7. Compromessi

Trecentotrenta giorni prima.



"Come se non fosse successo niente!" esclamò Capelli di Merda, pulendosi soddisfatto le mani dopo aver rimesso per la seconda volta a posto la moto.

La gara era finita, avevo fatto mangiare la polvere al fottuto MerDeku, e potevo anche smettere di trascorrere i miei pomeriggi in quell'officina del cazzo.

Avevo smezzato la mia parte col Rosso, gli avevo offerto un maledetto dolce in caffetteria, e avevo ripagato profumatamente tutti i miei debiti.
Nulla più mi avrebbe ancorato a quel ragazzo.
Nulla.
Assolutamente nulla.

Un dubbio mi balenò a quel punto per la testa, ripensando al maledetto Awase, il mio meccanico, e al suo fottuto braccio rotto.
Mi sarebbe andato bene il suo ritorno in crew?
Mi sarebbe andato bene tornare a gareggiare senza Kirishima Eijiro?

Quel cagasotto era stato chiaro, non avrei dovuto domandargli più di presenziare ad un torneo.
Eppure avevamo fatto maledette scintille su quella pista, e le sue mani ruvide avevano aggiustato quello che il cazzo di Awase, quello che tutto il maledetto pianeta, non sarebbe mai riuscito ad aggiustare.

Io però ero Bakugo Katsuki.
E non avrei supplicato proprio nessuno.
Nemmeno per il miglior meccanico della città.
Nemmeno per l'unica persona al mondo che aveva deciso di entrare a far parte del mio team, senza chiedere nulla in cambio.

Ma che cazzo vai a pensare, Katsuki?!

"Dunque direi che siamo a posto così, giusto, Capelli di Merda?" ringhiai, allungandogli l'ultima banconota, per l'ultima volta.

Quello la rifiutò con un gesto della mano.
Improvvisamente, il suo sorriso onnipresente si spense lento.

"So che non vuoi debiti, Biondino. Però non voglio altri soldi, sul serio".

Alzai gli occhi al cielo infastidito.
Perché cazzò aveva sempre da ridire?!

"Sono tuoi. Li hai lavorati. Te li prendi e non rompi i coglioni. È un ordine".

Ma quella testa di cazzo tornò a ridacchiare, allontanando chissà quale pensiero con un gesto della mano.

"Ascolta, Bakugo, probabilmente non puoi capirlo, ma portandomi in pista, credimi, mi hai fatto un enorme regalo. Mi sentirei in colpa ad accettare altri soldi. Hai diviso con me il premio, e adesso ho soltanto fatto ripartire la centralina e levato lo zucchero dal serbatoio, non serve che tu paghi questo intervento".

Per un momento rimasi in silenzio.

Che cazzo devo fare adesso?

Ritirai quatto la banconota, indeciso se parlare o insistere per far sì che si facesse come volevo io.

Il Rosso approfittò del momento per lasciar cadere un gomito amico sulla mia spalla, infastidendomi più che mai.

"Beh, sicuramente da oggi in poi berremo il caffè amaro, giusto, biondino?" trillò sghignazzando e illuminando l'intera fottuta stanza con il suo inestinguibile sorriso.

"Io lo bevevo amaro già da prima, Capelli di Merda".

"Chi diavolo ti costringe a bere il caffè senza zucchero?" domandò ancora ridendo.

"Il 34% della popolazione, Testa di Merda. Con i denti cariati a causa dello zucchero. Per non parlare del sangue, del diabete e tutte quelle cazzate lì".

Come al solito, il Rosso scoppiò a ridere fragoroso, accompagnandomi allegro verso l'uscita, ancora col maledetto gomito sulla mia spalla.

Eravamo agli sgoccioli.

Non avremmo avuto più niente da spartire.

Mi domandai per un attimo come fosse potuto accadere.
Come avevo fatto a legarmi così forte a quel ragazzo?
E come cazzo avrei fatto a sciogliere il tutto così velocemente, di punto in bianco?

Che cosa diavolo avrei fatto, da quel momento in poi, senza trascorrere i pomeriggi nella maledetta officina?

Mi diedi un violento schiaffo morale, infilandomi stizzito il casco e salendo in sella alla mia moto.

Strappa il cerotto più velocemente che puoi.

"Beh, ci si vede allora, Capelli di Merda." grugnii mettendo frettolosamente in moto e cercando di allontanare il violento pensiero che quella vita mi sarebbe potuta mancare.

Quello agitò una mano in segno di saluto, esibendo per un'ultima volta i canini, poggiato al muro del portone d'uscita.

"Grazie per l'avventura, Biondino!"

Senza bisogno di ulteriori parole, secco e veloce, partii.
Nessun rimpianto, nessuna mancanza.

Grazie a te, Kirishima Eijiro.

Quel giorno ero tornato a non avere un cazzo di posto in cui sentirmi semplicemente me stesso.

Troppo presto per il lavoro, filai dritto nel mio cazzo di appartamento, ficcando la testa sui libri e alzandola soltanto a mezz'ora dall'inizio del turno.

Tutto come prima.

Era tornato tutto come il fottuto prima.


L'indomani, dopo una notte di lavoro fottuta e irritante, mi trascinai come sempre all'Università, evitando il parcheggio principale per non imbattermi nel maledetto MerDeku prima del dovuto.

Trascorsi la giornata a scuola, tra lezioni e corsi pomeridiani che mi facevano cagare e che, ovviamente, non avevo scelto io.
Calcolo avanzato, algebra, economia e tutte quelle cazzate che mi avrebbero permesso di prevaricare su tutto il resto del mondo.
E di essere estremamente infelice.

Mi stavo dirigendo verso la moto, con TodoMerda e Deku Fottuto alle spalle, quando passai accanto al campo sportivo. Era pomeriggio inoltrato.

Un'insolita chioma color rosa shock catturò la mia attenzione, ed io mi avvicinai un po' di più, arrestando la mia funesta marcia verso il parcheggio.

Una ragazza era seduta sulle panchine, accanto a due tipi dall'aria estremamente stupida, dai capelli biondi e neri, ma decisamente familiari.
Stavano guardando la partita di rugby.

Istintivamente, portai lo sguardo sugli atleti.
E proprio allora, mi ritrovai nuovamente senza fiato, distrutto da un numero irriverente di probabilità che mi franarono addosso, schiacciando insolenti tutte le mie convinzioni.

Al centro del campo, con la maglia della squadra, Eijiro Kirishima.

Che cazzo ci fa qui?

Non riuscii a controllare le mie azioni.
Lentamente, mi avvicinai alla rete del campo, con lo sguardo fisso su Capelli di Merda, sudato e concentrato, come poche volte lo avevo visto.

"Kacchan! Ma quello non è Kiri-kun?" domandò il rammollito, ricordandomi improvvisamente della sua fottuta ed infernale presenza.

Almeno il Bastardo Diviso a Metà tiene la maledetta bocca chiusa.

Come richiamati dal Demonio in persona, i tre decerebrati seduti sulla panchina si animarono improvvisamente, voltandosi ad occhi spalancati verso di noi.

Ecco dove li ho visti.
Sugli spalti, alla gara.
Capelli di Merda guardava sempre verso di loro.

"Ehi! Ma tu sei Bakugo Katsuki!" esclamò la Rosa, puntandomi addosso lo sguardo.
"Hai gareggiato con Kiri! Siamo venuti a vedervi, eravamo lì!" spiegò diligente, evitando con astuzia qualsiasi fraintendimento.

"Oh! Siete gli amici di Kirishima!" esclamò a quel punto MerDeku, scattando in avanti.
"Io sono Izuku Midoriya, e lui è Shoto Todoroki!"

Patetici.
Tutti patetici.

Il mio sguardo tornò a concentrarsi soltanto sul Rosso.

"Stai scherzando, bro?! I FAMOSI DEKU E TODOROKI! KiriBro sta cercando da circa tre mesi di farci conoscere!" esclamò a quel punto il Biondo, balzando in aria euforico.

Poi intervenne il corvino, con un sorriso di circostanza stampato in volto.
"È un piacere conoscervi finalmente! Noi siamo-"

"Mina, Denki, e Sero." li interruppi alzando le spalle e ghignando sornione.
"Quella testa di merda parla di voi in continuazione".

"Cazzo, allora ci vuole bene per davvero!" trillò nuovamente il Biondo, lasciandomi comprendere in un fottuto nanosecondo che era senza dubbio lui, quello intelligente del gruppo.

"Ah, e lei è Momo!" aggiunse il Fulminato, indicando una ragazza seduta nella panchina a fianco, immersa totalmente tra le pagine di un libro.
Non ci degnò di uno sguardo, probabilmente nemmeno sentì.

Ecco.
Quella è l'unica che mi piace.

"Stiamo cercando di trascinarla fuori dall'Università, ma niente sembrerebbe motivarla più dei libri!" sentenziò Ashido Mina, alzando al cielo gli occhi scuri, come quelli di un fottuto procione.

"Cosa studia?" domandò a quel punto TodoMerda, sforzandosi di integrarsi, ma con buoni risultati rispetto ai suoi soliti fottuti standard.

"Design del prodotto!" rispose il Corvino, con una nota di orgoglio sulla punta della lingua.

Quindi anche Eijiro studia qui?

Perché non l'ho mai visto?

Quale facoltà?

Perché cazzo mi interessa così tanto?!

"Oh! Quindi anche voi-" cominciò il Nerd di merda, per poi essere subito interrotto da Sero.

"No, per carità! Noi tre studiamo arte, musica e spettacolo! Anche Kiri!"

Musica, arte e spettacolo.

Per un attimo rimasi sorpreso.

Non credevo che Capelli di Merda studiasse.
E per giunta, nel mio fottutissimo polo universitario.

Le probabilità?

Una sola.
Su circa novecentomila.

"Insomma, ragazzi, era proprio destino che ci incontrassimo! Perché un giorno di questi non andiamo da qualche parte insieme? Chessò, alla sala giochi, al cinema, al parco!" propose il Biondo, classificandosi per un attimo, un solo attimo, al primo posto della classifica di persone che mi stavano più sul cazzo al mondo, superando persino MerDeku.

"Volentieri!" rispose pacato TodoMerda, ed io mi allontanai di un passo, rendendo chiara ed evidente la mia esclusione da qualsiasi tipo di rottura di coglioni avessero intenzione di organizzare.

Ritornai a concentrarmi sulle cose serie, ad esempio la maglietta sudata di Capelli di Merda, e la sua corsa folle all'inseguimento della fottuta palla.
Si stava impegnando al massimo.

"Non credevo che Capelli di Merda facesse sport." grugnii a sopracciglia aggrottate, dando voce ai miei maledetti pensieri impiccioni.

"Sin dalle elementari, in realtà.
Ultimamente ci sta dando parecchio dentro, sai, l'ha aiutato molto dal.."
La ragazza si bloccò istantanea.
Corresse il tiro in fretta, con disinvoltura assoluta.
"Dal liceo in poi!"

Cosa mi nasconde?

Non sono cazzi tuoi, Katsuki.

Trascorsero soltanto pochi minuti di inutili chiacchiere prima del termine della partita. E fu proprio allora che il Rosso si diresse verso i suoi amici, con un'asciugamano bianca al collo, e il sudore che gli scendeva lungo la fronte aggrottata.

Ci mise qualche secondo a realizzare ciò che stava succedendo.
Ghignai fiero quando però, il suo sguardo, volò subito, diretto e stupito, verso di me.

Il resto del fottuto universo non c'era più.

Accelerò il passo verso di noi, sventolando in aria una mano in segno di saluto.

"B-biondino!" esclamò carico di euforia raggiungendoci, per poi rendersi conto dell'esistenza del resto del mondo.

"Midoriya! Todoroki! Ci siete anche voi!"

"Ne abbiamo approfittato per fare amicizia!" ridacchiò il Verde, accennando con lo sguardo ai tre seduti sulla panchina.

Gli occhi del Rosso tornarono sui miei.
"Non dirmi che sei un loro compagno!" esclamò sorpreso, puntando il dito contro MerDeku e l'altro stronzo bicolor.

"Meh".

Proprio allora, Kirishima scoppiò in una fragorosa risata, che riecheggiò per tutto il campo sportivo.

"Ecco perché tutte quelle percentuali!" disse cercando di recuperare il respiro.
"Statistica! Come ho fatto a non pensarci?"

Si stava sbellicando dalle risate.

Che cazzo c'è di divertente?

Fu il Biondo Fulminato ad interrompere i suoi deliri.
"Sai, bro, stavamo organizzando un'uscita tutti insieme! Sei dei nostri, no?"

Gli occhi del Rosso si accesero come fuochi d'artificio.

"Ci puoi scommettere!" rispose energico, avvicinandosi a me e poggiando un gomito sudato sulla mia spalla.

"E tu, Biondino, quante sono le probabilità di riuscire a trascinarti con noi?"

"Direi nulle." ringhiai serio.

Ma con quella testa rossa, avevo perso in partenza.


E fu così che nel maledetto giro di due settimane, quei cinque idioti si unirono a TodoMerda e MerDeku, divenendo a tutti gli effetti dei fastidiosissimi rompicazzo che si infilarono prepotentemente nella mia maledettissima vita.

Avrei avuto bisogno di qualsiasi altra cosa.
Ma non di ulteriori rotture di cazzo.

In poco tempo compresi diverse cose su quel gruppo informe di spaccapalle.

Uno, la Secchiona non sarebbe mai e poi mai riuscita a tirare fuori la nobilissima testa dai suoi libri. Semplicemente perché non era minimamente interessata al resto del fottutissimo mondo.
Due, la scoppiata dai capelli rosa nutriva una certa e spaventosissima forma di iperprotettività nei confronti di Kirishima, e sembrava andarne particolarmente fiera.
Tre, il Fulminato riusciva ad essere, contemporaneamente, l'essere umano più stupido e brillante sulla faccia del pianeta nello stesso istante di tempo.
Quattro, Sero Hanta era una maledetta pattumiera ambulante. Ingurgitava qualsiasi schifezza presente sul globo, e cercava costantemente di convincere gli altri quattro ad andargli dietro, con ovviamente scarsissimi risultati.

E, infine, cinque, Capelli di Merda teneva a loro molto più di quanto tenesse a sé stesso.

Un'analisi poco profonda ma dignitosamente sufficiente per accettare sommessamente la convivenza forzata che quelle Comparse maledette mi imposero contro la mia fottuta volontà.

Sala giochi, serate, mangiate, cinema, e ancora mangiate.
Lo detestavo.

Eppure riuscivo sempre a farmi trascinare dal maledetto meccanico, ed alla fine, forse inconsciamente, ritrovavo in ogni caso un po' di respiro nelle loro futili rimpatriate.

Fu proprio durante una di quelle sere che le cose cominciarono a prendere una piega diversa.
Una maledettissima piega.
Una piega che non mi piacque per niente.

Di ritorno ad un orario del cazzo, con le lezioni che sarebbero cominciate di lì a qualche ora, in un fottuto locale, il secondo della serata per essere precisi, a due passi dal mio appartamento, ci ritrovammo tutti a camminare verso il maledetto parcheggio.

Lì ci attendevano 5 moto, e una bicicletta, quella scassata del fottuto Kirishima.

In poco tempo salirono tutti sui propri mezzi e, chi più in fretta e chi meno, si dileguarono verso casa.
Rimanemmo soltanto io e il Rosso, come ogni dannatissima volta.

Aspettava sempre che ripartissero tutti prima di mettersi in sella alla bicicletta, le poche volte in cui non si prendeva la briga di accompagnare Occhi da procione o MomoSecchia a casa.

Quella sera però, mosso a compassione, non alzai i maledetti tacchi, e rimasi per qualche minuto con lui.

"Quanto ci metti ad arrivare a casa?"

Quello mi sorrise, con le guance più rosse del solito, forse a causa del caldo, o di tutto l'alcol che aveva bevuto qualche ora prima.

"Un'oretta circa." rispose poggiandosi all'ammasso rosso di ferraglia con ruote che trascinava ovunque.

Avrebbe avuto circa venti minuti per dormire.
Poi sarebbe ripartito per l'Università, alle prime luci dell'alba.

Ma quando cazzo dorme questo coglione?

Non so perché aprii la maledetta fogna.
"Senti, Capelli di Merda, perché non fai una prova?"

Quello aggrottò un sopracciglio in risposta.

"Di che prova parli, BakuBro?"

Quel fottuto soprannome me lo aveva affibbiato il Fulminato, e sorvolerò sul brivido di disgusto che mi causava ogni volta che lo sentivo uscire dalla bocca di qualcuno di quei ritardati.

"A guidare." asserii secco, levando dal cavalletto la mia moto ed avvicinandola appena al Rosso.

"Senti, non ci vuole un cazzo. È come andare in bicicletta, poi conosci bene le moto, insomma, lo fanno anche i pivelli".

Vidi la sua espressione mutare in una frazione di secondo.
La sua mano grande andò automatica a tastare la tasca destra dei pantaloni, quella dove teneva le maledette sigarette.

"I-io non... Non credo che-"

Lo interruppi subito.

Erano cazzi miei?
No.

Perché lo feci?
Non lo so, dannazione.

Sapevo che l'indomani avrebbe lavorato duro, e forse si meritava un po' di sonno in più, al posto che passare le poche ore che gli erano rimaste a pedalare come un coglione.

"Dai, sali. Ti insegno io".

Un brivido attraversò la schiena del Rosso, ed io lo vidi chiaramente.

"N-non... È la tua moto, io non credo che-"

"Pazienza, Capelli di Merda. Tu puoi toccarla, la moto. E se si rompe me la rimetti a posto gratis. È un buon compromesso. Avanti, sali".

Non gli lasciai posto per alcuna protesta.
Portò il culo sulla sella della moto.

E proprio in quel momento, quando afferrò con assoluta, seppure tremolante, maestria il volante, mi resi conto che qualcosa non andava.

Una voce dentro di me cominciò ad urlare qualcosa che lì sul momento ignorai bellamente, mentre i piedi del Rosso si posizionarono esattamente dove avrebbero dovuto essere, e il suo pollice ed indice andarono a sfiorare la chiave con decisione, indovinando la posizione della toppa al primo colpo.

Lui sa andare in moto.

"Avanti, gira la chiave." sentenziai freddo, analizzando con estrema accortezza ogni elemento anomalo di quella situazione.

Perché cazzo stava tremando?

Era una fottutissima moto. Le aveva tra le mani dalla mattina alla sera, e il fottuto sellino non gli avrebbe masticato i coglioni da un momento all'altro.

Kirishima ubbidì.
Con un gesto titubante e la fronte imperlata di sudore, accese la mia moto, che rombò fiera nel silenzio della notte afosa.

Io ghignai soddisfatto.
E fu proprio allora che la moto, di punto in bianco, si spense.
O meglio, il Rosso la spense.

"S-scusami.." sussurrò scattando giù dal veicolo, in preda ad un forte tremore che non riuscii in alcun modo ad interpretare.

"I-io non... Non ce la faccio." continuò tutto d'un fiato, voltandosi di lato per nascondere al mio imperscrutabile sguardo i suoi occhi lucidi.

"Che cazzo ti prende, ah, Kirishima?" domandai aspro, avvicinandomi a lui.

"Scusa, Bakugo, non... Non mi sento molto bene." aggiunse a basso tono, stupendomi con uno scatto fulmineo verso il retro del parcheggio, pieno zeppo di fratte marce e cespugli incolti.

Davanti ai miei occhi increduli, il Rosso ci si nascose in mezzo, vomitando in un sacchetto raccattato dal cestino della sua bicicletta tutto il veleno che aveva in corpo.

Rimasi pietrificato.

Cosa diamine sta succedendo?

Titubante mi avvicinai ancora, con le mani ficcate in tasca.
Kirishima era lì.
Indifeso come un cazzo di bambino, in preda a continui ed ingiustificati tremolìi.

Fatti i cazzi tuoi, Katsuki.
Lascialo stare.

Ovviamente non lo feci.
Impacciato come non credevo nemmeno di essere, mi avvicinai ulteriormente lui, poggiando la cazzo di mano sulla sua fronte, mentre riprendeva a vomitare l'anima fottuta.

Ignorai bellamente le malattie che avrebbe potuto trasmettermi quel coglione, nonostante mi passarono tutte in rassegna nel momento esatto in cui la mia mano toccò la sua fronte sudata.

Salmonella, Scarlattina, Gastroenterite.

Piantala, Katsuki.

Sapevo riconoscere un attacco di panico quando lo vedevo.
E quello fu forse il più violento al quale dovetti assistere nella mia merdosissima vita.

"Vuoi dell'acqua, Capelli di Merda?" domandai per smorzare la tensione, sperando che il deficiente smettesse di tremare come un fottuto chihuahua, e soprattutto di vomitare.

La sua risposta mi spiazzò ulteriormente.
"U-una sigaretta".

Che cosa?!

"Che cazzo stai dicendo, ah, Kirishima?!"

Il Rosso si irrigidì ancora di più.

"Dammi una sigaretta, Bakugo, mi serve." rispose secco, colto da ulteriori conati, che cercò di trattenere il più possibile.

Sommessamente acconsentii, tirando fuori il suo pacchetto dalla tasca, ed estraendo sigaretta e accendino.

Con la mano libera li afferrò avidamente, accendendosi la cicca e ficcandosela tra le labbra.

In quel momento, dopo non so quanti minuti, lo vidi tornare a respirare.

"Il fumo ti ammazzerà, Capelli di Merda." ringhiai incazzato, puntando sulla sigaretta lo sguardo severo.

Il Rosso dal canto suo sembrò aver recuperato il lume.
I suoi tremolii si placarono lenti, e quella testa di cazzo alzò lo sguardo verso di me.

"Sono altre, le cose che ammazzano, bro." ghignò inspirando un'altra boccata di fumo e mostrandomi ancora i canini da squalo.

Non c'è niente da ridere, Kirishima.

Fu in quel momento che mi allontanai.
Aveva ripreso a ragionare.

Con gli occhi lucidi, le guance arrossate, un sacchetto pieno di vomito, e i capelli di merda scombinati, Eijiro Kirishima aveva mosso in me una vaga tenerezza, che mai e poi mai sarei riuscito a spiegarmi.

Una punta di senso di colpa mi pizzicò la gola, e la mia testa ricominciò a divagare.

È colpa tua, Katsuki.

Lui sa guidare.

E non vuole farlo.

Semplice, forse elementare.
Eppure ignorai ancora le mie sensazioni.
Che, per inciso, si rivelarono vere di lì a poco.

"Muovi il culo, andiamo a casa." ringhiai spazientito, ficcandomi le mani in tasca e rinunciando all'idea di riportare la moto indietro.

"Mi sembra un'ottima idea!" rispose il Rosso, sigillando il sacchetto disgustoso e cestinandolo.
Si fiondò, ancora con la sigaretta in bocca, sulla bicicletta.

"A domani, Bakugo!" esclamò, montando in sella ed aspettando, come sempre che mi allontanassi.

Alzai gli occhi al cielo, infastidito a morte dalla sua totale mancanza di perspicacia e cervello.

"Ho detto ANDIAMO a casa, idiota, non VATTENE a casa. Molla lì quel rottame e muovi il culo. Io, al contrario di te, voglio dormire".

Quello inclinò la testa da un lato, legò di nuovo la bici alla catena e mi raggiunse confuso.

"B-bakugo io non ti sto capendo.."

Razza di cretino.

"Hai vomitato come un bastardo, sono le fottute quattro e mezza del maledetto mattino e siamo a due passi da casa mia. Ora stai capendo o devo spedirti un cazzo di invito ufficiale?"

Vidi i suoi occhioni rossi spalancarsi, sempre più sorpresi.

La sua reazione mi lasciò perplesso.
"Ascolta, Biondino, non sentirti obbligato. Insomma, mi sento bene, te lo assicuro. Avrò bevuto troppo!"

Maledetto bugiardo.

Poi continuò.
"Casa tua, insomma, è affare tuo, Bakugo, e io ho capito che le persone invadenti non ti piacciono, te lo giuro, l'ho capito".

Un ghigno amaro mi attraversò le labbra.
Il suo discorso mi toccò, non fraintendetemi, ma io ero un maledetto stronzo insensibile, ricordate?

"E perché cazzo continui a trascinarmi in tutte le vostre fottute e fastidiose attività ricreative?" domandai continuando a camminare verso casa, col Rosso dietro.

Si risentì.
Me l'ero cercata, dopotutto.

Non era però quello che volevo.
Semplicemente mi sentivo iperteso.
Nessuno era mai entrato nel mio cazzo di appartamento, prima di allora.

Per lui sarebbe stata la prima ed ultima volta, ed io volevo che fosse chiaro.

"Credevo ti piacesse uscire con noi, Bakugo. Però puoi stare tranquillo, insomma, non insisterò più!" sentenziò quello, abbozzando un inaspettato sorrisetto che non riuscii a decifrare in alcun modo.

Perché cazzo sorridi sempre?

Ti ho appena fatto del male.

Nell'intero isolato risuonavano soltanto i tonfi sordi dei nostri passi, interrotti soltanto nuovamente dalla voce di Eijiro.

"Te lo ripeto, Bakugo, non è necessario che io venga, di solito dormo poco, quindi non sarà un problema. Poi che diranno i tuoi? Grazie dell'invito, ma forse è meglio che io-"

Lo interruppi bruscamente.
"Vivo da solo, i miei non ci saranno. Mi stai dando immensamente fastidio, è vero, ma l'idea di mollare il mio meccanico mezzo ubriaco in strada alle quattro del mattino, dopo che ha vomitato la fottuta anima dietro un cespuglio, mi infastidisce di più".

Tirai fuori le chiavi dalla tasca, avvicinandomi alla porta ed aprendola bruscamente.

"Fai come cazzo vuoi, Capelli di Merda. Non sono tuo padre. Se vuoi la porta è aperta, altrimenti vai dove diamine ti pare".

E quello, in silenzio religioso, mise su un altro sorriso, entrando dopo di me e richiudendosi la porta alle spalle.

Molto tempo dopo, ripensando a quella sera, mi resi conto che Eijiro avrebbe fatto di tutto pur di non entrare là dentro.

Ma Kirishima era fatto così.
Non sapeva rifiutare un invito, e quello, per fortuna o meno, l'avevo già imparato a mie spese.

Entrò in punta di piedi, sfilandosi le scarpe e bisbigliando un 'permesso' soffocato, quasi avesse avuto paura di dare più fastidio del dovuto.

Eccome se me ne diede, di fastidio.
Ma dopotutto me l'ero cercata.

Me l'ero cercata perché in cuor mio sapevo di averlo fatto sentire male.
Sapevo che era colpa mia.
Sapevo che qualcosa non andava, con quella cazzo di moto.

Ma relegai quei pensieri in un angolo della mia mente, perché infondo non mi importava un cazzo di lui, dei suoi maledetti problemi, e di quanto tentasse disperatamente di trascinarmi con loro ovunque andassero.

Io avevo già le mie gabbie, e non avevo bisogno di altro.

Avevo pagato il mio debito, invitandolo là dentro, e lui l'aveva capito benissimo.
Faceva lo stupido, Kirishima, ma non lo era per niente.

"Entra, non c'è bisogno dei salamelecchi. Nel secondo cassetto del bagno ci sono le asciugamani, prendi quelle che ti servono. Ti lascio sul tavolo un fottuto pigiama".

"Sissignore!" esclamò quello ridacchiando, sentendosi immediatamente a proprio agio.
Avanzò lentamente, ed io rimasi piacevolmente sorpreso nel constate che non commentò il mio fottuto appartamento.
Si fece i dannati cazzi suoi.

Mi avvicinai al frigo, agguantando due bicchieri di acqua gelata e porgendogliene uno, che accettò con un altro sorriso e tracannò in pochi secondi.

"Tu dormi sul divano. Puoi fare il cazzo che vuoi ma non fare rumore e non ti azzardare a fumare qua dentro." ringhiai puntandogli gli occhi addosso.

Quello ridacchiò, portandosi due dita sulla fronte e poggiando il bicchiere oramai vuoto sul tavolo.

"Agli ordini, Capitano!"

Scossi il capo infastidito da quel giochetto e mi fiondai in camera, a cercare un cuscino, un pigiama e una dannata coperta per il Rosso.

Quando tornai lo ritrovai esattamente dove lo avevo lasciato, seduto, a smanettare con lo smartphone dalla cover rossa come l'inferno maledetto.

Gli lasciai il pigiama tra le mani, e lui, come un maledetto bambino, filò in bagno a lavarsi e cambiarsi.
Io aspettai silenzioso, incapace di mettermi serenamente a letto sapendo che qualcuno stava smanettando coi rubinetti del mio fottuto bagno.

Perché cazzo lo hai invitato?

Non hai già abbastanza problemi a cui pensare, Katsuki?

Fu in quel momento che il Rosso uscì, con i miei maledetti vestiti addosso, che un po' stringevano sui pettorali ben definiti.

Cosa cazzo guardi, Katsuki?!

Distolsi in fretta lo sguardo, alzando il culo dal divano, pronto a fiondarmi finalmente a letto per reclamare le poche ore di sonno che mi erano rimaste.

La voce fastidiosa del Rosso arrestò però il mio cammino.

"È una reflex, quella?"

Mi voltai.
Avevo lasciato la macchina fotografica incustodita, al centro esatto del tavolo.

L'oggetto al quale tenevo di più, dopo la mia moto, ovviamente.

"Meh".

Ho parlato troppo presto.
È un fottuto impiccione.

"La usi tu?"

"E chi cazzo dovrebbe usarla?"

"È bellissima! Posso vederla?"

Non l'avevo mai permesso a nessuno.
Nemmeno lui avrebbe dovuto.

Eppure, quella dannata luce, la vidi brillare nei suoi occhi soltanto quando mise le mani nella mia moto.

Era qualcosa di più della semplice curiosità.
Erijiro Kirishima si illuminava così soltanto di fronte alle cose che amava.

"Fai." ringhiai totalmente contrariato, ma incapace di oppormi.

Perché non riesco mai a dirti di no?

Il rosso agguantò la macchina fotografica, cominciando a passare in rassegna tutte le foto, e regalandomi un pizzico di fastidio sulla punta della lingua, che cercai in tutti i modi di ignorare.

"Santi numi, Bakugo!" esclamò quello, soffermandosi su uno scatto che ricordavo benissimo.

Rivolse a me uno sguardo colmo di luce, mostrandomi i canini appuntiti.

"Lo sai che non puoi tenere tutto questo relegato qua dentro, vero?" mi disse, sventolandomi davanti alla faccia lo schermo della macchina.

Inarcai un sopracciglio.
"Ah?"

"Guarda, Bakugo, diamine! Sei un artista! Devi assolutamente partecipare al concorso della scuola!" esclamò riprendendo a sfogliare il rullino.

Rabbrividii al solo pensiero.
"Cosa cazzo stai dicendo, Capelli di Merda? Io sono un matematico, non perdo tempo con questa merda".

E intanto il cappio delle mie gabbie ricominciò a stringermisi attorno al collo.
Lo portavo come collana, oramai, pronto a soffocare da un fottuto momento all'altro.

Se soltanto avesse saputo, di tutti i pugni al muro, di tutte le liti e di tutte le serrande chiuse.
Di tutte le sigarette, dell'odore nauseabondo delle mie galere.
Se soltanto avesse saputo.

Quello non mi ascoltò nemmeno per un secondo.
"Sei ancora in tempo! Quel concorso ti regala una borsa di studio per l'accademia più rinomata del Giappone! Devi partecipare! Tu devi assolutamente partecipare, Biondino!" trillò balzando in piedi e guardandomi ancora una volta con le sue pozze colme di ammirazione e luce.
Dannatissima luce.

Non posso.

E non potevo per davvero, maledizione.

"Chi è?" domandò il Rosso a un certo punto, continuando a passare in rassegna il mio rullino.

"Ah?"

"La tua ispirazione. Chi è?"

Alzai gli occhi al cielo, colto in maledetto flagrante.
"Michael Kenna".

Tanto cosa cazzo ne capisci.

Il Rosso scattò curioso verso di me. Nemmeno un accenno di sonno nei suoi occhi.
Soltanto pura emozione.
Come quella di un maledetto bambino.

"Michael Kenna, hai detto? Ho quattro libri a casa, diamine, posso regalarteli tutti! Non credevo ti piacesse l'arte!"

"È fotografia." ringhiai risentito.

Quello sorrise sornione, mostrandomi i maledetti canini ancora.
"È arte".

Touché.

"E Fontana? Fontana ti piace?"

"No. Troppo fottuto colore".

Il Rosso rise di gusto.
"Immaginavo".

Cosa cazzo ne vuoi sapere di me.
Cosa cazzo ne vuoi sapere di fotografia.

"Ti prego, Bakugo, dimmi che ne hai altre." mormorò ad un certo punto, esaurendo la galleria.

Ed io, di nuovo, non riuscii in alcun modo a negargli ciò che mi chiese.

"Vieni." sentenziali a basso tono, alzandomi dal divano e dirigendomi nella mia stanza striminzita.

Lui silenzioso mi seguì, quasi incredulo di fronte alla proposta che sorprese persino me stesso.

Nessuno era mai entrato lì.
Nessuno.

Nemmeno qualche ragazza incontrata per caso alle feste, che avevo portato a casa mia per scopare e che non avevo mai più rivisto.

Fu davvero strano accogliere per la prima volta in camera mia qualcuno di diverso dal sottoscritto.

Cercai comunque di non dare troppo peso e di non ancorarmi a quella sensazione di assoluta violazione dei miei intoccabili spazi personali.

Mi fiondai verso il primo cassetto della scrivania, raccattando la scatola con le micro sd vecchie.
Ne cercai una in particolare, per poi lasciar cadere le altre al bordo del mio letto.

"Questa è la mia preferita." sussurrò porgendogliela, e lui la sostituì abilmente, curioso, quasi avido, di fronte a tutte le mie foto, che, giusto per precisare, non avevo mai mostrato ad anima viva.

In una sola cazzo di notte, quello stronzo dai capelli di merda aveva abbattuto un centinaio di muri.

Lo vidi lentamente lasciarsi prendere dalla sorpresa più totale.
Sfogliava il mio rullino a bocca spalancata, ingrandendo ogni scatto, soffermandosi ad ammirare ogni piccolo, striminzito dettaglio.

Grande, grosso e con le mani ruvide.
Si scioglie di fronte ad una macchina fotografica.

"Lo conosco questo posto!" esclamò ad un certo punto, mostrandomi una fotografia che scattai qualche anno prima, sulle cime di un laghetto di montagna non molto distante da casa.

"Sai che puoi salire molto più in alto?" domandò sorridendo.

"Cazzate. Ho controllato, è il punto più alto".

"No, Bakugo! Tu devi prendere la moto, infilarti nella stradina ripida tra questi due alberi, li vedi? Ecco, la imbuchi e sali di più, è stretto ma ci passi comunque se sei da solo! Il panorama è mozzafiato! Ci sono andato un milione di volte!"

Non dirlo, Katsuki.

Non dirlo.

Non dirlo.

Non dirlo.

Non-

"Allora la sai guidare la moto, ah?"

Il silenzio calò sulla stanza.
Proprio allora mi resi conto di aver spento nuovamente quel sorriso luminoso.

La sua mano destra andò a tastare la tasca dei pantaloni, quella con le maledette sigarette.

Poi riprese a sorridermi, con meno luce di prima.

"S-sono salito a piedi".

Bella scusa di merda.

Decisi però di non infierire.
Anche perché a me delle sue decisioni non fregava un emerito cazzo.

"A te chi piace?" domandai sedendomi sul bordo del letto, e porgendo al Rosso una nuova schedina per la fotocamera.

"McCurry." rispose lui immediato, recuperando la luce che con quattro maledette parole gli avevo levato.

"Scontato." ghignai sornione, e lui ignorò la stoccata con una risatina.

"Luigi Ghirri." continuò, e in quel momento rimasi a dir poco sorpreso.
Soltanto gli Dei sapevano quanto amassi quel fotografo.

Un sorriso spontaneo mi si disegnò sulle labbra ed io non me ne resi nemmeno conto.
Lo lasciai scivolare leggero, e Kirishima non se ne perse nemmeno un istante.

"Devi iscriverti".

Detesto l'insistenza.

"Non ne ho un cazzo voglia".

Una fragorosa risata uscì rumorosa dalle sue labbra.
"Bakugo, se non ti iscrivi da solo lo faccio io al tuo posto, te lo giuro!" esclamò dispettoso, continuando a sfogliare estasiato le fotografie della nuova schedina.

"Non deve saperlo nessuno." ringhiai amaro, rendendomi conto soltanto allora che avevo perso nuovamente di fronte a un maledetto ciuffo di capelli rossi.

"Prometto!" rispose quello, dipingendo una croce immaginaria in corrispondenza del cuore, in segno di giuramento.

"Vedrai, sarà una figata! E tu sei un artista!" continuò sempre più emozionato.

Ed io lentamente iniziai a sentire il nodo del mio cappio allentarsi, e l'ossigeno entrare nei miei polmoni.

Non puoi farlo, lo sai bene, Katsuki.

Ma io l'avevo fatto lo stesso.
E per un attimo assaporai il dolce profumo della libertà.
Il dolce profumo dell'emozione.

Il primo brillante colore di una vita in bianco e nero.

Ed ovviamente era rosso cremisi.

Io l'avevo trascinato ad una gara e lui aveva fatto altrettanto.
Era un compromesso, un contrappasso, una legge divina, oppure semplice casualità.

La studiavo tutti i maledettissimi giorni, la pura e semplicissima casualità.

Eppure se avessi provato a capirci qualcosa, a comprendere quell'ammasso informe di percentuali e probabilità che mi aveva condotto da lui, non ci sarei riuscito.

Col culo poggiato sull'angolo del mio letto, gli occhi puntati su Capelli di Merda, all'alba di un
Settembre scolorito e troppo caldo, compresi per la prima volta che tutti i miei saldissimi numeri, tutte le mie certezze, sarebbero crollate da un momento all'altro.

Avevo solo ventun anni.
Ma quanto cazzo sembrava bello, avere dannatamente paura.

"Non ho una foto." sospirai ad un certo punto, interrompendo il flusso scostante dei miei maledetti pensieri.

"Ma che dici! Hai una decina di schedine piene!" rispose quello.

"Il tema è Luci. Non ho niente di vagamente riconducibile." sentenziai scuotendo la testa.

Un altro sorriso malizioso arrivò in risposta dal Rosso, opportuno e tagliente come sempre.

"Allora lo conosci bene, il concorso".

Touché, di nuovo.

Porco cazzo maledetto.

"Tsk. E tu sai guidare, Testa di Merda".

Silenzio.

Inaspettatamente, il contrattacco.
"E tu sei un finto burbero, Biondino".

Che diavolo significa?!

Ovviamente non filtrai nemmeno la risposta.
"Ah? Che cazzo vuoi da me?"

Di nuovo, quegli occhi da eterno bambino.
Quella luce impossibile da spegnere.

"Voglio che mi porti con te a scattare. Voglio che mi racconti dei tuoi fotografi preferiti, di quello che vedi nei loro scatti, voglio che mi fai vedere tutte le tue foto. Ti prego, Baku, ti prego!"

Baku?!

Come cazzo si permette?

Il cuore mi balzò in gola.
Riuscii a distinguere ogni singolo battito, forte come una martellata sul petto.
Ero inerme di fronte alla sua supplica, di fronte ai suoi occhi carichi di emozione, pura e scintillante emozione.

Che ti prende, Katsuki?

Non osare rimanere in silenzio.

Respira, cazzo.

Decisi di fiondarmi a capofitto sulla difensiva.
Dopotutto, ero un maledetto stronzo, lo sapevano tutti.

"E io che cosa ci guadagno, ah?"

Quello raddrizzò la schiena, pungendosi il labbro con uno dei canini e piantando lo sguardo sul mio.
"Un meccanico".

"In che senso?"

"Alle gare. Tutte. Senza alcun compromesso. Tranne quello del box numero sette".

La questione iniziò a farsi intrigante.
"Perché cazzo sei fissato con quel numero?" domandai deviando per un attimo dal discorso.

"Porta fortuna." rispose lui secco, sorridendo sicuro.

"Come so che non mi prendi per il culo?" chiesi inarcando un sopracciglio.

"Sai dove abito, dove lavoro e dove studio. Se venissi meno alla mia parola potresti venirmi a prendere per le orecchie in qualunque momento".

Ha senso.

Mi alzai in silenzio, rovistando tra i libri della mia libreria e tirando fuori un tomo di Alex Webb.

Lo allungai a Capelli di Merda, che sembrò illuminarsi ancora di più.

"Questo è il primo che ho comprato." bisbigliai, avvicinandomi a lui per sbirciare le pagine che aveva avidamente cominciato a sfogliare.

Silenziosamente, avevo accettato l'accordo.
Lui voleva l'arte, io volevo un meccanico.
Compromesso perfetto.

Quella notte nessuno dei due chiuse occhio.

Dalla fotografia passammo alla pittura e non smettemmo di parlare nemmeno per un momento.

Compresi allora che Kirishima Eijiro viveva d'arte.
Era il suo rifugio, la sua tana segreta.

Compresi che Kirishima Eijiro aveva trovato il modo di fuggire dalle sue gabbie e che forse, se solo fossi riuscito ad imitarlo, sarei riuscito a liberarmi dalle mie.

Non accese nessuna maledetta sigaretta, proprio come quando metteva le mani sulla mia moto.

Gli piacevano i quadri di Monet, le luci di Caravaggio, e i ritratti di McCurry.

A me piacevano il cubismo di Picasso, il bianco e nero di Escher e quello di Michael Kenna.

Mondi paralleli.
Inconciliabili al 100%.

Ma se c'era una cosa che avevo capito, è che le percentuali potevo iniziare a ficcarmele in culo, se si trattava di Capelli di Merda.

"Sono le sei, Biondino.." sussurrò ad un certo punto, interrompendo uno dei tanti discorsi sulle inquadrature da ritratto.

E soltanto in quel momento mi resi conto che non avevamo dormito per un cazzo di niente.

"E adesso?!" domandai in preda al panico, scattando in piedi incazzato.

Il Rosso si alzò ridendo di gusto, fresco come una rosa.

Ma non dorme mai, questo coglione?

Carbura a sigarette e caffè?

La risposta arrivò secca e allegra.
"Adesso cornetto alla crema?"

Ed io, per l'ennesima volta, non riuscii a rifiutare.
Io in sella alla mia moto e lui alla sua bicicletta, ci dirigemmo al solito bar, illuminati dalle prime luci dell'alba.

Quella mattina, il maledetto cornetto aveva un sapore decisamente diverso.

Sapeva di libertà.

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