8. Burlone
Trecentoventidue giorni prima
Il fumo dell'ennesima sigaretta mi riempì i polmoni.
Erano le due del mattino, ed io non riuscivo come al solito a prendere sonno.
Avevo il petto completamente in subbuglio.
Il telefono continuava a vibrare e vibrare sul piano rovinato e legnoso della mia scrivania.
Non c'era bisogno di controllare.
Sapevo bene chi fosse.
Talvolta non si faceva vivo per mesi, talvolta mi assillava per ore.
Da me però non avrebbe ottenuto alcuna risposta.
Avrei dato tutto ciò che possedevo, per poter tornare indietro nel tempo, e cancellare senza ripensamenti tutto quello che era successo.
Tutto quello che avevo fatto.
Tutto quello che avevo distrutto, lanciandolo violentemente contro un pavimento di pietra antica e durissima.
In ogni caso, non esisteva una gomma magica, o una dannata macchina del tempo.
Non potevo tornare indietro.
Esisteva però il veleno, di mille tipi diversi.
Io ne abusavo giorno dopo giorno, e tutto quello che riuscii miseramente a constatare fu che non mi stava uccidendo abbastanza.
Non come avrei voluto, per lo meno.
Giunsi così alla conclusione che forse fanno più male i ricordi, del veleno.
E che a quest'ultimo, purtroppo, ci si abitua in men che non si dica.
Ai ricordi, quelli dolorosi, invece, non ci si abitua mai per davvero.
Quella era per me la terza notte completamente insonne.
Ero abituato a dormire poche ore, spesso rimanevo sveglio durante la notte, ma allora avevo senza dubbio superato il mio record.
Tutto grazie al maledetto, bellissimo Dabi, alle sue dita lunghe che continuavano a mandare ininterrottamente messaggi, e alla sua faccia angelica e mostruosa a pochi metri da me, nel cortile del mio appartamento.
Restava seduto lì intere nottate.
'Scendi, sono qui.' mi scriveva, ed io non avevo mai osato portare il mio schifosissimo culo là sotto.
Rimanevo lì, serrato nella mia stanza, in preda a mille fantasmi e luci del passato, che sapevano esattamente in che modo tormentarmi.
Sbirciavo dalla finestra ed incrociavo il suo sguardo gelido soltanto per un secondo, un misero, maledetto secondo, che bastava a farmi venire la voglia di vomitare e di autodistruggermi completamente.
Non lo faceva sempre, soltanto a volte, quando decideva che era il caso di riprovarci, di riprovare a parlare con me.
Ma io in quel modo non sarei mai riuscito a passarci sopra.
Non lo avrei fatto a prescindere, in realtà.
Avrei però preferito non vederlo più, come se si fosse dissolto magicamente nell'aria, insieme al ricordo di tutta la mia felicità.
Le ombre si dissolvevano alle prime luci dell'alba, quando il tormento svaniva, e Touya si rassegnava.
Se ne andava, lasciandomi impalato e confuso.
Ed io non sapevo mai se ci avrebbe riprovato il giorno dopo, o se sarebbe sparito per una, due settimane, o addirittura mesi, illudendomi che forse anche io sarei potuto fuggire da quell'incubo scuro che aveva oramai preso possesso di me.
In quei giorni lì, scandivo il tempo a suon di sigarette.
Un mozzicone dopo l'altro, annegando nel fumo tutto quello che non avrei potuto ammazzare altrimenti.
Quella mattina, uscire di casa e raggiungere l'Università fu una delle imprese più ardue della mia schifosissima vita.
Sentivo gli occhi in fiamme, le tempie pulsare, e non ebbi nemmeno il tempo di riempirmi la bocca con un paio di cornetti, i quali mi avrebbero per lo meno tirato su di morale.
Pedalavo automatico, con la stanchezza che gravava sulle mie palpebre e la consapevolezza che necessitavo solamente di un paio d'ore di sonno.
Magari in un posto sicuro.
Un posto dove non avrei avuto bisogno di fermare il mondo per ricordare in quale modo respirare.
Il viso di Mina, quel giorno, mi restituì un briciolo di serenità.
Lei era lì, con le guance spigolose poggiate sui palmi delle mani, seduta in aula insieme a Denki e Sero, pronti per la lezione.
Quando li raggiunsi, più in anticipo del solito, si illuminarono completamente, ed io dimenticai tutta la stanchezza, tutto il tormento, e soprattutto il senso di colpa.
"Ehi, KiriBro!" esclamò Sero euforico, lasciando scivolare sulla mia parte di tavolo un pacchetto stracolmo di biscotti, comprato al discount di fianco all'Università.
Me ne ficcai un paio in bocca, concedendo finalmente un po' di carburante al mio povero corpo.
"Che cazzo, Kiri, ti è passato sopra un camion? Hai una faccia!" esordì il Biondo storcendo il naso.
Magari, Denki.
Magari.
"Macché! Tutto a meraviglia! Ho solo dormito di merda!" risposi esibendo un sorriso e prendendo finalmente posto.
Inutile dire che non ricordo niente della lezione di quella mattina.
Intorno all'ora di pranzo ci incamminammo insieme verso la mensa, e fu proprio allora che la parvenza di non farcela si ripropose più vivida che mai davanti ai miei occhi.
Volevo soltanto dormire.
Le voci dei miei amici suonavano distanti alle mie orecchie, ed ogni passo mosso pesava come un macigno.
Non ce la faccio.
Ho bisogno di dormire.
Ed era soltanto l'inizio.
Dopo il pasto sarei dovuto filare in officina, e di sera mi aspettava una sessione di studio talmente intensa da farmi rabbrividire.
Pensavo però soltanto ad un cuscino morbido e a quanto avessi bisogno di concedermi un po' di riposo.
Soltanto mezz'ora.
Qualcuno mi faccia dormire mezz'ora.
Ancora un paio di passi per arrivare al tavolo.
Soltanto un paio.
La voce lontana di Mina.
"Kiri, ti senti bene?"
Le vertigini.
La nausea.
Poi tutto nero, e niente di più.
Quando riaprii gli occhi faticai a mettere a fuoco l'infermeria della scuola.
Impiegai diversi minuti a riprendere conoscenza, e a riconoscere il volto di tutti i miei amici, seduti lì intorno a mangiare schifezze.
Che cosa è successo?
"Ah, ti sei svegliato, finalmente." asserì Mina, lasciando che diventassi il centro esatto dell'attenzione di tutti.
In quel momento feci la conta delle persone stipate nell'infermeria.
Oltre ad Ashido, Denki, ed Hanta erano seduti sugli sgabelli scomodi della stanza anche Momo, Todoroki, Deku, e persino Bakugo, poggiato distrattamente con le spalle al muro, ed un tomo di matematica tra le mani.
"Che... che è successo?"
Il disappunto nella voce della Rosa mi fece intendere che fosse in qualche modo colpa mia.
Niente di nuovo, dopotutto.
"È successo che sei un dannato incosciente, sei sbattuto per terra nel corridoio, facendo cagare in mano tutti. Ti abbiamo portato da Recovery Girl, che ti ha visitato e ci ha detto semplicemente che stavi BEATAMENTE DORMENDO, Eijiro".
Ops?
Cosa dovrei dire, adesso?
"Ehm, scusatemi, ragazzi! Lo avevo detto di aver dormito male!" esclamai mettendomi a sedere e passandomi una mano imbarazzata dietro la nuca.
Avevo un male alla testa terribile.
Fu in quel momento che intervenne il Verde, sorridendomi con gentilezza e senza alcun segno di disappunto o rabbia nel volto.
"Non è successo niente, Kiri-kun! Però dovresti proprio andare a casa a riposare, per oggi".
A casa?
No.
Non voglio tornare là dentro.
Fu in quel momento che rinsavii del tutto.
Quanto avevo dormito?
Ero in ritardo per il lavoro?
"Che ore sono?!" esclamai balzando in piedi e lasciandomi cogliere di sorpresa da un fulmineo giramento di testa.
"No, Eijiro, non ci pensare neanche. Ho chiamato io Fat Gum, e anche lui ha detto di non azzardarti a mettere piede in officina oggi." intervenne nuovamente Mina.
"E nemmeno domani." aggiunse Denki sghignazzando, lasciando intendere che la Rosa aveva sicuramente esagerato come al solito.
Avrei dovuto ringraziarla.
Invece un moto di rabbia si accese prepotente dentro me, anche se cercai in tutti i modi di mascherarlo.
L'officina era il mio unico sfogo.
Ed io avrei voluto rimanere lontano da casa il più a lungo possibile.
Lei però questo non lo sapeva.
Fu in quel momento che la voce graffiante di Bakugo catturò l'attenzione di tutti.
Impeccabile, puntuale, tagliente, ed estremamente offensivo.
"Complimenti, mammina, sei riuscita a fare incazzare Capelli di Merda. Insegnami la tecnica, magari la uso quando si ficca nel mio taxi contro la mia volontà." ghignò aspro, ed io fui assalito dalla sorpresa.
Come cazzo lo ha capito?
Il rimprovero sussurrato di Deku risuonò per la stanza.
"K-Kacchan!"
La Rosa comunque, inaspettatamente, non lo assalì.
Si voltò nuovamente verso di me, allargando gli occhioni scuri ed inclinando da un lato il capo coperto di riccioli meravigliosi.
Per la prima volta nella vita, vidi l'incertezza offuscarle la vista.
"T-ti ho fatto arrabbiare?" sussurrò tenue, a basso tono, stupendo probabilmente persino sé stessa.
Io, dal canto mio, non ero stupito per niente.
Mina Ashido nutriva nei miei confronti un bene che è persino difficile da raccontare.
Mi proteggeva, perché sapeva bene che ero una testa calda, e lo faceva nell'unico modo che conosceva.
Lei era una frizzante, allegra, ed impertinente nuvola di zucchero filato, ed io non l'avrei cambiata con nessun'altra persona al mondo.
Nemmeno quando decideva al posto mio.
Nemmeno quando esagerava.
Nemmeno quando inseguiva Touya per coprirlo di sputi.
Nemmeno quando chiamava il mio capo di lavoro per dirgli che mi sarei preso due giorni di riposo, e che se avesse obiettato lo avrebbe denunciato alla Polizia.
Mina Ashido era il mio raggio di sole.
Combinava un sacco di danni, ma a me piaceva così.
Delle persone ho sempre amato profondamente le imperfezioni.
Forse sarebbe stato facile dire che mi piaceva perché era una ragazza sveglia, una ragazza altruista, nata per aiutare il prossimo. Sarebbe stata una passeggiata dire che l'adoravo perché era frizzante, era una ventata di aria fresca, era serena, bellissima, e mi voleva un mondo di bene.
Ma a me Mina non piaceva soltanto per quello.
Io l'adoravo per la sua spiccata malizia, per il suo velato egocentrismo, per le manie di controllo.
L'adoravo per la sua impulsività, per tutte le volte in cui mi rimproverava e per quelle in cui feriva involontariamente le persone che amava.
Non ne sapevo un cazzo di vita.
Molto probabilmente la detestavo anche un po'.
Ma se c'era una cosa che avevo capito, è che l'amore vero si attacca ai difetti, alle imperfezioni, ed alle fragilità.
Non ai fronzoli rosa confetto e smaccati, dai quali in qualche modo diffidavo sempre un po'.
Posai una mano amica e gentile tra i capelli di Mina, scompigliandoglieli dolcemente.
"Non potresti mai farmi arrabbiare, terremoto. Mi dispiace avervi fatto preoccupare." sussurrai sorridendo, e dimenticando immediatamente la rabbia.
In quel momento la ragazza si ringalluzzì, voltandosi verso Bakugo e partendo all'attacco.
"Visto?! Non è arrabbiato, scimmione burbero!"
Vidi il sopracciglio del biondo inarcarsi indispettito.
"Ho ammazzato per molto meno, Occhi da Procione. Stai attenta".
A smorzare il silenziò pensò però Deku, carico di imbarazzo.
"N-non dice sul serio! Kacchan è un burlone!"
"A me sembra serio, Izuku." intervenne allora Todoroki, inclinando il capo interrogativo verso Bakugo, nel tentativo, probabilmente vano, di decifrarlo.
"Va bene, ragazzi, adesso che si è svegliato, io torno a lezione." sentenziò Yaoyorozu, parlando per la prima volta, chiudendo di scatto il libro che teneva sulle gambe ed avvicinandosi all'uscio.
"Kirishima, direi che per questa sera faresti meglio a riposare, al cinema possiamo andare anche domani. Manda un messaggio entro le 8:00 di sera per farci sapere come stai, altrimenti chiamo i soccorsi. Buona giornata a tutti".
Poi sparì a passo veloce.
Aveva già perso metà della sua lezione preoccupandosi per me.
A suo modo, anche lei sapeva prendersi cura dei suoi amici.
Fu in quel momento che il gruppo cominciò a sgretolarsi, e ognuno a riprendere con le proprie attività pomeridiane.
"Allora, Eiji, io comincio il turno di pulizie tra mezz'ora. Posso disdire e accompagnarti a casa!" esclamò Mina, ma non avrei mai accettato quell'offerta.
Sapevo che aveva bisogno di soldi, e che occupava tutto il tempo disponibile con più lavoretti part time possibile.
Io stavo bene.
Mi sentivo soltanto stanco, non avevo bisogno di essere accompagnato.
"Possiamo portarlo io e Denki, non c'è bisogno che salti il turno!" esclamò Sero, rivolgendo un sorriso all'amica.
"Anzi, faresti meglio ad andare, prima di arrivare in ritardo!" aggiunse Kaminari, e la Rosa ubbidì sommessamente, schizzando via e rivolgendomi almeno un centinaio di raccomandazioni diverse prima di uscire.
"Non ho bisogno di essere accompagnato!" esclamai sorridente, sistemando il lettino dell'infermeria e raccogliendo la mia roba.
"Casa mia non è tanto distante ed io mi sento bene. Semplicemente ho dormito e mangiato poco, dev'essere stato un calo di zuccheri. Non mi è mai successo, state tranquilli!"
La verità è che volevo soltanto uscire fuori a fumare, da solo, e possibilmente lontano da casa.
"Sei sicuro, bro? Possiamo andare anche a piedi, facciamo una passeggiata!" insistette Sero, ma io mi impuntai.
Non volevo tornare lì.
Non volevo passare un'altra notte in bianco.
Non volevo rivedere la faccia di Dabi, piazzato sotto casa mia, in attesa di una mia reazione.
Non volevo soffocare.
"Sicurissimo! Scusatemi ancora per questo disastro! Andrò a cercare Recovery Girl per ringraziarla e filerò a casa. Magari mangerò anche qualcosa durante il tragitto, non preoccupatevi per me." conclusi mostrando i canini, ed avvicinandomi all'uscita insieme agli altri.
Si congedarono dunque tutti, ed io, rimasto da solo in infermeria, tirai finalmente un sospiro di sollievo.
L'avevo combinata grossa.
Attesi sul serio il ritorno di Recovery Girl, e dopo averla ringraziata e rassicurata, uscii titubante dalla stanza, senza sapere ancora come occupare il mio pomeriggio, inaspettatamente libero dal lavoro.
Potrei andare comunque da Fat Gum.
Vedendomi stare bene, mi lascerà sicuramente lavorare.
Quando misi piede fuori, per poco non sobbalzai dallo spavento.
Ancora non sapevo che tutti i miei piani sarebbero stati scombinati.
Accanto alla porta, Katsuki Bakugo, con il solito librone tra le mani, ed un piede irriverente appoggiato al muro.
"B-biondino!" esclamai tentando di camuffare la sorpresa, e la tachicardia.
Quello sbuffò irritato, cominciando a marciare silenzioso verso l'ascensore della scuola, ed io lo seguii automatico, senza pormi nemmeno mezza domanda.
Ci ritrovammo da soli chiusi lì dentro, e fu allora che il Biondo proferì parola per la prima volta.
Aveva indosso la divisa dell'Università, con la camicia aderente e scombinata che evidenziava ogni suo singolo muscolo.
Dio, quanto è virile.
"Ho già chiamato il taxi, Testa di Merda".
La sua voce mi risvegliò dai miei pensieri.
"Il taxi?"
"Seh".
"Perché il taxi?"
"Perché fingi di non sapere andare in moto, te lo sei dimenticato?"
Touché.
Come ha fatto a capirlo?
Sorvolai sulla questione.
Non avrei saputo in alcun modo affrontare quell'argomento.
"Ho la bicicletta, Bakugo".
L'ascensore raggiunse il piano terra, e noi uscimmo a passo deciso.
"Vuoi un applauso per questo?"
Arrestai la mia camminata.
Quel ragazzo era un difficilissimo rebus, ed io ero davvero troppo stanco ed affamato per risolverlo.
"Io non ti sto capendo, bro!" esclamai esasperato, fissandolo mentre si fermò di botto.
"Cosa cazzo ci vuole a chiudere la dannatissima fogna e camminare?"
Dinamite e profumo di menta.
Qualcosa in quel biondo mi attirava dannatamente.
Avrei voluto ficcarmi con invadenza nella sua vita e domandargli mille cose diverse, e conoscere ogni faccia del suo carattere così spigoloso.
Non potevo farlo, però.
Uno, perché Bakugo detestava le persone e l'invadenza, lo avevo capito da tempo.
Due, perché io avevo paura delle persone, e dei nuovi legami, ed anche questo lo avevo ahimè capito da tempo.
Borbottai in ogni caso rassegnato, seguendo in silenzio il Biondo e senza pormi più alcuna domanda.
Finalmente potevo però mettere mano alle mie sigarette, e fu senza ombra di dubbio la prima cosa che feci, una volta varcata la soglia dell'istituto.
Andai dietro a Bakugo, superando con noncuranza il parcheggio di moto e biciclette, che a quanto pare abbandonammo lì senza remora alcuna.
Di fronte all'entrata, un taxi giallo; lui era diretto proprio là dentro.
Deglutii prima di aprire la portiera e seguire il Biondo.
La vettura mi avrebbe senza ombra di dubbio lasciato davanti a casa.
Rabbrividii al solo pensiero, visionando per un momento le mani di Dabi poggiate sul muretto d'entrata, ed i suoi occhi gelidi rivolti alla mia finestra.
Non sarei mai più uscito da quel loop infernale di rimpianto, rimorso ed autodistruzione.
Entrai deciso nella macchina, accantonando i pensieri nocivi con una boccata di fumo e salutando a gran voce il tassista.
Inaspettatamente, familiare come non mai, era l'anziano signore della prima volta.
"Ma che sorpresa!" esclamò ridacchiando e voltandosi allegro.
"Già, chi non muore si rivede." ghignò acido Katsuki, palesemente infastidito dalla troppa confidenza dell'uomo.
"Ragazzo, non si fuma qua dentro!" mi riprese ignorando la pessima uscita di Bakugo, e soltanto in quel momento mi accorsi di essere entrato con la sigaretta.
"M-mi scusi!" trillai colto di sorpresa, schizzando velocemente fuori per spegnere la cicca tra due dita, e rientrando fulmineo in macchina.
"Niente lite, questa volta?" domandò l'anziano ridacchiando, rivolgendosi ad entrambi.
"Non ci crederà, ma adesso siamo amici, Signor Tassista!" risposi spumeggiante, cogliendo in pieno l'alzata di occhi di Bakugo, il quale non si risparmiò un ennesimo pessimo commento.
"Io non ho amici, Capelli di Merda, ficcatelo in quella maledetta testaccia vuota".
Sorrisi sornione, avvicinandomi a lui e provocandolo spiccatamente.
"Allora perché non sei sulla tua moto?".
Quello ringhiò aspro, senza spostarsi di un millimetro.
"La domanda è perché cazzo tu sia nuovamente sul mio fottuto taxi, Kirishima, non perché ci sia seduto io, chiaro?"
"Dunque dove andiamo?" ci interruppe l'anziano signore, evidentemente divertito dal nostro scambio di provocazioni, l'ennesimo, per lui.
"Al bar di Present Mic." tuonò il biondo, lasciandomi per un attimo senza fiato.
Era quello dei cornetti alla crema, quello che proprio io gli avevo fatto conoscere, quello all'interno del quale ci rintanavamo ogni volta con una scusa, per un motivo o per l'altro.
"Che cazzo hai da guardare, ah? Ho fame." si giustificò, distogliendo lo sguardo ed ignorando il sorriso spontaneo che mi si disegnò sulle labbra.
Il primo di quella giornata.
Rivedere quel tassista accese in me una vena di velata felicità.
Era passato diverso tempo, eppure si ricordò di noi.
Stava diventando un rito, il nostro, quello di prendere il taxi.
Nessuno dei due ebbe però mai il coraggio di ammetterlo.
Il Biondo allungò al vecchio la banconota, pagando per entrambi, senza possibilità di discussione.
Finalmente era riuscito a ripagare il suo debito.
Ci fiondammo veloci dentro al bar, e fui sorpreso nel constatare che anche Bakugo si lasciò andare, ordinando la bellezza di due cornetti, proprio come me.
"Allofa piaffiono anfe a te!" esclamai masticando vorace metà della mia brioche.
"Meh." grugnì lui in risposta, godendosi silenziosamente la deliziosa merenda.
Mi aveva portato al bar, il nostro bar, uno dei miei posti preferiti.
Senza chiederlo, aveva capito di che cosa avessi davvero bisogno.
Ma Bakugo, quel giorno, non aveva nemmeno iniziato con le sorprese.
Per un momento mi persi sul fondo della mia tazza di caffè, pensando che forse non era giusto, quello che stavo sommessamente accettando.
Forse non era giusto lasciare che Bakugo Katsuki mi concedesse le sue preziose attenzioni.
Non me le meritavo.
E in cuor mio sapevo che lui avrebbe preferito essere in qualsiasi altro posto, piuttosto che in mia compagnia.
"Oi." ringhiò ad un certo punto, trascinandomi all'improvviso via dai miei pensieri.
"Mh?" risposi incerto, tornando a concentrarmi sul presente.
"Mangia, altrimenti si fredda".
Gli sorrisi.
"Hai ragione, Baku".
Odiava essere chiamato così.
Era già la seconda volta che, involontariamente, mi sfuggiva.
Il Biondo decise di pagare anche la merenda, e poco tempo dopo ci ritrovammo a zonzo al di fuori del locale, a piedi, senza mezzi di trasporto, né taxi ad aspettarci.
"E adesso?" domandai ridacchiando, con la pancia finalmente piena ma la stanchezza ancora sulle spalle.
Bakugo si voltò verso di me, squadrandomi concentrato ed inarcando un sopracciglio.
Sta calcolando qualche percentuale.
Sorrisi divertito al solo pensiero.
"Sei sporco di crema, idiota".
Sobbalzai, colto di sprovvista.
"D-dove?" domandai sfregandomi il dito sulle labbra, imbarazzato totalmente.
Quello alzò gli occhi, muovendo un passo verso di me ed allungando un dito affusolato verso l'angolo della mia bocca.
Per un momento sentii il cuore perdere un battito e cominciare ad accelerare più del dovuto.
Il contatto fu lieve, leggero, fugace.
Bastò per una manciata informe di brividi e trent'anni in meno di vita.
O in più, a seconda dei punti di vista.
Accarezzò gentile l'angolo della mia bocca, pulendolo con un gesto veloce, velocissimo, che io vissi al rallentatore e completamente in apnea.
Mi sta sfiorando le labbra.
Quanto cazzo è virile.
Il Biondo ritrasse con noncuranza la mano, pulendo il dito su un fazzoletto che tirò fuori dalla tasca.
"Meh? Che cazzo fai lì impalato? Andiamo".
Prima o poi mi ucciderai, Bakugo Katsuki.
"D-dove andiamo?" domandai riprendendo a seguirlo, e a respirare, mentre marciava sicuro verso una ignota direzione.
"All'Inferno, dannato impiccione".
Ridacchiai divertito, raggiungendolo e poggiando un gomito amico sulla sua spalla.
"Sono di casa laggiù oramai, Biondino".
"Un babbucchione come te?" mi provocò ghignando, entrando a piedi in un isolato che oramai conoscevo bene, quello di casa sua.
Deglutii, tornando a scendere in un inenarrabile panico.
Non volevo infastidirlo.
Eppure sembrava essere diventato impossibile.
Lo seguii silenzioso, rimanendo sull'uscio mentre lui si precipitò muto all'interno dell'appartamento.
Restai piantato lì, indeciso se varcare nuovamente le soglie di quell'edificio, e distruggere definitivamente la pace di Bakugo, il quale mi aveva dato più che direttamente dell'impiccione per molto, molto meno.
Dopo qualche minuto lo vidi tornare indietro, accigliato, sporgendosi verso l'entrata.
"Beh? Entri o resti lì?"
Sentii le guance prendere fuoco.
Mi sfilai lentamente le scarpe prima di entrare per la seconda volta in quella casa, così piccola e così silenziosa contemporaneamente.
"P-permesso.." bisbigliai ancora, avanzando qualche passo verso l'ampio salotto.
Quello ignorò i miei convenevoli, piazzandosi davanti a me con la reflex appesa al collo e le braccia conserte.
"Allora, Capelli di Merda, dimmi subito che cosa cazzo vuoi fare".
Rimasi interdetto, ed una risatina fuggì dalle mie labbra.
"Sei proprio un burlone, Kacchan!" lo provocai, lasciando velatamente intendere che aveva fatto tutto lui.
Ogni cosa.
E del mio parere se ne era beatamente fregato.
"Sbocco al solo pensiero." ringhiò in risposta, gesticolando con la mano destra, come se avesse provato ad allontanare qualche nocivo pensiero.
Fu in quel momento che mi feci coraggio, e glielo domandai una volta per tutte.
"Senti, Bakugo, ma che ti ha fatto Midoriya di così grave?"
Quello inarcò un sopracciglio, colto probabilmente di sorpresa dalla mia domanda.
Inaspettatamente, rispose.
Con più freddezza e meno aggressività del solito.
"Perché lui e lo stronzo bicolor si infilano sempre nella mia cazzo di vita e mandano tutto a puttane".
Al contrario di quel che potrebbe sembrare, lentamente, iniziai a capire.
L'università, le gare, il lavoro al bar.
Bakugo si sentiva soffocato.
Non mi diede il tempo di rispondere, perché partì frettoloso con il contrattacco, chiedendo implicito riscatto per il lusso appena concessomi.
"Da quant'è che non dormi, ah?"
Impossibile mentire di fronte a quegli occhi.
Optai per la nuda e cruda verità, accettando il compromesso e facendomi carico del fatto di essermi impicciato negli affari suoi e di dover pagare pegno.
"Tre giorni." sussurrai ridacchiando, tentando invano di camuffare il nervosismo.
Vidi per un momento un sussulto attraversare quegli specchi lucidi e rossi.
"Che cazzo, Kirishima, ti puzza proprio di merda la vita, ah?"
Ed io, per l'ennesima volta, scoppiai in una fragorosa risata, interrotta dalle escandescenze del Biondo.
"Non c'è un cazzo da ridere, dannazione, vai a dormire!"
Mi concessi il lusso di sbellicarmi ancora un po', prima di recuperare un briciolo di serietà.
"Non ci riesco, Bakugo. Te lo assicuro, ci avrò provato un centinaio di volte, ma mi blocco, mi sento, insomma mi sento-"
"In trappola." concluse lui sospirando lieve, evitando stranamente il mio sguardo.
Un forte peso tornò a gravare sul mio petto.
"Esatto, in trappola".
Quella fu la chiave, l'attimo, la scintilla.
Eravamo appena saltati dall'altra parte della sponda.
Non lo sapevamo, ma era il decisivo punto di non ritorno.
Il dolore lega, e proprio allora io e Bakugo Katsuki ci legammo silenziosamente ed indissolubilmente, senza nemmeno rendercene conto.
"Senti, Capelli di Merda, facciamo così." riprese lui, attirando tutta la mia attenzione.
"Così come?"
"Facciamo una maledetta passeggiata, andiamo a scattare qualche foto, poi torniamo qui, ti ficchi a letto senza rompere il cazzo e dormi. Chiaro?"
Mi sentii punto nel vivo.
In qualche modo, Bakugo aveva capito che il problema era nient'altro che casa mia, e silenziosamente mi stava tendendo una mano, per chissà quale motivo.
"Senti, Bakugo, io non voglio arrecare disturbo, posso anc-"
"Non pensare che lo stia facendo per te, razza di idiota. Mi servono dei consigli per vincere il fottuto concorso e mi serve un meccanico. In più mi rompo il cazzo a chiamare un altro taxi per farti tornare a casa".
Ridacchiai rassegnandomi, e facendo dietrofront verso l'uscita.
"Dove andiamo, allora?"
"Nelle vicinanze c'è solo il fottuto parco. Non abbiamo tanta scelta, Capelli di Merda".
Fu così che in silenzio ci incamminammo, e trascorremmo il pomeriggio all'ombra degli aceri ombrosi, arrovellandoci sul concorso di fotografia che Bakugo avrebbe vinto senza ombra di dubbio.
Nessuno scatto era però quello giusto, quello che avrebbe in pieno centrato il tema della Luce.
Ci concedemmo in ogni caso il lusso di prendercela comoda. Il concorso era relativamente distante, e noi avevamo tutto il tempo per preparare a tavolino una foto perfetta.
Un primo premio insindacabile.
Proprio in quel frangente scoprii che il Bakugo Katsuki dietro all'obbiettivo era diverso da quello di tutti i giorni.
Rilassato, tranquillo, non offuscato da un velo di rabbia e risentimento che, in qualche modo, feriva persino me.
Chi ti ha fatto arrabbiare così?
Quale peso porti sul cuore?
Non era però affare mio, e decisi proprio in quel momento che non mi sarei mai e poi mai ficcato nelle tenebre di Bakugo.
Ciò che non sapevo, è che era già troppo tardi.
Tornammo indietro al momento del tramonto, e strada facendo scoprii che il Biondo non avrebbe lavorato quella notte. Aveva la serata libera.
Ci rintanammo nuovamente nel suo appartamento, optammo per del cibo take away e non smettemmo nemmeno per un attimo di parlare.
O meglio, fui io a non tenere la bocca chiusa neanche per un secondo.
Bakugo annuiva, rispondeva a monosillabi, però ascoltava attento, senza perdere nemmeno una delle mie centinaia e centinaia di parole continue.
Mi faceva ridere.
Il suo tono esasperato, il suo finto disinteresse, il suo burbero modo di esprimersi.
E mi piaceva.
Mi piacevano i suoi rompicapo impossibili, la sua mente chiusa, la sua rabbia apparentemente ingiustificata, la sua sincerità incondizionata.
"La prossima gara sarà tra un mese." asserì ad un certo punto, alzando gli occhi dal piatto di udon oramai tiepidi.
"Che hai in mente?" domandai leggendo fulmineo il suo sguardo. Stava tramando qualcosa.
"Voglio cambiarla".
Per un attimo ebbi un tuffo al cuore.
"C-che intendi?"
Ho capito bene?
"Voglio cambiare la moto, Capelli di Merda".
Vuole cambiare moto?
"Perché?" domandai incuriosito, sapendo quanto tenesse effettivamente al veicolo.
"So che la mia è un maledetto gioiellino, ma possiamo trovare di meglio".
Oh sì che possiamo, Biondino.
"E tu vorresti una mano?" chiesi provocatorio, ghignando fiero ed infastidendo Bakugo terribilmente.
Quello però, inaspettatamente, ricambiò il ghigno.
Sapeva già che avrebbe avuto tutto il mio aiuto a completa disposizione.
Avremmo potuto rivendere la sua moto ad un prezzo esorbitante, e con il giusto sacrificio comprarne un'altra ancora più potente.
Il primo posto era già in mano nostra.
"Ho in mente una cosa simile." aggiunse il Biondo, sventolandomi davanti agli occhi lo smartphone, con una foto della galleria aperta sullo schermo.
Trasalii immediatamente.
Era la mia moto.
Di' qualcosa, Eijiro.
Qualsiasi cosa.
Dio solo sa quanto avevo impiegato per trovarla, per rimetterla in sesto e per renderla un vero e proprio gioiellino.
Sarebbe stato impossibile, e decisamente costoso, trovarne una identica.
"E-ehm.." farfugliai in difficoltà, a corto di fiato, e in cerca di una sigaretta.
"So che è difficile, Capelli di Merda. Ma se non ci proviamo neanche mi incazzo".
Incapace di mentire e di dire la verità contemporaneamente, optai per una silenziosa via di mezzo.
"Vedrai che riusciremo a combinare qualcosa, Biondino." conclusi senza abbandonare il sorriso.
"A proposito, ho chiamato la commissione interna per la fottuta faccenda dello zucchero".
"Oh, che ti hanno detto?"
Un ghigno sadico si disegnò sulle sue labbra rosse.
"Si sono scusati, ma le maledette scuse non risarciscono certo i danni, no? Cosi gli ho detto di andare tutti a farsi fottere, che sono degli incompetenti di merda, che quando troverò il responsabile lo strozzerò, e che in quel momento non dovranno permettersi di muovere un fottutissimo dito per fermarmi".
Una fragorosa risata mi uscì spontanea dal fondo dello stomaco.
"Bakugo, tu sei folle!"
Quello aggrottò le sopracciglia.
"Da che cazzo di maledetto pulpito!"
Risi ancora di più.
Ha ragione, in effetti.
"Senti, Capelli di Merda, io voglio saperlo".
Recuperai per un secondo la lucidità.
"Cosa vuoi sapere?"
"Perché cazzo non guidi".
Inaspettatamente, niente panico.
Sapevo che lo avrebbe chiesto.
"Perché vuoi saperlo?"
Il Biondo alzò gli occhi al cielo, infastidito dalla domanda.
"Perché mi fa incazzare a schifo che uno come te non guidi".
Uno come me?
"Ti ho visto, cazzo, mettere i piedi sulla mia moto, trovare la toppa al primo colpo, stringere tra le mani il manubrio. Perché cazzo non guidi?"
Ero pronto?
Davvero ero sul punto di rivelare a qualcuno quella parte del mio passato?
Scattai ancora sulla difensiva, forse spaventato dal suo tentativo di scavare e tirare fuori ciò che avevo tentato disperatamente di seppellire per sempre 20 chilometri sotto terra.
"Perché sei sempre e perennemente incazzato col mondo? Perché non volevi partecipare al concorso di fotografia?"
Uno a uno, palla al centro, Biondino.
"Non si risponde alle fottute domande con altre domande ancora più fottute".
Inarcai un sopracciglio, deciso a non lasciare andare la presa per nessun motivo al mondo.
"Quid pro quo, Bakugo. Se vuoi qualcosa, devi pagarlo. Non sei stato tu ad insegnarmelo?"
Una risata amara uscì dalla bocca del Biondo, che mi piantò addosso lo sguardo gelido.
"D'accordo, Capelli di Merda." ringhiò a basso tono, pulendosi le labbra con un fazzoletto di carta e ricominciando a parlare.
"Io non sono arrabbiato con un cazzo di nessuno, in realtà. Quello che devi capire di me, Kirishima, è che le persone scappano dal sottoscritto, e fanno dannatamente bene. Sono un maledetto cane bastardo al guinzaglio, e mordo".
Mordi e inviti gli amici nel tuo appartamento per farli dormire tranquilli.
Razza di bugiardo.
"Non sono arrabbiato, semplicemente non me ne frega un cazzo. Il resto del fottuto mondo per me non esiste, e non sono interessato minimamente a compiacerlo, tutto qui. Chiamami pure stronzo, mostro, fate dannatamente bene a pensarlo, ma a me non fotte assolutamente niente".
Nessuna emozione trapelò da quelle iridi mentre recitavano il mostruoso e freddo copione.
Non ero d'accordo con quelle parole.
Non ero d'accordo per niente.
Eppure accettai sommessamente il suo sproloquio, prendendolo come una mezza verità ed accettando il fatto che prima o poi me l'avrebbe detto, Bakugo, che cosa l'aveva portato ad una simile apatia.
Forse un po' la invidiavo, la sua apatia.
Agli occhi di chi sente tutto il doppio, il nichilismo dei sentimenti somiglia vagamente a della mera tranquillità.
"Sono un cazzo di mostro per davvero, Kirishima. Faccio del male a chiunque, e lo faccio di proposito. Ti dirò di più, mi piace terribilmente e me ne compiaccio".
Prese un profondo respiro, continuando a ghignare.
"Ah, il concorso di merda, giusto. Non volevo partecipare perché sapevo che mi avrebbe allontanato dai miei obiettivi, e, per inciso, avevo ragione. Adesso, dimmi una volta per tutte perché non metti le chiappe sulla moto, porca troia".
Stava mentendo.
Ed io lo avevo capito benissimo.
I patti però erano patti, e decisi di ripagarlo con la stessa moneta, ovvero una flebile verità, insipida da morire, che mai e poi mai gli avrebbe permesso di comprendere le mie ragioni.
Non fu difficile dirlo, forse perché omisi le parti più importanti.
In ogni caso si trattò comunque della prima volta che feci uscire quel fantasma volontariamente dalla mia bocca.
"Ho avuto un incidente, Bakugo".
L'espressione sul suo volto cambiò repentina.
Improvvisamente, non sapeva cosa dirmi, ed io avevo intuito anche quello.
"Mi sono fatto parecchio male, e soprattutto ne ho fatto ad altre persone. Mentirei se ti dicessi che non voglio più usarla, la moto, perché non è così. Credo sia la cosa che desidero di più. Ma, come hai visto, non ci riesco, non c'è verso".
Nessun tremolio nella mia voce.
Semplice, diretto, limpido, e a metà, proprio come aveva fatto lui.
Il suo dito affusolato si posò sulla palpebra destra, picchiettandoci sopra lievemente.
"Te la sei fatta cadendo?" domandò secco, riferendosi alla mia cicatrice.
Annuii distrattamente, cercando con i polpastrelli tutte le ferite oramai rimarginate che occupavano le mie braccia.
"Anche queste. Pure questa, e questa qui. Oh, questa no, qui mi è schizzata una scheggia in officina. E qui mi sono bruciato con una marmitta, ah, e qui sono caduto mentre giocavo a rugby".
"Sei un fottuto campo minato, Capelli di Merda." scherzò lui abbozzando un sorrisetto e sorvolando con maestria sull'incidente. Lì per lì risi, ma in cuor mio sapevo quanto diavolo avesse ragione.
Non ero altro che ciò che resta dopo un devastante bombardamento.
Desolato.
Deserto.
Arido.
"In ogni caso, puoi stare tranquillo, Kirishima." riprese lui, ricominciando a mangiare con noncuranza.
"Mh?" domandai inclinando il capo, senza capire ciò che stava tentando di dirmi.
"Non sarà difficile riportare il tuo culo in moto. Prima o poi ti stancherai di vomitare".
In qualche modo, anziché spaventarmi, quelle parole mi rassicurarono.
"Non sarà difficile nemmeno vincere il concorso, Biondino".
Un leggero sorrisetto gli attraversò fulmineo le labbra, mentre avvicinava al viso un altro boccone di udon.
In quel momento, per la prima volta, eravamo stati completamente sinceri.
Esattamente come la volta precedente, una volta terminata la cena e trascorso qualche minuto a discutere di moto nuove e obiettivi fotografici, Bakugo mi lanciò un paio di coperte sul divano, pronto finalmente a ritirarsi nella sua stanza e a rivedere la mia faccetta da culo il giorno dopo.
Anche io, a dirla tutta, non vedevo l'ora di poggiare la testa dura su un cuscino.
Avevo sonno, ero stanco, ed ero stranamente sereno.
Durò ovviamente due cazzo di secondi.
Proprio mentre il Biondo era intento a spegnere le luci della casa, il mio telefono cominciò a vibrare impazzito sul tavolo, e il panico a prendere possesso di me.
Scattai in avanti ma Bakugo, inaspettatamente, arrivò prima.
Temevo che si sarebbe messo a leggere i messaggi di Dabi, che avrebbe capito tutto, e che si sarebbe incazzato a morte.
Invece non fece niente di tutto ciò.
Con un broncio infastidito, semplicemente, premette sul tasto del silenzioso, impostandolo senza chiedere il permesso.
"Di notte si dorme, non si messaggia." ringhiò aspro, riappoggiando il telefono sul tavolo e volgendo le iridi sulle mie.
Non lo sapeva, ma aveva appena risolto un gigantesco problema, soltanto premendo un tasto.
Perché non l'ho fatto prima?
Sarà di nuovo sotto casa mia?
Forse notò che qualcosa non andava.
Anzi, quasi sicuramente lo fece.
Mi serve una sigaretta.
Soltanto allora mi resi conto che non ne avevo accesa nemmeno una, per tutta la giornata.
Bakugo si sedette silenzioso al mio fianco, passandosi una mano tra i capelli appuntiti e prendendo un respiro.
"Capelli di Merda, al mondo esiste solo una cosa che mi fa ridere".
La mia curiosità si accese istantanea come un albero di Natale.
Avevo già il sorriso stampato in faccia, e Dabi era scomparso per un attimo dalla mia mente.
"Ovvero?"
"I pinguini antartici".
I pinguini antartici?
È impazzito.
"Seh".
"S-sono carini, no?" risposi ridacchiando, senza comprendere il suo discorso.
"Sono carini, meh, e sono 12 fottuti milioni, Kirishima. Sai che cosa significa questo, ah?"
Involontariamente, cominciai già a ridere.
"No, che significa?"
Quello ghignò divertito, ricominciando a parlare.
"Significa, Capelli di Merda, che se i fottuti pinguini antartici decidessero di invadere Malta, dove vivono circa 502.653 persone, ogni maledetto abitante dovrebbe combattere contro almeno 24 pinguini. La invaderebbero, capisci?"
Ci fu un attimo di silenzio, all'interno del quale cercai stoicamente di darmi un contegno.
Non ci riuscii, e scoppiai a ridere come una bomba ad orologeria, rumoroso come non mai.
Vidi una risatina attraversare il volto del Biondo, prima che riprese il controllo del solito broncio.
Si alzò di scatto, sistemandosi il pigiama e puntandomi addosso lo sguardo.
Lo provocai ridendo, perché la verità è che mi piaceva da morire farlo arrabbiare.
"È proprio vero che sei un burlone, Kacchan!"
Quello strinse i pugni infastidito, riprendendo a marciare verso la sua stanza come un cane rabbioso.
"Taci, coglione, sveglierai il vicinato. Adesso dormi, altrimenti ti sbatto fuori." ringhiò, per poi sparire sull'uscio della sua porta.
"Buonanotte, Baku, e grazie, grazie di cuore!" dissi tra una risata e l'altra, continuando a pensare agli abitanti di Malta contro i pinguini antartici.
Quella notte mi addormentai ridendo, senza nemmeno rendermene conto.
E senza nemmeno una sigaretta.
"Vai a fare in culo e dormi, coglione." rispose quello dall'altra stanza.
Mai buonanotte fu così dolce.
Diceva di essere un mostro, Bakugo Katsuki.
In verità, era soltanto un burlone.
Ed un bambino dal cuore grande. Il più grande che avessi mai incontrato.
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