𝚢𝚘𝚞 𝚕𝚘𝚟𝚎 𝚖𝚎
[she/her]
➭ ✧❁ SMUT ALERT
➭ ✧❁ come ho detto nei capitoli precedente kenma è biologicamente femmina, quindi non vi fate prendere dal panico se non ci sono come dire attributi genitali maschili perchè that's not the case
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
Tiene le gambe accavallate.
Una sopra l'altra, strette assieme, la sua pelle s'adagia contro altra pelle.
Giuro di riuscire a sentire il rumore del suo corpo che si strizza.
Le pende il tacco verso il basso, balla il ginocchio appena appena, tiene le mani chiuse sopra la coscia, il vestito le sale pericolosamente e il body si piega ai lati della sua vita prima di scenderle a capofitto fra le gambe.
Voglio metterle le mani addosso.
Davvero, voglio metterle le mani addosso.
Scendere dallo stupidissimo podio dell'aula magna, smettere di recitare questo discorso che so a memoria e metterle le mani addosso.
Ti arriverei davanti e tu sapresti già che cosa voglio da te, non è vero?
Lo sapresti subito.
Prim'ancora di vedermi abbassato per te.
Mi piace quando reagisci alle mie intenzioni nonostante io non le espliciti, quando reagisci al mio linguaggio del corpo più che alle mie sole parole.
Quanto tempo fa era?
La settimana scorsa, quando sono rimasto da te tutto il giorno.
Me lo ricordo, te lo ricordi anche tu?
Stavo cucinando perché avevi fame. Sentivo la televisione dalla porta aperta, t'intravedevo seduta con la mia maglietta addosso fra i cuscini, le ginocchia al petto e le unghie fra i denti, che guardavi non so cosa tutta concentrata.
Te lo ricordi?
Quando sono venuto a sentire se volessi mangiare e ti ho trovata a guardarmi dal basso con quegli occhi enormi e allusivi?
Quando mi sono inginocchiato a terra?
Te lo ricordi?
La sensazione del retro delle tue ginocchia sulle mie spalle, della mia faccia fra le tue gambe, della mia bocca su di te, delle mie braccia che ti tengono ferma e della tua voce che esce come una cascata fuori dalla tua gola?
È questo che vorrei fare, adesso.
Scendere da qui e guardarti aprirle, le cosce che tieni tanto elegantemente accavallate, per far spazio alla mia testa nel mezzo. Spostare il tuo body di quel poco perché l'aria ti colpisca direttamente, lasciarmi cullare dal tremore delle tue gambe, dal rumore della tua voce, dalla dolcezza del tuo sapore.
Ti piacerebbe, Kenma, non è vero?
Lo so, che è così.
Adori che lo faccia per te.
Un po' perché sono bravo e ho imparato cosa fare perché il tuo corpo reagisca immediatamente al mio, un po' perché m'inginocchio per te e tu mi guardi dall'alto, mi stringi le guance con l'interno delle tue cosce e mi tiri i capelli per tenermi fermo, hai potere, così tanto potere su di me.
Ti piace che io prenda il controllo del tuo corpo, che lo sposti e pieghi e manipoli come più mi piace, ma anche avere quel barlume di indipendenza sul piacere che ti do ti piace, lo sappiamo tutti e due.
Mi viene da ridere, mentre continuo a sciorinare il mio discorso.
Te la ricordi, la prima volta che ti ho chiesto di sederti sulla mia faccia?
"Sei sicuro? Non è che ti faccio male?"
Male, sì, mi fai male. Pesi come se fossi fatta di gommapiuma ma pensavi di farmi male. Ovviamente mi avresti fatto male, ovviame...
Si era abbassata, non seduta. Aveva messo le ginocchia attorno alla mia testa ed era tirata giù appena appena, senza cedere il peso, senza mettersi comoda.
Mi ricordo la mia voce, di quella volta.
Le mie mani che le si chiudono attorno alla vita e che la tirano giù con un "se ti dico di sederti tu ti siedi, Kenma", l'urletto di sorpresa che aveva cacciato quando si era sentita spostare da tutto il mio peso, il primo gemito.
Da lì poi i tuoi dubbi sono decisamente sfumati, Kenma.
Da lì in poi credo tu sia davvero divertita.
Se ci fosse un letto a tiro scenderei da questo palchetto e lo rifarei seduta stante.
Amo tutto quello che facciamo quando siamo da soli, davvero, amo qualsiasi dettaglio della tua sensualità, quando mi prendi e stai zitta, quando ti metti sopra e provi, invano, a controllare il ritmo nella speranza che io decida di averne abbastanza e mi spinga dal basso verso di te, quando mi guardi negli occhi, quando tieni la faccia schiacciata nel materasso, quando gemi e quando urli.
La dinamica secondo cui, però, io ti do e tu ricevi e basta, senza condivisione di alcun tipo, è davvero una delle mie preferite.
So che è anche una delle tue.
Perché ti piace che ci sappia fare, ti eccita l'idea che io abbia esperienza, che non sia un ragazzino che si barcamena fra le informazioni che ha sentito degli amici e magari ci riesce, ma un adulto che sa dove mettere le mani, sa cosa fare e come.
A me piace che tu sia giovane, in quei casi. Anche in tutti gli altri, ma in quelli...
Tremi.
Tremi così tanto, e la tua pelle è così soda, così liscia, perfetta. Il tuo corpo è sensibile ed è morbido, è delicato, è dolce come lo sei tu, meraviglioso, davvero.
Mi viene sempre in mente quando ti sei spogliata nella mia macchina quella notte, Kenma, davvero. Ti ho visto nuda, completamente nuda, mezza nuda, vestita e svestita, ma quell'esatto momento non riesco a tirarmelo via dalla testa.
Il pizzo che ti si fondeva sulla pelle, il modo in cui i tuoi fianchi premevano sul sedile e in cui ti s'intravedevano i capezzoli dal reggiseno senza coppe che porti sempre, gli occhi grandi e soddisfatti con cui ti rendevi conto che no, non c'era quel che dicevo di avere, in me, non c'era autocontrollo, solo tanta voglia di guardarti.
È lì che sono caduto, credo.
O forse prima, forse quando ti sei sporta per baciarmi.
Forse con la pizza, forse con la sottoveste in quel bar.
Forse con le tue ciglia lunghe che sbattono dalla mia parte, forse con la tua bellezza disarmante, forse con l'errore che costituisci, con lo sbaglio che mi fai fare.
Forse col tuo corpo, Kenma, che t'amo ma ti desidero anche, sempre, continuamente, ogni volta che ti vedo.
Mi viene da ridere, ogni volta che ci penso.
Io che pensavo di essere una persona con un certo savoir-faire, con una certa misura nelle cose. Poi vedo mezzo centimetro di culo e impazzisco, come un coglione pieno di ormoni, davvero.
Che ti devo dire, Kenma, che ti devo dire.
Mi mandi fuori di testa, mi mandi...
– E vorrei in conclusione citare Brecht che, nell'opera teatrale "La vita di Galileo", pone un quesito che è più che mai attuale in merito alle nuove iniziative del dipartimento di istruzione universitaria di Tokyo. "Possiamo noi respingere la massa e conservarci uomini di Scienza?" –
Riemergo dalla bassezza dei miei pensieri quando sento le parole fluirmi fuori dalle labbra, mi faccio strada fra gli arazzi dei miei ricordi più fisici ed istintivi e riprendo le redini di me stesso.
– La risposta sta nell'esposizione stessa del metodo scientifico, nella sua elaborazione proprio ad opera di Galileo. L'ultimo passo della scoperta nel mondo della scienza, intesa come conoscenza nella sua etimologia latina che ne esalta il valore in quanto ricerca del sapere a trecentosessanta gradi, è la condivisione, il confronto. No, non è possibile respingere la massa e considerarsi sapienti, perché sapiente è colui che estende il proprio sapere e lo rende fruibile agli altri, per quanto astruso o complicato esso possa sembrare. –
Mi fa ridere sempre, questa parte del mio discorso. Che è corretta, sicuramente calzante, ma sempre tanto ipocrita, detta da me che vivo di possesso e gelosia della mia mente.
– Pertanto invito chiunque di voi, studenti, professori, collaboratori, esercitatori e consulenti esterni a riflettere sulla questione del diritto allo studio come conseguenza obbligata del nostro sapere, come dovere più che diritto o scelta in quanto scienziati e persone di conoscenza. Sapere non è sapere per se stessi, ma è sapere per il mondo, non c'è scienza in un mondo che non permette a tutti di esercitarla con pari opportunità. –
Chiudo la bocca, prendo fiato, dirigo lo sguardo su tutte le persone che mi stanno ascoltando scorrendole una ad una, osservando come loro osservino me.
Sorrido.
E non faccio in tempo a sollevare gli angoli della bocca, che le loro mani s'incontrano a mezz'aria, la stanza si riempie del rumore e vengo investito dallo scroscio di un applauso deferente, magnifico, adatto all'ego che so di avere.
Sono bravo a parlare, so di esserlo.
E la mia faccia aiuta, la mia voce, il modo in cui mi presento.
Questo non mi rende meno felice, però, quando rimango in piedi con gli occhi puntati addosso a farmi applaudire, elogiare, adorare per come sono.
Lo so, Dio, lo so.
Ma è bello, è davvero bello lo stesso.
Passa qualche istante prima che il rumore si diradi appena, e quando sento il vigore della loro adorazione affievolirsi, mi abbasso di nuovo verso il microfono, lo sistemo, sorrido.
Lancio un'occhiata a Kenma di fronte a me.
So che c'è Mae, ad un centimetro da lei, e guardo mia moglie per un attimo.
Ma Kenma mi cattura di più, e guardo lei, prima di ricominciare a parlare.
Le brillano gli occhi, ha le ginocchia strette premute le une contro le altre, sorride come se stessero applaudendo lei, ha la schiena tirata su, dice qualcosa a Mae e non capisco cosa, ma intendo che è un complimento.
Prendo fiato.
– Vorrei ringraziare tutti i presenti per l'attenzione, augurarvi un buon anno accademico e una buona serata. Se posso... –
Guardo Mae.
Le sorrido.
Poi guardo Kenma e sorrido anche a lei, ma con più intenzione, e lei capisce quel che deve fare e lo fa, perché è sveglia, perché m'intende sempre al volo.
Si piega verso mia moglie e avvicina il viso al suo, di modo che siano uno accanto all'altro, che non si capisca chi delle due sto guardando.
– Vorrei ringraziare la donna che amo per essere qui stasera. Non sarei dove sono se non fosse per te, non sarei così fiero di quello che faccio. Spero di poter passare con te il resto dei miei giorni, spero che continuerai ad essere dalla mia parte per il resto della mia vita. –
La platea si esprime in un generale "oh" intenerito, io guardo le due donne della mia vita sorridermi, una più euforica dell'altra.
Mae, oh, Mae. Quanto sei carina, Mae.
Non stavo parlando con te.
Ma non c'è bisogno che tu lo sappia, non c'è, davvero.
Chi deve saperlo lo sa, il resto è ininfluente.
– Rinnovo il mio augurio a tutti, ci vediamo a cena. Divertitevi, davvero. – concludo, finalmente, meritandomi e godendomi un altro applauso, seguito dal rumore delle poltroncine che si richiudono, delle persone che si alzano e delle voci che tornano su.
Mi allontano dal mio pulpito mentre la platea stessa si allontana da me imboccando il corridoio per raggiungere il salone centrale, dove fra un attimo sarò anch'io.
Scendo i due scalini che mi separano dal livello più basso della sala, mi dirigo verso la prima fila di posti e...
Braccia al collo.
Petto premuto contro il mio, labbra sulle mie, profumo... familiare.
Mae mi si getta addosso, io l'afferro di riflesso, non respingo il bacio, lo ricambio.
Non posso fare altro.
Non posso...
– Sei stato adorabile, Tetsu, davvero. Adorabile! Il discorso è sempre perfetto, tu sei sempre perfetto, è stato dolcissimo davvero io non so che cosa dire, mi sorprendi sempre. –
Le sorrido di rimando, prima che mi baci di nuovo, si stacchi e mi sistemi i capelli. L'istante subito dopo si sposta di qualche centimetro da me, si gira verso Kenma e accoglie anche lei accanto a noi, il sorriso più grosso che le ho visto fare negli ultimi mesi stampato in faccia e le guance un po' rosse.
– Non c'è di che, Mae. –
– Ti amo, Tetsu, ti amo tanto. –
Ci guardiamo, poi sento i tacchi sbattere sul legno del parquet.
– Interrompo qualcosa? Non so, avete bisogno di un po' di privacy? –
Acida.
Acida come un limone, con gli occhi che non brillano ma tagliano, il tacco degli stivali che continua a battere per terra in un palese segno di nervosismo.
No, Kenma, non pensare che...
– Oh, no, figurati, mi sono fatta prendere. Perdonami, non mi sono resa conto che ci fossi anche tu. – le risponde Mae, col tono dolce, comprensivo.
– Me ne sono accorta. –
Cerco di prendere fiato per parlare, ma mi precede.
– È stato davvero dolce da parte sua spendere un elogio del genere per sua moglie, professore, lo sa? Lei sì che è un uomo romantico. –
Pende verso la donna al suo fianco.
– Non sa che cosa darei per avere anche solo un po' di quello che ha lei. È fortunata, ad avere un uomo del genere al suo fianco, che la rispetta e la tratta così bene. –
Stringo lo sguardo.
Bastarda, sei una bastarda.
Sei davvero...
– Però il resto del discorso, la parte prima, l'ho vista con la testa un po' sulle nuvole. A cosa stava pensando? Non le diverte parlare in pubblico? –
Stringo lo sguardo.
Mi calano di poco le palpebre, il mio viso si fa più duro, più autoritario, fisso Kenma negli occhi e lei si accorge del cambiamento, sorride, perde l'acidità, si sente di nuovo al centro del mondo.
Che domanda del cazzo.
"Con la testa un po' sulle nuvole".
Ti sei accorta che ti fissavo le cosce, vero? Che vagavo fra le immagini di te seduta sulla mia faccia, di me che m'inginocchio, del tuo corpo, della tua voce.
– Pensavo che ho decisamente fame. Si notava così tanto? Ho fatto brutta figura? –
Kenma fa spallucce.
– No, no, è solo... ho imparato un po' a riconoscere le sue espressioni, professore. –
– Sei davvero una ragazza perspicace. –
Si lecca le labbra al complimento, sbatte le palpebre, lancia un'occhiatina a Mae e vedo il solito disprezzo che ha sempre quando si tratta di lei, permeato anche da una patina di superiorità che ultimamente la contraddistingue.
È davvero malato che ti faccia sentire bene questo, Kenma. È malato che la tua idea di soddisfazione sia prendere in giro la moglie dell'uomo con cui vai a letto.
Ma se è malato per te, è malato anche per me, perché l'adoro anch'io, adoro te, e non ti vorrei in nessun altro modo.
Appoggia la mano sulla tracolla della sua borsetta, la tira su, la apre. Tira fuori il cellulare, con la catenella di perline e tutto, apre la schermata.
– Professoressa, posso chiederle un favore? –
Mae alza lo sguardo su di lei.
– Certo, Kenma, dimmi pure. –
– Quando ho detto a quegli sfigati dei miei compagni di corso che ero stata invitata al Gala non c'hanno creduto, sa, non mi sopportano. Mi fa una foto con Kuroo così posso usarla come prova? –
Sblocca l'app della fotocamera e porge il telefono a Maeko, che all'inizio non lo accetta.
– Con Kuroo? – chiede, invece.
Kenma fa spallucce.
– Lo conoscono, sapranno di sicuro che lui c'era. È un problema? –
– Non è... no, no, hai ragione. Va bene, la faccio. –
Prende il cellulare con le mani ancora un po' incerte, ma lo tira su l'attimo dopo e nello stesso lasso di tempo Kenma mi si avvicina, stringe una mano sul mio bicipite e si appoggia a lato del mio corpo.
Io non so che fare.
Sorrido di riflesso, ma mi trovo interdetto.
So soltanto che la stanza si separa fra noi e Mae, il mezzo metro che ci distanzia sembra un baratro, che so da quale parte sto, lo so bene, non ho quasi nemmeno più il rimorso.
Ci scatta la foto.
Ce ne scatta un paio, credo.
E procediamo verso il salone principale con Kenma ancora aggrappata al mio braccio per "reggersi" che mugugna tutta felice di fronte alla prova della sua presenza, scherzando un'altra volta su quanto sembriamo "marito e moglie" e su quanto la foto sia venuta bene.
Il Gala dell'università è fondamentalmente una cena elegante.
Non molto di più né molto di meno.
È un raduno di professori ben vestiti che si siedono in tavoli circolari e si fanno portare da mangiare mentre parlano del più e del meno, dei loro corsi, dei loro studenti, delle loro disavventure quotidiane che spaziano fra gaffe commesse durante le lezioni a dettagli personali che l'alcol estirpa loro dalla gola con forza.
Non amo questa parte del Gala.
Non la amo perché da buon regnante detesto mescolarmi con la plebe, tirarmi giù al loro livello e fingere di essere come loro, quando sappiamo tutti, tutti, che con questa gente, io, non ho niente a che spartire.
Mi tocca sempre il tavolo centrale, quello rotondo con sei posti, spartito sempre fra me, Mae, due colleghe del dipartimento di Letteratura Inglese di Maeko che mi fissano nemmeno brillassi e due miei colleghi delle Magistrali di Ingegneria Chimica e Alimentare, stupidi, viscidi e banali.
A questo punto siamo riusciti ad evitare uno dei due bastardi, ma teniamo ancora le mie due ammiratrici, sedute vicino a Mae, e uno stronzo, fra una delle colleghe di mia moglie e Kenma, che ride come se avesse qualcosa incastrato in gola e fa battute di cui nessuno capisce, oltre che l'utilità, neppure il senso.
Siamo approdati senza troppi traumi alla fine del secondo, quando l'alcol inizia a scorrere un po' più liberamente e i tre sconosciuti, che a differenza nostra hanno bevuto, levano le tende delle loro inibizioni e si dimostrano per quello che sono, tre stronzi che non sono in grado di farsi i cazzi loro.
– E quindi non te l'hanno detto che c'era un dresscode per l'evento? Miseria, sei un po' volgare per la serata, senza offesa. –
È tutta la sera che la vicina di posto di Mae se la prende con Kenma.
Ed è tutta la sera che Kenma lascia perdere, perché le chiedo gentilmente di farlo, e si lascia stranamente scivolare gli insulti via dalle spalle.
– Credo di potermi permettere questa volgarità, signora. –
– Non chiamarmi signora, mi fai sentire vecchia. –
– Mi perdoni, signora. –
È seduta al mio fianco. Io sono nel mezzo del triangolo, con Mae che mi tiene la mano da una parte e il tacco di Kenma che mi scorre sul polpaccio dall'altra, non so chi guardare, non so come né quando, so solo che sono confuso, rincoglionito, e che sto andando in sovraccarico.
La collega di Mae la colpisce con il gomito.
– Sono diventati impertinenti, gli studenti, questi giorni. Anche a lezione, sempre a rispondere. Non so dove trovino l'audacia, ai miei tempi se la credevano molto meno. –
Mi schiarisco la voce.
– Io non ho notato nessun cambiamento. –
– In nessuno studente? –
Sorrido, guardo Kenma con la coda dell'occhio.
– Qualcuno, ma niente di eclatante. –
Lei ride, prima di sporgersi verso la stronza e sospirare.
– Se lei chiama audacia la mia di chiamarla "signora", come chiama il coraggio che ha nel farmi notare quanto male mi sono vestita? "Buongusto"? –
– Kenma. – sussurro a bassa voce.
La collega però non pare prendersela, e anzi ride, in faccia alla mia amante che non apprezza e lo so, batte le mani sul tavolo un paio di volte e poi si prodiga a prendere un altro boccone.
Parla con la bocca piena.
– Buonsenso. Se ti invitano ad un Gala metti un lungo, non un copricostume. E sicuro non gli stivali da pioggia, ecco, perché... –
– Non sono da pioggia, sono di marca, costano un rene e non mi faccio criticare da una che ha la borsa Dior più falsa di quelle che vendono nei negozi "tutto a un euro". –
La collega di Mae tira l'aria dentro la bocca, io non reprimo una risatina, mia moglie mi imita, un po' confusa dall'aggressività ma sicuramente divertita dalla situazione.
– La mia borsa non è falsa. –
– Ha le stampe tagliate, Dior non taglia le stampe per le cuciture, e se lo fa le ricompone. –
La tipa prende la sua borsa dal bordo della sedia, la schiaffa fra sé e il tavolo, la studia.
– Non so cosa possa capirne tu di borse, secondo me stai solo dicendo un sacco di... –
– Io so un sacco di cose sulle borse. E sui vestiti, sulle scarpe, sui trucchi. Ho un'ampia conoscenza, non mi costringa ad usarla per difendere il mio onore. –
La vediamo sbuffare, la collega.
– Certo, non costringerti ad usarla, perché potresti davvero permetterti di fa... –
– La gonna le sta malissimo, ha sbagliato taglio del vestito e invece di snellirle la figura la fa sembrare dieci centimetri più bassa. Il fondotinta è troppo scuro, credo abbia ossidato, le sta colando il mascara sul naso, quel nero le spegne l'incarnato, l'azzurro glitterato sugli occhi non va più da almeno dieci anni. Posso continuare, se vuole. –
– Non ti azzardare a... –
– Le perle sono tanto belle, ma fanno subito vecchia. Non so quanti anni abbia, ad occhio e croce fa i due e i tremila, ma con le perle sembrano quasi quattro. Le si sposta il rossetto quando parla e ne è rimasto più sul bicchiere che sulle sue labbra, quel colore le tingerà la pelle per giorni, le consiglio di tentare colori caldi e poco saturati, la prossima volta, magari riesce a salvare il salvabile. –
Rido di nuovo ma più forte, questa volta, e Mae e Kenma si accodano ma lo fanno piano, piano che sembra stia ridendo solo io.
La collega di mia moglie mi guarda.
– Lo trovi divertente? –
Apro le mani in segno di resa.
– Un po', mea culpa. –
– Dio, Mae, quando dici che tuo marito ha un carattere forte intendi che ha un carattere di merda. –
Mia moglie la guarda, un po' piccata, scuote la testa.
– No, no, non è vero. –
La punzecchio con un gomito.
– Dici in giro che ho un carattere forte? –
– No, davvero, dico solo che sei una persona... –
Kenma si sporge oltre la mia spalla.
– Com'è che aveva detto a cena l'altra volta? Egocentrico? O stronzo, non mi ricordo. Qualcosa del genere, comunque. –
Mae ha le labbra separate, ma la voce che stava usando per parlare le muore in gola per un istante. Poi le si tingono le guance d'imbarazzo, china lo sguardo, sospira.
– Perché stiamo parlando di me? –
Mi faccio muovere a compassione, e concordo con lei.
– Già, non era questa la cosa divertente. Meglio non parlarne, Kenma, non è il momento. –
Smette di muovere la gamba sulla mia, il contatto della pelle dei suoi stivali contro la mia gamba scompare, e poi torna. Torna più forte, con un...
Mi tira un calcio sotto il tavolo.
– Io voglio parlarne. Perché non possiamo parlarne? Io voglio farlo. –
– Kenma, guarda che... –
– La smette di trattarmi come se avessi quindici anni? È tutta la sera che mi tratta come se fossi di troppo. Se non voleva avermi qui poteva semplicemente rifiutarsi di invitarmi. –
Tiro su lo sguardo su di lei completamente confuso.
Sta usando un tono... offeso?
Si è offesa?
Perché mai dovrebbe essersi...
Capisco la risposta da come mi fissa. Da come scorre con lo sguardo sul mio corpo, sulla mano aperta sul tavolo con le dita di Mae fra le mie, sulla mia posizione così ravvicinata a quella di mia moglie.
Oh, Kenma, no, non fare...
– Kenma, non ho detto questo. –
– A me sembra che lei l'abbia detto. Mi sta trattando come se fossi il terzo incomodo, qui. –
La collega di Mae, ovviamente al momento sbagliato, decide di prendersi la sua rivincita con una risata un po' gracchiante.
– Lo sei, il terzo incomodo, certo che lo sei. Sono sposati, scema, tu sei il terzo incomodo per definizione. Dovevi portarti il fidanzatino. Sempre se ce l'hai, con quel caratterino che ti ritro... –
Kenma stringe lo sguardo.
– Io ce l'ho, il ragazzo, stronza. –
Mi guarda per un attimo.
– Ed è, di solito, anche molto carino con me. Mi dice sempre che mi ama e che sono la creatura più bella che abbia mai visto. Deve essersene dimenticato, oggi, se non è qui. –
Non sono qui? Certo che sono qui, certo che...
– Questa cena mi ha rotto il cazzo. Vado a fare due passi, andatevene affanculo tutti quanti. – sbotta poi, quando non mi vede reagire in nessun modo.
Tira dietro la sedia e si alza, mi lancia uno sguardo che definire assassino sarebbe riduttivo.
– Kenma, non è il caso che... –
– Faccio quello che voglio, credevo che lo sapesse. – conclude, poi apre una mano sulla mia spalla, mi spinge indietro e come l'uragano che è il suo carattere scompare, i fianchi che si muovono sempre con lo stesso movimento ipnotico e una mano che tira via i capelli dalla spalla, diretta verso non so dove, non so come e non so perché.
Rimango imbambolato.
Davvero.
Come un coglione, imbambolato.
Che cosa cazzo è appena successo?
Cosa...
L'ho...
L'ho contraddetta.
Le ho detto "non ora".
L'ho...
Mae stringe le dita fra le mie.
– C'è rimasta male per qualcosa? Abbiamo fatto qualcosa che non va? È stata la mia collega o... –
No, non è stata lei. Sono stato io, io, tu ed io. Ti ho dato la precedenza, ti ho... ti ho difesa. Ho messo il tuo benessere di fronte ai suoi capricci e per quanto sia sicuramente una cosa con un senso, lei non l'ha capito, non l'ha percepito, si è sentita...
Kenma, no, Kenma.
Perché credi che ti abbia messa da parte?
No, non so perché l'ho fatto, volevo solo evitare di litigare di nuovo con Mae e che lei se la prendesse con te, non volevo allontanarti, lo giuro.
Io penso solo a te, io amo solo te, per me non esiste nulla che non sia tu.
Per me non conta nessuno quanto conti tu, davvero, mi devi...
– Se lo meritava, ora che se n'è andata sì che possiamo divertirci. Che poi me lo dovete spiegare, perché avete invitato quella ragazzina al Gala. –
Mae risponde prima di me.
– È stata una mia scelta, diciamo che volevo farle un piacere. Anche se penso che non sia più tanto un piacere, ora, anche se non ho capito perché. –
– Ah, cazzi suoi. Imparerà a stare al mondo. –
Stringo così forte la forchetta che ho in mano che inizio a chiedermi se si possa rompere per così poco.
– Kenma sa stare al mondo. –
– Sa stare al mondo? Una che si comporta a quel modo? Non ha il minimo rispetto degli altri, certo che non sa stare al mondo. –
Mae fa spallucce.
– È una persona particolare. – dice, ripetendo quello che ho detto io di lei.
– Particolare, non particolare, se le avessero dato un paio di ceffoni in più da piccola forse ora saprebbe come ci si comporta con gli adulti. –
Lascio cadere la forchetta sul tavolo.
Perché cenare dev'essere sempre un dramma, cazzo? Non si può mangiare in pace? No? Perché ogni volta deve diventare...
Decido di lasciar perdere.
Non mi fregio di essere un violento e preferisco pertanto allontanarmi dalla situazione prima che le mie inibizioni scompaiano e mi ritrovi davvero con le mani in faccia ad una donna che non mi ha chiesto esplicitamente di farlo.
– Vado a cercarla. Vedo come sta e torno. –
Mae si gira verso di me.
Prende la mia mano con la sua e stampa le labbra sul dorso della mia mano.
– Magari se le offri una sigaretta si tranquillizza e torna qui. –
– Magari. – le rispondo.
Mi sorride, io non riesco a risponderle con la stessa premura.
– Se arrivano a chiedere il dolce prendimi la torta di mele. –
Incastra le sopracciglia in un'espressione interrogativa.
– La torta di mele? Da quando ti piace la torta di mele? –
Indietreggio anch'io con la sedia come ha fatto Kenma qualche minuto fa, ma con meno pathos e più educazione, sorrido a mia moglie.
– Da qualche mese. –
– Oh, ok, come... come vuoi. –
– A dopo, Mae. –
Lei si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
– A dopo, Tetsu. –
Mi tiro su, mi richiudo il bottone della giacca dopo aver rimesso a posto la sedia, non degno di uno sguardo né il mio collega che, se Dio vuole, è troppo ubriaco persino per capire che me ne sto andando, né la stronza della collega di Mae, sospiro e mi allontano, nella stessa direzione dove ho visto scomparire la mia piccola, dispotica e tremendamente offesa amante nemmeno troppo tempo fa.
Prendo il cellulare dalla mia tasca dopo i primi due passi.
Scorro fra i numeri contattati di recente, trovo Kenma, apro i messaggi.
[You] >> Dove sei? <<
Non passa nemmeno un minuto, prima che la sua risposta compaia sullo schermo.
[Kenma] >> vaffanculo <<
[You] >> Kenma, dove sei? <<
[Kenma] >> che cazzo ti frega dove sono stai con quella a fare il coglione visto che ti piace tanto <<
[You] >> Kenma, hai frainteso. <<
Vedo comparire la scritta "sta scrivendo" e continuo a camminare nella stessa direzione senza fermarmi. Dopo un po', però, mi rendo conto che il messaggio non arriva e che...
Scrive e cancella.
Scrive e cancella, poi riscrive e cancella di nuovo, poi...
Sento il rumore di qualcosa che sbatte vicino a me.
Mi fermo.
Giro la testa e mi rendo conto che sono nel corridoio più interno, quello vicino alle scale, un po' più isolato, e che di fronte a me c'è la porta del bagno delle femmine.
Il rumore che ho sentito è...
Apro la porta.
La apro appena e intravedo la stanza vuota, la luce gialla che illumina ogni piastrella bianca, il classico odore di candeggina dei luoghi appena puliti. Mi rendo conto che c'è qualcosa, per terra, che la porta ha trascinato con sé, mi abbasso per prenderla e vedo... perline, perline e vetro rotto, schermo acceso ma distrutto, una chat aperta che riconosco.
Si legge solo il nome di contatto.
"Tetsurō <3 <3 <3".
Ha lanciato il telefono contro la porta.
L'ha lanciato perché...
Riporto lo sguardo verso l'alto e la trovo, con la schiena appoggiata sulle piastrelle, china sui talloni e con le braccia legate alle ginocchia, il mento sopra la pelle degli stivali e le lacrime tinte di nero dal trucco sulle guance.
– Kenma, che cosa... –
– Io ho frainteso? Io? Certo che ho frainteso, certo che l'ho fatto. Ho frainteso a pensare che fossi onesto e che mi amassi quando in realtà sono solo un passatempo e alla fine tornerai da lei, vero? –
Spalanco gli occhi.
– Di cosa stai parlando? –
Lei si alza reggendosi sul muro dietro la sua schiena, percorre un paio di passi dalla mia parte, mi si avvicina.
– Pure la dedica, le hai fatto. Pure i ringraziamenti pubblici, cazzo. L'hai baciata di fronte a me, l'hai difesa. Dovevo capirlo che questa cosa per te non aveva lo stesso peso che ha per me, ma mi sono illusa... –
– Kenma, tu non hai la minima idea di quello che dici. –
– Non ce l'ho? Non ce l'ho, tu dici. Io giuro che... giuro che... –
Arriva di fronte a me, abbasso lo sguardo per tenere gli occhi fissi sui suoi.
Alza un braccio e riconosco il movimento che fa per tirarmi un ceffone e, se la volta scorsa sapevo di meritarmelo, questa volta la fermo, stringo le dita attorno al suo polso e la fermo.
Singhiozza forte.
Cerca di liberarsi dalla stretta ma non riesce, per cui singhiozza forte e china la testa.
– Sei stato cattivo con me, Tetsurō, sei stato così cattivo. Io non so che fare, non ha più senso niente senza di te, lo capisci? Perché hai dovuto trattarmi così? Che cosa ti ho fatto di male? –
Apro la bocca per interromperla, ma singhiozza di nuovo.
– Io volevo solo che qualcuno mi volesse bene, solo che qualcuno mettesse me al primo posto per una volta, che mi facesse sentire una principessa, e invece per te io sono solo... –
Le lascio andare il polso, tiro su entrambe le mani sul suo viso e piego il suo collo verso l'alto.
– Kenma, basta. Ora basta. –
Ha gli occhi lucidi, grandi e lucidi, il viso rigato di nero, le tremano le mani, le spalle.
È ferita.
Ferita per davvero.
Io credevo che avesse capito, ma forse... forse ho dato per scontato che fosse più sicura di se stessa di quello che è in realtà, che fosse più come sembra e meno come è.
Mi dimentico sempre che sei tanto piccola, Kenma.
Mi dimentico sempre che alla tua età è più che normale essere persone che non si conoscono così bene e che reagiscono alle cose in modo imprevedibile.
– Pensavo ti fossi avvicinata a Mae apposta, quando stavo finendo il discorso. Perché così non si capisse chi delle due stavo guardando. –
– Mi sono avvicinata perché mi stava parlando, perché... –
Deglutisco la saliva.
– Io non lo stavo dicendo a lei. –
Spalanca gli occhi.
– Eh? –
– Lei pensava lo stessi dicendo a lei perché è mia moglie, Kenma, e ho guardato quasi più lei di te perché io e te abbiamo una relazione segreta, ma non lo stavo dicendo a lei. Non stavo dicendo a lei che è la donna che amo, non stavo ringraziando lei per il supporto che mi dà ogni giorno, non stavo dicendo a lei che spero di passare il resto dei miei giorni assieme. –
Apre le labbra ma non parla, anzi, quasi boccheggia.
– Io parlavo con te. –
– Tu parlavi con... –
– Non volevo parlare di quello che è successo l'altra sera, prima, a tavola, perché non volevo che Mae se la prendesse di nuovo con te e volevo che potessimo divertirci al Gala senza litigare. –
Appoggio il viso contro il suo, le punte dei nostri nasi si sfiorano.
– Io ti amo, Kenma, non scherzo quando lo dico. Io amo te, da quando amo te non posso più amare nessun altro. Non ho tradito per passatempo, tu non sei un passatempo. Tu sei quello che voglio. –
Singhiozza di nuovo, ma è rigida, ferma immobile.
– Quando mi hai detto che avevo la testa sulle nuvole, prima, a cosa ti riferivi? Non ti sei accorta di come ti ho guardato per tutto il discorso? –
Si schiarisce la voce.
– Come mi hai... mi hai guardato? –
Annuisco contro di lei.
– Ho passato il discorso a guardarti, Kenma. A pensare che volevo davvero scendere da quel podio e venire da te, abbassarmi e farmi mettere le tue ginocchia sulle spalle, sentire i versi che fai quando ti siedi sulla mia faccia. Io non scherzo quando parlo di te, non lo faccio. Tu sei tutto quello a cui voglio tornare. Sei il posto dove mi sento a casa e sei l'unica che mi abbia mai visto per come sono e non si sia rifiutata di amarmi dopo averlo fatto. –
Passo i pollici sulle sue guance, tiro via il nero delle sue lacrime.
– Te l'ho detto la prima volta che abbiamo fatto sesso, Kenma. –
Mi avvicino alle sue labbra. Le dischiude in attesa che le tocchi con le mie, ma non lo faccio.
– Lei non è niente in confronto a te. Nessuno nel mondo è niente in confronto a te. Nessuna persona mi fa l'effetto che mi fai tu. Io sono completamente, unicamente tuo. –
Mi tira lei. Mette le mani sul colletto della mia camicia e mi tira giù, schianta le labbra aperte contro le mie, mi stringe forte, fortissimo, chiude gli occhi come faccio io e s'immerge in me come io m'immergo in lei.
Come pensi che ti prenda in giro, Kenma?
Non lo vedi, come sono per te?
Non vedi quello che mi fai, la persona che mi rendi, le cose che mi fai fare?
Io sono legato al tuo dito da ben prima che me ne rendessi conto io stesso. Io sono nulla più di un ammasso di carne alla tua mercè da quando mi hai baciato, ubriaca, alle tre di notte nella mia macchina, da quando ti sei mostrata a me, da quando mi hai urlato addosso quanto io fossi già una tua pedina nonostante neppure sapessi di vivere su una scacchiera.
Kenma, Kenma.
Sei tutto per me, Kenma.
Sei...
Sciolgo le mie mani dal suo viso e le abbasso sul suo corpo, la stringo, me l'avvito addosso, approdo alle sue cosce e le prendo fra le dita, la tiro su, lascio che leghi le gambe alla mia vita.
Si stacca col fiatone, appoggia la fronte contro la mia guancia, respira a pieni polmoni.
– Mio? Tutto mio? –
– Tutto tuo. –
Strofina il naso sulla mia guancia.
– Anche se sono una ragazzina che non sa comportarsi? –
Rido piano e passo una delle mie mani sulla sua schiena, sotto il vestito, lungo la spina dorsale.
– Anche se sei una vipera, Kenma. Proprio perché lo sei, anzi. –
– Anche se sono vestita male per la serata? –
Sporgo il viso dalla sua parte e le bacio le labbra.
– Dov'è che saresti vestita male, tu? –
– L'ha detto quella tipa. Quella vecchia decrepita odiosa che mi ha insultata per tutto il tempo. –
– Ti sei risposta da sola. –
Sospira.
– Lo prometti che la prossima volta non mi tratti male e mi difendi? È stato orribile, davvero. Orribile. Credevo che non t'importasse più di me e che... –
– No, Kenma, no. Lo sai che ti amo. Lo sai che m'importa di te. La prossima volta farò tutto quello che vuoi. –
– Anche se la prossima volta fosse adesso? –
– Anche in quel caso. –
Muove le dita sottili sulla mia guancia e passa con la punta delle unghie sullo zigomo. È rilassante, la sensazione, chiudo gli occhi per un attimo e me la godo in silenzio.
– Entra in uno dei bagni, Tetsurō. – la sento sussurrare dopo un attimo.
Sollevo le palpebre e la guardo.
È così bella, con la sua guancia premuta contro la mia spalla, in braccio a me. Così bella, così...
Annuisco.
Apro la porta del primo nella fila, entro, me la richiudo alle spalle e giro il chiavistello, non metto giù Kenma ma me la tengo addosso, ancora morbida e inerme dall'aver pianto che mi strofina il naso sulla guancia come un gatto, appoggio la schiena sulla porta e mi guardo attorno.
Ci è andata bene che è un bagno un po' isolato e che nessuno deve esserci entrato, perché sembra che qualcuno l'abbia pulito da poco.
Non che voglia fare lo schizzinoso, non dopo il vicolo, le ginocchia sbucciate e le calze a pezzi, però, ecco...
Continuo ad accarezzarle la spina dorsale sotto il vestito per un po', prima che uno dei due si decida a parlare. Rimane là, in braccio a me, ogni tanto mi bacia la guancia, ogni tanto arruffa i miei capelli, percorre il profilo del mio collo con le dita, sembra che si goda anche solo la mia presenza.
Si china verso di me, mi mordicchia il lobo di un orecchio, ride piano quando sente il brivido che il gesto mi lascia scorrere sulla schiena.
– Lei dov'è? –
Prendo fiato.
– Mae? –
– Hai altre "lei" sparse in giro per il mondo, Tetsurō? –
Scuoto la testa.
– In effetti. –
Giro il mento verso di lei, la vedo pigra, sensuale come sempre, che mi fissa con quegli occhi così grandi, così maliziosi.
– Non ho idea di dove sia, l'ho lasciata là. –
– Sei venuto a cercarmi subito? –
– Sapevo che qualcosa non andava quando te ne sei andata. –
Aggrotta il naso, sbatte le ciglia.
– Ero molto arrabbiata. Molto, molto arrabbiata. Ho persino lanciato il telefono contro la porta quando mi hai scritto che avevo "frainteso", pensavo mi stessi prendendo in giro. –
– Non lo farei mai. –
– Ora lo so. –
Passa con il pollice sopra il mio zigomo, mi costringe ad avvicinarmi a lei e mi bacia, la lingua sulla mia, le labbra che si aprono piano.
– Domani te lo ricompro. –
– Il telefono? –
– Mh-mh. –
Sorride.
– Sai che posso comprarmelo da sola. –
– È colpa mia se l'hai rotto, vorrei che mi permettessi di rimediare. –
Allunga una mano verso il mio viso, mi pizzica il ponte del naso, si china e mi bacia di nuovo.
– Ci sono altri modi per rimediare. Puoi... aprirti un po' la camicia, slacciare la cintura e ricordarmi chi è l'uomo che amo. Dimostrarmi quanto sono bella stasera e quanto sia difficile per te tenere le mani giù dal mio corpo, Tetsurō. –
Non rispondo, ma so che vede il cambiamento nel mio sguardo che si fa più intenso.
– Lo sai che questo body ha i bottoncini che si possono aprire? Sotto, così puoi mettermelo dentro senza nemmeno spogliarmi. –
Istintivamente corro con lo sguardo verso il basso. Non si vede l'allacciatura, ma me l'immagino, ed è suggestiva, la fantasia che mi si forma nella mente.
Stringo più forte le mani sulle sue cosce.
– Kenma, se non dici sul serio non continuare. –
– Perché no? –
Mi strizza la vita con le cosce, si sistema col viso in linea retta col mio, infila la lingua fra i denti e mi guarda, un po' sopra l'altezza dei miei occhi.
– Perché lo sai che cosa mi fa sentirti fare la troia. –
Alza i bordi delle labbra, ride appena, poi appoggia i gomiti sulle mie spalle, muove le dita sulla mia fronte tirando indietro le ciocche scure.
– Stavo dicendo sul serio, comunque. Certo, ti avevo detto che te l'avrei succhiato ma se facciamo sesso vale comunque come buon auspicio, no? –
– Credo di sì. –
– Ok, perfetto. Allora... buon compleanno, Tetsurō, credo. Ora scopami. –
Rido, davvero, lo faccio. Impertinente, ecco cosa sei, una ragazzina impertinente che...
Non faccio in tempo nemmeno a pensare qualsiasi cosa che la sento spingermi verso di lei con le braccia, e non resisto, no, non avrebbe senso farlo e a dirla tutta, neppure lo voglio.
Atterro sulla parete al fondo del bagno con una mano, la tengo su con l'altra, mescolo le mie labbra con le sue che mi cercano, la sento inarcare la schiena contro di me e strofinarsi contro i bottoni chiusi della mia camicia, mugugna qualcosa ma non la capisco, non smetto di baciarla.
Un adolescente, ecco cosa mi fai diventare.
Non faccio sesso nei bagni dal liceo, cazzo.
Ma per te, Kenma, per te...
Quando scendo con il viso lungo il suo collo, mi tira i capelli e mi costringe ad allontanarmi.
La squadro con un'espressione decisamente interrogativa stampata in volto.
– No? –
– Fa' in fretta, Tetsurō. –
– Non posso baciarti il collo? –
– Quello quando siamo con calma da soli. –
Oh, ok, ho capito.
La sveltina.
Vuole una sveltina.
Beh, in effetti non è che ci sia la più confortevole delle condizioni per dedicarsi ad un complesso e articolato ascendente sessuale, però pensavo che almeno un po'...
– Muoviti, per favore. –
– Arrivo. –
Mi stacco un secondo dal muro e torno col peso completamente sulle mie gambe, slaccio la cintura, il bottone dei pantaloni. Poi guardo lei, lei che...
Si tira su la gonna.
Con le mani, prende il vestito e lo tira su.
L'immagine...
L'immagine drena ogni singola goccia del mio sangue verso il basso, e non smetto di guardarla, perché è... perfetta.
Lei con l'orlo trasparente che batte sullo sterno, le cosce aperte e la pelle degli stivali che le strizza la carne verso l'interno, il body sottile e scosciato che non nasconde niente, gli occhi che mi fissano, il mascara colato e i capelli come un'aureola attorno al viso.
Cerco di riprendermi e mantenere un minimo di dignità quando uso la mano libera per slacciarle i tre bottoni in mezzo alle gambe e tirare su il tessuto sulla sua pancia, certo quel minimo lo perdo quando riguardo la stessa meravigliosa immagine con lei nuda, ma credo la cosa le piaccia, quindi non mi faccio troppi problemi e fisso senza ritegno.
Dio, Madonna, Cristo, chiunque ci sia lassù in cielo. Certo che è difficile per un uomo mantenere saldo il sacro vincolo del matrimonio, quando ha davanti...
– Questa si che è una cosa che potrebbe uccidere un uomo, Kenma. – commento, scorrendole per l'ennesima volta con lo sguardo addosso.
Mi sorride.
– Vuoi una foto? –
– Te ne lasceresti fare una? –
Me ne manda a frotte e ne ho diverse di lei completamente nuda, ma...
Annuisce.
Io tiro fuori il telefono in un battito di ciglia.
– Così hai qualcosa da guardare quando sei da solo, Tetsurō. –
– La riguarderò un sacco di volte, un sacco di... –
Sblocco sulla telecamera e gliene scatto un paio. Un po' più vicine, a figura intera, qualcuna che in futuro possa saziare la mia curiosità quando dovessi averne bisogno, qualcuna che...
– Passami il telefono. –
Alzo lo sguardo dall'immagine sullo schermo, aggrotto le sopracciglia.
– Mi serve un salvaschermo per il telefono nuovo, sai com'è, il mio si è rotto e sento che è il momento di cambiare la foto. –
Rido appena, ma obbedisco, le lascio il telefono fra le mani.
Lo prende con entrambe e lo tira verso il viso.
– Dio, quanto sei bello, Tetsurō. Vestito così poi potresti diventare un nuovo rimedio omeopatico per la secchezza vaginale. –
Scoppio a ridere.
Davvero.
Io?
Un rimedio omeopatico per...
– Non ridere, stronzo! Guarda che è vero! –
– Sei davvero pazza, Kenma, sei completamente fuori di... –
– Zitto e guarda in camera. –
Cerco di riprendere fiato e ci riesco, sorrido perché quello non riesco a smettere di farlo, guardo la fotocamera e la vedo premere il dito sul tasto centrale. Quando si ritiene soddisfatta blocca lo schermo, mi passa il telefono e apre un po' meglio le cosce.
Non le vedo, le foto che mi ha fatto.
Ma immagino che se sono anche solo bello un terzo di quanto è bella lei, potrei davvero essere una bella visuale per qualcuno.
Lo rimetto in tasca, torno a noi.
A noi che...
Fino a qualche mese fa sarei stato un convinto nel condividere l'idea che una persona, una con i miei stessi genitali perché di questo parlo, con l'età impara un po' a controllarsi. Quando hai sedici anni è normale che reagisca a tutto, quello che hai fra le gambe, ma poi impari ad essere un po' più maturo e a darti un contegno.
Però, ora...
Cos'è, l'amore?
O la semplice bellezza?
Mi riporti a quando ero un ragazzino, non scherzo.
Non è la quantità di sesso, il punto. Lo è, ma solo in parte.
È la capacità di rendermi un agglomerato di ormoni con un solo sguardo.
Mi fai sentire ancora più depravato di quanto io non mi sia scoperto essere anche solo amandoti, Kenma. Mi fai sentire un pervertito e un folle, uno che trasforma tutto in un riferimento sessuale, uno che vede quello e poi il resto.
Potresti piegarmi con un dito, nelle situazioni come questa, davvero.
Farei qualsiasi cosa.
Qualsiasi.
Lo giuro.
Avanzo un po' nel bagno finché le spalle di Kenma non si appoggiano alla parete di fondo, le prendo il bacino con le mani, la tengo in equilibrio fra me e il muro. Sposto i miei boxer di mezzo, appoggio me su di lei per un attimo, solo per guardare.
È che sei così...
Non credevo che la tua conformazione fisica fosse qualcosa che mi piacesse.
Non ho mai avuto un ragazzo o una ragazza come te, fisicamente.
Ma su di te, su di te...
Si lecca le labbra.
Quando la guardo, lei non sta guardando me, o quantomeno, non i miei occhi.
Appoggia una mano sopra di me che sono a mia volta sopra la sua pancia, mi accarezza con tutta la dolcezza del mondo, sorride, si lecca di nuovo le labbra.
– Sopra l'ombelico. Guarda dove cazzo mi arrivi, Tetsurō. Pensare che una cosa del genere entri dentro il mio corpo è quasi inquietante. –
Se ero eccitato prima, ora lo sono decisamente di più.
– Non fingere che non ti piaccia. –
– Oh, no, sia mai. Lo sai che mi piace. –
Inarca la schiena e si muove sotto di me, ondeggiando con il bacino in un movimento sinuoso, leggero.
– Adoro quando sei dentro di me e non riesco a sentire nient'altro che non sia tu, Tetsurō. –
Appoggio l'avambraccio sopra la sua testa, mi chino verso di lei.
Schiude le labbra e accetta il mio viso sul suo.
È un bacio... umido.
Decisamente umido.
Quando ci stacchiamo le scintillano le labbra di saliva.
– Possiamo dire che ho diverse qualità, Kenma. –
Annuisce.
– Il tuo cazzo è sicuramente una di queste. –
Rido piano, prima di indietreggiare quel che basta per allinearmi con lei e...
– Fa' piano, solo, che si sente. –
– Se entra qualcuno mi fermo. –
– Sì, ma si sente in corridoio se mi metto a urlare, Tetsurō. –
– Oh, in effetti. –
La guardo, lei e le sue palpebre a mezz'asta, le sue guance arrossate dall'eccitazione.
Che meraviglia, Kenma, che meraviglia.
Aspetto che prenda aria, prima di entrare nel suo corpo.
Poi lo faccio.
E lo faccio...
Piano.
Dalla sua gola esce un gemito lungo, un po' nasale, gli occhi le si girano appena appena indietro, il suo corpo fa un po' della solita resistenza, io fatico davvero a trattenermi.
Sempre meglio.
Sempre meglio, ogni volta, sempre meglio, sempre, sempre, sempre meglio.
Io...
Un centimetro alla volta.
Non sono pochi, ma un centimetro alla volta. Uno alla volta finché il mio corpo e il suo non sono fusi assieme, finché non iniziano a tremarle i fianchi e i suoi muscoli interni si muovono spasmodicamente su di me.
Mi fermo per lasciare che si adatti.
E per combattere il bisogno che ho fin nelle ossa di muovermi su di lei finché non la riduco ad un ammasso inerme di muscoli morbidi e urla.
Mi chino e l'aiuto ad avvicinare il viso al mio.
La bacio e lei non è che reagisca con particolare forza, credo la stia usando tutta per evitare di mettersi a fare i versi che fa sempre, ma si lascia baciare.
Tiene le labbra morbide, mugugna piano quando i nostri corpi si spostano e raggiungo un punto diverso dentro di lei, cerca di aggrapparsi al mio collo ma ha le mani che le scivolano.
Respira, quando mi stacco.
Le lacrime le scendono di nuovo, non di dolore come prima ma di piacere, e attraversano le sue tempie in orizzontale.
Le sorrido.
– Non puoi essere così un casino, Kenma. L'ho solo messo dentro. –
Muovo il bacino verso di lei senza uscire o entrare, solo premendomi un po' più a fondo dentro di lei.
Le ruotano gli occhi indietro.
– È che è così... – mugugna, la saliva raccolta sulla lingua che le rende difficile articolare vere e proprie parole.
– Così come, Kenma? –
– Così... così... –
Lo rifaccio, mi muovo contro di lei giusto un po', e lei reagisce allo stesso modo.
– Non ti capisco. –
– Tetsurō, ti... –
– Davvero, non riesco a capire. Cos'era, un insulto, un complimento? Potrei morire per la curiosità, Kenma, potrei... –
– Stronzo, sei uno... –
Entro ed esco.
Con un movimento definito, chiaro.
Esco da lei e torno dentro per bene, il mio corpo che sbatte sul suo e il rumore della sua voce che esce strozzato dalla sua gola in qualcosa che non so se sia sorpresa, piacere o cosa.
– Pardon, ancora niente. –
Mi guarda con un fastidio negli occhi che mi fa...
Ridere.
Davvero.
Le rido in faccia.
Con una di quelle risate un po' sprezzanti che mi contraddistinguono, nella mia posizione di potere rispetto a lei, con il suo corpo letteralmente fra le mani, il completo controllo su di lei.
E Kenma reagisce...
Spalancando gli occhi.
Spalanca gli occhi.
La cosa la...
La eccita.
La eccita che abbia potere su di lei.
La eccita da morire.
Si vede da come spalanca le cosce, da come reagisce alla spinta successiva, da come mi guarda dal basso. La eccita che io possa darle qualsiasi cosa voglia, la eccita che io possa ridere di lei perché tanto sono io ad averla tutta per me, la eccita che io sia... io.
E a me eccita che questo la ecciti, per cui torniamo allo stesso circolo vizioso di me che mi eccito per lei che si eccita per me.
Dopo un paio di movimenti forse un po' troppo bruschi, mi chino su di lei, la bacio e trovo un ritmo più adatto, profondo ma non troppo serrato, ed entro ed esco da lei con le labbra sulle sue, il solo rumore dei nostri baci che riempie la stanza e le nostre voci che si mescolano nelle nostre gole.
Kenma, Kenma, Kenma, potessi mi perderei dentro di te, perché per quanto labirintica la tua mente e la tua persona possano essere, morirei per poter passare la vita a cercare il centro di te, davvero. Potessi annegare dentro di te, potessi essere una parte di te, potessi...
– Ti amo, Tetsurō. –
Appoggio la fronte sulla sua.
Le stringo forte il bacino con le mani, la muovo su di me.
– Anche io ti amo, Kenma. –
– Ti amo così tanto. –
La tiro un po' più in su, miglioro l'angolazione con cui le entro dentro, la vedo mordersi forte il labbro inferiore, la sento stringersi su di me.
– Sei tutto quello che ho, Tetsurō. –
Ha gli occhi rivolti a me, quando la guardo, e sono... amorevoli. Amorevole, dolce, carina, sono cose che Kenma è solo con me. Questo mi manda fuori di testa, davvero, fuori di...
– Sei tutto quello che ho sempre voluto. Sei tutto per me, Tetsurō. –
La stringo così forte che ho timore di romperla.
– Senza di te potrei... potrei mori... –
Si sente il suono. Nel bagno vuoto, si sente il suono del mio corpo che sbatte contro il suo, si sente la forza, la foga con cui la porto su di me. Kenma, Kenma, io ti amo, Kenma, io ti...
– Oddio, Tetsurō, così, ti prego, ti prego, ti... –
– Kenma, Kenma, Dio, Kenma... –
– Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, ca... –
Sento le sue dita aggrapparsi disperatamente al tessuto della mia camicia, la guardo sballottata dai miei movimenti che cerca di non perdere l'equilibrio fra me e il muro e di non sbattere la testa sulle piastrelle, le scende una tormenta di lacrime sul viso e geme ogni volta che arrivo in fondo.
Dice tante cose, sussurrandole quando riesce e con un po' più di voce quando non ce la fa, mentre continuo a muovermi dentro di lei.
Dice "ancora", poi "ti prego", poi impreca e poi chiede "ancora" di nuovo, fa rumore nel tentativo di non farlo, si lascia manipolare come l'esserino inerme che è, si apre, mi accoglie, mi fa sentire bene, così bene.
Non c'è parte di me che ti sia immune, Kenma, miseria.
Nessuna.
Davvero, nessu...
Aggrappa le dita alla mia cravatta, mi tira forte contro di sé, inarca la schiena e mi bacia di nuovo. Accetto il bacio ma non sono io a chinarmi, questa volta. La prendo dalle spalle, la tiro su, verso di me, la... prendo in braccio senza... appoggiarla.
Non pesa tanto.
Davvero, non pesa tanto, è piccolina, non è che sia...
– Cazzo! –
La guardo.
Ha gli occhi spalancati, il viso rosso e il lucidalabbra anche sul naso, fra un po'.
– Cazzo, Tetsurō, cazzo, cazzo, cazzo! –
Le crolla la fronte contro la mia spalla, non smetto di muovermi.
Non smetto, non smetto e non smette lei di gemere e il suo corpo si stringe, il mio si scalda, le sue unghie mi affondano nel collo e le mie mani le tingono la pelle dei fianchi, è così... così...
Ansima nel mio orecchio.
Ansima e singhiozza.
– Ancora, ti prego, ti amo, ancora, ancora, ti amo, ti amo, Tetsurō, ti amo, io ti amo, ti prego, ti prego, dammelo ancora, ancora, ancora, ti amo, ti... –
Per un attimo ho paura di farle male.
Per un paio di spinte, ho paura di farle seriamente male.
Ma non le faccio male.
E finisce che...
Si stringe forte, il suo corpo inizia a tremare quando arrivo fino in fondo a lei, la sua voce diventa arruffata e mugugnata contro il tessuto della giacca del mio completo, singhiozza e si irrigidisce.
Dice un ultimo "ancora".
Le do quel che vuole ancora un'altra volta.
E lì finisce tutto.
Lei si avvolge attorno a me, il mio calore non regge più e si scioglie dentro di lei, il suo corpo sembra un terremoto e per un istante non vedo, non sento e non percepisco nulla che non sia la meravigliosa sensazione di Kenma, tutta Kenma, contro di me.
Mi perdo, per un attimo.
Mi perdo.
Mi perdo dentro di lei.
Mi perdo con lei.
E mai ho provato una sensazione tanto piacevole nella mia intera vita.
Mai.
Mai davvero.
Quando torno in me non so quanto sia passato, so solo che Kenma mi trema fra le braccia e mi ansima contro il collo, che siamo in un bagno pubblico e che ci sono così tanti problemi che ho ignorato fin ora riguardo questa situazione che il mio cervello sembra riempirsi immediatamente.
Li scaccio.
Un attimo.
Una cosa per volta.
Una per...
– Tutto bene, Kenma? –
Ansima.
– Più o meno. –
– Ce la fai a stare in piedi? –
– No. –
– Vuoi che... –
– Fermo un minuto. Fermo, Tetsurō, fermo un minuto. –
Vorrei dirle che non possiamo, che siamo scomparsi da non so quanto e che fuori da quella porta c'è un mondo che vive, ma non lo faccio, perché non voglio.
Quindi la stringo e la lascio respirare.
Un secondo non ci ucciderà, no?
Non ci...
Mi congelo quando sento la porta del bagno, quella per entrare nella stanza di fronte a tutte le porticine singole, aprirsi.
Mi congelo quando sento due paia di tacchi alti pestare contro le piastrelle.
Mi congelo quando...
– Maeko, se è un problema, glielo devi dire. Lo so che può essere imbarazzante, ma fra marito e moglie è una cosa importante, e non puoi andare avanti facendo finta di niente. –
– Lo so, è che non so come tirare fuori l'argomento. –
– Non lo so, apri una bottiglia di vino e provi a parlargliene? –
– Potrebbe funzionare. Potrebbe... –
La migliore amica di Mae. La migliore amica di Mae con Mae. Che ci fanno...
– È che ultimamente è così strano, davvero. Te l'ho detto che abbiamo litigato la settimana scorsa, ma non è solo quello. Prendi adesso. L'hai mai visto scomparire per così tanto tempo? Dove diavolo è? Gli ho mandato sei messaggi e secondo te mi ha risposto? –
I messaggi.
Non li avevo visti.
Non li avevo...
– E poi te lo giuro, questo è il problema più grande di tutti. –
Questo?
Questo nel senso che...
Kenma non sembra aver reagito a nessuna delle due voci, ma la sento rallentare il suo respiro per cercare di renderlo più liscio, meno rumoroso. Tiene la guancia sul mio petto e mi guarda, sbatte le ciglia, non fa nient'altro.
– Se non scopiamo oggi che è il suo compleanno credo che gliene parlerò davvero. Ti giuro, sto impazzendo. Impazzendo, sul serio. Sono... due mesi che non mi tocca e te lo giuro, la cosa non può continuare così. –
Sento un sorriso disegnarsi contro la mia camicia.
Un sorriso malefico, malvagio.
– Ma tu gliel'hai chiesto, Mae? –
– Non esplicitamente, ma... –
– Magari ha problemi a... far reagire l'amico al piano di sotto e non ne vuole parlare. –
Kenma alza le sopracciglia fino al cielo.
Mae credo stia facendo la stessa cosa.
– Tetsurō? –
– Potrebbe... –
– Non che ci sia niente di male nell'avere problemi di quel genere, è naturale e non è così invalidante come sembra, ma ti assicuro che Tetsurō non ne ha. È un talento nel campo. –
– È davvero così bravo come dici? –
Kenma annuisce su di me.
Se sono bravo?
Diciamo che... me la cavo. Sì, me la cavo.
– È un mago. Almeno, lo era. Non capisco cosa sia cambiato, davvero. Due mesi fa lo facevamo anche quattro volte a settimana, ora... te l'ho detto, sono passati due mesi. Credo che se non avrò un orgasmo nelle prossime ventiquattr'ore potrei esplodere. –
Kenma stringe i muscoli interni contro di me.
Già, che non abbiamo avuto il tempo di slegarci.
La guardo male, ma lei mi sorride e non riesco a tenerle il muso.
La migliore amica di Mae ride, Mae si accoda, per un attimo sentiamo aprirsi l'acqua del rubinetto e qualche parola di cortesia come "prego", "fai pure", "vuoi un fazzoletto", poi ricominciano a parlare.
– Un'altra cosa che ultimamente è un incubo è la nuova studentessa di Tetsu. Non ne hai idea. Insopportabile, davvero. –
M'irrigidisco.
– Quella vestita da troia? –
– Lei. Ti prego, chi verrebbe vestito così ad un Gala? Tetsu mi ha detto che andava a cercarla perché ha piantato su una mezza scenata al tavolo, ti giuro mi ha fatto di una pena. Poverino, pensa essere tutti i giorni in aula con una persona del genere. –
– In effetti non sembra molto simpatica, no. –
Kenma mi tira uno sguardo incuriosito. Non è offesa, è...
Si diverte.
Lei si diverte.
Si...
– Se avessi la sua età le avrei tirato una di quelle testate che te le ricordi per vent'anni. Crede che solo perché ha un bel culo e la faccia senza rughe il mondo sia suo, ma ti giuro che mi fa proprio venire una rabbia. –
Kenma si pianta una mano di fronte al viso. Credo che sia per non ridere.
– Credo che Tetsu la tratti bene solo perché gli fa pena. Però cazzo, altro che pena, è da piangere. –
– È così male? –
– Terrificante. –
Ridono, forse per una faccia, forse perché la cosa fa ridere. Riaprono un rubinetto, probabilmente si guardano allo specchio.
– Sai quel tipo di ragazzina che fa la Lolita? Quelle che vanno in giro come se ce l'avessero solo loro e che credono di poter avere chiunque vogliano, no? Quel tipo là. –
– Non l'hai ancora uccisa? –
– Spero di non doverla vedere mai più dopo stasera. L'ho invitata per fare una cosa carina e non essere tacciata di essere una cafona ma se Dio vuole è finita. –
Finita?
Tu credi davvero che sia...
– Allora devi resistere ancora poco, dai. Andiamo? Il rossetto è perfetto, Mae, smetti di fissartelo, è normale che te lo vedi storto. –
– Sicura? –
– Cento per cento. –
Sento Mae sospirare, poi butta qualcosa nel cestino.
Io ancora non fiato.
Nemmeno Kenma fiata, nessuno dei due fa il minimo accenno di...
Tacchi sulle piastrelle. Porta che si apre, altre risa, altre battute, il rumore della festa che appare e scompare, e quando scompare è perché la porta si è chiusa e siamo di nuovo...
Ho il cuore a mille.
A mille, davvero.
Ho appena assistito alla conversazione di mia moglie con la sua amica dall'interno di un bagno pubblico ancora col corpo dentro quello della mia amante in silenzio?
Dio, che vita strana, eh?
Apro bocca per fare una battuta ma Kenma mi precede.
Si stringe su di me.
Mi guarda.
Sorride.
– Questa cosa finisce qui. Io con quella non ti condivido un secondo di più. –
Spalanco gli occhi.
– Eh? –
– Qui, finisce qui. Non me ne frega un cazzo se devo dare Chimica con chiunque, non me ne frega un cazzo. Tu con lei non ci scopi, stasera, e la prossima volta che proverà a dire di me che sono una troia infelice che cerca di sedurre gli uomini altrui dovrà sapere che io non cerco di farlo, io lo faccio e basta. –
Ha le iridi di fuoco.
Non credo sia...
– Sei mio. Ora sei mio. Io non ti voglio condividere mai più. Soprattutto non con quella. –
Si stringe di nuovo contro di me, poi chiude le mani sul mio collo, mi bacia, appoggia la fronte sulla mia.
– Hai capito, Tetsurō? –
Se ho capito?
Ho... ho capito.
Credo di aver capito.
Basta, questo è il momento in cui diciamo basta. E il nostro piano? E il nostro programma di...
– Aiutami a rimettermi in piedi, così possiamo andare a dirglielo. –
Mi bacia di nuovo.
– Stasera rimani da me. E domani e dopodomani. E quanto vuoi. Così andiamo a lavoro insieme e possiamo svegliarci insieme e... –
La bacio di rimando.
'Fanculo il piano.
'Fanculo il programma.
Lo vuole... lo vuole lei.
E io...
– Andiamo. –
– Andiamo? –
Annuisco.
– Andiamo. –
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
"mel ma perchè in questa fic scopano continuamente?" BOH RAGA NON NE HO IDEA A ME LO CHIEDETE
comunque ora vi racconto una cosa che fa molto ridere
stavo copiando il link di questo capitolo per mandarlo al mio caro dolce betareader dopo essermi svegliata tipo all'una, e ho mandato il capitolo a MIO PADRE. UN CAPITOLO CHE INIZIA CON KUROO CHE FANTASTICA SU KENMA CHE GLI SI SIEDE IN FACCIA. la risposta è stata "ma che è sta roba" e io tipo "omg non è come pensi" e niente voglio sotterrarmi unica cosa positiva è che mio padre è lontano perchè se no mi sarei sparata vi giuro lo so che fa ridere ma io in panicc
che poi eh meglio mio padre di mia madre
anche se mia madre non sa l'italiano
quindi no meglio mia madre
però la odio quindiiiiiiiiiii
ok vabbuono niente spero che vi sia piaciuto!!! spero di riuscire a finire tutto prestissimo, ci vediamo presto,
mel :D
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top