𝚑𝚎'𝚜 𝚏𝚞𝚌𝚔𝚒𝚗𝚐 𝚒𝚗 𝚜𝚒𝚗
[she/her]
➭ ✧❁ SMUT ALERT
➭ ✧❁ come ho detto nel capitolo precedente kenma è biologicamente femmina, quindi non vi fate prendere dal panico se non ci sono come dire attributi genitali maschili perchè that's not the case
➭ ✧❁ presa da chissà quale vena particolarmente poetica ho riempito questo capitolo di riferimenti (per la maggiore alla letteratura inglese lo sapete amic* che sono fedele alla mia terra almeno su questo) che cercherò di riportare nei commenti nel caso ci fosse qualche curiosità :D
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Ci sono cose che onestamente, non so spiegare.
Ci sono cose che provo a descrivere, che provo ad elaborare, a mettere in fila, ad analizzare con l'attento funzionamento della mia mente scientifica, cose che cerco di comprendere ed esporre, cose che tento di tirare fuori da me, ma che, nonostante questo, non so spiegare.
La matematica complessa, perché sia piacevole l'odore della benzina, che cosa del disordine di un quadro di Pollock mi piaccia, perché la poesia semplicistica di Whitman mi arrivi in modo così diretto, perché mi piaccia il latte nel caffè solo se è freddo, perché di tutti i pianeti nel cosmo infinito io sia nato qui, la vita come la conosciamo sia nata qui, perché siamo creature così complesse rinchiuse in quello che altro non è se una sfera di terra e acqua.
Non so spiegare il mio carattere.
La mia intelligenza, le mie passioni, i miei talenti, le mie preferenze.
Perché alcune persone nascano in corpi sbagliati ed altre in quelli giusti, perché l'essere umano sia così comune a se stesso ma così diverso, perché il pensiero abbia distinto noi, misere evoluzioni dei primati, e non specie create in maniera molto più accurata.
Non so spiegare la mia attrazione per Kenma.
Non so farlo.
Io...
Ho provato a darle un motivo, per fermarla.
Ho provato a scavare nei meandri della mia non così rosea infanzia e adolescenza per darmi una risposta, una giustificazione o una scusa, un espediente, qualsiasi cosa.
Non sono riuscito.
Io... non ci sono riuscito.
So che cosa mia ha portato ad essere infatuato di lei. So che cosa ha avvolto la mia mente come una benda e l'ha attutita dai pensieri morali e coscienti.
Non so perché... perché il mio corpo reagisca così.
So che cosa trovi in lei.
Non so perché sia lei. Perché sia ora, perché sia così, perché sia successo a me, perché funzioni. Non so perché la mia pelle sembri incandescente, perché il mio fiato sia corto, perché il mio cuore batta a questa velocità.
So che non lo so.
So che non so spiegarlo.
So che davvero neppure posso, spiegarlo.
So che non m'interessa.
Perché...
Perché tutto quello che voglio lo voglio anche se non so perché lo voglio. So che saperlo non me lo farà volere di meno. E so che se me lo ritrovo davanti, non volerlo e non prenderselo, è per mia natura intrinsecamente impossibile.
Kenma profuma.
È dolce, è morbida, è sottile ma le mie mani affondano bene. È così esile che un tremore le scuote le gambe come fuscelli, così esile che mi sembra di potermela far scomparire addosso. La sua voce è aria che vibra appena, il suo respiro è tinto dal fondo di un gemito, i suoi occhi sono grandi, così grandi.
Oh, Kenma.
Quanto sei bella, Kenma.
Quanto ti voglio, Kenma.
Tu sei...
Non ti voglio perché sei più giovane di lei. Non ti voglio perché sei bella, perché sei una mia studentessa o perché sei gentile nei miei confronti.
Ti voglio perché...
Non lo so perché.
Forse proprio perché non lo so.
Forse perché qui io non penso, non so e non analizzo, ma faccio con l'istinto e lascio che la parte più marcia di me abbia quella libertà che non le ho mai dato.
Mia madre mi ha sempre detto di prendermi le mie responsabilità.
Mio padre scompariva, di tanto in tanto, dietro al gioco o all'alcol o a qualunque cosa. Prendeva e se ne andava, tornava qualche volta, arraffava i soldi, scompariva di nuovo.
"Sei tu l'uomo di casa, ora, Tetsurō. Sta a te prenderti cura di me e mandare avanti la famiglia. Sei tu che hai le responsabilità, sei tu che ora devi avere il controllo, sei tu che devi aiutarmi, sei tu che devi gestirci, sei tu, sei tu, sei tu che..."
Avevo sette anni.
Avevo sette cazzo di anni.
Non sono mai stato libero un giorno della mia vita.
Mai.
Da allora, mai.
Io, Atlante sotto al mondo, io, Amleto col padre scomparso e il regno in mano, io, commesso viaggiatore a ragionare del successo che non mi era stato dato dalla natura, a guidare dove sarei morto.
"Fatti una famiglia, mettiti a posto, segui le regole, segui gli schemi, sii una brava persona, sii un buon marito, sii un uomo onesto, corretto, elegante."
Non sono mai stato libero dalla pressione.
Non sono mai stato libero di fare schifo ma nemmeno di essere il migliore, che dovevo "prendermi le mie responsabilità" per mia madre e "gestire il mio ego" per mia moglie, rimanere là, nell'aurea mediocritas di essere uno come tanti, roso dal dover aderire sempre ad uno schema.
Non so quanto lo schema abbia iniziato a scomparire.
Non so quando mi sia reso conto che romperlo sarebbe stata la cosa più sbagliata e più piacevole assieme.
Non so quando ho mandato tutto a fare in culo.
La prima volta che ti ho vista? Quando hai fatto i capricci perché venissi a prenderti, quando hai pestato i piedi per avere punti su un lavoro che non avevi fatto? Quando ti sei messa in ginocchio per me o quando mi sono messo io in ginocchio per te?
Io non so spiegare, Kenma, che cosa tu mi faccia.
Non so spiegare come tu riesca a togliermi dalla mia gabbia solo guardandomi.
Non so spiegare quanto libero di essere quello che voglio negli antipodi che tanto spaventano le altre donne della mia vita tu mi faccia sentire.
Ma è la verità.
Mi fai sentire libero.
Mi fai sentire caldo, felice, sbagliato e perfetto, intelligente, bello, leggero e in pace tutto assieme.
Non so spiegare cosa provi per te.
So che spiegarlo è inutile.
Perché per quante parole potrei spendere nel pallido, inutile tentativo di descrivere cosa io stia provando ora, col tuo corpo nudo, esile e delicato avvinghiato a me e le tue labbra sulle mie, non riuscirei a rendergli giustizia.
A te, non renderei giustizia.
Perché c'è qualcosa di inspiegabile, in te, ed è impossibile che anche solo una delle parole che conosco sia abbastanza per descrivere quello che sei.
Scorro con le mani sui suoi fianchi, atterro sulla vita, stringo il suo corpo verso di me, spalanco la mia bocca con la sua.
Tutto, tutto, fammi sentire tutto.
Gemi nella mia bocca, inarcati contro di me, graffiami la schiena.
Trema, urla, piangi, sorridi, stringi, prendi, lascia andare, piegati, stenditi, mordi, bacia, assapora, vuoi, decidi, rifiuta, chiedi, pretendi, prega, desidera, avvinghiati, fatti toccare, respira, sospira, mugugna, di' chiaramente, ottieni, brama, dedica e fatti dedicare, decidi e lasciati trasportare dal flusso delle cose.
Basta che sia tu.
A fare tutto, mi basta che sia tu.
Perché mi fai sentire libero.
E mi fai sentire bene.
Separa le cosce, Kenma, ancora di più, e le stringe attorno al mio corpo, tende la schiena e mi schiaccia contro di sé.
Ha gli occhi lucidi, quando mi stacco per respirare, il rossore le si spande dalle guance al petto, le labbra scintillano, le ciglia tremano nel tentativo di non farle chiudere gli occhi.
Sorride per un istante.
Mi lascia un bacio all'angolo della bocca.
– Sono tanto felice che tu sia qui con me. –
Dolce, piccola Kenma.
– Non c'è altro luogo dove vorrei essere. –
– Credo che questo potrebbe essere il primo compleanno che varrà la pena ricordare. –
– Spero davvero che sia così. –
Affonda le mani fra i miei capelli, li tira appena, quasi per gioco, poi mi spinge verso il basso, nell'incavo del suo collo.
Le sorrido contro la pelle, quando infilo il naso nello spazio sopra la sua spalla.
Profumi, in questo punto.
E il tuo sapore è così dolce.
Separo le labbra per richiuderle con la sua pelle in mezzo, affondo i denti, la tengo fra le mani, sento il suo corpo tremare di un sussulto contro il mio.
Geme il mio nome.
E non so spiegare come questo mi faccia sentire.
La mordo di nuovo, finché il suo respiro non inizia a saltellare sul fondo, bacio i morsi, osservo i segni, quanto scuri siano sulla sua pelle, quanto inconfondibili siano nel loro colore violaceo.
Io... ti voglio.
E non credo di aver mai voluto così tanto qualcosa.
Mi sposto dall'altro lato del collo, ma prima che mi avvicini ancora, prende fiato per parlare.
Dice...
– Sono bella, Tetsurō? –
Mi fermo.
Mi allontano dalla sua pelle per guardarla negli occhi.
– Scusami? –
– Sono... sono bella? Senza vestiti, dico. Sono bella? –
Il mio cervello non... processa la domanda.
Se sei bella, Kenma?
Mi stai davvero chiedendo se sei...
Non rispondo, lì per lì non lo faccio, e non credo interpreti bene il mio silenzio, perché distoglie lo sguardo e si morde l'interno della bocca in una chiara manifestazione di nervosismo.
– Lo so che non ho un corpo molto femminile, è comodo essere piatta che nei giorni in cui sono un ragazzo non devo nascondere niente, ma lo so che non è molto attraente perché... –
Sbatto le palpebre.
Come un cretino, sbatto le palpebre e la guardo.
Lei pensa davvero che...
– Kenma, io non ho mai visto una persona più attraente di te in tutta la mia vita. Di che cosa stai parlando? Che cos'ha il tuo corpo che non va? –
Arrossisce sulla cima degli zigomi.
– Lo so che sembra stupido ma io ho cercato su internet una foto di sua moglie e lei le ha... più grosse, ok? Lo so che è idiota. Lo so. Non mi prenda in giro, lo so da sola. –
Lei ha...
Oh, Dio.
Lei crede di dover aderire ad un tipo. Lei crede di sapere qual è il mio tipo, crede di essere distante dal mio tipo e crede che la trovi...
Lei vorrebbe che le dicessi una cosa.
Non me lo chiede apertamente perché s'imbarazza di quanto scorretta sia, accenna nella speranza che comprenda che cosa vuole sapere e mi dà l'occasione di non dirlo.
Ma so che cosa vuole sentirsi dire.
E mi spaventa quanto poco io mi senta in colpa a dirlo.
– Kenma, tu sei più bella di lei. Il tuo corpo è meraviglioso come sei meravigliosa tu. Mi piace che tu sia esile. Mi piace che tu sia sottile, che tu sia magrolina. Non costringermi ad essere l'uomo più schifoso del mondo e a dirti quanto più bella della donna che sto tradendo io penso che tu sia. –
Spalanca gli occhi, sbatte le palpebre, mi fissa per un istante nel tentativo di comprendere se davvero ha sentito quel che le ho detto o se lo ha semplicemente immaginato.
– Io sono... sono più bella? Anche se non ho le... –
– Credi che mi faresti questo effetto, Kenma, se non fosse così? –
– Che effetto? –
La guardo da sotto le ciglia ma non dico niente. Perché non saprei come spiegarlo, l'effetto che mi fai, e non basterebbero le parole inventate in venti milioni di anni di storia del linguaggio umano per descriverlo.
Continua a guardarmi, poi scende con il bacino sul materasso, si allinea col mio, si muove su di me.
Si morde il labbro inferiore quando lo fa.
Le sfarfallano le ciglia.
Sorride.
– Intendi questo effetto? –
– Anche. –
– Questo effetto mi piace molto. –
Lo rifà, bacino contro il mio, ginocchia esili che si stringono attorno a me, le mani che cercano di aggrapparsi da qualche parte, sulla pelle sotto la maglietta, sul viso, sul collo, dovunque.
È...
Mi sembra di avere fuoco in corpo, non sangue.
Lei trema quando lo fa.
Strofina se stessa contro di me e ad un certo punto, quando l'angolo è perfetto, quando la frizione è giusta, trema. Le sue ginocchia, il suo corpo che ho fra le mani.
Io non...
Non voglio stare bene per me stesso. Mi rendo conto in questo istante che non ho alcun interesse nel mio puro piacere personale, non voglio fare sesso per liberarmi della pressione che mi sento fra le gambe, non voglio liberarmi dalla sensazione di essere tanto eccitato che quasi mi fa male.
Voglio vedere lei.
Io voglio vedere lei.
Lei che trema e che si contorce e che urla, piange, geme. Voglio guardarla, e ricordarmi com'è quando sarà finito. Io...
Tu mi fai sempre sentire come se il potere in questa cosa malata che abbiamo ce l'avessi io, Kenma. Mi fai sentire importante, libero, forte e perfetto.
Ma sei tu ad avere me.
Potresti chiedermi di tagliarmi un braccio.
Non sono sicuro che saprei dirti di no.
Mi hai reso niente più di qualcuno che non vede l'ora di vedere un solo altro centimetro della tua pelle.
Chiudo le mani sui suoi fianchi e l'aiuto a ripetere il movimento una terza volta, un po' meglio, con un po' più di energia, e le cade la testa indietro sul materasso, le si alza appena il centro delle sopracciglia.
– Cazzo! –
Abbasso il viso sul suo, le bacio l'angolo della bocca.
– Ancora? –
– Mmh, ti prego, sì. –
Stringo ancora più forte, l'aiuto a muoversi, geme di nuovo e più forte.
– Dio, Tetsurō, cazzo! –
Mi ritrovo a ridere appena di fronte al suo viso.
– Sei davvero sensibile, è quasi impressionante. Basta veramente un niente e sembra che ti stia scopando da ore. –
Ripeto il movimento, lei geme ancora e non risponde.
– Se reagisci così a questo mi chiedo cosa potrebbe succedere dopo. Sei sicura di farcela? Non voglio che sia troppo, Kenma. –
Apre le labbra per parlare ma la muovo su di me prima che possa effettivamente farlo e le parole che stava tentando di formulare si ammassano e distruggono tutte in un gemito arioso.
– Stavi dicendo qualcosa? –
Mi guarda male e anche il modo in cui mi guarda male è tanto carino, tanto tenero, e la bacio per farglielo capire, che la prendo in giro ma che non rinuncerei ad un centimetro di lei nemmeno se ne andasse della mia vita.
Accetta il bacio con soddisfazione, ricambia, mi tiene il viso fra le mani e smette di muovere il bacino per un attimo nel tentativo di concentrarsi solo su quello, su di me, su...
Non concentrarti su di me, Kenma
Su te stessa.
Fammi vedere, fammi vedere tutto, ti prego, ti...
Mi geme nella gola quando giro il viso per raggiungerla meglio, mi avvolge con le braccia, con le gambe, si stringe a me come se potessi fare di lei quello che voglio, come se mi stesse offrendo tutto quello che ha.
Come cazzo lo spiego, Kenma, come mi fai sentire?
Come cazzo ci torno, da mia moglie, dopo tutto quello che mi hai fatto sentire?
Come ci torno all'equilibrio pressante di essere perfettamente bilanciato fra le responsabilità che ho e i meriti che non mi devo prendere, quando tu mi urli che posso far schifo ed essere perfetto senza guardare in faccia nessuno?
Mi sento libero.
E dall'altra mi sento devoto.
Libero di essere chi sono ma devoto a te che mi hai dato la possibilità di esserlo. Devoto a te che sei così bella, sei così dolce, così cattiva, così fastidiosa e infantile ma anche intelligente, interessante. Io ti sono devoto, Kenma. Permettimi di farti vedere quanto...
Sposto una mano dal suo fianco al centro delle sue gambe.
La vuoi, la mia devozione?
Perché posso dartela tutta.
Posso darti tutto quello che vuoi.
– Posso, Kenma? –
– Certo che puo... cazzo! –
Potrei aver... mosso le dita sopra di lei? Non è colpa mia, ho sentito "certo" e ho subito pensato che...
Le sorrido, lei strizza gli occhi, apre la bocca per respirare.
Lo rifaccio.
Tengo la mano aperta sull'incavo della gamba, muovo il pollice dal basso verso l'alto, ma piano, con delicatezza, come a darle un po', solo un po' di contatto, niente di troppo, giusto un...
Terremoto.
Su quel corpicino esile, è un terremoto.
Le tremano le gambe, artiglia la mia maglietta con le mani, spalanca gli occhi.
– Tetsurō, cazzo, cazzo, ca... –
Ripeto il movimento.
– Non ti piace? –
Lo so che le piace.
Me ne sono accorto... prima.
Fare sesso con una donna o in generale con una persona con genitali femminili, non è questione di dimensioni, di aspetto fisico o di prestanza. È questione di pratica, di esperienza e di osservazione e io Kenma, l'ho osservata parecchio.
Con lei serve farla sentire come se fosse protetta. Come se ci fosse solo lei. Come se fosse al centro dell'attenzione sempre.
Bisogna essere delicati e violenti quando la delicatezza l'ha messa sul piedistallo su cui le piace stare, bisogna guardarla negli occhi come se non ci fosse nient'altro oltre lei, bisogna baciarla e toccarla e tastarla come se non fosse mai abbastanza.
Kenma va trattata con affetto, con violenza, con decisione e con delicatezza assieme.
Non so perché mischiare cose così diverse mi venga tanto facile. Forse è lei. Forse siamo noi. Forse... forse è solo l'istinto.
So che farsi toccare come se fosse fatta di vetro le piace, la fa tremare e ansimare piano, ma quando chino il volto verso la sua spalla e la mordo quell'ansimo diventa un gemito, quando la pressione su di lei diventa più forte il gemito è una parola perfettamente articolata, quando giro la mano verso l'alto, e infilo due dita dentro di lei, la parola è un urlo.
Il suo corpo si tende, la schiena s'inarca, i muscoli interni si stringono, sento le unghie graffiarmi nonostante io abbia ancora la maglietta addosso.
Lei è...
Per un attimo sono io a dover star fermo.
Lei...
Stretta.
Io lo sapevo che sarebbe stata stretta, è giovane, è esile, è mingherlina, però...
Io lo so, che dopo questo, che dopo che ci sarò io, dentro di lei, e non la mia mano, non tornerò mai più indietro. Lo so. E so anche che non ci sarei riuscito a prescindere, ma...
Tutto, di Kenma, è sensuale.
Immotivatamente sensuale.
Il rumore umido che fa la mia mano quando muovo le dita dentro e fuori da lei, il modo in cui cerca di chiudere le ginocchia ma non riesce, come mi tira i capelli quando appoggio il pollice sul suo clitoride e le mordo il collo contemporaneamente.
È...
Intossicante.
Perfetta.
Non sono mai stato così con Maeko, non sono mai stato così con nessuno prima di lei e non starò così con nessuno dopo.
Mai.
Traccio una striscia con la lingua sopra il suo tatuaggio, sullo sterno, la guardo, muovo la mano, lei affonda i denti sul labbro inferiore per cercare di non urlare ma urla lo stesso.
Continuo piano, con delicatezza, la stimolo appena, inizia a riprendersi, poi è di nuovo denti sulla pelle, mani fino in fondo a lei, urla, lacrime, pelle tesa.
Mi guarda.
Mi guarda negli occhi come se ci fossi solo io al mondo.
Dio, Kenma, sei...
Muove il bacino sulla mia mano.
– Un po' più veloce? –
Annuisce.
– Ti prego. –
Aumento un po' il ritmo.
– Così? –
– Un po' di... –
Ancora un po', ancora un po'. Più pressione, più velocemente, più...
– Così, Kenma? –
– Sì, Dio, s... –
No, non basta, non basta, non basta. Ancora, ne voglio ancora. Di lei, ne voglio ancora. Tiro fuori la mano, infilo tre dita invece di due, premo più forte contro di lei e il suo corpo fa... un po' di resistenza, entrare dentro di lei è difficile, è parecchio stretta e...
– Cazzo! –
Le ho fatto ma...
Piange.
Ma non è dolore.
E si spinge verso la mia mano come se mi dicesse che è esattamente quello che vuole, spalanca le gambe, geme il mio nome, sembra dirmi di distruggerla e fare di lei quello che...
Le dita entrano.
Appoggio il palmo contro di lei per stimolarla fuori, la mano dentro e fuori da lei, la sento stringersi, muoversi contro di me, mi guarda, mi chiama, chiude gli occhi, cerca di respirare.
Mi stacco dal suo collo.
Atterro con il viso vicino al suo orecchio.
La guardo di profilo stendersi e muoversi ad ogni movimento della mia mano.
– Così ti piace, eh, Kenma? Ti piace, vero? –
– Mi... mi pia... –
– Ssh, non parlare, non parlare. Non serve che parli. –
Le bacio una tempia.
– Mi serve solo che tu stia bene. –
Spingo il palmo della mano contro di lei, di riflesso muove il bacino per rispondere alla frizione e le dita entrano più a fondo, i suoi muscoli si contraggono, ansima forte.
– Sei così bella, Kenma, così bella. –
Mi guarda, le cola un filo di saliva dall'angolo della bocca, sembra che il cervello le si stia sciogliendo.
– Lo senti, il rumore che fai? Lo senti? –
Muovo le dita con un po' più di veemenza, si sente chiaramente il suono bagnaticcio di me che esco ed entro da lei, arrossisce, io sorrido, le bacio il bordo di un occhio.
– Sembra proprio che ci sia una parte di te a cui piaccio molto, Kenma. –
Diventa più scura in volto, io le sorrido ancora di più, le trema il labbro inferiore.
– Non credi? O ti bagni così tanto per qualsiasi persona che ti infila le dita dentro, Kenma? –
– No! –
Lo geme come se ne andasse della sua stessa vita. Come se fosse importantissimo che io lo sappia, come se dovesse dirmelo per forza, come se...
Usa una delle sue mani per afferrare il polso della mia dentro di lei.
Si tiene e usa il peso per muoversi meglio contro di me, per strofinarsi meglio sulle mie dita.
– Per te, solo per... per te, io sono così per... –
– Per me, Kenma? –
Annuisce, ripete il movimento col bacino e sembra per un attimo quasi che me lo stia facendo vedere, quanto bene posso farla stare. Che lo stia facendo per me, che si stia mettendo in mostra per...
Avvicino le labbra al suo orecchio.
– La mia piccola Kenma si bagna così solo per me, vero? –
– Sì, sì, te lo giuro, sì, oddio, sì, cazzo, Tetsurō, Dio, Te... –
Infilo le dita fino in fondo.
Muovo la mano contro il suo clitoride.
La sento stringersi, non mi fermo e la osservo, col viso accanto al suo, venirmi fra le mani, addosso, col corpo che sembra sciogliersi, i muscoli che si tendono tutti assieme prima di diventare gelatina e il mio nome a fior di labbra, là, dov'è giusto che sia.
È bellissima.
Quando viene, Kenma è bellissima.
Sembra che la forza del suo orgasmo spazzi via qualsiasi traccia di coscienza da lei.
Si stringe e afferra la mia maglietta come se volesse strapparla, getta la testa indietro, le rotolano un po' gli occhi verso l'alto, non respira, sta ferma, si lascia prendere.
E poi si scioglie.
E si scioglie contro di me, coi muscoli che tremano, gli occhi pieni di lacrime e le mani che mi cercano, disperatamente, come se la mia sola presenza fosse l'unica cosa in grado di farla sentire almeno un po' meglio.
Si accascia sul materasso, respira con le labbra aperte, cerca di riprendere quanta più aria possibile, io sfilo la mia mano da lei e la tiro verso di me, le bacio la fronte nell'attesa che il suo corpo reagisca.
Ci mette qualche secondo a rifocalizzare lo sguardo, un paio di minuti a smettere di tremare violentemente, e non faccio altro che rimanere a fissarla, bella com'è, addosso al mio petto. Le sussurro quanto brava sia stata per me, quanto felice io sia di essere con lei, quanto bella appaia ai miei occhi, quanto fortunato penso di essere.
Si riprende.
Dopo un po', si riprende.
Smette di piangere, si asciuga il viso sulla mia maglietta e torna a respirare normalmente.
È...
Intenzionata ad andare fino in fondo. Lo vedo da come mi guarda, da quella volontà di riprendersi nonostante le ginocchia le tremino ancora, dallo sguardo che mi lancia.
E chi sono io per negarle questo?
Tanto ormai, ci sono già, in fondo al tunnel delle cose sbagliate che non avrei dovuto fare.
Non credo Maeko si sentirebbe molto meno tradita da me se le dicessi che no, non abbiamo fatto tecnicamente sesso, siamo solo stati avvinghiati sul letto a fare preliminari.
Le bacio di nuovo la fronte, la guardo, spazzo via qualche lacrima rimasta lì dalla sua guancia.
– Sei intera? –
Arriccia il naso.
– Più o meno. –
– Vuoi continuare? –
Si morde l'interno della bocca, mi guarda, con quegli occhi così grandi e così innocenti a nascondere le più disinibite delle intenzioni.
Annuisce.
E prima che possa dirle che no, io il consenso lo voglio esplicito, se ne ricorda da sola.
– Sì, Tetsurō. Continuiamo. Ti prego. –
– Sicura? –
– Togliti i vestiti e smetti di chiedermelo. –
Rido e le pizzico la punta del naso, ride anche lei, poi mi sposto. La lascio sul materasso, stesa, mi tiro su in piedi, raggiungo l'orlo della mia maglietta con le dita.
Prima di spogliarmi le lancio un'occhiatina.
Mi sta guardando.
I gomiti sul materasso, le gambe di lato, lo sguardo in attesa completa attaccato a me.
Mi sta...
– Su, muoviti. –
– Ti godi lo spettacolo? –
– Assolutamente, posto privilegiato in prima fila. Avanti, fammi vedere com'è che sei sotto tutti quei completi, signor professore. –
Le sorrido.
– Guarda che così mi metti in soggezione. –
– Perché, conosci il significato della parola "soggezione", tu? –
Piego la testa.
– Touché. –
Se lo conosco?
L'ho conosciuto.
Come ogni narcisista da manuale, l'ho conosciuta la sensazione di sentirsi poco, sentirsi niente, sentirsi impotente e piccolo di fronte al mare di responsabilità che mi stavano sommergendo. È per quella stessa sensazione che ora rifiuto l'idea di non essere il migliore.
L'umiltà è per chi non è mai stato costretto ad essere umile dal mondo.
L'umiltà è di chi ha sempre vinto.
Io so che cosa significa non essere nulla.
Ora non voglio sentirmi niente meno di tutto.
Sfilo la maglietta senza la minima traccia d'imbarazzo, slaccio i pantaloni, li tiro giù assieme alle mutande, mi tolgo i calzini e lascio tutto là. No, non me ne vergogno, di come sono. Anzi, mi piaccio, mi trovo perfetto, anche se è solo per nascondere che nella mia vita non è sempre stato così.
– Soddisfatta? –
Kenma mi scorre addosso con lo sguardo.
Si lecca le labbra.
– Molto. Molto, molto soddisfatta. –
– Posso tornare a letto? –
– Ti prego. –
Appoggio un ginocchio sul materasso, le salgo addosso con le mani, la stringo, la porto a me e... la ribalto. Sopra di me, con le cosce attorno alla mia vita, le mani sul mio petto, il viso sopra il mio.
Salgo finché non ho la schiena appoggiata sul muro dietro al letto, la sistemo perché sia comoda e la guardo, un po' sorpresa, che cerca di capire che cosa sia successo.
Prende fiato, si tira una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guarda le sue stesse mani, spiaccicate sulla parete dei miei addominali, prima di sospirare e chinarsi per baciarmi.
– Potevi avvertirmi prima di girarmi come una frittata, mi hai fatto prendere un infarto. –
– Come se non ti fosse piaciuto. –
Annuisce.
– Sì, mi è piaciuto, ma continuo ad essermi presa un infarto. –
Rido e sporgo il collo per baciarla, la sento sciogliersi contro di me un poco alla volta, un attimo dopo l'altro. Le stringo la schiena con le braccia mentre lei mi tiene ferma la faccia con le dita, mescolo il respiro col suo, fondo le mie labbra alle sue.
Dolce, Kenma.
Dolce, piccola, esile, meravigliosa.
Mi fai...
Quando ci stacchiamo appoggia la testa contro la mia, respira contro di me.
– Non lo so se ce la faccio a stare sopra, mi tremano le gambe. – sussurra appena, gli occhi chiusi e le mani che mi accarezzano le guance.
Sorrido su di lei.
– Ti reggo, non preoccuparti. –
– Lo prometti? –
– Sì, Kenma, sì. –
Sorride, apre un po' meglio le gambe.
Io le bacio una guancia, lo zigomo, la tempia.
– È che così hai un po' più di controllo e puoi fermarti se qualcosa ti fa male. –
– Hai paura che mi faccia male? –
Annuisco.
– Sei tu che l'hai detto, che nel caso in cui non me ne fossi accorto sei una XS e per fare una delle mie belle cosce muscolose ce ne vogliono tre delle tue. –
– Oh, giusto. –
– Ecco. –
Si tira un po' più su, lascia che le mie mani le stringano solo i fianchi, mi sorride e abbassa lo sguardo.
– Perché tutto di te deve essere così dannatamente grosso? Che ti davano da mangiare da piccolo? Lo voglio anche io, magari mi crescono le tette, miseria. –
Sorrido un po' più di prima.
– Le tue tette vanno benissimo così come sono. –
Mi lancia un'occhiatina.
– E anche il tuo cazzo. –
Scoppio a ridere e la tiro a me per darle un bacio, che accetta con il sorriso fra le labbra.
Piccola Kenma.
Sei davvero terribile, tu, eh?
Cosa non fai al mio ego.
Cosa non fai al mio povero, smisurato, enorme ego.
Torna com'era prima, mi guarda, piega la testa e allunga una mano verso di me, col palmo aperto di fronte alle mie labbra.
– Lecca, Tetsurō. –
– Come desidera, mia regina. –
Le si alzano i bordi delle labbra quando tiro fuori la lingua e traccio una linea dall'attaccatura del polso alla fine delle dita, distoglie la mano da me e me l'appoggia addosso, chiude le dita, le stringe e fa, una sola volta, su e giù.
A me sembra...
Non mi ero reso conto di quanto fossi eccitato.
Nel senso, me n'ero reso conto, ma era una cosa... secondaria rispetto a lei.
Ora, che la vedo con le dita esili strette attorno a me, a muoverle piano mentre si lecca le labbra e si muove quasi inavvertitamente, nuda, sopra il mio corpo, riprende tutta l'importanza che ha.
Sono eccitato.
Dannatamente eccitato.
Io...
– Cazzo, Kenma. –
– Ti piace? –
– Dio, certo che... –
Usa entrambe le mani, le stringe fra di loro, mi sorride.
– Io sono molto, molto più stretta. –
Mi ribolle il sangue solo a sentirlo. Il pensiero, l'idea, la sola prospettiva fa scorrere il sangue nelle mie vene come lava.
Kenma, Kenma, Kenma.
Che cosa non mi fai, Kenma.
Mi uccidi, così, mi uccidi sul serio.
Muove un altro paio di volte le mani, in su e in giù, stringe i palmi fra di loro, poi decide che non è abbastanza, che anche lei vuole un po' di quel che vede nei miei occhi, mi lascia andare, si appoggia alle mie spalle, strofina se stessa contro di me.
La sensazione è...
Umida.
Calda.
Invitante, dannatamente invitante.
Invitante come lo è il suo sapore, come lo è la sua pelle, le sue labbra che scintillano di saliva, i suoi occhi enormi.
Geme lei, gemo io, e poi si tira su.
Mi guarda, annuisce, si allinea con me e scende.
Con una lentezza straziante, scende.
Devo...
Stringere forte le mani e serrare la mascella per costringermi a rimanere fermo, senza saltare in alto col bacino ed arrivare in fondo in un movimento solo, per non farle male.
Stretta.
Strettissima.
Così stretta che fa fatica ad entrare e fa fatica ad adattarsi, con i muscoli che mi stritolano nel modo più piacevole possibile. È umida, calda, piacevole, così piacevole, così tanto che...
Affondo le dita nella sua pelle, lei affonda le unghie nelle mie spalle, scende piano, piano, pianissimo, con una lentezza straziante, io sento il calore nella mia pancia stringersi, stringersi sempre di più, la mia voce esce in una sorta di gemito lungo, basso, quasi sofferente, lei ansima.
Kenma, Kenma, Kenma.
Sei perfetta, Kenma.
Sei così perfetta.
Sei dannatamente...
Spalanca le cosce.
Appoggia una mano sulla mia pancia.
Mi guarda, sussurra qualcosa a fior di labbra, si lascia cadere.
Non ho mai faticato così tanto nella mia intera, intera esistenza a non avere un orgasmo. Nemmeno quando avevo quindici anni e lo stavo facendo per la prima volta. Nemmeno allora.
Mi sembra...
Non lo so cosa sembra.
Non ne ho idea.
So soltanto che è la cosa più piacevole che io abbia mai provato.
So qual è il posto dove voglio rimanere per sempre.
So che cosa inizia ora a sembrarmi casa.
Si accascia contro di me.
Si abbassa con la fronte su una delle mie spalle, le gambe che tremano e il respiro ansimato contro al mio, rimane ferma, i nostri corpi fusi assieme, le mani che mi cercano.
La tentazione di prenderle i fianchi e darle tutto quello che ho è forte.
Ma la respingo, quando le avvolgo la vita con le braccia e le bacio la fronte.
– Stiamo un attimo fermi? –
– Per... per favore. Un attimo solo. –
– Certo, Kenma, certo. –
Le accarezzo la spina dorsale, sento la sua pelle intirizzirsi sotto i miei polpastrelli e il suo respiro saltellarmi addosso.
– Ti fa male? –
– No, è che è... tanto. –
Le bacio uno zigomo, l'arcata sopracciliare, l'angolo di un occhio, l'arco di cupido. La sento rilassarsi contro di me piano piano, con delicatezza, lasciarsi andare e liquefarsi fra le mie mani, rilassare i muscoli, adattarsi un po' al fatto che dentro di lei, ora, ci sia anch'io.
Ansima contro di me.
Si lascia accarezzare.
Le scintillano gli occhi.
– Mi dici che sono tua, Tetsurō? –
Sorrido, annuisco piano.
– Sei mia, Kenma, sei la mia piccola Kenma. –
– Solo tua? –
– Solo mia. –
Mi passa le dita sopra le labbra, mi guarda dal lato e mi studia come se fossi la sua preda, anche se è lei quella che trema e si contorce.
– E anche tu sei mio? –
– Certo, Kenma, certo che sono tuo. –
– Mio e basta? –
Infantile. Il modo in cui me lo chiede, è infantile.
Ma lei è infantile.
Non per questo meno meravigliosa.
– Tuo e basta. –
Si muove piano contro di me, spinge il bacino indietro, mi vede gemerle addosso.
– Se ti chiedessi di lasciarla per me, lo faresti? –
Se tu mi chiedessi...
Apro la bocca per rispondere ma mi precede, si tira su con la schiena, sposta la testa perché i capelli le cadano tutti da una parte, apre le mani contro di me, con le cosce tremolanti e facendo leva su muscoli che sembrano farle male si alza e si abbassa, sbatte il bacino contro il mio, mi fa gettare indietro la testa immerso nella sensazione più piacevole che io abbia mai provato.
– Se ti chiedessi di volere solo me, Tetsurō. –
Vorrei rispondere, vorrei farlo.
Non ci riesco.
Lei si muove sopra di me, geme sopra di me, è bella ed è giovane ed è stretta e mi sembra di andare a fuoco, il mio cervello non risponde, non elabora niente, non va.
– Se ti chiedessi di scopare solo me. Di metterti in ginocchio solo per me, di far venire solo me, di amare ogni giorno della tua vita solo me. –
Ondeggia, il suo bacino, quando lo trascina avanti e indietro, raggiunge un punto dentro se stessa che le piace, geme il mio nome con la voce che trema ma che procede comunque decisa.
Socchiude gli occhi.
Si muove su di me come se fosse nata per farlo.
Intimidita ma senza fermarsi, alla ricerca del piacere suo e mio assieme.
Sembra che non voglia lasciarmi uscire.
Ogni volta che si tira su prima di gettarsi di nuovo su di me, sembra che i suoi muscoli non vogliano lasciarmi uscire, che mi vogliano là, con lei, dentro di lei.
Mi pianta gli occhi addosso, tiene le mani addosso a me per rimanere in equilibrio, si muove e fatica a parlare ma ci prova, ci prova e ci riesce nonostante i tremori che la scuotono.
– Mi fai sentire così bene, Tetsurō. Mi fai sentire così importante, così bella. –
Si morde l'interno della bocca, piega la testa per guardarmi da sotto le ciglia.
– So che potrei fare qualsiasi cosa perché tanto tu sarai sempre dalla mia parte. –
Geme ad alta voce alla sensazione delle mie mani che la stringono più forte, ma non smette di parlare e non smette di muoversi, non smette di mandare fitte bollenti lungo tutto il mio corpo col solo modo in cui si avvolge attorno a me.
– Mi fai sentire come se lei non fosse niente in confronto a me. –
Inarca la schiena, sposta una mano sul mio petto, intensifica i movimenti rendendoli più profondi, più sensuali.
– Dimmi che lei non è niente in confronto a me, Tetsurō. Guardami negli occhi e dimmi che la donna che hai sposato non è niente in confronto a me. –
Si morde l'interno della bocca.
Si piega di più, verso di me, geme il mio nome, ansima, avvicina le labbra alle mie, si ferma prima di toccarle.
– Dimmelo e mi lascerò scopare come vuoi scoparmi. Dimmelo e te lo lascerò mettere dentro di me così forte che domani non riuscirò a camminare. –
La punta del suo naso sfiora la mia.
– Lo sappiamo entrambi che l'unica cosa a cui pensi ogni volta che si spoglia è a quanto vorresti che fossi io, quella stesa sul tuo letto che si fa aprire in due e chiama il tuo nome, Kuroo Tetsurō. –
Respira la mia stessa aria.
– Ora puoi avermi, devi solo dirmi la verità. Devi solo dirmi che... –
Ci vuole un secondo.
Il secondo prima lei sta scopando me, lei sta prendendo e facendo di me quel che vuole, lei sta trasformando il mio cervello in una matassa informe di pensieri non coscienti e parole sensuali, e quello dopo ha le scapole premute sul materasso, le gambe spalancate, una mano al collo e me sopra di lei, che la guardo come se potessi farla a pezzi.
Muovo così a fondo i miei fianchi che mi sembra di farle davvero male.
Stringo le dita sulla sua trachea abbastanza perché fluisca meno sangue nelle sue vene.
– Sei davvero una troia, Kenma. –
Spalanca gli occhi.
È confusa, sembra avere paura, controllo le sue labbra alla ricerca di un "no" o di un "basta" ma non ne vedo, quindi non mi fermo.
– Pensavi davvero che saresti riuscita a farmi dire quello che vuoi in quel modo? Come se non potessi farti questo? –
Alzo metà della bocca, quando sorrido, perché il mio sorriso è così, come la mia morale, completamente storto.
– Fino a prova contraria io sono quello che ti fa a pezzi e tu sei la troia che piange perché glielo sto dando troppo forte. –
Lascio andare le dita, la vedo respirare, poi le stringo di nuovo, le si arrossa il ponte del naso, le mani stringo le lenzuola nel tentativo di appigliarsi a qualcosa.
La schiaccio in basso sul letto.
– Non cercare di prendere il comando con me. Non ce l'hai. Stai al tuo posto. –
La guardo negli occhi, piange e geme, urla il mio nome, ad ogni movimento, ad ogni spinta, affonda le unghie sui miei fianchi e chiama me, adora me, vuole me.
– Sei tu che mi preghi da un mese e mezzo per avere anche solo un centimetro del mio cazzo dentro di te, Kenma, non comportarti come se non fossi tu, qui, la troia disposta a tutto. –
Singhiozza.
Mi trema addosso.
Mi chino verso di lei, le lascio andare la gola, la guardo respirare e non mi fermo. Non lo faccio perché è stretta ed è piacevole e perché la sua pelle morbida e io ne voglio ancora, ancora, sempre di più.
Sorrido di nuovo.
– Non hai bisogno di far finta di avere il controllo per sapere la verità. –
Apro una delle sue cosce con una mano, la premo sul materasso, faccio leva sulla forza del braccio per schiantare il mio bacino ancora più forte contro il suo.
– Potevi chiedermela senza fare la troia. –
Le si stringe la gola, cerca di muoversi ma non riesce, si stringe contro di me e sembra che la colga uno spasmo, ogni volta che arrivo in fondo, che il suo corpo non sia in grado di processare tutto il piacere che prova.
– Lei non è niente in confronto a te, Kenma. Non lo è lei, non lo è nessun altro. La donna che ho sposato non è la donna più bella che io abbia mai visto, non è quella da cui voglio tornare ogni giorno, non è quella che me lo fa diventare duro con uno sguardo e non è quella di cui sono innamorato, Kenma. –
Spalanca gli occhi, prova a dire qualcosa ma non ce la fa.
– Tu, sei quella donna. E non devi cercare di convincermi a dirtelo. È la verità e basta. –
Mi abbasso e lei stringe le braccia contro di me, le chiude dietro al mio collo, fondo le labbra con le sue, mi bacia con le lacrime agli occhi, singhiozzando, mentre continuo a muovermi su di lei, forte, sempre più forte, forte che il letto trema, che la testiera batte sul muro, che i suoi muscoli pulsano su di me.
Le nostre labbra sono fuse, le lingue intrecciate quando le prendo un fianco per avere un ritmo più regolare.
Ci siamo appena staccati e ci stiamo guardando negli occhi, quando salgo con le mani fra noi e la tocco perché si avvicini al terzo orgasmo della giornata.
Ha gli occhi grandi, pieni di lacrime.
Trema, dice il mio nome.
Dice...
– Tetsurō, ti prego, ancora, ti prego, lì, Tetsurō, fammi venire, ti prego, ti prego, ti amo, Tetsurō, ti amo tanto, fammi venire, ti prego, ti... –
Cerco di riprendere una parvenza di controllo su me stesso.
Stringo gli occhi, rallento appena appena, cerco di essere cosciente.
– Prendi la pillola? –
Annuisce senza parlare.
– Sicura? –
– Lo giuro, lo giuro. –
– Quindi posso... –
Striscia sulla mia schiena con le unghie come se volesse tenermi là, incastra le caviglie ancora avvolte nei calzini pelosi sulla parte bassa della mia schiena, s'inarca, mi guarda.
– Dentro, dentro di me. Ti prego. Ti prego, per favore. Vieni dentro di me. Scopami fino a venire dentro di me. –
Non...
Non dovrei ma non m'interessa.
Non m'interessa, davvero, non m'interessa.
Ricomincio a toccarla, lei ricomincia a gemere forte, il ritmo aumenta di nuovo, le nostre voci si fondono e poi Kenma ripete un'altra volta "ti amo", io le dico che è bella, lei dice "cazzo, così" e io "sei mia, Kenma, sei mia", poi le parole diventano gemiti.
S'inarca.
I suoi muscoli mi stritolano dentro di sé.
Mi pulsa addosso e il mio corpo smette di reagire, si lascia andare, e...
Viene lei, addosso a me, e vengo io, dentro di lei, entrambi sudati, stanchi, distrutti e pieni di segni, conciati come se ci fossimo azzuffati invece che fare sesso, in mezzo al suo letto, insieme.
Va avanti finché non si rilassa.
Finché il mondo non torna chiaro.
Finché non mi ricordo chi sono e mi rendo conto di essere dannatamente felice di esserlo, steso accanto a lei, con la più soddisfacente delle sensazioni che scorre nelle vene.
Rimango fermo per un istante sul letto, le spalle sul materasso e il viso rivolto al soffitto, a sentire solo il rumore dei nostri respiri e nulla di più.
Non so che cosa senta Kenma.
Io sento la pace.
La calma.
L'acqua piatta dopo mesi di tempesta, le onde che non s'increspano più, che rimangono calme nel mare che non imperversa più del tentativo di cambiare se stesso.
Che cos'ero prima di te?
Chi ero?
Chi è Kuroo Tetsurō prima di Kozume Kenma?
Non lo so.
Non voglio saperlo.
Sei l'unica cosa che voglio sapere.
L'unica al mondo, Kenma.
L'unica.
Il suo corpo si muove per cercare il mio, ma mi alzo prima che possa farlo. Noto panico nei suoi occhi ma le sorrido, scuoto la testa.
– Non vado da nessuna parte, devo solo prendere una cosa. Torno subito. –
– Promettimelo. –
– Te lo prometto. –
Alza appena le mani per fermarmi ma non ce la fa, le tremano anche le ossa, le lascia cadere e non riprova a tirarle su.
Scendo dal letto.
– Hai freddo? –
– Un po'. –
– Tieni. –
Mi chino per porgerle la mia maglietta, l'aiuto ad infilarsela, si rimette stesa un secondo dopo, il petto che ancora sale e scende velocemente nel tentativo di riprendere aria, il corpo inerme.
Io m'infilo i pantaloni.
– Arrivo. –
– Fa' in fretta. –
Marcio fuori dalla stanza cercando di perdere meno tempo possibile.
Chi ero, prima di te?
Ero un mutilato.
Ero costretto in una gabbia che la società, mia madre, mia moglie avevano creato non volendolo, ero mediocre, ero piacevole ma infelice, ero nulla, il nulla più assoluto.
Ora sono tutto quello che non mi sono mai permesso di essere.
Nella sua trentasettesima ode, Orazio parla di Cleopatra, Kenma, lo sai?
Lo sai, come la chiama?
Non lo dice, il suo nome, ma usa una perifrasi per riferirsi a lei che sembra ora, a me, tutto quello che noi, io e te, siamo assieme.
La chiama fatale monstrum.
Per i latini, monstrum è una parola enantiosemantica, che assume due significati, uno l'opposto dell'altro, a seconda dell'interpretazione di chi legge.
Se ci leggesse Maeko, saremmo il monstrum che significa "disgrazia", "distruzione", "rovina", "mostro".
Ma quando ci leggo io, quando ragiono io, su di noi, siamo il monstrum che significa "meraviglia", "prodigio", "fatto eccezionale".
Ora siamo questo.
Ora io e te, siamo questo.
E chi ci vuole tornare ad essere una parola come tante, uno fra tanti, che teme se stesso nel bene e nel male che può fare?
Mi dispiace per chi soffrirà per noi.
Ma se significa concedere a me stesso una volta nella vita di non farmi schiacciare dalle responsabilità e anzi rivoltare il mondo alla ricerca di una libertà che non ho mai preteso, che soffrano.
Arrivo in cucina dove trovo la bustina del regalo.
Non ricordo il momento in cui l'ho appoggiata sul tavolo.
Non m'interessa.
La prendo e torno verso la camera, il passo svelto, il sorriso fra le labbra.
Quando entro in camera, vedo in Kenma tutto quello che ho sempre cercato, tutto quello che mi sono sempre negato e tutto quello che mi è sempre servito.
Non sono mai stato un uomo romantico, lo sai?
Mai.
Ma tu, tu...
C'è tutto, in te.
C'è la dolcezza dell'amore di Prévert che ama con tre fiammiferi, c'è la sensazione di ammirare qualcosa di spettacolare e inarrestabile come Carmiano che guarda Cleopatra chiedergli di darle la veste per compire il destino che lei stessa ha manipolato, c'è la devozione della musica di Bach che tende al cielo.
Tu mi rendi così.
Mi rendi completo.
Felice al punto che posso permettermi di vedere tutto di te.
Bella, acciambellata sul letto con i miei vestiti addosso, che mi aspetti e mi guardi come se tutto quel che provo lo provassi anche tu.
Io non ho mai studiato la poesia, Kenma, ma Maeko, con il suo bel corso di letteratura inglese, ne è sempre stata appassionata. A lei piacciono la Austen, Hardy, le Brontë, mi legge ad alta voce, qualche volta, per cercare di convincermi che c'è di più, nella vita, che un arido bilanciamento con ossidazione che mi guarda pigro da un foglio.
Non mi ha mai particolarmente colpito molto, quello che mi leggeva.
Una cosa sola, mi è rimasta.
T.S. Eliot che parla della nebbia.
Dice della nebbia, nella sua canzone d'amore, che sembra un gatto, che strofina la sua schiena sui palazzi, che lecca gli angoli delle strade, che passa il muso sui vetri.
Mai qualcosa, nella vita, mi è mai sembrato così sensuale come la nebbia di T.S. Eliot.
Tu sei la nebbia, Kenma.
Per me, tu sei la nebbia.
Che si espande, che offusca, che ti avvolge. Che ti avviluppa e ti fa sentire isolato ma sicuro, nel calore opaco che si spande in piccole gocce sulla mia pelle.
Tu sei la nebbia.
Lo sei.
Lo...
Mi siedo sul bordo del letto, lei si avvicina, sorride, appoggia la testa sulle mie cosce, mi guarda e aspetta che infili le dita fra i suoi capelli e sposti le ciocche chiare sul suo capo.
La guardo.
– Io credo che tu lo sappia, come mi rendi, Kenma. Io credo che tu lo sappia bene. –
Sorride. Annuisce, un po' incerta, ma lo fa.
– Mi hai fatto impazzire dalla prima volta che ti ho vista. Hai distrutto tutto quello che sapevo di me stesso. Hai fatto piazza pulita di tutto e non so, ora, neppure quale sia il mio ruolo nel mondo. –
Le passo le dita sulle guance, sulle labbra.
– Non ho mai provato niente del genere nella mia vita. –
Allungo il braccio, le prendo la mano.
– Non sono mai stato così felice, così libero, così me stesso. –
Tiro fuori il regalo dalla bustina, apro la scatolina, guardo le sue mani e non guardo lei.
– Grazie di avermi ricordato chi sia davvero Kuroo Tetsurō, Kenma. Grazie di essere l'unica persona nel mondo a cui piaccio per come sono e non come fingo di essere. –
Infilo l'anello sul suo anulare, come se la stessi sposando. La misura è perfetta, sapevo quanto piccole fossero le sue dita, la banda d'oro bianco si mescola e si fonde con la sua carnagione, s'intona perfettamente con il colore chiaro e freddo della sua pelle.
– Lo so che non dovrei, lo so che è sbagliato, lo so che dirtelo così non risolverà nessuno dei problemi che ci sono fuori da quella porta. –
Il diamante cattura la luce e la riflette, per un attimo. Il taglio è rotondo, ed è un solitario, montato là nella sua eleganza semplice e palese.
Io non l'ho regalato mai, a Maeko, un anello così.
L'anello di fidanzamento, non era così.
Ma un gioiello del genere s'intona sulla mano di qualcuno che brilla almeno quanto lui, e l'unica che nella mia vita abbia conosciuto in grado di competere e vincere contro una pietra che rappresenta l'apoteosi della luce, è Kenma.
Non Maeko, Kenma.
E sarà sempre e solo Kenma, per me.
Guardo i suoi occhi. Sono di nuovo pieni di lacrime.
Non dice una parola.
Aspetta che lo faccia io.
Prendo fiato, prima di farlo.
Chi vogliamo prendere in giro, Kenma? Chi vogliamo prendere in giro? Lo sappiamo tutti e due, che cosa sto per dire. Lo sapevamo un giorno di settembre in aula che tu non avevi mai visto, lo sapevamo nella mia macchina, seduti sulla poltrona del mio ufficio, in un vicolo, uno in ginocchio all'altro a consolarci della nostra sorte.
Non siamo mai riusciti a smettere di guardarci.
Almeno io, non ci sono mai riuscito.
Distruggimi, Kenma.
Se lo farai tu, sarò felice quando la falce calerà sul mio collo.
Le stringo la mano fra le mie, riguardo l'anello.
Sorrido.
Prendo fiato.
– Io ti amo, Kozume Kenma. –
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
ok scuuuuuuuuusate i duemila anni di attesa per questo capitolo!!! prima di tutto volevo dire che la storia NON è FINITA. CI SARANNO ANCORA UN PAIO DI CAPITOLI (credo 4/5 qualcosa del genere) perchè ho ancora qualcosa da dire.
ci ho messo un po' perchè ho avuto qualche problema con l'uni della serie che passo gli esami ma con voti bassissimi che io rifiuto puntualmente perchè sono dell'idea che se non do un esame al massimo delle mie possibilità accettare un diciotto per togliermi un impiccio è un insulto a me stessa, quindi devo ancora studiare come una ladra e sono stata un po' giù, ma sono tornata bitches im back lol
niente, spero che vi sia piaciuto!!! l'ho davvero riempito di qualsiasi tipo di riferimento mi venisse in mente non so perchè mi sentivo così quindi perdonate se è un po' intricato mi è partito il //mel fa finta di avere una cultura// lol
see u soon bbies
have a nice day
mel :D
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