quanti punti gli tolgo? –

Kenma mi guarda, poi manda giù il boccone che aveva in bocca e mi sorride. C'è un "vedo che hai capito come gira il mondo", nel suo sorriso, ma anche un "grazie di quello che fai per me".

– Quanti può darcene? –

– L'ho detto a lezione. –

– Ero distratto. –

Insopportabile.

Stronzetto insopportabile.

– Due al massimo, si accumulano a quelli che prendete all'esame. –

– Mmh, mi faccia pensare. –

Finisce la fetta che ha in mano, ma non mangia la crosta, no, la rimette sul cartone, mi osserva finire di masticare e mangiare l'ultimo pezzo rimasto in silenzio.

Riprende tutto, quando ho finito, e lo rimette dov'era, poi mi guarda e capisco cosa vuole, quando chiudo le mani sulla sua vita e me lo riporto addosso come prima.

Appoggia la tempia su una delle mie spalle, si rilassa.

– Io voglio due punti. –

Raggiungo la sua schiena con una mano, pinzo via la sua maglietta, infilo le dita sotto, a contatto con la pelle, i miei polpastrelli sul saltellare delle sue vertebre.

– Ovviamente. –

– E quello carino che mi ha dato la relazione può averne uno e mezzo. –

Lo sento appoggiarmi le labbra sul collo in un bacio che sembra un soffio.

– No, a lui no. Lui zero. –

– Perché? –

– Perché l'hai baciato. –

Ridacchia, annuisce, lo sento spostare la mia camicia col movimento del suo viso.

– Ok, allora. Anche la ragazza zero punti. Agli altri due se le va può darne mezzo, che dice? –

– Uno. –

– Mezzo. –

Sposto il capo per guardarlo.

Sorride.

– Mezzo. – convengo.

– Grazie. –

– Di niente, Kenma. –

Allunga il collo, lo imito, ci baciamo un'altra volta.

Mi accarezza una guancia, quando si stacca, passa le dita sul mio zigomo, sulla mascella, sul bordo di un occhio.

– Lei deve andare, vero? – chiede, poi, con la voce ridotta ad un filo.

Annuisco senza rispondere.

– Quando? –

– Fra poco. –

Fa il broncio.

– Mi porta almeno a casa? –

– Va bene. –

Sposta i polpastrelli sul mio collo, sulla spalla.

– Quanto dura, questo poco che può ancora rimanere qui con me? –

– Non lo so. Dieci minuti? Quindici, forse. –

– Ed è fattibile per lei passare questi "dieci, quindici forse" minuti a baciarmi, professore? –

Sento gli angoli della mia bocca tirarsi su da soli.

Sì.

Non c'è nient'altro che voglia fare.

Niente.

Annuisco.

– Sì, sì, è fattibile. Vieni qui, Kenma. –

Mi chino e lui si avvicina.

Le nostre labbra s'incontrano.

Le apre, le apro io, sento la sua lingua sulla mia, il suo respiro che si fonde col mio.

Apro gli occhi per guardarlo, anche solo per un secondo.

Non vedo lui.

Vedo...

La cornice.

Sulla mia scrivania.

La foto del mio...

Li richiudo.

Fumo e fragola.

Kenma sa di fumo e fragola.

Fumo, fragola e tradimento.

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

io non so se vi aspettava kenma così nel senso mi pareva di aver fatto già capire che fosse una serpe ma qui si capisce un po' di più like spero che non mi vogliate male per questo io sinceramente lo trovo meraviglioso soprattutto perchè è una serpe ed è incredibilmente cattivo però ecco gusto mio personale, sbaglierò amen

kuroo forza di volontà meno tre possiamo riassumere questa storia come "kuroo pensa con il cazzo" kuroo controllati amico cioè io davanti a kenma non ce la farei ma sei vecchio sususu datti un contegno (spoiler :: non se lo darà)

niente

so che sto postando un sacco di capitoli di fila ma sono OSSESSIONATA da questa storia e soprattutto NON DORMO LA NOTTE ho gli esami a breve e il sonno è per me un lontano ricordo quindi niente va così

ci vediamo presto, non so quando, con il prossimo

ciao bambin*

mel :D

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