5. Mochi

Trecentoquarantanove giorni prima.

"Allora, hai finito con quelle stramaledette chiavi inglesi?" domandai esasperato, tenendo gli occhi puntati su Capelli di Merda intento a preparare la mia moto per la gara nella sua fottuta officina.

Per qualche assurdo motivo, quel coglioncello aveva deciso di entrare a far parte della crew, ed io non avrei potuto aspirare ad un meccanico migliore.

Non conoscevo un cazzo di quella fottuta testa rossa, ma di lui avevo capito tre cose fondamentali e oserei dire anche sufficienti.

Uno, era maledettamente appassionato di moto e molto più abile del previsto.

Due, era maledettamente gay.

Tre, era maledettamente luminoso e fastidioso, come il cazzo di sole.

"Certo che brontoli proprio bene, Biondino!" rispose sghignazzando e continuando ad armeggiare con la moto.

Mi stavo abituando, al movimento veloce delle sue mani, talmente tanto che vederlo ravanare tra gli ingranaggi del mio bolide non suscitava in me più nessun fastidio, solo mera soddisfazione ed eccitazione, in attesa del risultato finale.

Avevamo trovato un tacito compromesso, all'interno del quale lui apriva comunque la fogna per rompere il silenzio e le palle ma almeno evitava di farsi i cazzi miei.

Una convivenza adeguatamente bilanciata, seppur comunque fastidiosa.

Inoltre il Rosso non aveva inaspettatamente chiesto nemmeno uno spicciolo in cambio della sua presenza in pista in veste di meccanico ufficiale.

Ovviamente avremmo comunque smezzato il premio, che lui lo avesse voluto o meno.
Ero già troppo in debito con quel coglione.

"Ieri sera ho mangiato una bistecca davvero squisita, te l'ho detto?" riprese ad un certo punto il Rosso a macchinetta, provato da quei 15 maledetti secondi di sacrosanto e vitale silenzio.

"Mh, davvero interessante." mi sforzai io, con gli occhi piantati soltanto sulla mia moto.

"Era piena di salsa barbecue, cotta al sangue, ed alta come il mio mignolo, Bro! Uno spettacolo indescrivibile!"

inarcai un sopracciglio, un po' spaesato di fronte a quella dichiarazione d'amore nei confronti di una cazzo di fottuta, misera bistecca.

"Ma tu non scopi mai, vero?" ghignai divertito e dispettoso, allungando i piedi sul pavimento di merda dell'officina.

Vidi un'ombra di rossore attraversargli il volto, ed io trascorsi qualche attimo a complimentarmi con me stesso e con la mia lingua biforcuta per la battutaccia appena lanciata.

"E-ehm n-no.. Cioè, sì.. Cioè n-non proprio, insomma io.."

Proseguii, sempre più divertito dal suo imbarazzo.
"Vuoi per caso che ti presti una delle mie bimbe?"

Il suo volto divenne ancora più paonazzo mentre lasciava cadere a terra la chiave inglese e portava la mano alla tasca destra dei pantaloni.

"H-ho bisogno di una sigaretta!" esclamò, fuggendo a gambe levate all'esterno dell'officina.

Rimasto solo, inspirai per un momento, senza levarmi il ghigno dalle labbra, crogiolandomi nella pace dell'allenatrice compiuta malefatta.
Ero riuscito nel mio maledettissimo intento.

Finalmente s i l e n z i o.

Mancava oramai poco alla gara, e all'interno dell'officina la tensione cominciava a farsi sentire sempre di più.
Ero dannatamente eccitato.
Finalmente avrei potuto sfrecciare in pista, e lo avrei fatto con la moto migliore di tutto il torneo.

MerDeku e il Bastardo Diviso a Metà avrebbero soltanto mangiato la mia maledettissima polvere.

Quando il Rosso tornò continuammo a lavorare, e io mi meravigliai di come il cazzo di Fat Gum avesse permesso a me e Kirishima di trascorrere il tempo a preparare la moto, senza chiedere nulla in cambio.

"Com'è che qua dentro sei il più piccolo ma fai il cazzo che ti pare?" domandai insolitamente curioso, dimenticandomi del fatto che non fossero per niente affari miei.

Il Rosso, di fronte al mio interessamento, si illuminò come un fottuto fuoco d'artificio.

"Fat Gum è praticamente mio padre. Non ha nulla in contrario se mi preparo per una gara, anzi, farà sicuramente il tifo per noi. Sto qua dentro da quando avevo 7 anni, Bro, non mi negherebbe mai un po' di svago!"

Da quando aveva 7 anni?!

Pensare che io lo avevo preso per uno scansafatiche.

Alzai le spalle in risposta, aspettando mestamente una domanda altrettanto personale, per bilanciare il conto.
Invece, discreto come non avrei creduto, il Rosso se la risparmiò.

Al contrario, riprese a farfugliare sulle sue cazzate.

"Stasera io e i ragazzi saremo all'Aizawa!" esclamò raggiante, senza togliersi dalle labbra il sorriso bianco e appuntito.

Bel branco di rincoglioniti.

"Mh, davvero interessante." ripresi io, preparandomi psicologicamente ad essere assillato da quel tarlo anche durante il turno di lavoro.

Ad interrompere le nostre conversazioni vuote ed unidirezionali ci pensò il tanto chiacchierato Fat Gum, che comparve alle mie spalle facendomi per un attimo, soltanto un attimo, cagare in mano.

Non era esattamente come me lo immaginavo, eppure, per chissà quale cazzo di motivo, mi trattò con estrema gentilezza. Aveva due panini fumanti in mano e li offrì a me e alla testa vuota rossa, affermando che, senza pranzo, non saremmo riusciti a continuare a lavorare fino a tardi.

Mi balenò per la mente l'idea che potesse aver ragione, e fu così che mi ritrovai al fianco di Capelli di Merda, seduto sempre sul pavimento di quell'officina, a prendere a voraci morsi il panino in assoluto più buono della mia vita.

"Che cazzo c'è dentro questo affare?! È un fottuto spettacolo!" esclamai, lasciando uscire involontarie le parole dalla mia bocca.

Vidi un lampo fugace attraversare gli occhi di Kirishima.
Mostrò un canino bianco e malizioso, pronto a pungermi con i suoi denti da squalo pezzo di merda.

"Si vede proprio che non scopi, Bro. Se vuoi, posso prestarti uno dei miei bimbi!" sibilò sornione e soddisfatto, coprendo col panino il velo di rossore che gli scese sulle guance.

Colpito e affondato.

Mi aveva lasciato senza parole.

Distratto dalla moto, dal panino delizioso, e dalle cazzate di Kirishima, il tardo pomeriggio arrivò in un baleno ed io dovetti alzare velocemente le chiappe per filare all'Aizawa.

Mi resi conto che la mia fottutissima vita stava cambiando nel l'esatto momento in cui misi piede fuori dall'officina.
Un senso di vuoto mi pervase.
Ed io avevo già nostalgia di quel pavimento lercio.

Che cazzo vai a pensare, Katsuki?

Con uno scatto stizzoso accelerai veloce, schizzando verso il maledetto bar di merda, e posteggiando come al solito a pochi isolati da lì.

Varcai le porte del locale perfettamente in orario, e trovai MerDeku al bancone, intento a servire qualche vecchio scassacazzo, già ubriaco alle sei del pomeriggio.

Mi ficcai la divisa nera controvoglia, raggiungendo il collega e cominciando a disinfettare le superfici del bancone, dal momento in cui c'erano ancora pochi clienti.

"Buonasera, Kacchan!"

Oh porco cazzo.

Rimbalzavo inerme da uno scassacoglioni all'altro.

Perchè il fottuto mondo si sentiva così a disagio di fronte al benedetto silenzio?
Che cosa c'era di sbagliato o illegale nella pace dei sensi altrui?

"Cià." ringhiai già fin troppo spazientito.

"Come hai passato la giornata?"

Non risposi.
Aveva già esagerato.

"Sai, Kacchan, a me è successa una cosa davvero strana, oggi, ho aperto l'armadietto dell'Università, il mio, hai presente? Ecco, l'ho aperto e dentro c'eran-"

Le sue inutili chiacchiere furono interrotte da un'ulteriore seccatura, che per un attimo non riconobbi con chiarezza.

Un tonfo sordo provenne dall'entrata, e per il locale si alzò un'imprecazione, la quale per poco non mi fece sputare l'acqua che stavo bevendo fingendo di dare retta a MerDeku.

"Porca paletta!"

Io e il Verde ci catapultammo verso l'origine del problema, cercando di capire come quell'ammasso informe color rosa confetto fosse riuscito a ruzzolare per terra, lasciando cadere il maledetto centinaio di scatole di mochi che portava impilate tra le mani.

Riconobbi subito la svampita. Era la rappresentante di mochi, e me la beccavo sempre io, durante i miei stramaledetti orari. Portava i dolcetti da vendere al bar.
Mi compiacqui di fronte al fatto che, per la prima volta, avrei potuto affibbiare quell'inutile tonta a MerDeku, e mi allontanai dunque silenzioso, godendomi sornione e tronfio la scena da un angolino.

"S-signorina! S-si è fatta male?" esclamò lo smidollato completamente allarmato, ignorando le scatole e tendendo una mano gentile alla ragazza.

Quella decise soltanto in quel momento di alzare la faccia da terra, sbattendo gli occhioni in corrispondenza di MerDeku.

Un moto di tenerezza mi attraversò la mente per un solo fottuto secondo.

Chissà che brutta sorpresa quando metterà a fuoco su MerDeku.

I due rimasero così, congelati, per qualche interminabile secondo ed io ghignai sadico pensando che fossero proprio rincoglioniti e che non ci fosse alcuna cura né speranza.

Si fissarono per un po' prima che il Verde decise nuovamente di aprire la fogna fetida.

"L-le esce sangue dal naso..." sussurrò, lasciando spazio a quello sguardo colmo di panico e terrore che tanto mi divertiva e tanto conoscevo.

Che bello spettacolo.

"Cosa?!" domandò lei allarmandosi, accettando la mano amica di MerDeku ed alzandosi finalmente dal fottuto pavimento.

Il Verde sgranò gli occhi.
"L-le esce.." poi si bloccò, voltandosi colmo di terrore verso di me.
"L-le esce sangue dal naso K-Kacchan, sangue dal naso!" esclamò in preda al terrore, e io sghignazzai ancora divertito, incrociando le braccia sul petto.

"E che cazzo volete da me?" ringhiai scandendo ogni sillaba con lentezza e gioia inaudite.

"D-dobbiamo portarla in infermeria, m-muoviti, K-Kacchan! esclamò lui di rimando, trascinando la svampita, completamente in panico, nel retro del locale.

Ma io rimasi al bancone, almeno fino a quando un secondo urlo del Verde non mi costrinse a raggiungerli.

"K-Kacchan, muoviti!"

Questo maledetto bar è diventato un asilo nido del cazzo.

Mi affacciai all'infermeria, decisamente scazzato ma pur sempre, ancora divertito.

La ragazza si stava tamponando il naso con un fazzolettino, seduta con le gambe a penzoloni sul lettino della stanzetta.
Gli occhi grandi balzavano da me a Deku, interrogativi e spaventati.

"C-che devo fare?!" mi chiese il collega ancora in allarme e totale panico.

Valutai attentamente la situazione, e decisi di sbattermene le palle.

"Non devi fare niente, MerDeku. Smette da solo, sono solo due gocce. Io mi preoccuperei più per i mochi sul pavimento dell'entrata.

Finalmente, la muta parlò.
"I mochi, acciderboli!" e tenendosi il fazzoletto premuto sul naso, scattò giù dal lettino, correndo a recuperare ciò che aveva seminato per il mio fottuto locale.

Voltai le spalle a Deku, tornando al bancone e lasciando che il Bastardo Diviso a Metà si accollasse quell'inutile rottura di cazzo al posto mio.

Non avevo firmato da nessuna cazzo di parte per badare ai rincoglioniti, dopotutto.

Ne avevo già avuto abbastanza.

L'unica nota positiva della serata fu che la svampita levò letteralmente la favella al Verde, il quale rimase muto e scioccato per buona parte del suo turno.

Forse avrei fatto bene ad ordinare qualche altro centinaio di scatole di mochi.

Capelli di Merda si presentò, come preannunciato diverse ore prima, in tarda serata, ed io, nonostante la mole esagerata di clienti, notai subito la testa rossa svettare di fronte all'entrata.

Ecco qui, l'ennesima seccatura.

I nostri sguardi si incrociarono immediati, e il Rosso mi salutò con un allegro movimento della mano.
Ricambiai alzando sfacciato il mento, ma non osai spingermi oltre.
Gli avevo già regalato troppa confidenza.

Fu in quel momento che MerDeku riprese magicamente a parlare.
Doveva avere un timer ficcato nel culo, quel maledetto bastardo, che suonava ogni qualvolta giungesse l'ora di fracassarmi le palle.

"Hai conosciuto Kiri-kun, Kacchan? Alla fine ti ha riparato la moto?"

Annuii infastidito, preparando meccanicamente qualche cocktail scritto sul foglio delle ordinazioni, a calligrafia illeggibile, da TodoMerda.

"Te l'ho detto che avresti dovuto andare lì! Quel ragazzo è un fenomeno! Ed è anche molto simpatico. Perché non andiamo a salutarlo?"

"Non ci penso nemmeno." ringhiai secco, senza far riferimento né alla gara né alla presenza del Rosso all'interno della mia crew.
Lo avrebbero scoperto soltanto vivendo.
E mangiando invidiosi la polvere.

Inaspettatamente, il seccatore non si avvicinò né a me né al bancone, lasciando che godessi dei miei meritati spazi e che TodoMerda servisse la stravagante combriccola al posto mio.

Lo ringraziai mentalmente per quello spazio, concessomi nel momento esatto in cui ne avevo maggiormente bisogno.

In compenso, con la maledetta coda dell'occhio, notai che quella Testa di Merda trascorse la maggior parte del tempo a bere, intervallando le sue sessioni di alcol e risatine con una maledetta sigaretta dopo l'altra.

Doveva propio puzzargli di merda, la vita, a quel coglione irresponsabile.

Non sono affari tuoi, Katsuki.

E proprio per questo, decisi di ignorarlo definitivamente.

La combriccola rumorosa e molesta del Rosso fu una tra le ultime ad abbandonare il locale, ed io, dopo aver terminato le pulizie, andai a cambiarmi, più stanco e scazzato del solito.

Fu proprio in quel momento che mi accorsi di un messaggio ricevuto sullo smartphone, proveniente da un numero a me sconosciuto, il cui contenuto mi lasciò a bocca asciutta per qualche secondo.

Un indirizzo anonimo, sterile, e nulla di più.

Ancora mi cercano.

Sapevo bene che cosa significava. Era un maledettissimo invito ad un'altrettanta maledettissima festa. Una bisca, a dirla tutta, tutt'altro che legale.

Avevo partecipato per anni, prima di chiudere definitivamente con quel mondo di merda.

Allontanai stizzito il pensiero dalla mente, tentando di ignorare la rabbia che iniziò a prendere velocemente possesso di me, mentre cancellavo furioso il messaggio, uscendo dal locale a passo spedito.

Camminavo a fiato corto verso la moto, sentendo il sangue ribollirmi sempre più nelle vene e le mani sudare sotto l'effetto della mia rabbia incontrollabile.

Ero incazzato nero.
E lo ero soprattutto nei confronti di me stesso e del mio riprovevole passato di merda.

Come avevo fatto ad essere così dannatamente stupido?

Come avevo potuto pensare, anni prima, di poter trovare la libertà in un simile ambiente del cazzo?

Lo avevo fatto non so quante volte, in gioventù, quasi fino a farla diventare una merdosa routine.

Feste, alcol, fumo, sesso, gioco, al limite della legalità, per fuggire dalla mia vita di merda.
Era dannatamente semplice ed elementare: bastava raggiungere il luogo indicato nel messaggio, entrare a mente libera, e scassarsi fino a non capire più un cazzo di niente.

Ne valeva la pena?
Assolutamente sì.
Me ne ero pentito?
Assolutamente sì.

Avevo dato da tempo però un taglio a quella stupida e vomitevole parte del mio passato, e non ci tenevo per un cazzo a riaverla indietro.
Non la volevo più vedere.
Nemmeno per sbaglio.
Nemmeno per idea.

Soltanto il pensiero mi fece venire da vomitare.

Eppure liberarsi di quell'inutile fardello sembrava essere diventato impossibile.
Ero rimasto impantanato in un mare di pece nauseabondo e appiccicoso, proprio come l'interno dei fottutissimi mochi, che non avevo mai sopportato.

Di tanto in tanto mi imbattevo ancora in qualche messaggio anonimo, inviato da chissà chi, con su scritto l'indirizzo della festa in atto, alla quale non avrei partecipato nemmeno per tutto il cazzo di oro del mondo.

Dovevano smetterla di cercarmi.
Dovevano smetterla di invitarmi.
Dovevano smetterla di assillarmi.

Fu così che le mie gabbie e i miei sensi di colpa soffocanti mi ripiombarono addosso, anche se per qualche ora ebbi la parvenza di essermi liberato definitivamente di loro.

Succedeva sempre così, ogni qualvolta mi sentissi meglio.

Prima l'ossigeno, poi l'apnea.

Il profumo di libertà, poi di nuovo la mia solita galera.

Ero un maledetto topo in gabbia, e non esisteva alcuna uscita.
Non potevo scappare da nessuna parte.

Marciai incazzato verso il parcheggio, sentendo la bile pizzicarmi la gola e la rabbia crescere in me sempre di più.

Avevo soltanto bisogno di salire sulla mia moto, ed accelerare fino a quando l'adrenalina non avrebbe soppresso tutti i miei cazzo di sensi.

Chiuso in gattabuia.
Di nuovo.
Fino a soffocare.

Una vita che non era la mia, costellata di errori, cazzate ed imposizioni continue, le quali mi facevano soltanto venire voglia di sboccare.

Come cazzo si fa a fuggire dalla propria merdosissima esistenza?

Raggiunsi la moto con l'acido in corpo, tentando di inspirare, anelando ad un po' di fottuto ossigeno.

Bastava un messaggio fuori posto per mandarmi in maledetta crisi.
Per ricordarmi che mi ero perso e che non sapevo più come tornare indietro.
Per ricordarmi che mi ero perso, sì, pur conoscendo a memoria la strada.
E mi domandavo come cazzo fosse potuto succedere proprio a me, che tenevo sempre tutto sotto controllo, che stringevo saldamente le redini tra le mani, senza mai lasciarle andare.
Proprio a me, che ero il migliore di tutti, ma che avevo sbagliato tutto.

"Maledizione!" sbraitai al limite della sopportazione, calciando con forza il primo mattone abbandonato che trovai sul ciglio della strada.

E proprio lì, a due cazzo di fottutissimi passi, accovacciato a gambe incrociate su una panchina sgangherata, il maledetto Rosso.

Aveva uno dei miei cocktail ancora in mano, la cannuccia in bocca e la schifosissima sigaretta stretta tra due dita.
Sgranò gli occhi fissandomi spaesato, incapace di proferire mezza parola.

Fui dunque io a parlare per primo, ancora più incazzato, lanciandomi immediatamente all'attacco.

"Ma che cazzo! Possibile che tu sia sempre in mezzo ai coglioni?! Mi segui, per caso, ah, Testa di Merda?!" sbraitai iracondo, avvicinandomi a lui in cerca di fottute spiegazioni.

Quello staccò le labbra dalla cannuccia, pacato come sempre.
Accennò un sorrisetto di circostanza, più in imbarazzo del dovuto.

"Abito a pochi passi da qui, in caso non lo avessi ancora capito, Bakugo.." sussurrò giustificandosi ed abbassando lo sguardo.
"Ho accompagnato Mina a casa e non... Non avevo proprio voglia di rientrare".

L'hai accompagnata a piedi, brutto coglione?

Rimasi in silenzio di fronte alla sua più che ragionevole risposta, indeciso se aggiungere altro o alzare i maledetti tacchi e ritornare ad arrovellarmi sui miei carboni ardenti.

Devo allontanarmi da questo ragazzo.

Ho bisogno di riprendere fiato.

Il Rosso mi trascinò però immediatamente via dai miei pensieri, allungando inaspettatamente il bicchiere che aveva in mano verso di me. I suoi occhi color cremisi, indagatori e curiosi, erano puntati sui miei.
"Ne vuoi un po'?" domandò a basso tono, attendendo una mia risposta ed ammiccando più volte.

Ed io, stupido, maledettissimo, ignobile idiota, mi sedetti al suo fianco, annuendo e accettando la sua disgustosissima offerta. In quel momento dimenticai persino che attaccando la mia bocca a quella merda di cannuccia mi sarei accollato il 30% di probabilità in più di contrarre un'infezione virale o batterica di qualsiasi tipo.

Rimase in silenzio Kirishima, ed io mi stupii di quella tacita delicatezza, talmente tanto da infastidirmi maledettamente.

Non volevo essere trattato come un fottuto bambino, con maledetta apprensione.
La compassione se la poteva ficcare nel culo, quel Rosso.

"Mi fanno incazzare le gabbie." ringhiai tirando dalla cannuccia un lungo sorso di cocktail, oramai caldo come piscio.

Quello soffocò una risatina, rimasto soltanto con la sigaretta stretta tra l'indice e il medio, ruvidi e grandi.

Perché cazzo stai ridendo?

Che diavolo ci trovi di divertente?

"Vuoi una sigaretta?" rispose quello dopo un po', allungando verso di me anche il pacchetto di merda.

"Sei impazzito? Io non tocco quelle schifezze." grugnii infastidito.

E il Rosso sorrise ancora, riportando l'ambigua proposta nella solita tasca dei pantaloni.

"Lo so, Bro, ma è l'unica cosa che posso offrirti." sussurrò alzando le spalle, e lasciando che quel sorrisetto fastidioso si spegnesse con inaudita lentezza.

Capii soltanto molto tempo dopo la vera natura delle sue parole.
Allora ero dannatamente cieco per riuscire a farlo.
E dannatamente stupido.

"Va bene così." conclusi secco, continuando a sorseggiare quel cocktail, ed inspirando finalmente aria nei polmoni.

In un qualche modo, tutto quel trambusto mi calmò.

Rimanere chiuso in quel vicolo, all'ombra di qualche albero rigoglioso, nel silenzio più totale, interrotto a intermittenza soltanto dal frinito delle cicale, mi aveva restituito del maledetto ossigeno.

Per quanto ancora avrei potuto andare avanti così?

Per quanto ancora sarei riuscito a portarmi addosso il peso delle mie celle?

Non lo sapevo.

Volevo soltanto saltare in sella alla mia moto, e fuggire il più lontano e veloce possibile.

Accanto a me, Capelli di Merda non osò emettere una sillaba, accendendo di tanto in tanto una sigaretta, per poi spegnerla stringendola semplicemente tra le dita.

Avevamo entrambi il viso rivolto al cielo, e osservammo ogni cazzo di nuvola passare sopra la nostra maledetta panchina ed io non seppi perché, quella notte, accettai la compagnia di quel ragazzo, anziché gettarmi a capofitto sulla moto.

Non chiudemmo occhio e non proferimmo parola.
Così, accovacciati su quattro assi di legno marcio, con un bicchiere ormai vuoto tra i piedi, ad ignorarci vicendevolmente, o forse a sostenerci.

Talvolta abbandonavo i miei crucci e facevo cadere fugace lo sguardo sul Rosso, silenzioso e perso, anche lui, tra le mille sfumature del cielo, e il fumo delle sue sigarette.

Chissà a che cosa cazzo pensava.

Rinsavii soltanto alle prime luci dell'alba, quando un brillante bagliore arancione cominciò ad illuminare i nostri volti spossati.

Fu in quel momento che un tocco, leggero come mai avrei pensato, mi risvegliò dai miei pensieri.

Erano le dita di Kirishima, poggiate delicatamente sulla mia spalla.

Per un istante rabbrividii dal disgusto, eppure, preso dalla stanchezza, lo lasciai fare.

"Ehi.." sussurrò pacato, inducendomi ad alzare lo sguardo.

Che cazzo vuole ancora?

"Ti andrebbero un té e una brioche alla crema? Conosco un posto qua vicino che inizia a sfornarle proprio a quest'ora, sono afrodisiache!"

Il suo tono stranamente basso mi impedì di rifiutare fermamente quella proposta.

Era stato in silenzio per tutta la notte, Kirishima, e aveva imparato a rimanere al suo posto in mia presenza.

Una maledetta brioche non mi avrebbe di certo fatto male.
Ed io, silenziosamente, iniziavo ad apprezzare i consigli culinari di quella testa calda.

"Tsk." sbuffai acido, rinunciando definitivamente a montare in sella alla mia moto e sfrecciare via.
Era troppo tardi.
O troppo preso, a seconda dei punti di vista.

"Si vede proprio che non scopi, Capelli di Merda." lo provocai ghignando, alzandomi finalmente dalla fottuta panchina e compiacendomi nuovamente della solita sporca battuta.

La rabbia era completamente svanita.
Me ne accorsi solo in quel momento.

"P-penso che andrò da solo al bar!" rispose quello imbarazzato, lasciando scivolare via le dita dalla mia spalla e nascondendo il viso arrossato.

Rinunciai al mio ghigno fiero e puntai lo sguardo sul Rosso.

"Dunque, fai strada o no? Non ho tutta la cazzo di mattina da perdere".

La Testa di Merda balzò in piedi e cominciò a camminare, sghignazzando divertito come un bambino che ha appena sentito una parolaccia, illuminando con i canini appuntiti tutta la fottuta strada.

Alzai lo sguardo al cielo, sentendomi più leggero del solito e seguendo Kirishima, la cui figura, giorno dopo giorno, era sempre più familiare ai miei occhi.

Quel breve tragitto, silenzioso e stanco, inaspettatamente, profumava di fottuta libertà.

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