2. Fanculo Impiccione
Trecentosessantaquattro giorni prima.
"Dunque non gli hai scritto?"
"No".
"Nemmeno per riavere indietro la tua roba?"
"Ho detto di no".
Mina sbuffò sonoramente, mentre imbrattavo con flemma inaudita un altro panno d'olio per pulire gli attrezzi da lavoro.
Le cicale frinivano in quel pomeriggio d'agosto ed io avrei giurato senza ombra di dubbio che si fosse trattato della giornata più calda di tutta l'estate.
"Insomma, Kirishima, mi spieghi perché cazzo ti sei fatto trattare così da quel coglione? La roba in ogni caso è tua e dovrebbe restituirtela!" s'impuntò ancora, ma la verità è che io avrei soltanto preferito cambiare discorso.
Meno pensavo a lui, prima sarei uscito dal pantano di dolore stantio nel quale mi ero catapultato, senza nemmeno volerlo.
Sempre messo che sarei riuscito ad uscirne.
"Non mi faccio trattare in nessun modo, semplicemente non voglio vederlo. Può tenersele, le mie 4 felpe di merda, le ricomprerò. Adesso possiamo smetterla di parlare di lui?"
La ragazza mollò a quel punto la presa, accasciandosi con un sonoro sbuffo al mio fianco sulla panchina in legno ruvido del cortile di casa mia, ed agguantando una chiave inglese dalla cassetta per aiutarmi a pulire.
"Va bene, ma se lo incontro gli sputo negli occhi. Entrambi!" concluse secca, cominciando a levare il grasso dall'attrezzatura da lavoro con un altro panno imbevuto.
A quel punto le sorrisi.
Era la mia migliore amica, cercava in tutti i modi di farmi del bene.
Avevamo però caratteri estremamente diversi e la stragrande maggioranza delle volte non avrei mai potuto seguire i suoi spassionati e ragionati consigli.
Il suo pepe non era proprio parte di me, e lei lo sapeva.
Sapeva anche che non avrebbe potuto difendermi da tutto e da tutti, e spesso se ne rammaricava.
Nonostante questo, non aveva mai mollato l'osso, non mi aveva mai dato per spacciato.
'Prima o poi ti vedrò felice da fare schifo!' mi diceva mostrando la lingua appuntita, e io silenziosamente speravo che i suoi auguri, in un qualche universo parallelo, potessero trovare un flebile, minimo appiglio.
"Sono passati quasi sei mesi, Mina, l'ho superata. E piantala con la storia degli sputi, sei già finita nei casini una volta, te lo sei già dimenticato?"
La ragazza si arrotolò un riccio rosa shock sull'indice, abbozzando una risatina nervosa al solo ricordo.
"Sei troppo buono, Kiri. Paghi persino il taxi agli sconosciuti!" mi punzecchiò maliziosa.
Risi di gusto alla sua affermazione, mollando gli attrezzi oramai lucidi nella cassetta e infilando le dita nella tasca posteriore, alla ricerca di una benedetta sigaretta.
Una volta trovata, l'accesi automatico, inspirando profondamente e chiudendo gli occhi per qualche secondo.
"Mi sono infilato nel suo taxi contro la sua volontà! Per quanto fosse sgarbato ed isterico, è stato il minimo!" risposi, riportando alla mente l'episodio della sera prima con il tizio ambiguo e nervoso dai capelli biondi.
"Ad un maleducato del genere io avrei pagato soltanto un viaggio di sola andata per fanculandia, non la corsa".
Lasciai uscire lentamente il fumo dalle labbra, sghignazzando al pensiero di quel buffo personaggio, diretto al bar Aizawa di domenica sera nel bel mezzo del nubifragio più violento abbattutosi sulla città negli ultimi 2 anni.
"Alla fine è stato gentile." sussurrai allontanando definitivamente il ricordo dalla mente e lasciando che un sorriso si disegnasse sulle mie labbra.
"Se continui a vedere solo e soltanto il buono nelle persone finirai per farti del male, lo sai questo?"
Eccome se lo sapevo.
Eccome se mi ero fatto male.
Eppure risi comunque.
Non volevo dare i miei demoni in pasto a nessuno.
Tergiversai a velocità record, focalizzando la mia attenzione su qualcosa di molto più interessante dei miei crucci.
"Allora, abbiamo programmi per questa sera?"
La ragazza dai capelli rosa si portò un indice sul mento pensierosa.
"In teoria sì, in pratica no." sentenziò sbuffando.
"Denki ha farfugliato qualcosa in merito ad una grigliata in campagna da Momo, ma alla fine non si sono fatti sentire".
Feci spallucce in risposta, spegnendo la sigaretta nel posacenere adagiato sulla panchina.
"Chiamiamoli allora!"
Mina acconsentì subito, agguantando lo smartphone e digitando a memoria il numero di Denki Kaminari, facendo battere ritmicamente le unghie affusolate e lunghe sullo schermo del telefono.
L'amico rispose fulmineo, con la voce rotta dall'affanno.
"P-pronto?"
"Non è l'ora giusta per scopare, Denki." esordì Mina maliziosa, sghignazzando dispettosa.
La risatina del biondo giunse immediata in risposta.
"Magari, sorella, magari! Sono fuori con il cane, ma questo stronzo tira come un cavallo!"
Risi di gusto in risposta, rivelando così anche la mia presenza.
"Oh, ciao KiriBro! Immagino vogliate sapere qualcosa in più sulla grigliata di stasera!"
"Esatto, Denki, Esatto." tagliò corto Mina, annuendo mestamente di fronte a me.
"Beh, è saltato tutto, ragazzi. Abbiamo calcolato male i tempi e la carne arriverà sabato prossimo, non oggi."
Vidi la ragazza al mio fianco alzare gli occhi al cielo infastidita.
"Non avevo dubbi, disgraziato. Che cazzo aspettavate a dirlo?!"
Il biondo rispose facendo riecheggiare una risatina piuttosto nervosa, e dal mio punto di vista decisamente divertente.
"Dunque balza tutto?" chiesi conferma a quel punto, in attesa di una oramai scontatissima risposta affermativa.
"Ma no, possiamo organizzare qualcosa anche all'ultimo, ne abbiamo parlato io e Hanta un paio d'ore fa. Aspettate, lo aggiungo".
In un battito di ciglia, Sero Hanta, un altro fondamentale membro della nostra combriccola, si unì alla chiamata di gruppo.
"Pronto?"
"Signor Hanta Sero? Chiamiamo dalla caserma di Polizia. Lei è momentaneamente in arresto." tuonò il biondo, impegnandosi anche a camuffare la voce.
"Cretino, per gli scherzi telefonici devi usare il cazzo di anonimo." esordì Sero, oramai abituato alle continue goliardate dell'amico.
"Ah. Giusto".
A quel punto intervenne nuovamente Mina.
"Questa telefonata sta diventando uno zoo! È possibile che non si riesca mai ad organizzare nulla con voi?!"
Il tono acidulo della Rosa venne sovrastato dall'ultima trovata di Denki, sempre pronto ad aggiungere ulteriore confusione alla confusione.
"Vabbè, già che ci siamo aggiungo anche Momo".
E la ragazza fu in pochi secondi parte della nostra telefonata.
"Sì, pronto?"
"Ma alla fine usciamo o no?" domandai a quel punto, cominciando a sentirmi piuttosto confuso.
"Ma chi cazzo ha chiamato Kirishima? Non lo vedo in chiamata!"
"È con Mina, Sero." asserì Denki sghignazzando.
"Non saprei, raga, la grigliata è saltata." sorvolò Yaoyorozu a quel punto, intuendo il motivo della telefonata di gruppo.
"Andiamo in pizzeria!" propose Denki.
"L'ho mangiata a pranzo".
"E quindi? È sempre un ottimo momento per una pizza".
"Trovate un'alternativa, che cazzo!"
Poi il lampo di genio.
"Andiamo all'Aizawa!" esclamò Mina al mio fianco.
"In effetti non mi scasso con l'alcol da un bel po'!"
"L'ultima volta è bastata, Denki, non ti azzardare."
Il biondo rise ancora in risposta.
"È lunedì, farò il bravo".
A quel punto intervenne nuovamente Momo, rimasta tranquilla come sempre.
"Ragazzi, io sto studiando, non ho tempo da perdere. Ci vediamo stasera. Qualcuno mi passa a prendere?"
"Io e Mina siamo a piedi." asserii un po' dispiaciuto.
"Passiamo io o Sero in moto. Ci vediamo alle 10:00 davanti al parcheggio".
Poi una serie di saluti, e la multitelefonata terminò.
Fu Mina a parlare a quel punto, rivolgendomi uno sguardo colmo di rammarico, troppo per l'atmosfera allegra che si era creata.
Si arrotolò nuovamente un riccio tra le dita affusolate, punzecchiandosi con i canini il labbro inferiore.
"Non pensi che potremmo andare in moto anche noi?" domandò a basso tono, evitando di punto in bianco il mio sguardo.
Per un attimo rimasi completamente paralizzato.
Avrei portato quella ragazza fino in capo al mondo pur di renderla felice, eppure la sola idea di tirare fuori la moto dal garage mi regalò un fascio di brividi lungo la schiena.
Non posso farlo.
Non ce la faccio.
Di scatto mi alzai dalla panchina, rovistando nervoso nella tasca dei jeans ed estraendo due biglietti dell'autobus e una nuova sigaretta.
"Toh guarda, ho proprio due biglietti in tasca! Sarebbe un peccato spendere soldi per la benzina!" esclamai allontanandomi e ricominciando a fumare.
Mentalmente chiesi però scusa a quella ragazza, seduta a qualche metro da me, che cercava in tutti i modi di raccogliere i cocci che lasciavo in giro, sbriciolandomi passo dopo passo, senza nemmeno accorgermene.
Il resto del pomeriggio filò liscio ed io e Mina trascorremmo la maggior parte del tempo a studiare per un esame che ci stava dando il tormento.
Dopo cena ci muovemmo verso il luogo dell'appuntamento ed io mai avrei immaginato che proprio allora la mia vita avrebbe preso una svolta decisiva.
Spesso scarseggia la fantasia nel cuore di chi crede di aver perso tutto.
Io e Mina arrivammo per primi, e dovemmo aspettare per qualche minuto Sero, Denki e la splendida Momo. Passava la maggior parte del suo tempo con il naso ficcato nei libri, ma di tanto in tanto riuscivamo a trascinarla fuori dalla sua camera, situata senza ombra di dubbio nel quartiere più chic di tutta la città.
Il locale era aperto, e come sempre e gremito di gente, nonostante fosse soltanto lunedì sera.
Dopo aver cercato un tavolo libero, mi offrii volontario per andare ad ordinare i cocktail di tutti e mi precipitai velocemente al bancone, ansioso di dare finalmente una golata ad una bevanda ghiacciata.
"Uhm, buonasera! Due analcolici alla frutta, due vodka lemon e un Long Island, per favore." esordii al bancone, troppo concentrato sul menù degli stuzzichini per badare al resto, ma senza dimenticare di sfoggiare un sorriso di cortesia.
"È un maledetto scherzo questo, vero?!" rispose il barista acido.
"Nono, non è un scherzo, mica li bevo tutti io!" esclamai con noncuranza, alzando finalmente gli occhi dal menù e figurando soltanto a quel punto ciò che stava realmente accadendo.
Rimasi interdetto per qualche secondo, indeciso se scoppiare a ridere o fuggire.
Al di là del bancone, proprio il ragazzo della sera prima, quello del taxi.
Ecco perché era diretto qui ieri.
Come al solito non avevo capito un emerito cazzo.
Lo sconcerto negli occhi del ragazzo mi divertì tremendamente, e fu letteralmente impossibile trattenere una fragorosa risata.
"Ciao, Biondino!"
"Troppa confidenza." grugnì quello in risposta, cominciando a trafficare con i cocktail.
La sua frecciata non mi turbò più di tanto, anzi, mi fece sorridere ancora di più.
"Dunque lavori qui?" domandai incuriosito ed emozionato di fronte all'ennesimo incontro con quel ragazzo.
"A quanto pare".
Era buffo. Buffo come non mai.
E a guardarlo con più attenzione, era davvero carino.
Cercai di portare avanti la conversazione, nonostante il Biondo non sembrasse particolarmente interessato all'interazione umana.
Detestavo i silenzi. Mi si gelavano nel sangue.
"Che fai nella vita?"
Quello aggrottò fulmineo un sopracciglio in risposta, piantandomi addosso lo sguardo scomodo.
"Mi faccio i cazzi miei".
Messaggio ricevuto, capitano.
Ridacchiai ancora, curioso di fronte alla sua totale mancanza di filtro.
Evitai però di infastidirlo ancora, aspettando diligentemente ciò che avevo ordinato.
Me li servì su un vassoio rotondo, rosso ciliegia.
"Ecco qua." ringhiò scorbutico, alzando nuovamente gli occhi indagatori e stretti su di me.
Misi in fretta mano al portafogli, ma fui immediatamente interrotto da un nuovo gruginito.
"Offre la stramaledetta casa".
Una risatina mi si soffocò in gola ed io cercai in tutti i modi di ricacciarla nello stomaco e di apparire il più serio possibile.
"Ah sì?"
Quello assottigliò lo sguardo, avvicinando a me ancora di più il vassoio.
"Io non voglio debiti con nessuno. Mi pare di averlo già detto ieri".
Niente impedì alla mia risata di uscire irriverente dalle labbra.
Sfilai una banconota dal portafogli e la poggiai sul bancone, per poi impossessarmi del vassoio tanto ambito.
"Mi sono infilato nel tuo taxi e ho pagato il disturbo. Adesso mi sono infilato nel tuo bar e pago da bere. Nessun debito, bro, soltanto coerenza." ridacchiai allontanandomi di qualche passo e rivolgendogli un sorriso.
"Riprenditi questi cazzo di soldi." ringhiò ancora, in preda alla rabbia.
Io però avevo tutt'altro in testa e dei soldi non mi era mai importato più di tanto.
"Posso sapere come ti chiami?" domandai curioso, prima di raggiungere gli altri.
Un'altra stoccata mi colpì gelida.
"Fanculo, impiccione".
Ed io risposi come al solito, con una grassa risata.
"È stato un piacere rivederti, Fanculo Impiccione, alla prossima!"
E lentamente, con il vassoio stretto in mano, mi allontanai, convinto del fatto che non avrei mai più rivisto quel ragazzo.
Chissà che cosa nella vita lo aveva portato ad erigere barriere così alte.
In ogni caso, non era un affare mio.
Avevo smesso di curarmi degli altri.
Non mi erano rimaste più forze per farlo.
Avevo imparato a mie spese che più si dà e meno si riceve.
E a me non era rimasto più niente in mano.
Nemmeno un briciolo di cuore.
Nemmeno una speranza a cui aggrapparmi.
Molto probabilmente vivevo per inerzia.
E non mi importava.
Da qualche parte sarei approdato prima o poi, forse, lontano da tutti, dove respirare non avrebbe più fatto così male.
Dove la risata non era una maschera.
E dove il futuro non aveva la forma di una prigione.
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