10. Fiorire
Ciao a tutti, cari lettori!
(Eliminerò questa nota fastidiosa dopo che l'avrete letta tutti ♥️)
SO che gli ultimi due aggiornamenti sono arrivati in ritardo, e mi scuso per questo.
Vi domanderete, sarà sempre così da ora in poi?
NO, ACCIPICCHIA.
Negli ultimi due mesi ho semplicemente riscontrato alcuni problemi, e non ho avuto neanche un attimo per respirare.
Vi allego qua sotto un elenco idiota di tutto quello che ho fatto:
•Lavorato come un mulo nelle scuole, nelle fiere e nella redazione (SE AVETE BISOGNO DI UNA PROF DI MATEMATICA, SCRIVETEMI, AIUTO TUTTI!)
•Traslocato (help, non ho ancora finito!)
•PROVATO A FINIRE GLI ESAMI (spoiler, non ci sono riuscita)
•Mi sono curata! (Avevo dei problemucci di salute, don't worry però, sta tornando tutto nella norma)
•Comprato e imparato a guidare una macchina! (Ho la patente da 5 anni ma non l'ho mai usata LOL?)
Ecco i motivi del mio super mega ritardo!
Dunque, no, la storia non sarà abbandonata per niente al mondo, ho solo avuto degli intoppi, che in parte si sono già fortunatamente risolti.
Vi lascio delle foto divertenti del casino che sto attraversando. (Ovviamente le cancellerò!)
La mia bimba ♥️
I miei bimbi ♥️
Il festival♥️
Io durante un mental breakdown 💔
Spero di potervi far vedere presto anche la nuova casa!!
Detto questo, vi mando un abbraccio enormissimissimo, e vi lascio al vostro capitolo, sperando che vi piaccia come sempre!
Un bacio enorme e una fetta di torta,
La vostra Franci ♥️
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Duecentonovantacinque giorni prima.
Proprio così.
È accaduto davvero.
Io, Kirishima Eijiro, rimisi il deretano sul sellino della moto.
La moto di Bakugo Katsuki.
Fu come rinascere, per la seconda volta.
In me si riaccese una minuscola, piccolissima, fioca scintilla.
Mai avrei pensato che quella luce avrebbe finito per incendiare tutto il mio cazzo di cuore.
Mai avrei pensato di riuscire a trovare il coraggio, di
riuscire a fidarmi di qualcuno fino a quel punto, quello di non ritorno.
Bakugo Katsuki.
Biondo, musone, apatico, distaccato, e bello, bello come il sole.
Un fascio di sentimenti scomodi mi investiva, ogni qualvolta mi immaginavo sul sellino della sua moto, al suo fianco, al sicuro, al caldo.
C'ero salito per davvero, proprio io.
Avevo respirato a pieni polmoni, lasciato entrare tutto l'ossigeno che a lungo mi ero negato.
Fu come risvegliarsi da un coma profondo.
In qualche modo, come scoprire all'improvviso di essere ancora vivo e non seppellito sotto cumuli e cumuli di senso di colpa.
Ancora vivo.
Lo ero persino quella mattina, ancora vivo, contro ogni mia aspettativa.
Aprii gli occhi lentamente, annegando nella drastica consapevolezza che quella maledetta data era arrivata inesorabile, ed io avrei dovuto affrontarla.
L'odore di pancakes caldi, la mia colazione preferita, mi invase le narici, e i 40 messaggi sul telefonino stavano urlando solo e soltanto una cosa: buon compleanno Kirishima.
Odiavo quel giorno.
E come se non bastasse, era il primo anniversario del mio maledetto incidente.
Vissi per mesi nella speranza di non arrivare mai a quell'alba, di riempirmi di fumo i polmoni a tal punto da farli scoppiare, il più in fretta possibile.
Eppure ero ancora lì, con l'odore di pancakes piantato nel naso, e una valanga di messaggi non richiesti a cui rispondere.
Che cosa diavolo ci trovavano di bello da festeggiare?
Avessi potuto eliminarla dall'universo, la data della mia nascita, lo giuro, l'avrei fatto senza pensarci due volte.
Invece esisteva, ed io dovevo trascinarmela dietro, come una maledetta palla al piede, che mi ricordava costantemente quanto sarebbe stato bello se non fossi mai esistito, quanto dolore avrei risparmiato alle persone che più amavo al mondo semplicemente cancellando ogni mia traccia.
Quanto dolore avrei risparmiato a lui.
Inesorabile e silenzioso, quel 16 Ottobre bussò alle mie porte, lasciandomi a bocca asciutta e con un centinaio di sassolini nelle scarpe, impossibili da togliere.
Era il mio compleanno, e mi ritrovavo ancora incastrato in quel corpo dannato, in una vita che non era più mia, e che avevo riconosciuto soltanto per un fugace attimo, in sella alla moto del mio Biondino preferito.
Mi alzai lento dal letto, specchiandomi amareggiato, e più rassegnato del dovuto.
Con ancora la bocca impastata di sonno, mi accesi automatico una sigaretta, bramando impaziente la prima boccata di fumo della giornata.
Tanti auguri, impiastro di merda.
Non c'era modo di poter sperare in un compleanno sereno, libero da tutti i gioghi che mi si erano irrimediabilmente incollati addosso nel tempo, e che avevo accettato di buon grado, come soltanto un rifiuto umano saprebbe fare.
Dopotutto, coltivando dolore, fiorisce soltanto altrettanto dolore.
Ed io ci stavo annegando, nel mio cumulo di sofferenze, impossibili da estirpare.
Ventidue anni di disastri.
Ed un anno dal disastro.
Sperai con tutte le mie forze che il mondo si fosse dimenticato di quella data, che avrebbe rispettato il silenzio dei miei tormenti e che avrebbe fatto finta di niente.
Come se fossi stato un maledetto fantasma.
Come se non avessi mai distrutto la vita di nessuno.
Ovviamente non fu così, ed io me ne accorsi subito, dalla tavola imbandita di tutti i miei dolci preferiti, e dal grembiule della mamma, in piedi da chissà che ora, sporco di crema pasticciera, quella che preferivo di più.
Mi accolse con un radioso sorriso, ed io non riuscii a fare a meno di ricambiarlo, lasciandomi illuminare dalla donna minuta e fragile che tanto aveva fatto, e faceva, per tenere in piedi le mie quattro ossa ingrate.
"Tanti auguri, piccolo mio!" esclamò, avvicinandosi a me titubante, con le braccia spalancate.
Anche lei era in difficoltà.
Lo lessi nei suoi movimenti, nel suo accenno di insicurezza.
E proprio per questo finsi massima disinvoltura.
Avevo già causato abbastanza danni.
E nessuno avrebbe mai più sofferto a causa mia.
"Grazie, Mamma!" risposi raggiante, fiondandomi tra le sue braccia e scoccandole un rumoroso bacio sulla guancia.
Era così piccola, in confronto a me.
Gracile, minuscola, eppure così forte, più di tutto il resto del mondo.
Avrei voluto dirglielo, che ero allo stremo delle forze.
Avrei voluto dirglielo, che ero caduto in una maledetta voragine scura, e che non trovavo il modo di riemergere.
Sciolsi l'abbraccio soltanto avvertendo il rumore di passi lenti alle mie spalle.
Mio padre, sull'uscio, allargò il suo sorriso.
Mi scompigliò la zazzera arruffata e portò le dita al mio lobo, tirandolo bonariamente per ben 22 volte.
"Diventi ogni giorno più grande, eh?" commentò, gli occhi pieni di orgoglio paterno.
Ridacchiai in risposta, spostando lo sguardo sui pancakes caldi e arginando il pensiero dell'incidente avvenuto esattamente un anno prima.
Anche quella mattina avevo mangiato i pancakes.
Fu proprio quel ricordo a farmi correre fulmineo in bagno, con la testa chinata sul water a vomitare tutto l'impegno di mia madre in venti fottuti secondi.
Sei un cazzo di irriconoscente, Eijiro.
Ma la mia mente era incastrata lì.
A cavallo della mia moto, nel bel mezzo della mulattiera di campagna.
Io e Dabi, stretti l'uno all'altro. Felici.
Poi l'irreparabile.
L'odore del sangue.
La moto capovolta a terra.
I miei 21 anni.
I pancakes della mamma.
"È tutta colpa tua, Kirishima.
Non vedi come mi hai ridotto?"
Mi chinai di nuovo per rimettere e per un momento credetti che non sarei mai riuscito ad uscire da quel dannato cesso, quella mattina.
Fui quasi sollevato al pensiero.
Avrei potuto soffocare là dentro, mettendo a tacere una volta per tutte i miei maledetti pensieri.
Ovviamente però non andò così, ed io mi ritrovai nuovamente in cucina, a terminare la colazione insieme ai miei genitori, fingendo di aver avuto soltanto un po' di mal di pancia.
Mio padre si offrì di accompagnarmi in macchina all'università ed io non ebbi alcuno scampo.
In realtà avevo soltanto voglia di rimanere segregato
dentro la mia camera per tutto il giorno, ma non riuscii ad accampare una scusa abbastanza credibile da potermelo permettere.
Quando varcai le soglie della scuola ero in perfetto orario, e camminavo lentamente, assalito dall'ansia.
Passo dopo passo, la gola si faceva sempre più asciutta e stretta, ed io avevo soltanto bisogno di un nuovo pacchetto di sigarette e di una benedetta pausa.
Troppo.
Era semplicemente troppo per me.
Stavo scoppiando, saturo al massimo.
Sentivo il rumore delle mie suole battere sul pavimento, il cuore pompare sempre più veloce e la voce dei miei pensieri urlare a squarciagola tutti i miei dannati errori, uno dopo l'altro, e poi daccapo, senza fermarsi mai.
Hai distrutto l'unica persona che amavi.
Hai fatto soffrire chiunque ti volesse bene.
Hai abbandonato l'unica passione che avevi.
È tutta colpa tua.
Mi trascinai così nell'aula, le lezioni non erano ancora cominciate, ed in una frazione di secondo Mina, Denki e Sero mi furono addosso.
"NON VORRAI MICA DIRMI CHE IL PICCOLINO DELLA FAMIGLIA CI HA RAGGIUNTI!" esclamò il corvino, indirizzandomi un amichevole scappellotto sul collo.
Si divertivano a trattarmi come un bambino, ma in realtà ci passavamo solo qualche mese.
Risposi con una risatina leggera, afferrando prontamente Mina che mi si catapultò addosso senza preavviso.
"Siamo in vena di festa, giusto?! ABBIAMO PENSATO A TUTTO!" esclamò la Rosa, per poi lasciar parlare Denki.
Sorrise sornione, contornandomi le spalle con un braccio.
"Proprio così, sarà una cazzo di giornata da brivido, Bro, DA BRIVIDO!"
incurvai nuovamente le labbra, cercando di mascherare il fatto che non avevo voglia di festeggiare, che avrei voluto soltanto tornare a casa e che mi stavano incastrando in qualcosa più grande di me, ed io non l'avrei retta.
In realtà fui grato a quelle 3 teste calde.
Al contrario di quello che sembra, furono più delicati di tutto il resto del mondo.
Nessun augurio non richiesto uscì dalla loro bocca, nemmeno la parola 'compleanno', nemmeno un rimando all'incidente.
Niente di niente.
Soltanto una delle nostre giornate tipo, e nulla più.
Forse ne avevo bisogno, e non lo sapevo.
Forse, in quel momento, sapevano meglio loro che cosa mi servisse.
D'altra parte, mi volevano bene.
Ero io a non volerne a me stesso.
Mi misi perciò nelle mani della mia combriccola, che a quanto pare aveva davvero organizzato tutto per filo e per segno.
Appena fuori dall'Università, c'erano infatti Deku, Todoroki e Momo ad aspettarci.
"Oh, bene, ci siamo tutti!" esclamò Denki, passandosi una mano tra i capelli appuntiti e sorridendo sornione.
"V-venite anche voi?" domandai in preda alla sorpresa.
Non mi aspettavo così tanta attenzione da parte loro.
La risposta affermativa non mi diede però pace.
Mancava ancora qualcuno, ed io lo cercai ovunque con lo sguardo, constatando che, semplicemente, non c'era.
Rassegnati, Eijiro.
Sei il suo meccanico, non un suo amico.
Fu proprio allora, mentre mi crogiolavo nell'imbarazzo degli auguri ricevuti da Shoto, Midoriya e Yaoyorozu, che una voce mi destò dai miei pensieri.
"Che cazzo, salite o no? Guardate che si paga ad ore, rimbambiti!"
Mi voltai fulmineo.
E proprio lì, sul ciglio della strada, due taxi gialli posteggiati.
Affacciato da un finestrino posteriore, nient'altro che lui.
Accigliato come al solito, scorbutico, con le sopracciglia aggrottate.
Bakugo Katsuki.
"Merda, Bakubro, non ti avevo visto!"
Il biondo rispose con un'alzata di occhi immediata.
"Come diamine hai fatto a non vederci, sono due fottuti taxi gialli come l'inferno!"
Denki ci pensò un po' su, avvicinandosi alle due vetture e scegliendone arbitrariamente una.
"L'inferno è rosso, Bro, non giallo".
Bakugo sbuffò irritato, ritraendo la testa e borbottando.
"Il mio inferno è del cazzo di colore che voglio io. Il rosso mi piace, il giallo no. Adesso chiudi la fogna e sali".
Anche a me piace il rosso.
Diamine, se mi piace.
Ci spalmammo così nei due taxi, ed io fui scaraventato da Mina proprio accanto a Katsuki, il quale mi accolse con un amorevole sbuffo.
Niente moto. Soltanto due taxi striminziti e costosi.
Ovunque avessero deciso di portarmi, avevano optato per un'opzione comune, e soprattutto tranquilla.
Un'opzione che non mi avrebbe fatto male in alcun modo.
Appena partimmo per la destinazione sconosciuta, mi accorsi subito che il tassista sapeva benissimo dove andare.
Ma lo riconobbi soltanto quando aprì la bocca e parlò per la prima volta.
"Ehilà, ragazzo! Vuoi accenderti una sigaretta?"
Sorrisi, sorrisi per davvero.
Era l'anziano di sempre.
"Ma lei si droga ah, vecchio rimbam-"
Piazzai fulmineo una mano sulle labbra di Bakugo, coprendo il rumore della sua voce con una grassa risata.
"Suvvia, è il suo compleanno, posso fare un'eccezione!" rispose quello allegro.
Io però declinai l'offerta.
"Fumerò fuori, signore, ma la ringrazio per la gentilezza".
L'incertezza di Mina, seduta al mio fianco, mi divertì ancora di più.
"Ma vi conoscete?" domandò incuriosita.
"Forse, ma non sono cazzi tuoi, Gommarosa".
Il risolino che mi sfuggì dalle labbra non fermò il loro battibecco.
"Suvvia, Bakugo, voglio saperlo, sono curiosa!"
Socchiusi gli occhi, preparandomi a quello che sarebbe successo, e che io avevo previsto quasi analiticamente.
"D'accordo. Il signore qui ci accompagna ad escort tutte le sere. Contenta?"
Poche volte vidi Mina rimanere in silenzio.
Quella, signore e signori, fu proprio una di quelle.
Si voltò verso di me, in cerca di un pettegolezzo, o di un po' di clemenza.
Ma io ero troppo divertito per convertirmi alla serietà. Prendere in giro Mina, inoltre, mi è sempre piaciuto.
"Ha detto la verità. Giusto, signor tassista?"
"Confermo, assolutamente".
In realtà, forse, volevo soltanto tenere quel ricordo per me.
Volevo che il nostro primo incontro rimanesse incastrato lì, in un angolo della mia mente, quello dove tenevo nascoste, serrate le poche cose belle che avevo.
La voce di Sero, fino a quel momento rimasto in silenzio sul sedile anteriore, si fece sentire.
Sganciò la bomba in un istante, colmo in viso di sfacciataggine e sarcasmo.
"Non è che l'escort in questione saresti tu, BakuBro?"
Silenzio.
"Fermi questa schifo di macchina, signor tassista. Il Personaggio Secondario ha appena scelto la via della morte".
Il taxi, quel giorno, si mosse a carburante e frecciatine. Dal mio punto di vista, estremamente divertenti.
Giunto a destinazione, nel bel mezzo della verde campagna, continuai a non avere idea di dove mi trovassi.
Soltanto prati, nelle vicinanze, ed una casupola affiancata da una vastissima recinzione in legno.
Un agriturismo, forse?
I miei amici insistettero per pagare i taxi, intenzionati a non farmi tirare fuori nemmeno un centesimo.
"Dove siamo?" addomandai spaesato.
"Niente domande." tuonò Denki, avviandosi euforico verso la casupola ed accelerando il passo.
Io sapevo soltanto che era ora di pranzo, e che là dentro tutto avrei potuto trovare, fuorché del cibo.
Ci incamminammo tutti dietro il Biondo, e una volta entrati nel rudere, continuai a non capire.
"Che posto è, questo?" ritentai, rivolto verso Mina.
La ragazza sbuffò sonora, regalandomi in seguito un caldo sorriso.
"Che palle, Kiri, tra poco lo vedrai, piantala di fare domande!"
Con una risatina ammutolii, godendomi secondo per secondo la sorpresa.
Io però detestavo le sorprese. Ero troppo curioso per riuscire ad apprezzarle fino in fondo.
Una coppia di mezza età ci accolse bonaria, e lasciando pochissimo posto ai convenevoli, ci accompagnò all'entrata del cortile immenso, e soltanto quando mettemmo piede fuori, realizzai.
Una mandria informe di golden retriever, di tutte le età e dimensioni, ci si catapultò addosso.
Un allevamento?
Resisti, Eijiro.
Non puoi fare questa figura di fronte ai tuoi amici.
Per un attimo rimasi impassibile, completamente assalito dall'emozione e dalla meraviglia.
"Meh. Lo abbiamo davvero portato in un fottutissimo allevamento di cani per il suo compleanno?" senti borbottare alle mie spalle.
"K-Kacchan! L'idea veramente è stata tua..."
"NON RICORDARMELO, PATTUMIERA!"
A quel punto non riuscii però più a contenermi, e mi lanciai in mezzo all'ondata di palle di pelo, sedendomi come un bambino sul prato verde e lasciando che tutti i cani venissero a giocare con me.
Soltanto in quel momento mi accorsi di avere un sorriso a 32 denti stampato in faccia, e di aver allontanato tutto: l'incidente, il compleanno, il dolore.
Ero felice, respiravo, proprio come se un anno prima non fosse accaduto l'irreparabile. Proprio come se fossi stato una persona normale, e non un cazzo di mostro.
Ridevo a crepapelle, accarezzando con le mani grandi ogni golden retriever che si era avvicinato a me.
Dio solo sa quanto amavo i cani. Avrei voluto portarli tutti a casa mia, ma mia madre non mi permise mai un simile lusso, nemmeno quello di poter tenere un solo, piccolo, innocuo chihuahua.
"Visto? Avevo detto che gli sarebbe piaciuto!" sghignazzò Denki, raggiungendomi con uno scatolone e aprendolo di fronte ai miei occhi.
Era colmo di palline da tennis, di tutti i tipi e tutte le dimensioni.
Non appena tutti quei cani si accorsero del contenuto, impazzirono letteralmente, ed io con loro.
Feci partire, nel giro di un secondo, una partita di baseball nel bel mezzo del campo.
Con 24 palline.
E 35 Golden Retriver.
Anche gli altri si unirono a me, e chi più emozionato e chi meno, ci ritrovammo tutti coinvolti nella partita di lancio con riporto più pelosa e divertente della storia.
Stavo ridendo a crepapelle, in mezzo a quel campo, nonostante mi sentissi gli occhi di tutti addosso di tanto in tanto.
"Visto? Ve lo avevo detto che sarebbe stata una buona idea." squittì Sero tronfio.
"È dal'asilo che quando vede cani non capisce più un cazzo".
I loro, per me, erano però soltanto bisbiglìi.
Ero troppo impegnato a giocare con i cani per dare attenzione a tutto il resto.
Fu dopo un po' che l'inconfondibile fischio di Sero mi fece voltare, e finalmente tornare a piedi pesanti nel mio mondo.
Ad un lato lontano del campo, proprio laggiù, si erano radunati gli altri, e io li raggiunsi veloce, curioso di sapere che cosa volessero.
Non appena mi avvicinai, notai subito alle loro spalle un tavolo apparecchiato, imbandito di qualsiasi pietanza da picnic avessi mai potuto immaginare.
Avevano preparato tutto per me.
Soltanto per me.
Rimasi meravigliato.
"C-chi ha preparato tutto questo?"
"Ognuno ha portato qualcosa, Kiri-kun!" rispose raggiante Deku, ed io non riuscii a fare a meno di sorridergli spontaneo.
"L'unica regola è non dare da mangiare ai cani. Che dici, puoi farcela, Testa di Merda?"
In quel momento mi si gelò il sangue.
Sia io che il golden retriever con in bocca la patatina al formaggio ci pietrificammo.
"È UNA CAUSA PERSA, QUESTO RICOGLIONITO!"
Ma io, di tutta risposta, scoppiai in una fragorosa risata.
Bakugo che dava in escandescenza era oramai diventato il mio spettacolo preferito.
Pranzammo insieme, spensierati e allegri.
Riuscii anche a mangiare la torta senza cadere nello sconforto.
Niente canzoni, niente candeline, niente che mi facesse male.
Non avrei mai potuto smettere di ringraziarli per questo.
Dopo il pasto ci concedemmo il lusso di rimanere ancora per un po', appollaiato sul prato, a chiacchierare del più e del meno.
"Guardate, Kiribro, Bakubro!" esordì ad un certo punto Denki, con un cucciolo dorato tra le braccia, che scodinzolava come un pazzo.
"Che cazzo dovremmo guardare?"
"Una canecottero. È UN FOTTUTO CANECOTTERO".
Inutile dire che non riuscii a trattenere la risata.
"Kirishima, non possono davvero farti ridere queste stronzate".
"Peggio, Bro. Mi fanno stare male dal ridere".
Bakugo alzò gli occhi con noncuranza.
"Inutile che fai il duro, Bakugo." sbuffò Todoroki.
"Ti abbiamo visto tutti coccolare i cucciolotti".
Colpito e affondato.
Non riuscii a sentire il resto, ovviamente.
Stavo ridendo troppo forte.
Quando tornammo indietro, in pieno pomeriggio, ebbi quasi l'impressione che il tempo non fosse stato abbastanza. Come se il mio attimo di pace fosse durato poco, troppo poco.
Il taxi mi lasciò esattamente davanti all'officina, dal momento in cui anche Fat Gum mi stava aspettando.
I ragazzi mi salutarono calorosamente, lasciandomi tra le mani un enorme pacchetto, e niente tempo per ribattere.
"Sì, lo sappiamo, niente regali, blabla, è tuo, facci sapere se ti piace." sentenziò Momo, facendo ripartire la vettura gialla e lasciandomi lì, piantato sul marciapiede, come un perfetto idiota.
Non c'era bisogno di altri regali.
Non mi merito questo affetto.
Non mi merito questa cura.
Eppure, per una volta, scelsi di non pensarci.
Scelsi di godermi il mio attimo di serenità e di abbandonare le mie malinconie.
Scartai il pacchetto, trovando all'interno alcuni volumi dedicati ai miei artisti preferiti.
Dopodiché entrai a gamba tesa in officina, dove Fat Gum e Tamaki mi aspettavano, non per lavorare, ma per un'ennesima, tranquillissima festicciola.
Lo stesso fecero i miei genitori, quando rincasai stanco, ma con il cuore colmo di gioia.
Inutile dire che i guai cominciarono proprio allora, nel momento in cui rimasi da solo, in compagnia soltanto di me stesso e dei 50 messaggi non letti da parte di Touya.
Mi pentii amaramente di non aver accettato l'invito fuori dei miei amici.
In un attimo ripiombai nel totale sconforto, e nessuna pagina dei miei nuovi libri di arte riuscì a tirarmi fuori da lì.
L'incidente ricominciò a prendere forma di fronte a me, di fronte ai miei occhi.
Ricordavo tutto alla perfezione.
Io alla guida, Touya dietro di me.
Stavamo ridendo.
Accelererai per arrivare prima.
All'improvviso una macchina.
Io che sterzo, ma non basta.
L'impatto, il volo, il dolore lancinante.
Vuoto.
Poi la desolazione.
Il sangue sul marciapiede.
Il viso di Touya tumefatto.
La moto ribaltata.
Poi ancora vuoto.
Quello fu soltanto l'inizio delle mie galere.
Soltanto io sapevo quanto l'avevo amato, quanto amavo, quel ragazzo.
E quante volte mi chiesi perché non fosse semplicemente capitato a me.
Perché lui si è ridotto così?
Non sarebbe semplicemente potuta toccare a me, la sua sorte?
Avrei saputo convivere, con quelle cicatrici.
Sarei riuscito a stare bene, con i suoi occhi di ghiaccio puntati addosso, luminosi come li ricordavo.
Hai rovinato tutto.
Hai distrutto tutto.
Non riuscivo a darmi tregua.
Me l'aveva detto, Dabi, me l'aveva urlato in faccia ripetutamente e quelle parole erano oramai entrate a
Fare parte di me, a scorrermi nelle vene, a lacerare ogni parte.
Non ce la faccio.
Non posso più andare avanti così.
Con le dita tremanti mi accessi nervoso una sigaretta, realizzando lentamente che avevo appena perso la partita e che mi ero arreso completamente al mio destino.
Desideravo soltanto mettere un freno a tutto, e qualsiasi modo sarebbe andato bene.
Qualsiasi.
Fu proprio allora.
All'ultimo tiro di sigaretta.
Un nuovo messaggio.
Sbirciai con la coda dell'occhio.
Non era da parte di Dabi.
Vedi di scendere, Capelli di Merda.
Non ho intenzione di stare qua sotto tutta la cazzo di notte.
Un sorrisetto mi si disegnò sulle labbra.
Ed io mi aggrappai con tutte le forze a quell'appiglio di sopravvivenza, infilando addosso la prima cosa che mi capitò sotto tiro e fuggendo veloce lontano dai miei pensieri.
Quella sera scappai a gambe levate dal mostro che stavo diventando, dalle grinfie di me stesso, dalla parte più buia di me, quella che avrebbe voluto soffocare lentamente sotto un cumulo di macerie pesanti.
Scesi a cuor leggero, scesi senza nemmeno domandarmi che cosa volesse da me il Biondo.
Era arrivato al momento giusto, ed io non esitai nemmeno un attimo. Mi catapultai fuori dalla mia stanza, lontano da quello che avrei potuto fare se fossi rimasto chiuso là dentro ancora un maledetto secondo in più.
Quando Bakugo mi vide, fiondarmi di corsa e affannato fuori dalla mia casa, aggrottò un sopracciglio, per poi ghignare beffardo.
"Allora sai correre quando vuoi, brutta testa di cazzo".
Aveva addosso una giacca di pelle pesante, ed era ancora a cavallo della solita moto, che oramai conoscevo più delle mie tasche.
Si era slacciato il casco e mi stava squadrando attento, quasi come se avesse capito che qualcosa non andasse.
Quasi come se avesse capito di essere intervenuto nel posto giusto e al momento giusto.
Io, di tutta risposta, sorrisi forzato, e mi accesi una nuova sigaretta per prendere fiato.
O per perderlo, forse, in maniera più inconscia.
"Che dici, Capelli di Merda, ti va un giro?" domandò spavaldo, tenendo sempre gli occhi indagatori puntati su di me.
Io però rimasi in silenzio.
Non sapevo che cosa rispondere.
Non sapevo se sarebbe andata bene.
Non sapevo se sarei riuscito a tollerarla, un'altra moto, quel giorno.
Non avevo più voglia di vomitare in mezzo alla strada.
"Non so se ci riesco oggi, Baku..." sussurrai a denti stretti, evitando il suo sguardo.
Storse il naso risentito.
"Guido io. Tu ti godi il giro".
Non puoi accettare.
Se dovesse farsi male per colpa tua?
Non puoi ferire ancora le persone a cui tieni.
Non puoi più farlo, Kirishima.
"Baku, non me la sento oggi. Non me la sento per niente." asserii con decisione, e uno strascico di malinconia nella voce.
Il Biondo sembrò però convincersi, alzando le spalle e spegnendo il motore.
"Beh, che cazzo c'è da fare allora a mezzanotte da queste parti?" domandò sbuffando, arrendendosi per la prima volta davanti a me.
Sorrisi, felice del fatto che avesse compreso, che avesse scelto di venirmi incontro.
Ma il rombo di un motore coprì la mia risposta, e in un attimo, di fronte a casa mia, due moto da corsa, che conoscevo fin troppo bene.
Ed io piantato lì, nel mezzo, con le gambe che cominciarono a cedere sempre di più a tremolìi, la gola asciutta e il respiro affannato.
Touya si era appena fermato di fronte a casa mia.
Stringeva tra le mani una rosa rossa, e si tolse il casco con naturalezza, rivolgendomi uno striminzito sorriso, per un attimo senza nemmeno accorgersi della presenza di Bakugo.
Non incrociavo il suo sguardo da tempo immemore.
Per un attimo infatti mi persi nelle sue pozze cristalline, che mi ricordarono tempi felici, tempi in cui non vivevo con una croce sul cuore.
Quanto sei bello.
Quanto mi manchi.
"Auguri, Kirishima." sussurrò tutto d'un fiato, porgendomi il fiore e levandomi dai polmoni ancora più ossigeno.
Pensieri contrastanti mi invasero.
Tutta la dolcezza.
Tutta la violenza.
I ti amo, e i sensi di colpa.
"Sarà sempre colpa tua, Kirishima.
Guarda cosa mi hai fatto.
Guarda che cosa cazzo hai combinato".
Di nuovo il sapore del vomito in gola.
Avevo bisogno di una sigaretta, ma ero completamente pietrificato.
"Vedo che c'è traffico, stasera".
La voce pungente di Bakugo ricordò ad entrambi la sua presenza.
Adesso che cosa cazzo faccio.
Era incazzato nero, glielo leggevo negli occhi.
L'avevo preso in giro, avevo detto di non conoscere quel ragazzo, e se c'era una cosa che faceva imbufalire Katsuki, erano proprio le prese per il culo, io lo sapevo bene.
"Fatti da parte." ringhiò a quel punto Touya rivolto verso Bakugo, ed io immaginai uno scenario apocalittico a dir poco agghiacciante.
Al contrario di tutte le mie aspettative, il Biondo non rispose alla provocazione.
Si rivolse torvo a me, parlando a basso tono e rimettendo in moto.
"Forza, Capelli di Merda, vai pure.
Non starò certo qui a farmi bidonare da un coglione come te".
Detto questo, rimise il casco addosso, preparandosi a fare manovra e tornando indietro.
Ero completamente paralizzato.
Sentivo il cuore battere all'impazzata e non ci fu verso di riuscire a prendere aria.
Scegli, Eijiro.
Devi scegliere, e devi farlo adesso.
Bakugo era un amico, Touya l'amore della mia vita.
Eppure Dabi faceva male, il Biondo invece tremendamente bene.
Fa' la scelta giusta, Eijiro.
Il panico aveva preso completamente possesso di me.
Ed io in quel momento, intuitivamente, scelsi.
Sapevo però di aver sbagliato tutto.
Amavo Touya, più di me stesso.
Bakugo, no. Lui non l'amavo.
Era semplice, quasi elementare, no?
Mi diressi così a passo spedito verso la moto, senza più voltarmi indietro.
In quel momento seppi con certezza di averlo perso per sempre.
Senza pensarci due volte, salii a cavalcioni del mezzo, aggrappandomi con tutte le mie forze a quell'esile corpo.
Mi era mancato.
Parlai in un filo di voce, trovando aria da non mi ricordo nemmeno dove.
Farlo fu l'impresa più ardua della mia intera vita.
"Accelera più forte che puoi, Baku. Andiamo subito via da qui".
E il Biondo ghignò fiero, schizzando a tutto gas lontano da casa mia, lontano da lui, lontano dalla mia scelta azzardata.
Non ebbi tempo di rimuginare sulla mia decisione.
In quel momento, su quella moto, mi sentii nuovamente al sicuro.
Respirai a pieni polmoni l'aria fredda autunnale e mi accorsi, tutto all'improvviso, di essere ancora vivo.
Le lacrime mi inumidirono gli occhi, ed io assaporai a pieni polmoni la brezza fredda di quella notte, della seconda volta in cui rimisi piede su una moto, la sua moto, che sfrecciava veloce come mi ero dimenticato sapesse fare.
Non voglio più scendere.
Provai l'impulso di ringraziarlo di nuovo, di ricominciare a piangere come un bambino, ma non lo feci.
Ero nel mezzo di un groviglio di sentimenti, confuso ed impaurito, ma me ne fregai bellamente.
Era quello il potere delle moto.
Liberavano la mente da tutto il maledetto rumore.
Il giro a tutta velocità durò però relativamente poco. Non appena arrivammo sulla cima di un monte, in corrispondenza di una piazzola gremita di panchine, rigorosamente vuote, illuminate soltanto dalla luce delle stelle, Bakugo si fermò.
Spense il motore, e scese stizzito dalla moto.
Io fui ricatapultato nella schifosa realtà, quella in cui avevo preso per il culo il Biondo, e quello era incazzato nero.
Scaraventò il casco su una delle panchine e mi volse lo sguardo truce, annebbiato.
Attese qualche secondo prima di parlare, giusto in tempo per far sì che anche io scendessi dalla moto, accovacciandomi a fianco al casco maltrattato di Bakugo.
Il suo tono di voce era aspro, secco.
Parlò tutto d'un fiato, dicendo esattamente tutto ciò che mi sarei aspettato di sentire.
"Me lo spieghi cosa stracazzo combini, eh, Kirishima? Hai detto che non conoscevi quel coglione, e me lo ritrovo sotto casa tua con in mano un fottutissimo fiore di merda! Quante altre cazzate dovrò sentire uscire dalla tua bocca, ah?"
Nonostante me lo aspettassi, fece comunque male sentirselo dire.
Inopportuna come sempre, una risatina mi attraversò le labbra. Cercai di nasconderla con tutte le mie forze.
"Abbassa la voce con me, Biondino".
Quello non si scompose, avvicinandosi a me e squadrandomi dall'alto al basso.
"Faccio quello che cazzo mi pare, Kirishima, e non hai ancora risposto alle mie fottute domande".
In quel momento recuperai la serietà, le morse allo stomaco, e la voglia di scomparire.
Mi portai istintivamente una mano alla tasca sinistra dei jeans, estraendo la solita sigaretta e ficcandomela tra le labbra, nel tentativo di recuperare un po' di calma.
Fu tutto inutile.
"Non riesco a parlarne, Bakugo, perché non lo capisci? Perché non vuoi capire che ho dei sacrosanti e invalicabili limiti?"
La mia voce uscì più alta di quanto mi aspettassi.
Bakugo si morse con forza il labbro inferiore. Le sue parole uscirono, taglienti come coltelli, roche, pesanti.
"Sono tutte palle".
Ma io non avevo voglia di farmi mettere i piedi in testa, non avevo più voglia di soffocare sotto il peso dei sensi di colpa.
"Perché ti fidi così poco delle persone? Perché reagisci come se dovessimo tutti farti del male da un momento all'altro Bakugo, me lo spieghi?"
Sei un egoista del cazzo.
La sua risposta mi lascio perplesso.
In quelle parole io vidi qualcosa.
Qualcosa che non mi piacque per niente.
"Perché non mi fido, diamine, è così difficile da capire e rispettare? Non mi fido di un cazzo di nessuno, men che meno di te, Rosso di Merda. Adesso sali sulla cazzo di moto e torniamo a casa. Mi sono già rotto le palle di stare qui".
Non voglio andare a casa.
Non adesso.
Non di nuovo lì dentro.
Diglielo, Eijiro.
Diglielo e basta.
"È stato il mio ragazzo, Bakugo. Sei contento adesso?"
Per un attimo, la sua rabbia si sostituì allo sconcerto più totale.
"Quello zombie marcio?"
Risposi tutto d'un fiato.
"Non era uno zombie, prima dell'incidente".
A quel punto, il Biondo, senza avere bisogno di altre parole, comprese tutto.
Ebbe finalmente uno scorcio su quello che davvero successe.
Su quello che ogni giorno mi trascinavo dietro.
Di fronte al suo silenzio, parlai di nuovo, focalizzandomi però su ciò che mi interessava davvero.
"Possiamo non tornare a casa, ora che lo sai? Puoi sopportarmi ancora per un po', Baku?"
Quello alzò le spalle, sbuffando sonoro e sedendosi al mio fianco, con la testa rivolta al cielo.
Trascorsero diversi minuti, prima che decise di interrompere il silenzio.
Quello che disse, però, non me lo sarei mai e poi mai aspettato.
"Potrei aver esagerato, ecco. Ma non è certo colpa mia se mi fai incazzare".
Un risolino sincero uscì dalle mie labbra.
Decisi di essere limpido, con quel ragazzo.
Non chiedeva altro che la verità, dopotutto.
"Tendo a tenerlo per me. Non perché mi piaccia raccontare palle, ma perché in qualche modo fa ancora male".
La risposta arrivò immediata.
"Pensi troppo a quell'incidente".
Un'altra risata uscì dalle mie labbra. Amara però, secca.
"È incastrato nella mia mente, e non se ne va. Non se ne andrà mai".
"Stai sparando soltanto altre palle".
Magari lo fossero.
"No, è la pura verità".
A quel punto, Bakugo decise di stupirmi ancora.
"Senti, Capelli di Merda, non sono bravo in queste cose, cazzo, lo sai. È vero che non puoi tornare indietro e cambiare l'inizio, ma puoi sempre iniziare dove sei e cambiare il finale. Lascia il cazzo del passato dov'è e vai avanti. Così ti stai solo condannando".
Presi una profonda boccata di fumo, realizzando che forse il Biondo non aveva tutti i torti.
Che forse avrei potuto almeno provare a perdonarmi, a credere di potere andare avanti, a concedermi una seconda chance.
Non so perché proseguii in quella direzione.
Forse avevo bisogno di sfogarmi con l'unica persona capace di comprendermi.
Con l'unica che aveva affrontato quell'argomento insieme a me.
"Una volta mi sentivo rinchiuso in un mondo completamente ghiacciato, ed io ero un fuoco che bruciava, ardeva più che mai. Da quel giorno, mi è sfuggito tutto dalle mani. Quasi come se fossi io ad essere congelato, ed il resto del mondo in fiamme, che mi lascia indietro".
Fu lui a ridere, a quel punto.
Amaro, aspro, come se conoscesse la sensazione.
Come se anche il suo, di fuoco, si fosse spento da tempo immemore.
"Non so che cazzo dirti, Capelli di Merda. Mi fanno incazzare le Lamborghini che si credono Panda, forse più delle dannate Panda che si credono Lamborghini. Il tuo fuoco è ancora lì, non va da nessuna cazzo di parte. Sei tu che lo spegni, perché sei un paranoico rompicoglioni".
Rimasi per un attimo pietrificato.
Pensi davvero questo di me?
Forse hai sbagliato persona.
E come mi aveva spesso insegnato Denki, il Re delle idiozie e delle genialate contemporaneamente, quando il gioco si fa duro, gli stupidi entrano in campo.
Incapace di reggere quell'argomento, la buttai così sulla prima stronzata che mi venne in mente.
"Parli a me di paranoia, Biondino?"
"Che vorresti dire, ah?"
"Che vivi sbattendo in faccia alla gente numeri e percentuali!"
Cercai di dirlo senza ridere.
Ovviamente fallii.
"Osi oltraggiarmi, Personaggio Secondario, ah?"
Risi ancora di più, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo, e volgendolo verso il Biondo.
"Non oserei mai, maestà!"
"Meh, così va meglio".
Sghignazzai senza aggiungere altro.
Le parole superflue, a Bakugo, non piacevano.
"Capelli di Merda, posso farti un'ultima domanda?"
"Certo, dimmi pure".
"Lo Zombie, uhm... Ecco, è legittimo?"
Non riuscii a trattenermi.
Scoppiai nuovamente in una fragorosa risata.
"Che significa legittimo?"
"Che cazzo, non ridere! Intendo se tu, ecco... Cioè tu..."
"Io?"
Stavo continuando a ridere, irriverente e dispettoso.
Ecco a voi, Bakugo Katsuki mentre prova ad essere delicato con qualcuno.
"Sì, tu, che cazzo. Cioè tu vuoi che lui faccia quello che fa?"
In quel momento compresi.
Mi stava semplicemente chiedendo quello che non mi aveva mai domandato nessuno.
Bakugo mi aveva appena chiesto se avessi richiesto l'insistente presenza di Dabi.
Mi aveva domandato se la sua presenza fosse intrusiva nella mia vita, se tutta quella pressione fosse voluta.
Aveva fatto centro.
Ed io risposi con la verità.
"No, Baku. Io vorrei non vederlo mai più".
A quel punto alzò le spalle con strafottenza, inarcando un angolo della bocca.
"Meh. Potevi dirlo prima".
Sorrisi ancora, corrucciando la fronte e volgendo lo sguardo al cielo.
"Oi, Kirishima".
"Dimmi, Baku".
"Non è colpa tua".
Rimasi per un secondo completamente senza fiato.
Era la prima volta che me lo sentivo dire in modo così diretto, così disinteressato.
Risposi di nuovo con la verità.
"Lo è".
Quello aggrottò le sopracciglia.
Rispose con leggerezza, quella che mancava a me.
"Meh. Ci lavoreremo".
In che senso?
Non feci in tempo a chiederlo.
"Oi, Capelli di Merda".
Sorrisi.
"Ma non eri quello che amava il silenzio, tu?"
"Taci, cazzo".
Senza aggiungere altro, tirò fuori dalla tasca un minuscolo pacchetto, appoggiandolo sulla mia mano.
Un regalo?
"Ti ha dato di volta il cervello, Baku? Lo sai che non-"
Ed infine, il colpo di grazia.
"Buon compleanno, Eijiro".
Mi ha chiamato per nome.
Rimasi immobile.
Volevo restituire quel regalo, volevo non accettarlo con tutte le mie forze.
Eppure era così piccolo, così personale, così mio, che non potei fare altro che amarlo, dal primo istante, senza nemmeno sapere che cosa fosse.
"Io... Lo sai che non..."
"Stai zitto e aprilo".
Lentamente, ubbidii, lasciando che un sorriso sì disegnasse sulle mie labbra.
Per la prima volta, la provai.
L'emozione di scartare un pacchetto, senza senso di colpa.
Come se lo avessi meritato davvero, come se non fossi stato un dannato mostro, come se fosse appartenuto a me da tempo immemore.
Con mano tremante, estrassi dal sacchettino infiocchettato con precisione chirurgica, niente meno che un minuscolo portachiavi a forma di chiave inglese.
Mi mancò l'aria nei polmoni. I tremolìi presero possesso di me e non riuscii a spiccicare parola.
Lo fece lui al posto mio.
"A forma di chiave inglese perché sei il mio fottuto meccanico. E il portachiavi per attaccarlo alle chiavi della tua cazza di moto".
Le parole non mi uscivano dalla bocca.
Non guiderò mai più la moto, Bakugo.
"Sei ancora in tempo per ricominciare, Capelli di Merda".
Alzai lo sguardo, nuovamente colmo di lacrime e di estrema gratitudine.
Qualcosa nel mio petto aveva appena preso completamente fuoco.
"Non so se posso farcela, Biondino".
"Meh, lo vedremo".
Inspirai profondamente.
La mia mano si mosse da sola, sfiorando lieve quella del Biondo.
Avevo il cuore in gola.
"Grazie, Katsuki".
Ma lui non rispose.
"Quante sono?"
"Ah?"
"Le probabilità di riuscita".
Quello sorrise appena.
"Smettila di prendermi per il culo, Testa di Merda".
"Facciamo ancora un giro?"
E proprio allora.
Così, completamente all'improvviso, mi accorsi del miracolo.
Da cumuli e cumuli di dolore, era appena sbocciato un fiore.
Un fiore rosso.
Come il sangue,
Come l'amore,
Come gli occhi del Biondo,
E come la carrozzeria della mia vecchia moto.
Dal mare di sofferenza, in una fresca notte d'autunno, si era riacceso il mio fuoco.
Buon compleanno, Eijiro.
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