13. Giocare col fuoco

Duecentosettantotto giorni prima.








Quella fottuta mattina, quando aprii gli occhi, mi resi subito conto di non essere nel mio maledetto appartamento. Dicembre era alle porte e una brezza gelida mi destò fastidiosa.
In un baleno realizzai tutta la notte appena trascorsa, il fottuto Zombie, l'attacco di panico di Kirishima, io con addosso il suo maledetto pigiama, e lui che dormiva beato al tepore della mia spalla stanca.

Merda.
Che cazzo ci faccio qui?

Poi mi tornarono alla mente anche le promesse fatte, e l'inesorabile fatto che avrei dovuto rimanere con lui.

Forse se la meritava, una stilla di serenità.

Avevo di meglio da fare?
Sì.
Mi interessava di quel cazzo di Rosso?
No.

Eppure rimasi.
Una mattina all'insegna di cornetti alla crema e fotografia potevo anche concedergliela.
Dopotutto, ero in fottuto debito con lui, e con il nascondiglio che mi aveva prestato per una cazzo di sera.

Non si era mai tirato indietro di fronte a me, alle mie richieste improvvise, alle mie rabbie, ai miei sbalzi d'umore.
Ed io ero un mostro maledetto, un fottuto insensibile del cazzo, rompevo tutto ciò che toccavo.
Ma Kirishima no.
Lui forse non volevo che si rompesse.

L'odiavo, per l'affetto incondizionato che mi regalava come un cazzo di Golden Retriever, senza nemmeno conoscermi, senza nemmeno realizzare quanto diamine facessi schifo.

L'avrebbe scoperto, prima o poi.
Ma in cuor mio forse, volevo provare per una volta a dare il meglio di me.

In un mondo che aveva visto soltanto il peggio, Eijiro si meritava il meglio.

Lo squadrai accigliato per qualche secondo.
Non mi ero mai accorto di quanto fosse bello.

Le sue mani grandi e ruvide tradivano il viso giovane e pieno di vita da eterno bambino.
Il naso dritto e gli zigomi alti, i capelli rossi che gli ricadevano disordinati sulla fronte.

Mi concessi il lusso di spostarglieli dietro l'orecchio appuntito, costellato da diversi orecchini che non avevo mai notato.

Chi cazzo ha osato farti del male?

Come diamine si può pensare di fartene?

Nemmeno io c'ero riuscito.
Io che toccavo le cose, e le guardavo compiaciuto mentre sfiorivano, mentre perdevano vita.

Chissà quanto male gli avrei fatto, se avesse scoperto che avevo sfracellato la macchina fotografica al suolo, che ero un fottuto animale cresciuto in cattività e che volevo soltanto vedere l'intero mondo esplodere e saltare in aria davanti ai miei occhi.

Ma io non glielo dissi.

Mi dipingeva come un artista, burbero e un po' sfacciato, Kirishima, ed io per un po' volli rinchiudermi in quello smaccato e vomitevole ritratto.

Per un po' volli credermi anche io qualcuno che evidentemente non ero.

Alcuni rumori esterni mi destarono dai miei pensieri.
Mantenni la calma fino a quando una voce di donna mi fece sobbalzare visivamente dalla cazzo di paura.

"Ehilà, Eiji! Siamo a casa!"

Oh cazzo.

I suoi maledetti genitori.

Il Rosso continuò beato a dormire ma era inesorabile arrivato il preciso momento di interrompere i suoi cazzo di sogni e di svignarsela da quel posto di merda.

"Oi".

Niente.
Come al solito.

"Oi!"

Se scoppiasse una guerra di notte saresti il primo a crepare.

Lo scossi con fermezza, intenzionato a svegliarlo, seppur forse un po' a malincuore.

"Oi, Capelli di Merda, che cazzo!"

A quel punto balzò in aria dallo spavento, fissandomi confuso subito dopo lo scatto.

"E-ehi! Buongiorno!" esclamò con ancora la bocca impastata di sonno, volgendomi addosso gli occhi grandi e regalandomi il primo caldo sorrido.

Ci sono altre priorità, Katsuki.

"Buongiorno un cazzo, Kirishima, i tuoi sono qui".

Inarcò un sopracciglio.
"Beh, sì, vivono qui. Quindi?"

Quindi?!
Ci sei o ci fai, razza di idiota?!

"Vedendomi si farebbero idee strane del cazzo".

Una risatina uscì velata dalle sue labbra.
"Nah, sono piuttosto tranquilli. Andiamo a fare colazione al bar?"

Pensi solo a mangiare, porco cazzo?!

"Sì alla colazione. No ai tuoi genitori che mi vedono uscire da qui".

Rise ancora, alzando finalmente la testa dalla mia spalla e stirandosi noncurante.

"Piantala, Kat, vai a lavarti e vestiti, sto già morendo di fame".

Non hai capito un cazzo, Rosso di Merda.

"Col cazzo, Capelli di Merda. Io adesso mi caccerò dalla finestra".

Scoppiò beffardo in una fragorosa risata di fronte alla mia intenzione, interpretandola come una proposta.

"Finiscila di sparare idiozie. Salutali normalmente, non ti faranno domande, sei un amico".

"Eh no, razza di Petardo maledetto, non mi vedranno come un amico, ma come un frocetto del cazzo che si è fottuto il figlio mentre loro non c'erano".

Tentò di non ridermi in faccia, ma non ci riuscì.
Parlò ancora, decisamente in vena di buffonate.
"Tecnicamente è quello che ti ho proposto ieri, ma mi hai rifiutat-"

"È una cosa seria, Kirishima, cazzo!" lo interruppi esasperato, osservandolo mentre si alzava dal letto e preparava i vestiti per una nuova giornata.

"Katsuki, anche Sero e Denki sono spesso stati qui a dormire, sono amici, tu sei un amico, e loro sono super tranquilli, piantala di farti paranoie".

Non chiamarmi per nome.

"Non esiste, non sono gay, te l'ho già detto".
Quello però mi spinse fuori dalla stanza con noncuranza, senza nemmeno darmi il tempo di controbattere.

"Se, se, va bene, Kat. Adesso esci dalla porta come tutte le persone normali e salutali, sempre come tutte le persone normali".

E neanche il tempo di dire col cazzo, che me li ritrovai ad un palmo dal culo, nel tragitto di due fottutissimi metti che separava la stanza di Capelli di Merda dal bagno maledetto.

Ecco fatto, porca merda, lo sapevo.

Due probabilità su settantasette.

Era una splendida donna, la signora Kirishima. Minuta e allegra, dai capelli neri e lunghi e i denti da squalo appuntiti. Il figlio le somigliava tremendamente.

Il marito, alle sue spalle, si accorse per primo della mia presenza, e mi rivolse un caldo sorriso, che conoscevo fin troppo bene.
L'avevo visto brillare sulle labbra di Capelli di Merda.

Anche la donna, qualche secondo dopo fece caso a me, senza abbandonare nemmeno per un attimo la fottuta allegria.

"Oh! Buongiorno!" esclamò raggiante, ed io compresi in un attimo che ero finito nella fottutissima tana delle fottutissime fatine dei boschi.

"Ciao 'ma!" esclamò il Rosso dall'uscio, ed io fui costretto a masticare un 'Salve' forzato, imbarazzato, pensando che avrei fatto bene a gettarmi dalla finestra e fuggire via qualche minuto prima.

"Io sono Kazuko, è un piacere conoscerti! Oh, e lui è Kazuha! Sei un amico di Kiri? Avete fatto colazione? Vi possiamo preparare qualcosa!"

Kazuko e Kazuha. Sono finito al fottutissimo circo?

Tutta quella gentilezza mi investì tiepida, e la mia mano volò incerta sulla nuca, alla ricerca di qualche parola da spiccicare senza apparire come un perfetto coglione scorbutico.

Non osare dire il tuo fottutissimo nome.
Non puoi passare per un dannato frocetto.
Se arrivasse all'orecchio dei tuoi cazzo di genitori?!

Inventa qualcosa, cazzo!

"Uhm... buongiorno. Sono un amico di Cap- ehm, di Kirishima, e mi chiamo Izuku Mido-"

Uno scappellotto mi arrivò veloce dietro la nuca, mentre la risata copiosa di Capelli di Merda coprì con successo le mie ultime parole.

"Bakugo. Si chiama Bakugo Katsuki, e con lui è Carnevale tutto l'anno!" esclamò rimproverandomi neanche troppo velatamente.

Come cazzo si permette?

Ha davvero osato colpirmi?

Adesso lo uccido.

Ma la donna interruppe i miei pensieri rumorosi, piazzandomi una mano in mezzo ai capelli e scompigliandoli fastidiosamente.

Ma questi qui riescono a non invadere lo spazio vitale altrui per venti fottuti secondi?

Mi imbroncirai silenzioso, conscio del fatto che non avrei potuto ammazzarla né lamentarmi.
Potevo solo rimanere in silenzio.

"È un piacere conoscerti! Io e Kazuha siamo appena rincasati dal turno notturno, riposeremo per qualche ora. Fateci sapere se avete bisogno di qualcosa!" trillò arzilla, per poi scomparire veloce in un'altra stanza, proprio com'era comparsa, seguita dal marito.

Rimasi di nuovo da solo con Kirishima, indeciso se lamentarmi, strangolarlo, o semplicemente rimanere in silenzio.

Nel dubbio, mi voltai rabbioso, accorgendomi che quel decerebrato era scoppiato nuovamente a ridere.

"Che cazzo ci trovi di divertente, ah?!"

E lui rispose con leggerezza, ritornando lento nella sua stanza.

"Ci fosse soltanto una cosa, Kat, che non trovo divertente!".

Per un attimo mi balenò in testa l'idea che forse andava bene così.
Che preferivo quando rideva sfacciato e mi prendeva per il culo.
Che preferivo il suo irritante dispetto, alla sua disperata mancanza di ossigeno e ricerca di fumo.

Quel giorno saltammo nuovamente le lezioni, ed io mantenni la mia promessa, regalando al Rosso un altro fottuto quintale di risate, cornetti caldi e scatti salvati sul telefono.

Rimasi fedele alle mie parole e giurai a me stesso che si trattava dell'ultima, ultimissima volta.

Io avevo altre dannate priorità è non potevo certo permettermi il lusso di perdermi in simili cazzate.

Ma con Kirishima le maledette eccezioni diventavano sempre regola.

Trascorsero alcuni giorni da quella mattina, ed io e Kirishima, in un fottuto modo o nell'altro, ci ritrovammo sempre ficcati nella stessa stanza, a studiare al tavolo dell'Università, a tentare di comprare una moto nuova, a prepararci per la gara, che si sarebbe tenuto dopo Capodanno, e a prepararci per il fottuto concorso, la cui data si avvicinava sempre di più, inesorabile. Mancavano soltanto uno scarso paio di settimane.

Non feci menzione della macchina fotografica rotta, dell'assoluto divieto impostomi dalla mia cazzo di madre che tentò di impedirmi di partecipare e del fatto che, semplicemente, quella vita non fosse per me.
Non me la potevo permettere, anche se la bramavo più dell'ossigeno.

Era una sera gelida, quella del disastro, ed io piombai di fronte all'appartamento di Capelli di Merda senza preavviso, per lasciargli un maledetto acconto da dare al collezionista dal quale avevamo intenzione di acquistare la nuova moto.

Le luci della casa erano spente, ma una chioma fottutamente rosa ed irritante, di ritorno dal cortile, attirò la mia attenzione.

La ragazza agitò allegra una mano al vento,
Il sole era già tramontato, ed il buio iniziava a farsi sempre più fitto tra i rami degli alberi che circondavano quella casa al freddo del crepuscolo.

"Ehi, Bakubro!"

Sei un maledetto maschiaccio.

Alzai il mento in segno di saluto.
"Occhi da Procione".

"Che ci fai da queste parti?"

Secondo te, razza di idiota?
Mantieni la calma.

"Cercavo Capelli di Merda. Devo dargli dei cazzo di soldi".

Quella ridacchiò, indicando con un gesto del pollice affusolato il cortile alle sue spalle.

"È nel garage di famiglia, qui sul retro. Stava cercando un martello, ha rotto il suo. Io devo scappare al lavoro, scusa! Ci vediamo domani a scuola!"
E detto questo se la filò veloce e arzilla, ignara del fatto che là dentro io non avrei mai e poi mai dovuto mettere piede.

Con lentezza inaudita seguii le indicazioni della Rosa, trovando in un baleno il garage spazioso, e sporgendomi sull'uscio.
Capelli di Merda era lì, con la testa ficcata in una scatola, a rovistare attento tra centinaia e centinaia di attrezzi.

Mi feci sentire immediatamente.
Detestavo essere ignorato, dopotutto.

"Oi, Capelli di Merda".

E quello, come colto in flagrante nel bel mezzo di un furto, si drizzò in piedi terrorizzato.

I suoi occhi sgranati e impauriti tradirono la sua calma apparente, ed io compresi subito che qualcosa non stesse andando per il cazzo di verso giusto.

"C-ciao Baku!" esclamò in preda ad evidente panico, cercando con gli occhi una via di fuga.

Che cazzo succede?

Il sospetto mi portò inevitabile a guardarmi intorno, e non ci volle molto prima che scoprissi inerme tutta la cazzo di verità.

Ad un lato del garage infatti, spiccava rossa e semicoperta da un telo lercio, la moto dei miei sogni.
La riconobbi subito.

La bocca mi si prosciugò lenta, mentre cedetti in un attimo al totale smarrimento, in carenza d'ossigeno.

In quel momento soltanto mi accorsi che quella maledetta e sporca stanza era piena fino all'orlo di trofei di ogni tipo, e stralci di articoli di giornale che riportavano sul titolo un solo ed inconfondibile nome, quello di Eijiro Kirishima, il campione incontrastato.

Cosa cazzo sto vedendo?

La rabbia iniziò a prendere possesso di me, mentre la mia vista cominciò inesorabile a vacillare.

Spostai lo sguardo verso il Rosso, completamente allarmato.

"B-Baku, ascolta, posso spiegare!"

Le parole mi uscirono in un fottutissimo ringhio.
"Sarà meglio".

Tentò di arrampicarsi miseramente sugli specchi.
"L-la moto, cioè quella moto, insomma, è mia ma-"

Lo interruppi subito.
Avevo voglia di spaccare tutto.

"Che cosa cazzo hai appena detto?"

Silenzio.
Fu benzina sul mio fuoco.

"Tu hai fatto finta di cercare quella fottuta moto insieme a me per quasi due cazzo di maledettissimi mesi, mentre la tenevi in questo posto di merda, ah?!"

Avevo già iniziato ad alzare i toni.

Non rispose.
Continuava a passare lo sguardo attonito da me alla moto, alla ricerca di un'altra fottutissima palla.

Non lo hai fatto davvero.

Dimmi che non lo hai fatto davvero.

Ma non disse un cazzo di niente.
Ero fuori di me.

Signore e signori, stavo per regalare a Kirishima Eijiro il lato peggiore di me.

Quello che a lui non avevo mai riservato.

Quello che credevo che lui, dopotutto, non meritasse.

E che invece meritava più degli altri.

Mi hai solo preso per il culo.

"Come stracazzo hai fatto a guardarmi in faccia per tutto questo tempo, ah? Fottuto bugiardo!"

Inspiravo veleno a pieni polmoni, e glielo sputavo acido addosso, se sa pensare alle conseguenze.
Funzionavo così, come un fottuto cane bastardo che si aggrappa aggressivo alla vita, che non conosce miseria né pena.
Conosce la rabbia.

"Non è andata così, Katsuki, dammi il tempo di spiegare!".

Ma io non avevo più tempo per un cazzo di fottuto nessuno, al di fuori di me.

Più alzavo il tono, più lui lo abbassava.

"Cosa cazzo devi spiegare? Che mi hai preso per il culo? Che mi hai detto che la fottuta moto era introvabile? Che me ne stavi facendo comprare un'altra con l'inganno?"

Scosse il capo irritato, avvicinandosi lentamente a me con le mani premute sul petto, quasi come se stesse cercando di tamponare un inesistente dolore.

Ma io ero una furia, ed avevo appena cominciato.
Dopotutto, ero Bakugo Katsuki, un mostro del cazzo.
E lui stava soltanto pagando il prezzo delle sue maledette azioni, di aver giocato con lo stronzo sbagliato, col fuoco più ardente del mondo fottuto.

Far del male agli altri è sempre stato il mio migliore vanto.
Ormai ero irrefrenabile, su tutte le furie.

"Oh, già che ci siamo, mi racconti anche cosa sono quei trofei? Tu non sai guidare, giusto? Allora perché la moto è tua, ah? Te l'ha regalata il dannato Demonio? Proprio come il cazzo di Zombie, quello che mi hai detto di non conoscere e che invece era il tuo fottuto ragazzo! Parla, razza di fottuto bugiardo, parla!"

(TW🚩⚠️)

Inspirò profondamente. Stava anche lui cominciando a perdere il controllo.

Io, dal canto mio, l'avevo già abbandonato da un pezzo.

Se avessi potuto, avrei distrutto tutto.
Volevo vedere il mondo bastardo ridotto in poltiglia.

Il mondo a cui avevo provato a dare tutto, e che mi aveva ricompensato con delle maledette gabbie.
Il mondo che provavo incessantemente a compiacere, e che mi ricordava invece quanto fossi in fondo, alla fine, soltanto un cazzo di lupo solitario, destinato all'odio sordo e a digrignare i denti.

"Tu non capisci, Baku-"

Invece ho capito tutto.

"Non osare chiamarmi così! Che cosa cazzo dovrei capire ancora, ah?!"

Mi hai davvero fatto incazzare stavolta.

"Non capisci quanto questa storia mi faccia male! Capisci che ho dei limiti, Bakugo? Capisci che non ce la faccio ad andare oltre?!"

Inspirai veleno dal naso, per poi sputare in faccia al Rosso altro maledetto odio.

"Taci, maledetto Rosso. Cosa diavolo vuoi saperne, Kirishima, ah? Cosa cazzo vuoi saperne di rabbia, odio, dolore? Sei una fottuta fatina dei boschi, ti diverti a rompere il cazzo portando la tua fottutissima luce nel maledetto dappertutto! Che cosa diavolo vuoi saperne tu, ah?"

Ero fuori di me.
Volevo spaccare tutto.
La rabbia aveva preso possesso di ogni mio maledettissimo muscolo.

Stavo per uscire da quel fottuto garage, stavo per dire addio al Rosso, a quell'avventura del cazzo che mi aveva portato ad una ennesima rottura.

Perché cazzo avevo pensato che potesse essere diverso?

Perché cazzo avevo creduto nella luce emanata da quel bastardo?

E soprattutto, perché cazzo avevo pensato di poterci vivere, anche soltanto per un po', irradiato da quella luce?

Sei un coglione, Katsuki.
Sei soltanto un maledetto idiota.

E proprio in quel momento, mentre stavo sbattendo in faccia al Rosso la nostra sostanziale, madornale e apocalittica differenza, compresi che, semplicemente, mi stavo sbagliando.

Non disse una fottuta parola, Kirishima.
Sì portò le dita ruvide alla cerniera dei pantaloni, e li slacciò stizzito.

Mi schizzò la merda al cervello.
Per un momento pensai di rimanere in silenzio, ma ero davvero troppo infuriato per farlo.

"Che cosa cazzo stai facendo adesso?"

Si sta spogliando?

Un velo di imbarazzo scese sulla mia rabbia, impedendomi di filare via come avevo deciso di fare.

Lasciò che i jeans scuri gli scovolassero lungo le gambe, afferrandoli in tempo all'altezza del ginocchio.

In quel momento l'aria abbandonò definitivamente i miei maledetti polmoni.
In un solo dannato secondo non c'era più traccia di inestinguibile furia.

La gola asciutta, gli occhi sgranati, il caldo soffocante.

Cosa cazzo sto vedendo?

Respira, Katsuki.

Bruciature.
Le cosce del Rosso erano costellate di bruciature.
Rosse, rotonde, quasi geometriche.
Appiccicate le une alle altre, a tappezzare la sua pelle, a marcarla indelebilmente.

Sigarette.
Era il preciso diametro delle sue maledette sigarette, che io conoscevo a memoria, contro tutte le mie volontà.

Di' qualcosa, Katsuki, dannazione!

Ma non mi uscì niente.
Per la prima volta nella vita, ero rimasto completamente pietrificato.

A quel punto, un lieve risolino volò veloce dalle labbra di Kirishima, ed io non seppi più come cazzo sentirmi, se non totalmente smarrito.

Perchè stai ridendo?

Parlò. Una voce fredda che non gli apparteneva.
La voce dell'odio, quella che conoscevo meglio di chiunque altro, ma che credevo lui non conoscesse.

"Vedi ancora luce, Bakugo?"

Sì. Dio Santo, sì.

Vedevo luce dappertutto.
Vedevo anche ombre, ma non riuscii a realizzarle.
O meglio, non volli.

Perche, Capelli di Merda?
Perché?

Ma lo sapevo, io sapevo benissimo il perché.
Io, che avevo passato metà della mia vita a tentare di distruggerla, e l'altra metà a far finta che non fosse mai successo niente.

Un altro sorriso amaro sulle sue labbra carnose.

Mi manca l'aria.
Non riesco a guardarti.

Che cazzo ti sei fatto, Capelli di Merda?

In un gesto frettoloso si rialzò i pantaloni, ponendo fine a quella maledetta tortura.
Ficcò le mani in un vecchio e logoro portaoggetti, estraendo un mazzo di chiavi. Le lanciò ai miei piedi.

Gelido. Gelido come non lo avevo mai visto.

"La moto è tua, non voglio nulla in cambio. Fanne quello che vuoi. È ancora sporca di sangue da allora, trova qualcuno che te la rimetta a posto".

Nessuna emozione.
Nessun cenno di dolore.

Ed io avevo ancora la gola asciutta, e le bruciature rosse impresse in mente.

Devi fare qualcosa, Katsuki.

Immobile come una statua.

Il Rosso agguantò le chiavi del garage e si avvicinò all'uscita, pronto a svignarsela.

"Tirati la porta dietro, quando vieni via. Ci penserò io a chiudere più tardi".

Avanzò altri passi.
In quel momento credetti di averlo perso per sempre.

E soltanto allora, al buio di quel garage, con un insolito fastidio bloccato al centro esatto della gola, con la rabbia spenta da una secchiata di improvvisa e cieca preoccupazione, lentamente compresi.

Non era il concorso di fotografia, ma chi mi aveva convinto a partecipare.
Non erano i cornetti alla crema alle cinque del mattino, ma chi li masticava goffamente al mio fianco.
Non era la moto nuova, ma l'idiota che l'avrebbe preparata insieme a me.
Non era la maledetta gara, era la voglia di salire di nuovo sul podio con lui.

Sei sempre stato tu, con quei maledetti capelli di merda.

Si voltò un'ultima volta.

"Sai, non mi aspetto che tu capisca, Bakugo. Ti ho preso per il culo, di nuovo, e sapevo che se lo avessi scoperto sarebbe finita così. Me ne assumo tutte le responsabilità.
Semplicemente, volevo tenerti lontano da tutto questo... lontano da me".

E all'improvviso, la mia voce decise di ritornare a farsi sentire.

Uscì tremante, nonostante tentassi in tutti i modi di nasconderlo.

Nella mente, i cerchi concentrici impressi sulle sue gambe.

"Guai a te se osi muovere un altro maledetto passo".

E lui ovviamente si fermò.
Mi fissò dritto negli occhi, rimanendo serio.
Nessun cenno di esitazione.
"Altrimenti, Bakugo?"

Era ferito. Ferito e spaventato, come un cazzo di cane bastardo abbandonato sul ciglio della strada.
Come me pochi minuti prima.

Lo raggiunsi lento, e le mie mani si incollarono
automatiche al colletto del suo maglione, vecchio e morbido.

"Non. Mi. Provocare." ringhiaia furioso a un palmo dal suo naso appuntito, abbandonando immediatamente dopo la presa.

Vattene, Katsuki.

Ma non lo feci, tutt'altro.
Mi macchiai di un'azione che mai e poi mai pensai di compiere nella mia merdosissima vita.

Fu più forte di me, e silenzioso e incurante, mi inginocchiai ai suoi piedi.

Io, Katsuki Bakugo.
In ginocchio di fronte ad uno stronzo che mi aveva appena preso per il culo.
Il mondo doveva essersi capovolto in quell'esatto momento.

Ma io allora avevo in testa soltanto le sue cicatrici rosse, alle quali non volli credere la prima volta.

"Fa' vedere".

Vacillò. Tentò di interpretarmi ma non ci riuscì.
Nessuno sul fottuto pianeta ci sarebbe riuscito.

Dovrei essere arrabbiato con te.
Dovrei odiarti con tutto me stesso.

Non ci riesco, diamine.

"No, Kat, non c'è un cazzo da vedere. Per favore, fammi andare via".

Mi morsi con forza il labbro inferiore, fermandomi soltanto una volta avvertito il sapore ferroso del sangue.

"Kirishima, il mio è un maledetto ordine, fammi vedere quello che hai combinato prima che mi incazzi per davvero".

Sorrise fugace, con una nuova sigaretta tra le labbra.

"Non eri già arrabbiato per davvero, Biondino?"

Ma io non avevo un cazzo voglia di scherzare.
Non risposi, fissandolo torvo, e lui finalmente intese.
Volse gli occhi al cielo, ripetendo la stessa identica azione di prima e lasciando scivolare i pantaloni lentamente lungo le gambe.

Finalmente, a corto di fiato, potei controllarle da vicino, col cuore a mille e il fiato corto.
Erano tante, geometriche, rosse.

In qualche parte del mio corpo, sentii una fitta profonda e dolorosa, come se quella visione mi avesse fatto male.
Tremendamente male.

Di nuovo le sensazioni di poco prima, la gola asciutta, la totale incapacità di reagire.

Quel giorno compresi quanto io e Kirishima fossimo l'esatta rappresentazione di come il dolore plasmi inesorabile le persone.
Alcune si trasformavano in mostri.
Altre si rinchiudevano in un tempio dorato, costruito con finta allegria e sorrisetti del cazzo.

Le mie dita si mossero sole, andando lente a sfiorare tutto il gran casino che aveva combinato quell'*mIdiota, il quale tentava, in preda alla vergogna, di evitare il mio sguardo, e di riempirsi i polmoni di fumo fino a scoppiare.

Non seppi che cazzo dire.

Se avessi avuto una gomma magica, in quel momento, l'avrei usata sulle sue gambe.
Prima su quelle, che sulle mie gabbie.
Ma non esisteva nessuna gomma magica del cazzo, ed io dovetti, come sempre, sbattere la merdosissma faccia contro l'amara realtà fottuta.

"Capelli di Merda.."
Sussurrai involontario, spaesato.

Mi interruppe. Il tono di voce spezzato.

"Non devi provare compassione, Kat. Arrabbiati con me, ti ho preso in giro. Quelle sono solo degli errori di percorso".

Digrignai i denti prima di rispondere, continuando a passare lievi le dita tra le sue cicatrici.

Come ti sei permesso?

Perché hai combinato questo maledetto casino?

Inspirai profondamente, mentre tossici pensieri iniziarono ad annebbiarmi la mente.

Voglio baciarle.

Voglio toccarle ancora.

Ho bisogno di guarirti.

Ho bisogno di proteggerti.

Provai a negare a me stesso quelle putride affermazioni, ma in quel momento realizzai che Capelli di Merda aveva davvero bisogno di protezione.

Soltanto per un po'.

Soltanto il tempo di recuperare la sua fottutissima luce.

Potevo farlo, forse dovevo farlo, dopo tutto quello che lui aveva fatto per me.
Non mi sarebbe costato niente, tenerlo al sicuro per un po'.

Non mi sarebbe costato niente, volergli un po' di bene.

Sempre io, Bakugo Katsuki, in ginocchio sul pavimento di un garage sconosciuto e lercio, a pensare che forse, per una cazzo di volta, potevo compiere la scelta giusta.
Potevo uscire dalla cazzo di gabbia.

Mi alzai stizzito da terra, tornando ad un palmo dal viso del Rosso.

Non conoscevo altro modo di esprimermi, se non attraverso la rabbia.

"Se provi a rifarlo, Kirishima, ti ammazzo con le mie mani".

Quello sorrise rivestendosi, a metà tra l'imbarazzo e il dispiacere.

Non mi degnò di risposta, di nuovo.

"Te ne concedo ancora una, Capelli di Merda, mi hai sentito bene?"

Sembrò spaesato.

"Che?"

"Possibilità. Se mi prendi ancora per il culo, non voglio più vedere in giro la tua faccia da cazzo".

Ma a Kirishima non sembrò un buon compromesso.
Tutt'altro.

Parve quasi stanco, ed io non lo compresi.
Non lo compresi per un cazzo.

Perché mi sto impegnando a capirti?

Perché non riesco a staccarmi da te?

"Che cosa vuoi da me, Kat?"

Ringhiai, parlando tutto d'un fiato.
"La verità, Eijiro".

Mi stavo impegnando per scegliere con cura le parole da utilizzare, per non permettere alla rabbia di prendere il sopravvento.
Non lo avevo mai fatto.
A nessuno era concesso un simile, maledettissimo lusso.

Una smorfia di dolore misto a fastidio si dipinse sul suo viso.
Provò a spiegarsi ancora, a ripetere con pazienza quello che poco prima non volli ascoltare.
"È difficile, per me. Lo capisci che per me è dannatamente difficile?"

Lo capisco.
Lo capisco, Capelli di Merda.

"O così, o vaffanculo, mi sono spiegato?"

Di nuovo il veleno.

Stavo alzando di nuovo barriere.
Era più forte di me.

E all'improvviso, come ogni volta che Kirishima provava a farsi coraggio, finalmente, mi sorrise beffardo, avvicinando a me la solita cicca maledetta.

"Vuoi una sigaretta, bro? Sembri nervosetto".

Ma io continuavo a non aver voglia di scherzare.
Le sue bruciature erano diventate un maledetto chiodo fisso ed io non avrei mai più avuto pace fino al giorno della loro totale guarigione.

Le parole mi uscirono automatiche, arrabbiate, lievi come non avrei mai pensato.
"Tu, fottuto Rosso, non hai la benché minima idea di quante ne abbia fumate, prima ancora che tu toccassi la prima".

Un lampo di stupore gli attraversò gli occhi fugace, mentre il suo sorrisetto dispettoso si inarcò da un lato.
"Hai fumato?"

"Non sono cazzi tuoi".

E quello sorrise ancora, provocatore, insistente, ad un palmo dal mio visto, con il culo poggiato sul bancone degli attrezzi lercio.
"Dimostramelo".

Ed io ero Bakugo Katsuki, avrei tenuto testa persino al Demonio, e provocarmi non era mai l'opzione corretta.

Fermati, Katsuki.
Non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno.

Con un gesto di stizza gli sfilai la sigaretta dalle dita ruvide.
Ero di nuovo incazzato.

La mia mano libera si mosse automatica, incastrandosi quasi meccanicamente sul mento del Rosso, e tenendolo fermo in una presa salda, arrabbiata.

Mi portai alla bocca la sigaretta, aspirando lento, come non avevo più fatto da anni a quella maledetta parte.

Gli occhi del Rosso vacillarono di fronte alla mia presa, immobili e pregni di una luce che non conoscevo ancora.

Allontanai la sigaretta dal viso, avvicinandomi pericolosamente a quello paonazzo di Kirishima.
Lasciai scivolare lento il fumo dalle mie labbra indirizzandolo su quelle carnose del Rosso, a pochi, pochissimi maledetti millimetri dalle mie.

Sentivo il calore del suo corpo, sentivo il suo respiro lento ed esitante, e vidi i suoi occhi chiudersi per un attimo, beandosi di quel fumo, come se la sola cosa al mondo che riuscisse a restituirgli pace fosse la maledetta autodistruzione.

Poi tornò fugace alla realtà, ad un passo dalle mie maledette labbra, che per un attimo, soltanto un attimo, sfiorarono per errore le sue.

Fu in quel momento che un dito ruvido si arrotolò sicuro attorno ad una delle mie ciocche, tirandola con destrezza. Una scarica di brividi lungo la schiena mi costrinse a mordermi con forza il labbro inferiore, mentre il caldo insopportabile invadeva ogni mio singolo poro.

"Stai giocando col fuoco, Bakugo Katsuki." ringhiò lui, un tono che mai avevo sentito uscire dalla sua bocca rossa.
Roco, aspro, serio, graffiato. Quasi come se avesse avuto soltanto voglia di fottermi in quell'istante.

Ma io amavo giocare col maledetto fuoco, ed ero eccitato, tremendamente eccitato.
Eccitato come mai in vita mia.

Cosa cazzo stai facendo, Katsuki?

Non ero un frocetto di merda.
Eppure ero lì, ad un cazzo di millimetro dalle sue labbra carnose, le sole che in quel momento avrebbero potuto soddisfare la mia insaziabile sete.
Non ero un frocetto di merda ma volevo baciarlo, volevo baciare le sue bruciature, le sue maledette braccia, il suo collo, mentre la mia erezione diventava sempre più fastidiosa.

"Non me ne frega un cazzo." risposi secco, convinto che non sarei riuscito a trattenermi, e che quella sera avrei finito per fottermi il Rosso nella penombra del suo garage.

Non andò così.

Lasciò in un attimo la mia chioma, recuperando la sua sigaretta e sgusciando via dalla mia presa, da me.

Che cosa cazzo stavo per fare?

Maledetto Katsuki.

Mi rivolse uno sguardo serio, corrucciato, recuperando le chiavi del garage che aveva abbandonato sul tavolo e inspirando profondamente.
Il modo in cui era appena fuggito da me accese nella mia cazzo di mente un campanello d'allarme, che ignorai volutamente.

Un pessimo presentimento.

"Avrai tutte le verità che vuoi, Kat. Solo..."

Esitò prima di avanzare quella richiesta.
"Ti chiedo solo di andarci piano con me, Baku. Sono tutte ferite aperte".

Per un attimo mi mancò il fiato.
Il dolore del Rosso, per chissà quale cazzo di motivo, ferì persino me.

Forse avevo esagerato con lui, di nuovo.
Forse mi ero cacciato in un cumulo di cazzi non miei che mi avrebbero sommerso e portato via dai miei obiettivi.

Forse stavo soltanto cercando di essere soft in un mondo che voleva i miei artigli.

Non mi diede tempo di rispondere. Stava già camminando a passo spedito fuori dal garage.
"Beh? Andiamo?"

"Dove cazzo vuoi andare, adesso?"

E fu così che mi ritrovai silenzioso a seguirlo come un cane per tutto il quartiere, metre recuperava oggetti bizzarri lungo la strada, comprandoli velocemente a qualche negozio che notai di sfuggita.

Girammo intorno come perfetti coglioni, e ritornammo precisi di fronte all'appartamento di Kirishima, che spalancò le porte di casa sua e mi fece cenno di entrare.

I suoi non ci sarebbero stati fino al mattino seguente.
Un film già visto.

Conoscevo oramai la strada per la sua camera, e quando raggiunsi il Rosso realizzai che aveva appena sistemato sul letto tutte le stronzate che aveva acquistato lungo il tragitto.
Un infinito numero di sacchetti, un infinito numero di pacchetti di sigarette, un posacenere, snack e bevande di tutti i tipi, e diversi pacchetti di fazzoletti.

Si sedette goffo ad un angolo del letto, ed io lo imitai, decisamente spaesato.

"Sono pronto, Kat".

Pronto a cosa?

Era serio. Dannatamente serio.
E a me, Capelli di Merda senza sorriso, non piacque per un cazzo di niente.

"Hai dimenticato i preservativi, brutto Idiota".

Gli strappai una risatina fugace. Mi accontentai di quel poco.

"Sono serio, Baku. Chiedimi tutto ciò che vuoi. Avrai indietro soltanto la verità. Tutta la verità".

Non volevo portati a questo.

Hai frainteso tutto.

Per un attimo ebbi l'irrefrenabile impulso di alzarmi e fuggire lontano.

Non era quello che volevo.
Non era mia intenzione spingere il Rosso oltre i suoi limiti, rimanere ancorato ad una cazzo di sedia a fargli vomitare l'anima fuori dal corpo.

No, non ero quel tipo di mostro.
Non lo volevo essere.
Non per lui.

Inspirai profondamente.
Mi costò immensa fatica tentare di spiegarmi, senza cedere alla rabbia.

"Hai capito male, Capelli di Merda. Io volevo soltant-" mi interruppe fulmineo.

Detesto essere interrotto.

"Ho capito tutto, Baku. Ma io preferisco così. Via il dente, via il dolore. Dammi la possibilità di rimediare e di riavere indietro un po' della tua fiducia".

Colpito e affondato.

Rimasi in silenzio mentre si accese una prima sigaretta, fissandomi dritto negli occhi ed inspirando profondamente.

Parlò di nuovo.
Quel giorno era riuscito a levarmi di bocca più risposte di quanto credessi.

"Chiedi, dai".

Ma io ero pietrificato.
Le bruciature mi si ripresentarono in mente, geometriche e rosse.

Non voglio farti del male.
Non voglio farmi del male.

"Insomma, Kat, hai fatto una piazzata memorabile nel garage, e adesso ti tiri indietro?"

Sai benissimo quali tasti toccare, stronzo maledetto.

Mi feci così avanti.

"I trofei, gli articoli, la moto. Che cazzo significano?"

E all'improvviso, finalmente, la pura verità.
Tutto quello che in cuor mio avevo sempre saputo, uscì dalle sue labbra, potente come un fiume in piena.

Sorrise amaro prima di cominciare a parlare.
La sua voce era sicura, gelida, e i suoi occhi rossi e brillanti puntati sui miei.

"I trofei che hai visto li ho vinti io, tutti. Correvo nel tuo stesso campionato, al box numero 7. Le moto erano la mia vita, ed io ero sempre in cima al podio".

Lo sapevo, cazzo.

Lo sapevo.

Una scintilla di eccitazione si accese in me, nel pensare che allora era davvero così, che Capelli di Merda era un pilota, che sapeva correre, gareggiare, e che possedeva la moto più bella di tutto il cazzo di fottuto pianeta.

Anticipò la mia domanda, e riprese a parlare, concedendosi prima una lunga boccata di fumo, che lasciò scivolare via dalle labbra tra una parola e l'altra.

Quando parlava della sua moto, gli occhi del Rosso si riempivano di una luce mai vista prima.

"L'anno in cui tu hai cominciato, io mi sono ritirato, per via dell'incidente. Quella era la mia moto. Volevo dartela, appena ho saputo che la cercavi, ma non ci sono riuscito. Te lo giuro, Kat, non ci sono riuscito. Non riesco nemmeno a guardarla, da quel giorno".

Non devi giurarmi nulla.

Rimasi in silenzio, realizzando soltanto in quel momento che non mi aveva preso per il culo, Kirishima.
Stava soltanto cercando di superare quel maledetto incidente, di sopravvivere a tutto, ad un mondo che non gli apparteneva più e che gli si stringeva attorno al collo giorno dopo giorno

Eravamo ai due angoli opposti del letto, e in quell'istante avvertii l'impulso di avvicinarmi, solo di qualche centimetro, a lui, che parlava ancora deciso, senza esitazione alcuna.

Il Rosso aveva attraversato l'Inferno e trovava comunque la forza di ridere, di volere bene.

L'avrei detestato, il mondo, al suo fottuto posto.
L'avrei odiato con tutte le mie maledette forze.

Mi fissò corrucciato, in attesa di qualche reazione. Ma io non volli aggiungere pesi sulle sue spalle, e scelsi ancora il silenzio.

"Vuoi sapere altro?"

Risposi automatico.
"No".

Smettila di soffrire.

Ma in realtà volevo sapere dannatamente tutto.
L'incidente, le bruciature.
Volevo sapere tutto.

Come cazzo stai?
Che cosa ti fa male?
Che cosa ti farebbe bene?

E lui sorrise ancora, al mio merdoso silenzio.

"Dai, chiedilo".

L'imbarazzo scese violento su di me, mentre realizzai che quel bastardo aveva appena letto nei miei pensieri, facendo esattamente centro.

"No".

Non voglio.

E lui mi accontentò.
"Stavamo insieme da un annetto, io e Touya. Ci siamo conosciuti in pista, ed io mi sono innamorato di lui perdutamente. L'ho spudoratamente corteggiato nei modi peggiori, finché non l'ho convinto ad uscire con me. Insomma, non ebbe molta scelta, come ti ho già detto, sono un gran bel ragazzo!"

Ridacchiò leggero, e io gli restituii un grugnito divertito, accogliendo il fatto che stesse cercando di camuffare il dolore con le stronzate, come faceva di solito, dopotutto.

"Un pomeriggio montammo in sella, io ero alla guida, e sfrecciammo su per una collina non troppo distante da qui. Lo facevamo spesso".

Per la prim volta, lo vidi vacillare.
I suoi occhi non erano più pregni di sicurezza.

"Salivo veloce, finché un folle in macchina ci tagliò la strada e-" a quel punto si fermò.

Volse lo sguardo al soffitto, con gli occhi colmi di lacrime, ed il corpo attraversato da diversi tremori.

Non riuscii più a trattenermi.

Per non so quale cazzo di motivo.
Azzerai le distanze e lasciai che la mia spalla sfiorasse la sua.

"Oi, basta così." tuonai prepotente, ma fu tutto inutile.

"Finimmo a terra, io scaraventato fuori strada, e lui fracassato sotto la macchina".

Singhiozzava come un bambino in preda ai tremolìi, mentre la sua mano si stringeva forte sui sacchetti che aveva comprato al discount.
I suoi occhi ancora volti al soffitto.

Fu insopportabile, quella vista.
Volevo soltanto che la smettesse, che abbandonasse quel racconto, che vomitasse via la sua sofferenza e l'abbandonasse per sempre.

"Basta, Capelli di Merda. Ti ho detto di fermarti".

Ma lui era soltanto un cazzo di maledetto bambino testardo, ed io lo detestai per questo.

"Se solo avessi guidato un po' più piano, Kat. S-se soltanto avessi frenato prima, se solo ci fosse finita l-la mia cazzo di testa sotto alle ruote e non il suo corpo, s-se soltant-"
Non seppi che cosa stracazzo mi prese.

Tremava come una foglia in preda ai singhiozzi, Kirishima, ed io non sopportai quella vista.
Le lacrime rigavano copiose il suo viso, mentre mi dava in pasto le sue insicurezze, l'odio marcio che serbava nei suoi stessi confronti.

Immobile, spiazzato, con il fottuto cuore a palla.
Sembravo una statua del cazzo di fronte al mio primo vero legame, di fronte al dolore di una persona che si era presa cura di me, e che io non mi ero accorto di cosa cazzo si trascinasse dietro.

Senza nemmeno sapere come merda si facesse, lo tirai goffo a me, avvolgendolo in quello che fu il primo vero abbraccio della mia vita.

Qualcuno ti ha mai visto piangere, Capelli di Merda?

Quante emozioni hai trattenuto fino ad ora?

Smettila di soffrire.
Ti prego, smettila.

Lo strinsi con tutta la forza che possedevo, lasciando che si rintanasse nell'incavo della mia spalla e che desse sfogo a tutto il suo irrefrenabile pianto.
Un pianto liberatorio, carico di dolore.

"N-non è colpa tua, Capelli di Merda." sussurrai goffo, lasciando che le mie braccia lo stringessero di più.

Non ero mai stato bravo, con quelle cazzate.

Lui nemmeno mi ascoltò.
"S-se soltanto fosse toccata a me la sua sorte, se soltanto fossi semplicemente scomparso quel giorno, io-"
Mi incendiai in un attimo.

"Non osare dirlo, non provarci nemmeno, Eijiro." ringhiaio serio, approfondendo la stretta, appoggiando il mio capo sul suo, quasi come se avessi voluto fondermi con quella testa di cazzo, proteggerla da qualsiasi cosa avesse potuto ferirlo ancora.

Cosa cazzo stai facendo, Katsuki?

Lascialo andare, vattene subito via.

Ma io mandai a fare in culo la coscienza, e rimasi piazzato lì. In quello che per la prima volta al mondo parve essere il mio fottuto posto.

Compresi in un baleno.
Il suo senso di colpa, la voglia di autodistruzione, l'insonnia, le sigarette spente sulle gambe.

Ma in realtà, eravamo soltanto a metà.

Al tepore della mia spalla, Capelli di Merda parlò ancora, intervallando respiri profondi a dolorosi singhiozzi.

"T-touya non fu mai più lo stesso, da allora. Quando ci rimettemmo, tornammo a casa nostra, m-ma fu tutto un maledetto incubo".

La mia mano sprofondò lenta tra i suoi capelli, mentre continuavo a mantenere quello stupido abbraccio, quel contatto intenso che non riuscii a sciogliere, per nessun motivo al mondo.

"I-iniziò un periodo di violenze continue, Baku. Le ho meritate, le ho meritate tutte, lo giuro, ma non sono riuscito a restare a-al suo fianco, Baku, sono scappato come un codardo".

Il mio cuore perse un battito, mentre in me si accese una rabbia cieca, e la mia stretta si fece più prepotente.

Stava tremando come un bambino.
Piangeva a perdifiato sulla mia spalla, lasciandomi spaesato e spiazzato, completamente.

Violenze?

Le parole mi uscirono in un ringhio, feroce e incazzato.
"Che cosa cazzo ti ha fatto?"

Ma non mi rispose.
Pianse ancora e ancora, incapace di rispondere.
Io però ero dannatamente fuori di me.

"Kirishima, devi dirmi cosa ti ha fatto".

Scosse il capo tra i singhiozzi, mentre io realizzai finalmente che Kirishima si era addossato troppo, che portava sulle sue cazzo di spalle scolpite un peso impossibile da reggere, per qualsiasi fottuto essere umano, che era la persona più forte io avessi mai conosciuto.

Sussurrai parole vaghe, parole che non filtrai, né riuscii a fermare in tempo.
"Oi, va tutto bene. Sei al sicuro, qui. Smettila di frignare".

Prese un profondo respiro, prima di parlare ancora.
Le sue mani erano strette sulla mia maglia, salde, me l'avrebbero sicuramente rovinata. Ma a me in quel momento non fregò un cazzo di niente.

"A volte mi baciava, altre m-mi prendeva a schiaffi, Kat. Mi urlava contro, mi d-diceva che era tutta colpa mia, e poi chiedeva scusa".

La rabbia continuò a crescere in me, prepotente e furiosa, mentre le lacrime di Kirishima non fecero altro che accrescerla.

"Aveva ragione, Baku, aveva ragione su tutto. È s-stata colpa mia ed io avrei dovuto rimanere al suo fianco per rimediare ai miei errori, m-ma non ce l'ho fatta, s-sono scappato come un coniglio".

Ti stai biasimando per questo, Capelli di Merda?

Lo strinsi più forte a me, cominciando involontariamente a dondolarmi lento, cullando quel maledetto frignone ed annegando nella mia furia.

"No, Kirishima, non è colpa tua. Non aveva ragione su un cazzo di niente, su un cazzo di fottutissimo niente, mi hai capito?".

Ma lui oramai aveva scoperchiato il vaso.

"H-ho deciso di andarmene quando ho scoperto un suo tradimento per la terza volta. Quella sera, mentre stavo p-preparando le valigie, tentò di convincermi a restare. Non riuscendoci-"

Si fermò, incapace di proseguire.

Cosa cazzo ti ha fatto?

Ho bisogno di saperlo.

Scosse il capo, continuando a versare lacrime sulla mia spalla.

"M-mi ha preso per i capelli e mi ha sbattuto la testa al muro. Diciassette volte, sempre più forti. Le ho contate chiedendo scusa, anche quando ho cominciato a perdere sangue".

Mi allarmai come mai feci in vita mia.

Che cosa?

Voglio ammazzarlo con le mie mani.

Ho bisogno di disintegrarlo.

"Eijiro perché cazzo non hai reagito?l

Ma quello rispose soltanto aumentando i singhiozzi, e piangendo come mai avevo visto qualcuno piangere.

Ero scosso, ero arrabbiato, ero fuori di me.
Mai nella vita mi ero trovato in una cazzo di simile situazione.

Rimasto coinvolto in qualcosa di molto più grande di me, che faceva un male insopportabile.

"Perché cazzo non hai fatto niente, Capelli di Merda, perché?"

Rispondimi.

Le sue mani strinsero più forte la mia maglietta, e le parole uscirono dalla sua bocca in un sussurro flebile, sommesso, stanco.

"Era soltanto quello che meritavo".

Il sangue mi si gelò nelle vene.
Le mie mani si mossero veloci, andando a cercare il viso del Rosso, stanandolo dal suo nascondiglio.
Era completamente rigato dalle lacrime. Gli occhi gonfi, la punta del naso rossa, le labbra più grandi.

Tentai di arginare la rabbia. Non sarebbe servita a niente.
Non quella volta.

Le mie mani corsero lievi sulle sue guance, mentre quello tentava di evitare il mio sguardo, vergognandosi di fronte a tutto quello che stava accadendo veloce davanti ai suoi occhi.

Parlai a basso tono, sperando che quelle parole, se pronunciate lievi, potessero essere ritrattate in futuro.

Non fu così.

"Tu meriti un mondo che ti chieda scusa ogni cazzo di giorno per tutta la merda che hai ingoiato".

Le sue pupille schizzarono sulle mie, spaesate e sorprese, di fronte alle mie dichiarazioni.

Ma io non avevo ancora finito.

Catturai con le punte degli indici ogni sua lacrima, sperando che smettesse di piangere, che tornasse a fare il coglione di fronte a me, che tornasse il mio Kirishima, quello affamato e dispettoso, quello non schiacciato da pesi insormontabili.

"Tu meriti i cornetti caldi alle cinque di tutte le tue maledette mattine".

Un sorrisetto spento fiorì sulle sue labbra stanche.

Sì.
Così, Capelli di Merda, così.

"Tu meriti la tua cazzo di moto meravigliosa, il primo gradino del podio, il vento tra i capelli mentre corri".

Aveva ricominciato a guardarmi. Vispo, attento, placando i tremori e i singhiozzi.

"Tu meriti una fottuta stanza stracolma di fotografie, di libri d'arte, di tele vuote e piene, di cavalletti per dipingere e tutte quelle merdate lì".

Un'altra velata risatina, in mezzo a tutto il dolore.
"Non sono merdate!"

"Tu meriti di dormire tutte le notti, di arrivare in ritardo tutte le cazzo di volte facendomi infuriare come uno stronzo, di ridere a crepapelle per ogni più piccola, fottuta idiozia".

Tenni ancora il suo viso tra le mani, mentre si riappropriava del suo solito colorito roseo, mentre smetteva di lasciar scivolare lacrime lungo le guance.

"Meriti uno stronzo che ti dica tutti i giorni che sei fottutamente bellissimo, che splendi più del fottuto sole, e che non ti faccia mai pensare, nemmeno per un cazzo di singolo giorno, che a te sia destinata una vita mediocre. Mi hai capito, Kirishima?"

Mi sorrise ancora. Lèssi l'affetto nei suoi occhi, la gratitudine incondizionata, mentre un velo di rossore si appropriò delle sue guance calde.

"Ecco cosa meriti, Eijiro. Il resto sta solo nella tua cazzo di testa marcia. Lo capisci?"

Abbandonai lento la presa sul suo viso, lasciandolo libero di allontanarsi da me, di ritornare alla cazzo di realtà in cui lui non era spezzato dal dolore e io non ero frocio.

"Temo che non riuscirò mai a pensarla così, Kat."  sospirò lui, sedendosi nuovamente al mio fianco, ed agguantando una nuova sigaretta.

Aveva recuperato la calma.

"Meh. Ci vorrà un po' di tempo".

Annuì silenzioso, aprendo una bottiglietta di té freddo che aveva comprato poco tempo prima.

Poi parlò di nuovo.
Un buon segno, dopotutto.
Forse eravamo scesi da quella montagna russa infernale.

"Ma in tutto questo, un cane continuo a non meritarmelo?"

Ridacchiò soddisfatto della sua perfetta idiozia, aspirando fumo dalla cicca e rivolgendomi una vispa occhiata.

Inarcai un sopracciglio.
"Che cosa sei disposto a fare per una fottuta palla di pelo?"

Quello sì accoccolò leggero sulla mia spalla.
Troppa confidenza.
Ma non posso rimproverarti ancora.

Era esausto, glielo lèssi in faccia.
E lo ero anche io, tremendamente.

"Può suonare strano, ma tutto. Davvero tutto, cazzo, interpretalo come ti pare!"

Mi strappò un sorriso.
"Che ne dici se inizi ad utilizzare i fottuti posacenere e ripariamo la cazzo di moto? La lavo io".

Non devi osare ferirti mai più.

Sgranò gli occhi incredulo, puntandomeli addosso.
"N-non credo di poterci riuscire, Baku".

Sbuffai risentito.
"Allora niente fottuta palla di pelo".

"N-no, no! P-possiamo almeno provarci, ecco. Un tentativo non costa nulla, ecco".

Mi ha davvero detto sì?

Era l'inizio di una nuova avventura.
La più bella della mia fottuta vita.
Fu anche la prima di una cascata di altre verità, che avrebbero distrutto tutto e lo avrebbero ricostruito, più bello di prima.

"Dovrai convincere mia madre, lo sai?"

Inarcai un sopracciglio.
"Meh, so essere molto persuasivo. Sai com'è, sono un gran bel cazzo di ragazzo, dopotutto".

Trascorsero alcuni attimi di silenzio, prima che il Rosso parlasse di nuovo.

"Sei ancora arrabbiato con me?"

Non lo hai ancora capito?
Con te non ci riesco, porca merda.

"Meh".

"Siamo ancora amici?"

"Meh".

Poi l'ennesima bomba.
"Puoi restare con me, ancora per questa notte?"

Sospirai spazientito, alzando gli occhi al cielo ed annuendo.
Aveva vinto lui.
Lo aveva fatto in partenza.

Avevo giocato col fuoco, e mi ero fottutamente bruciato.

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