9. Profumo d'Autunno

Trecentoventuno giorni prima



Quando mi alzai, quella merdosissima mattina, mi dimenticai per un attimo della fottuta presenza di Kirishima in quello che era il mio appartamento striminzito.

Non mi capacitai del motivo per il quale gli avessi concesso un simile lusso.

Forse perché mi serviva in forma, quella testa di merda, in vista della gara.

Certo era però che il mio cazzo di cervello aveva già deciso di fargli rimettere le chiappe sulla moto, in un modo o nell'altro, vivo o morto che fosse.

Quando uscii a passo spedito dalla mia camera, lo vidi.
Era lì, sul mio divano, rannicchiato come un bambino, ed immerso in un sonno profondo.
La sua sveglia stava suonando, a pochi metri da lui, ma parve non sentirla.

Era rimasto per tre giorni di fila completamente insonne.
Più andavo avanti e più mi rendevo conto che quel ragazzo ci si sarebbe pulito il culo, con la propria salute.
Aveva riguardo nei confronti di tutti, e mai di sé stesso.

E proprio in quel momento mi resi conto che ci eravamo già spinti troppo oltre, e che forse la compagnia di quella testa calda non mi disgustava poi così tanto.

Così solare, così fastidioso.
Eppure sapeva rimanere al suo posto, sapeva quanto spazio occupare, e non domandava in più nemmeno un maledetto centimetro.

A me andava bene così.

E forse non mi era mai andato a genio nessuno in quel preciso modo, quasi geometrico, matematico, impossibile da contestare.

"Capelli di Merda." ringhiai acido, spegnendo la sveglia del suo smartphone ed avvicinandomi al divano.
Soltanto in quel momento mi accorsi del suo display.
Un numero non salvato in rubrica gli aveva lasciato ben 53 messaggi, che non osai sbirciare nemmeno dall'anteprima.

Forse era proprio quel numero, il motivo della sua insonnia.
A me però non fregava un emerito cazzo.

"Oi, Capelli di merda".

Niente.

"Kirishima, se mi fai arrivare in ritardo ti spacco la faccia, te lo giuro sulla mia fottutissima moto".

Ancora niente.

"PORCA TROIA, CAPELLI DI MERDA, TI ALZI SÌ O SÌ?"

Silenzio totale.

L'istinto iniziale fu quello di strattonarlo giù dal mio divano nel modo più doloroso e violento possibile.
Mentirei se dicessi di non aver provato a farlo.

A un fottuto millimetro dalla maglia del suo pigiama, in realtà mio pure quello, mi bloccai titubante, proprio come un perfetto coglione codardo.

Tre giorni, Katsuki.

Non ha dormito per tre giorni.

Osservai con attenzione la cicatrice che gli attraversava la palpebra, mentre mi sedetti leggero accanto al suo corpo rannicchiato, immerso nel sonno più profondo.

Respirava lentamente ed io non riuscii in nessun cazzo di modo a fargli del male.
Nemmeno se ero in ritardo.
Nemmeno se avremmo corso per raggiungere la fottuta Università.

Tra tutte le persone al mondo, forse soltanto lui, quella maledetta testa rossa, non meritava dolore.

Pulito, intonso, rivestito di viscida e quasi patetica innocenza. Avrebbe mai saputo ferire qualcuno?

"Dai, razza di idiota, non farmi incazzare." sussurrai lasciando cadere le mie dita sulla sua spalla e serrando la presa con delicatezza.

Non è che è morto?

"Oi?"

Mi sa che è proprio morto.

La mia attenzione fu catturata da un improvviso boato, che mi fece sussultare per un momento.

Tuoni.

Fuori stava diluviando.
E noi eravamo in perfetto ritardo, a piedi, e dovevo ancora cimentarmi nel preparare la fottuta colazione.

Spalancai la finestra della sala per assicurarmi che si trattasse effettivamente di un temporale, e la visione della pioggia scrosciante fu la conferma definitiva.
Avrei dovuto prestare un ombrello al Rosso, e il solo pensiero mi fece rabbrividire.

Odiavo prestare i miei effetti personali.

Tornai spazientito da Kirishima, convincendomi che non sarei mai e poi mai arrivato tardi per colpa sua.

Sorprendentemente lo ritrovai con gli occhi cremisi aperti, puntati su di me, e un lieve sorriso disegnato sulle labbra.

"Buongiorno, Baku.." sussurrò assonnato, rannicchiandosi nella MIA coperta e a quanto pare dimenticandosi di balzare giù dal letto alla velocità della cazzo di luce.

"Devi alzare il fottuto culo e muoverti. Siamo in stramaledetto ritardo".

Quello però non si mosse dal divano.
Puntò lo sguardo sulla finestra aperta e allargò il sorriso appuntito.

"Lo senti anche tu?"

"Ah?"

Che cazzo dovrei sentire?

"Il profumo di autunno".

Alzai gli occhi al cielo seccato.
"Non profuma l'autunno, Capelli di Merda, è un concetto astratto. E se non ti alzi in questo fottuto istante giuro che ti prendo a calci nel culo".

"Davvero ne hai voglia?" domandò a quel punto, fissandomi sornione e continuando a restare fastidiosamente in panciolle.

No che non ne ho voglia, razza di idiota.
È una fottuta vita che non ne ho più voglia.

Evitai di rispondere, muovendomi verso i fornelli, intento a mettere qualcosa nello stomaco prima di filare all'Università in fretta e furia, per colpa dell'energumeno sdraiato sul mio cazzo di divano.

"Restiamo a casa, Baku?"

Di nuovo quel soprannome.

Scossi per un attimo il capo incredulo, sentendo la gabbia toracica scaldarsi dalla rabbia.

Ha davvero osato chiederlo?

"Ah?! Non esiste, cazzo, come ti viene in mente?!"

"Perché no? Insomma non fai mai assenza, nessuno conta le presenze, se ti dai malato per una volta soltanto non succederà niente".

Non ci pensare neanche, Katsuki.

"Non farò questa stronzata di merda, e tu vedi di alzare il culo, Kirishima, non te lo ripeterò ancora".

Un sonoro sbuffo uscì dalle sue labbra.
"Va bene, Biondino. Mi permetti un ultimo tentativo?" ribattè dispettoso, senza muovere un dannato muscolo.

Quel maledetto modo di porsi, mi impedì di rifiutare l'offerta.
Ghignai in segno di sfida, un po' infastidito dalla sua irriverente cocciutaggine.

"Favella, idiota".

Un altro sorriso appuntito anticipò le sue parole.
Parlò tutto d'un fiato, giocando abile la sua ultima carta, quella decisiva, quella vincente.

"Allora, anche se tu non lo senti, l'autunno è arrivato! Fa freddo, perciò è il momento di ordinare un cappuccino caldissimo e riempirlo di panna da dolci. Ma il caffè non si beve a stomaco vuoto, perciò dovremmo mangiare qualcosa, no? E, se ci pensi bene, non lo senti anche tu il sapore della cannella dolce dei cinnamonroll appena sfornati sulla punta della lingua? Li possiamo ordinare! Ci rannicchiamo qui, sul tappeto, avvolti dalle coperte e mangiamo. Sì, so che ti fanno incazzare le briciole, ma passerò l'aspirapolvere, lo prometto! Non sei mai stato a casa, perciò nessuno ti dirà niente, e ci penserò io a chiedere gli appunti a Midoriya al tuo posto, risparmiandoti qualsiasi imbarazzo. Te li posso anche fotocopiare, o trascrivere, e non cambierebbe proprio niente, esattamente come se fossi andato a lezione! Non spiffereremo niente a nessuno, mangeremo al calduccio, magari mettiamo un film, e magari riusciamo a scattare una foto ad un lampo. Cosa c'è di più luminoso di un fulmine? Ci godiamo la pioggia, il riposo, un dolce e domani ripartiremo come se non fosse mai successo niente, non lo faremo mai più.
Soltanto una volta, Bakugo, puoi concedertelo. Insomma, anche i migliori si riposano, no?
E tu, cazzo se sei il migliore!"

Touché.

La testa rossa mi aveva appena fatto tentennare.

Soltanto per una volta, Katsuki.
Cosa vuoi che succeda?

Perché non puoi concederti una mattina di riposo?
Una mattina lontano da tutte le gabbie, dalle assillanti teste di cazzo che appesantiscono la tua fottutissima vita.

Che cosa sarebbe potuto accadere, dopotutto?
Mai nessuna assenza, mai un voto inferiore al massimo.

Potevo permettermelo.

Ero il migliore, dopotutto.
Eccome, se lo ero.

A quel punto arrivò l'ultima, definitiva stoccata.

"Non vuoi conoscere il profumo dell'autunno?"

Alzai gli occhi al cielo, mordendomi un labbro nervoso ed inspirando profondamente.

Non trovai parola.

"È un sì?" continuò la serpe, ed io vidi nei suoi occhi brillare la luce della vittoria.

"Ordina i maledetti cinnamonroll. Almeno 6, mi hai capito? E li paghi tu, fottuto tentatore, io ho già speso troppa dignità stamattina".

E Kirishima sorrise ancora, allungando una mano verso il telefono e mutando espressione nell'osservare il display, con la montagna di messaggi lasciati dal numero non salvato in rubrica.

Chi diavolo è?

E soprattutto, perché l'ho lasciato vincere?
Non sono mai mancato a lezione.

Se la mia cazzo di madre lo avesse scoperto, sarebbe stato un maledetto problema.
Come sempre, dopotutto.
Come ogni fottutissimo giorno della mia fottutissima vita.

Inaspettatamente il Rosso si liberò in tempo record dell'ombra scura che gli offuscò il viso, mettendosi ad ordinare le cibarie, protagoniste del nostro sgarro segreto, della nostra striminzita bugia.

"Guarda cosa cazzo mi hai convinto a fare." mugugnai a denti stretti, spegnendo la padella che avevo messo sul fuoco per la colazione povera e frettolosa di programma.

"Povero Biondino! Costretto da un pantofolaio a regalarsi un giorno di riposo!" mi canzonò lui, ridendosela come al solito, e facendomi posto sul sofà.

Non esitai a sedermi, realizzando soltanto qualche secondo dopo che avrei potuto benissimo prendere posto sopra una scomodissima sedia della cucina e non vicino al suo cazzo di culo.

"Ti stai allargando troppo, Testa di Merda." ringhiai minaccioso, ma il Rosso sembrò nient'altro che divertito dalle mie pericolose parole.

"Me ne assumo le responsabilità." rispose allegro l'altro, lanciando lo smartphone dall'altro capo del sofà, con un gesto lieve ma liberatorio, quasi avesse deciso di lasciare andare per un altro po' i suoi tormenti.

Perché cazzo scherzava sempre sui miei ammonimenti?

Vedremo se avrai ancora voglia di ridere, quando riporterò le tue chiappe sulla fottuta moto.

Il mio silenzio fu interrotto nuovamente.
"Beh, che aspetti? Prendi la macchina fotografica!" esclamò euforico, lasciando finalmente la coperta e catapultandosi in ginocchio davanti alla finestra.

Per l'Università no, per l'Arte sì, razza di deficiente.

Ubbidii in ogni caso, agguantando la reflex dalla mia camera e borbottando contrariato.

Attendemmo così la colazione take away, tentando di immortalare il lampo più luminoso di tutto il fottuto decennio, chinati di fronte ad una maledetta finestra.

Nella vita, soltanto il cazzo di concorso di fotografia era riuscito a mettermi in ginocchio.

Ma in quel momento, devo ammettere, non mi sembrò tanto male.

Avevamo circa una su trecentoventitre possibilità di riuscire a cogliere l'attimo perfetto, ed ottenere una foto meritevole di vittoria.
Ad un certo punto però, dopo numerosi tentativi e falle, lo scatto giusto sembrò presentarsi alla portata del mio click, ed io non mi lasciai sfuggire la maledetta occasione.

"Fammi vedere!" balzò in aria Kirishima, e la sua espressione di fronte al display mi fece intendere che forse avevamo in pugno ciò che da settimane stavamo disperatamente tentando di ottenere.

L'euforia del momento fu però smorzata dall'arrivo del fattorino, e noi ci gettammo sul cibo senza alcun indugio.

Non avevo mai permesso ad anima viva di sbriciolare sul mio cazzo di tappeto.
Ma quello lì era il fottuto giorno delle eccezioni.

Sotto consiglio del Rosso, mi avvolsi al suo fianco in una coperta, ed insieme aprimmo il contenuto del gigantesco sacchetto.

Quel folle aveva ordinato di tutto e di più.
Cinnamonroll, fette di torta, cornetti e crostate, che mai nella vita saremmo riusciti a finire.

"Dove cazzo ci ficchiamo tutta questa roba, idiota?!" puntualizzai freddo, un po' alterato di fronte al potenziale spreco.

"Tranquillo, Sclerato, assaggia tutto quello che ti va, ciò che avanza lo portiamo domani a Sero e sparirà in venti minuti!"

Bastò a convincermi.

Proprio in quel momento cominciò il nostro silenzioso e segreto banchetto, al profumo di cannella, in una fresca mattina d'autunno, dove la maledetta pioggia scrosciava instancabile ed io avevo scelto per una fottutissima volta nient'altro che me.

E soltanto allora, immerso nel tepore della coperta, coccolato dal buon cibo e lontano dalle mie gabbie, per la prima volta lo sentii: il profumo dell'autunno.

Con la bocca piena, abbozzai un sorriso, godendo di quel momento proprio come assaporavo i secondi che trascorrevo a cavallo della mia moto.

Lanciai uno sguardo verso il Rosso, intento anche lui a contemplare le delizie della pasticceria, della quale avrei sicuramente preteso il fottuto nome di lì a poco.

Automatico, senza alcun apparente motivo, portai le dita alla macchina fotografica, puntandola su quel ragazzo, a me così estraneo ma contemporaneamente così familiare, come mai nessuno lo era stato prima di allora.
Fugace premetti sul bottone, senza flash e senza mirare, completamente a caso.

"Uhm? Hai scattato, Baku?"

Colto in flagrante.

"Ho schiacciato per sbaglio, razza di idiota." risposi secco e colpevole, levando il laccio della reflex dal collo e poggiandola lontano da me, divincolandomi così da quella situazione scomoda e tornando sul cibo.

Forse entrambi ci meritammo quella salvifica mattinata di libertà.

E forse avrei potuto concedermi un po' più spesso un attimo di respiro.

Con gli anni mi ero dimenticato come si facesse a rimanere a galla.

Capelli di Merda mantenne in ogni caso i patti, e si dileguò velocemente prima di cena, dopo aver diligentemente passato l'aspirapolvere sul tappeto e impacchettato tutto il cibo avanzato, come promesso.

Di lui avevo scoperto diverse cose in pochissime ore.

I film sdolcinati lo facevano singhiozzare come un fottuto bambino idiota.

I film d'azione lo facevano saltellare come un fottuto bambino idiota.

Era maledettamente fissato con la virilità e col motociclista Crimson Riot.

Era maledettamente fissato con i cani.

E ultimo, ma non meno importante, Kirishima, lontano dai suoi tormenti, dimenticava le cazzo di sigarette.

Conservai quelle informazioni in un angolo recondito della mia mente, sicuro del fatto che non mi sarebbero mai servite a un cazzo e che le avrei dimenticate nel giro di qualche giorno.

Così non fu, ovviamente.
Ed io maledico quell'inconsapevole ingenuità, all'interno della quale mi crogiolavo cieco, convinto di avere il mondo intero nel palmo della fottuta mano e che niente sarebbe mai potuto sfuggire al mio controllo.

Sbagliavo, ma suppongo si fosse già inteso.

Quando il Rosso lasciò l'appartamento si portò dietro tutto lo smielato e inesistente profumo di fottuto autunno, e nell'ovatta della mia solitudine ficcai il naso nel libro di matematica, soffocando così qualsiasi pensiero color cremisi.

Nelle giornate successive filò tutto liscio come l'olio, la nostra trasgressione rimase segreta e passò in sordina, proprio come aveva previsto Kirishima.

Trascorremmo molto tempo insieme da allora, prevalentemente in officina cercando di arrangiare la moto dei miei sogni prima della fottuta gara, o davanti allo schermo, editando la foto perfetta per il concorso.

Le Comparse di Merda entrarono tutte a far parte della mia merdosissima routine, ed io imparai ad accettarle più o meno tranquillamente senza cedere ad una completa crisi di nervi.

Lavoro, Università, Fotografia, Moto.
Talvolta perdendo la cognizione del tempo.
Talvolta talmente sommerso dagli impegni da dimenticarmi delle mie galere e di tutto il resto.

Fu proprio un paio di settimane dopo, durante un pomeriggio insolitamente libero, che decisi di riprovarci.
Balzai in sella alla mia moto e mi precipitai di fronte all'appartamento di Capelli di Merda, inviandogli un paio di messaggi minatori per farlo scendere in fretta e furia, colmo di panico e terrore.

Non appena mi vide, con due caschi e un'enorme busta colma di innumerevoli sacchetti in mano, si ficcò fulmineo una sigaretta in bocca, impallidendo più del solito e cominciando a fumare come di fottuta norma.

"E-ehi Baku!"

"Buonasera, Capelli di Merda." ghignai in risposta, con forse una punta di sadismo di troppo sulla lingua.
Le mie intenzioni risultarono più chiare del previsto.
Le sue, in tutta onestà, un po' meno.

"Ehm, che ci fai qui?" tergiversò lui, tentando disperatamente di fuggire dalle mie grinfie.

No, coglione, non andrai da nessuna parte.

Io con le dita sulla macchina fotografica, e tu col culo sulla moto. L'ho giurato a me stesso.

"Bando ai convenevoli, Kirishima, andiamo a fare un giro".

Quello deglutì silenzioso, avanzando un passo verso di me e mordendosi con forza il labbro inferiore.

"B-Baku - quel soprannome era oramai entrato a far parte della nostra quotidianità, ed io lo avevo accettato sommessamente, dal momento in cui ad ogni mio borbottio il Rosso sembrava essere nient'altro che divertito - io non credo di riuscirci, ecco.."

"Palle. Salta su e guida".

Quello si avvicinò ancora, guardandosi intorno con la fronte corrugata.
"Non qui, però. Andiamo nel parcheggio a due isolati da qui, passa meno gente e mi sento meno a disagio. Sai, nel caso in cui dovessi.." il suo sguardo si abbassò, carico di maledetto senso di colpa e vergogna.

Vomitare.

"Hai vomitato, idiota, vo-mi-ta-to, non sacrificato una vergine in nome di Satana, levati dalla faccia quella cazzo di espressione da cucciolo maltrattato. Comunque va bene, ti aspetto lì." ringhiai, rimettendo in moto e recandomi nel luogo indicato dal Rosso, pensando per un momento che se la sarebbe filata a gambe e che non mi avrebbe mai raggiunto.

Non fu così, e dopo qualche minuto, inaspettatamente, Kirishima si fece vivo, con un'altra fottuta sigaretta in bocca.

La moto era già al centro del parcheggio, pronta per lui.

"Adesso non rompere il cazzo e sali." intimai più diretto che mai, preparando i sacchetti e porgendo le chiavi all'idiota.

Indugiò per un attimo, inspirando altro fumo dalla sua sigaretta e piantandomi gli occhi grandi addosso, colmi di dubbio e terrore.

"Sei sicuro di volerci riprovare?"

Sbuffai sonoramente.
Detestavo ripetere le cose.
"Meh. Muoviti".

Non ci fu posto per altre parole o domande.
Colto da un impeto di coraggio, il Rosso si ficcò il casco intesta, spense tra due dita la sigaretta, e montò in sella.

Girò la chiave nella toppa e, proprio come la prima volta, fu assalito da violenti tremolìi.
Il sudore, il respiro affannato, e di nuovo il vomito, dentro i miei fottuti sacchetti.

Mi ritrovai a sorreggergli la fronte in quel momento, mentre le scosse attraversavano il suo corpo bollente, che forse si stava davvero sforzando più del dovuto.

Quando il visino pallido riemerse dalla busta, porsi a quel deficiente un fazzoletto, inarcando scettico un sopracciglio.

"Beh, hai finito con le scenate?"

Rimase per un attimo sorpreso, prima di rispondere a corto di fiato.
"L-lo spero.." farfugliò flebile, cercando nella tasca dei jeans scuri un'altra sigaretta.

"Forza, riprova." tuonai aspro, preparando ancora una busta e cestinando la precedente.

"N-non ci riesco, Baku.."
Aveva le guance arrossate dallo sforzo e gli occhi lucidi.

Indifeso, mi venne da pensare.
Maledettamente indifeso.
Ma non mi intenerì, nemmeno per un cazzo.

Coraggio, sei più forte di così, Capelli di Merda.

Sbuffai spazientito, senza muovermi di un millimetro.

"Te l'ho già detto, Capelli di Merda, prima o poi ti stancherai di vomitare. E io qui ho trenta fottutissime buste. Forza, sali, ho già esaurito la merdosa pazienza".

Quello, inaspettatamente ubbidì.
E la scena precedente si ripetè, ancora e ancora, per una decina scarsa di volte.

La chiave nella toppa.
Il rombo del motore.
Tremolìi.
Sudore.
Vomito.
Sigaretta.

Mi resi ampiamente conto di aver portato quel ragazzo al limite, e che forse non avrei dovuto insistere più di tanto.
La rabbia però prese possesso di me, come sempre, dopotutto.

Difficilmente avrei mollato l'osso.

Battei furente un piede a terra, rivolgendomi al Rosso con più acidità del dovuto.
"Me lo dici che cazzo c'è che non va, Kirishima? Che cosa diamine ti blocca?"

E il Rosso, dritto come un cazzo di fulmine, rispose secco, nonostante il respiro pesante e la stanchezza evidente, lasciandomi spiazzato e senza fiato.

"Appena metto in moto, vedo il viso straziato delle persone che ho ferito durante l'incidente; vedo il marciapiede sporco di sangue, vedo la moto ribaltata. E sento che muovendomi anche soltanto di un millimetro farò irrimediabilmente del male a qualcuno, di nuovo. Ti basta così, Bakugo?"

La freddezza nelle sue parole mi gelò per un istante.
Serio, diretto, apatico, tutto il contrario di quello che era Capelli di Merda.

Forse avrei dovuto portare più pazienza, avrei dovuto comprendere il suo dolore, il suo maledetto limite invalicabile.

In quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a rimettersi in moto.

Sei un coglione, Katsuki.
Non avresti dovuto costringerlo a sopportare tutto questo.

Era stato decisamente più forte di quanto non mi
aspettassi, ed in gola mi si strozzarono quattro scuse maledette, che però non riuscii a pronunciare.

Poi, all'improvviso, lampante e fugace, un'idea.

"E se guidassi io?"

Ricevetti un'espressione corrucciata in risposta e una timida alzata di spalle.

"Non so, n-non ho mai provato".

Mi ficcai il casco incuriosito, salendo in sella e piantando lo sguardo su quello del Rosso.
"Beh, così sei sicuro di non ammazzare nessuno. Poi puoi fidarti di me, sono il pilota migliore della fottuta nazione".

Indugiò ancora, era esausto.

Hai esagerato, Katsuki.
È mortificato, glielo si legge in faccia.

Gli porsi una busta, abbozzando un ghigno complice.

"Senti, Kirishima, non sai quanto cazzo di vomito ho visto in vita mia, non... Ecco, non ti preoccupare, non mi fa né caldo né freddo".

Adesso ti sei messo a rassicurare la gente?

Ma Capelli di Merda non era 'la gente'.
Era Capelli di Merda.

In quel momento non compresi davvero l'enorme atto di fiducia compiuto dal Rosso nei miei confronti, il quale nonostante tutto salì ancora su quella cazzo di moto, mettendo tra le mie fottutissime mani tutte le sue fragilità.

"Goditi il giro, idiota. Non lo concedo a molti".

Misi in moto senza attendere oltre.

"Posso... p-posso tenermi?" domandò flebile, ed io annuii con un cenno del capo.

"Fa' il cazzo che vuoi".

Le sue mani grandi si posarono tremolanti sui miei fianchi, ed io rabbrividii a primo impatto, cercando di ignorare il contatto fastidioso e decisamente estraneo che turbò la mia pelle.

Stava già resistendo più del previsto, a motore acceso.

Avanzai così di qualche metro, e nel momento esatto in cui la moto si mosse, il Rosso strinse la presa su di me e sulla mia maglietta.

Se continui così me la strappi, coglione.

Riuscivo a sentire ogni suo tremolio, persino il battito del cuore pulsare attraverso il suo petto e scandire un ritmo più veloce del normale.

Però non scese, non si divincolò, non proferì una maledetta parola. Rimase in mutuo silenzio, annegando probabilmente nelle sue cazzo di merdosissime ansie.
Dallo specchietto intravidi i suoi occhi serrati e i canini puntati sul labbro inferiore.
Non potevamo più tornare indietro.

Eravamo a un passo dal riuscirci.

Forza, Capelli di Merda.

Accelerai senza chiedere il permesso, uscendo da quel parcheggio deserto e fatiscente, e dirigendomi automatico verso un verde sentiero di campagna, che conoscevo come le mie tasche.

Solitario, alla luce del tramonto, dove l'unico fottuto rumore era il rombo del mio motore, che quel giorno resse il peso di ben due persone.

Non si mosse di un solo centimetro durante il tragitto.
Tenne gli occhi cremisi chiusi, boccheggiando di tanto in tanto alla ricerca di ossigeno.

Ed io, di tutta risposta, accelerai ancora di più.

Lui non lo sapeva, ma quello era nient'altro che il mio posto preferito per ritrovare me stesso nei giorni in cui riuscivo a dimenticarmi di chi cazzo fossi.

Non poteva passarci attraverso ad occhi serrati.

"Apri gli occhi, fottuto Capelli di Merda! Non puoi non goderti lo spettacolo!"

E ancora, il Rosso, mi diede fottutissima retta, impiegando tutte le sue forze a lasciarsi andare, ad abbandonare quella difesa, quel rifiuto totale verso l'unica cosa al mondo che ne valesse davvero la pena: la maledetta moto.

Brillarono, i suoi occhi cremisi, stanchi e lucidi alla luce autunnale di quel tardo pomeriggio.

Quell'espressione, proprio quella di chi rivede un fottuto amico dopo tempo immemore, di chi ritrova un oggetto creduto perso per sempre, rimase impressa nella mia mente per sempre.

Kirishima in quel momento si era appena riappropriato di qualcosa di importante, anche se non sapevo che cazzo fosse.

Si guardava intorno meravigliato,
E qualcosa mi disse che conosceva già quella maledetta mulattiera, che sbirciava con meraviglia, e con una punta di nostalgia.

Tornai a concentrarmi sulla guida e sentii le sue braccia stringersi sui miei fianchi e le sue dita come una morsa ferrea sulla mia maglietta.

Stava andando tutto bene?

Cercai nuovamente di spiarlo dallo specchietto retrovisore, ma di lui in quel momento riuscii soltanto a scorgere il casco nero, anche quello appiccicato come una fastidiosissima gomma da masticare sulla mia schiena.

Tremava come una cazzo di foglia e mi diede dannatamente fastidio.
Eppure mi fece dannatamente tenerezza.

Continuai ad accelerare su per quella salita, che conoscevamo forse soltanto noi al mondo e che, soltanto allora mi resi conto, profumava d'autunno.

Mi distrai soltanto un attimo.
Un solo fottuto attimo.
E subito dopo cominciai ad udire dei gemiti sommessi, e provenivano proprio dal Rosso.

Sta vomitando?

"Tutto bene?" ringhiai a denti stretti, ripercorrendo con la mente la stradina per capire quanto distasse la prima piazzetta in piano.

Quello rispose però alzando il viso e permettendomi di vederlo dallo specchietto.

Stava ridendo.

Niente vomito, soltanto tremolìi e risa, sempre più alte, sempre più vispe.

Colto da un impeto di euforia, accelerai allora ancora di più, come piaceva a me, con il vento gelido in faccia e tutta la fottuta città sotto i piedi.

Sapevo che ce l'avresti fatta, Capelli di Merda.

Nonostante le risate, il Rosso non mollò la presa salda sulla mia maglia, ma supposi che per quella volta poteva anche andare bene così.

Soltanto per questa volta.

Fu in quel momento che lo sentii parlare, a voce alta e squillante.
Chiamò soltanto il mio nome, quasi come se avesse voluto farmi vedere che ce la stava facendo, ce la stava facendo per davvero.

Ma io non avevo mai avuto nessun fottutissimo dubbio.

"B-Baku! Baku!"

Le sue risa riecheggiavano rumorose per tutta la mulattiera, ma a me non importava nulla del suo fottuto umore.

Non lo avevo mai visto sorridere in quel modo.

Scorsi i canini appuntiti brillare sotto la luce accesa del tramonto, e poco più in su, a solcare le guance rosee e pimpanti, fiotti di lacrime.

Che cazzo fa, piange e ride?

Le sue braccia si strinsero di più attorno ai miei fianchi, ed in quel momento ne fui dannatamente certo.
Quello era un fastidiosissimo abbraccio.

"Grazie, Baku, grazie, grazie, grazie!"

Non fece altro che sussurrarlo, secondo dopo secondo, appiccicato al mio corpo, stringendo la mia maglietta con le mani da fottuto bambino troppo cresciuto, e bagnandola con le sue lacrime continue.

Preferivo il vomito.

Rallentai silenzioso, temendo avesse bisogno di un attimo di respiro.
La sua montagna russa di emozioni aveva scosso persino me, che stavo cercando in tutti i modi di rimanerne fuori, di restare distante.

Anche se ero io ad aver dato il via al fottuto tutto.

"Tutto bene, Capelli di Merda?" domandai poggiando un piede per terra in corrispondenza della tanto ambita piazzola, nella speranza che la cozza si scollasse da me.

Alla sua non risposta, spensi il motore e mi voltai brusco, ponendo fine a quel fastidioso contatto.

"Oi, tutto bene?" ripetei spazientito, in attesa che quel decerebrato alzasse la testa.

Non lo fece, ed io vidi le lacrime scendere copiose sul mio prezioso sellino in pelle nera.

"Che cazzo hai da piangere ora?" chiesi sedendomi di nuovo sulla moto, al contrario però, di fronte a lui, come un perfetto rincoglionito.

"I-io.."

"Ah, tu cosa?"

"Respiro.."

Respira?

"Che cazzo vuol dire?"

Ignorò la mia domanda, ancora scosso dal tremore e in preda al pianto.

"Ancora, Baku! Ti prego, rimetti in moto.."

Ed io non me lo feci ripetere due volte.

Dio solo sa quanto cazzo pianse Kirishima quel giorno, avvinghiato a me e completamente immerso in quel paesaggio ambrato e autunnale.

Rideva e mi ringraziava sussurrando, credendo forse che non lo sentissi, poggiando il naso freddo sulla mia maglietta, oramai da cacciare nella merda di spazzatura.

Ma al Rosso sfuggiva un dettaglio sottilissimo.
Non lo stavo facendo per lui.
Lo feci per me.

Almeno, così credevo.

Non mi sarebbe servito a un cazzo un meccanico mezzo traumatizzato.

Accelerai a perdifiato in quella salita, finché il sole non tramontò definitivamente. Soltanto allora invertii senso di marcia e tornai verso casa, con la cozza ancora appiccicata, frignante e fragile come il cristallo.

Non si era voluto fermare nemmeno una volta. Mi aveva gridato di accelerare e accelerare ancora, tra una risata e l'altra, ed io temetti davvero di essere riuscito a far esaurire la voce a quel fastidiosissimo impiccione.

Quando spensi definitivamente il motore eravamo di nuovo davanti a casa sua.
Scesi dalla moto e lui mi imitò silenzioso.
Niente mi avrebbe mai preparato a quel momento.

Capelli di Merda, irriverente e fulmineo, si tolse il casco, adagiandolo sul sellino, e si fiondò senza remora alcuna tra le mie braccia.

Sì avvinghiò a me con tutte le sue forze, ed io mi ritrovai a sorreggerlo, involontariamente, colto di sorpresa.
Per un attimo mi si gelò il sangue.

Odiavo il contatto umano.
Odiavo tutto ciò che non fosse la mia moto, l'odore della benzina, e la matematica.

Non osai però allontanarlo, e tutto ciò che riuscii a fare fu tenerlo stretto a me, affondando una mano tra i suoi capelli colmi di gel, rossi come l'inferno.

"Sei stato bravo, razza di invadente." grugnii alzando gli occhi al cielo e lasciando che si crogiolasse per un po' nel suo modo decisamente troppo molesto di dimostrare la gratitudine.

"Grazie." sussurrò ancora, incastrando il viso nell'incavo del mio collo e lasciandolo lì, senza nemmeno chiedere il mio fottuto permesso.

Profumava di lavanda, tabacco, benzina, ed ovviamente gel per capelli.

"Ringrazia te stesso, idiota, non me".

Rispose stringendomi ancora di più.
Inspirai profondamente prima di esprimere il mio fastidio, continuando a passare lenta la mano in mezzo alla sua chioma folta.

"Adesso scollati, Capelli di Merda, mi stai infastidendo".

Lui però non si mosse.
Al contrario, soffocò una risatina.

"Sono stanco, Baku. Lasciami stare qui ancora un po'".

Ed io glielo concessi silenzioso, lasciando che la mia mano corresse ancora un po' tra i suoi capelli.

Forse solo in quel momento mi resi conto che mi ero spinto oltre, che mi stavo concedendo lussi inammissibili con quel ragazzo, e che stava cominciando a diventare un'eccezione rosso cremisi nel mio mondo bianco e nero.
Ed io detestavo le eccezioni.

Ma come avrei fatto a detestare anche lui?

Kirishima Eijiro, una macchietta fragile e dannatamente fastidiosa, di cui forse avevo molto più bisogno di quanto credessi.

Era esausto.
Forse per colpa mia.
Ma sapevo come rimediare, e soprattutto come riuscire a staccarlo da me.

"Che ne dici di un piatto di udon bollenti?" domandai stringendolo involontariamente ancora un po' a me.

E, proprio come previsto, impiegò meno di un secondo ad alzare il capo.

Finalmente riuscii a vederlo in faccia.
Le gote rosse, gli occhi grandi e lucidi, e i maledetti capelli scompigliati dalla mia mano.

"Davvero?" rispose incredulo, mollando la presa sul mio corpo ed esibendo fiero i canini appuntiti, stavolta senza frignare.

"Meh".

Si ricompose alla velocità della luce, ed io mi rasserenai, in possesso nuovamente dei miei sacri spazi personali.

"E dove andiamo?"

Iniziai ad incamminarmi, lasciando la moto posteggiata sotto casa sua.

"Vicino all'Aizawa c'è il maledetto ristorante. Possiamo arrivarci a piedi".

Troppe emozioni per lui, quel giorno.
Rimetterlo su due ruote non gli avrebbe fatto bene.

Mi mossi a passo veloce, e per un attimo, un solo attimo, fui distratto da un passante, che inizialmente non riconobbi e che camminava in direzione opposta alla nostra.

Era il bastardo della gara, quello dai capelli neri e il corpo ricoperto da cicatrici disgustose.

L'impulso di fermarmi per scoprire se fosse stato lui a giocare lo scherzo dello zucchero fu forte, ma inaspettatamente Kirishima accelerò il passo, ed io mi ritrovai a seguirlo, perdendo completamente di vista il coglione zombie e dimenticandomi della faccenda.

Una volta seduto al tavolo, decisi di chiudere la serata regalando al Rosso un ultimo attimo di totale smarrimento.

In senso buono, intendo.

"Sai, credo che mi piaccia".

Parlò a bocca piena come al solito, il disgustoso idiota, alzando il viso su di me, sereno come mai lo avevo visto prima di allora.

"Mh? Di che cofa pafrli?"

Esitai per un attimo.

"Del profumo dell'autunno, Capelli di Merda. Che cosa cazzo potrebbe piacermi d'altro?"

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