1. Taxi

Trecentosessantacinque giorni prima.

Dire che quel maledetto giorno diluviava è decisamente un eufemismo.
Non mi ha mai dato più di tanto fastidio la pioggia, ma il cazzo di nubifragio avrebbe fatto piacere soltanto ai folli.

Ed io non ero di certo folle.
Un mostro, forse, un insensibile del cazzo, un menefreghista di merda, ma non un folle.

Nella mia imperturbabile lucidità sapevo bene che, con la moto a terra e senza nemmeno un maledettissimo ombrello, ero davvero fottuto.

In ritardo marcio, fradicio dalla testa ai piedi e con in tasca soltanto il portafogli, le chiavi del locale da aprire in tempo e niente più pazienza.

Il maledetto Aizawa mi avrebbe ammazzato se avessi alzato la serranda del bar anche soltanto cinque minuti dopo l'ora prestabilita, e ovviamente quel figlio di puttana di Deku si era messo in malattia e non avrebbe potuto farlo al posto mio.

"Maledizione!" sbraitai incazzato, accelerando il passo verso la fermata dell'autobus e ficcando per sbaglio il piede in una pozza stracolma di acqua stantia.

Che serata del cazzo.

Sarà che il pensiero della moto guasta mi aveva accompagnato per tutta la maledetta giornata.

Avrei dovuto portarla dal meccanico. Detestavo però l'idea di lasciare il mio gioiellino nelle mani di altri esseri umani al di fuori di me.

Arrivai in fretta e furia alla fermata, senza più nemmeno una parte del corpo asciutta.

Chi cazzo si sarebbe presentato al bar di domenica sera, con quel maledetto tempo di merda?

Respira, Katsuki.

Ero incazzato nero.
Avrei volentieri mandato tutto all'aria, ma decisi di darmi un maledetto contegno.
Avevo bisogno di quel lavoro.
O meglio, la mia moto ne aveva bisogno. Ed io avevo bisogno della mia moto.

Le lancette dell'orologio erano già corse troppo avanti ed io non sarei mai riuscito ad arrivare in orario.

Per un attimo mi passò fugace per la mente la strigliata che mi sarebbe toccata.
Non ero mai arrivato in ritardo.
Vivevo con un orologio svizzero piantato nel culo, dopotutto.
A quanto pare però c'è sempre una stramaledetta prima volta.

E la mia fu in una dannata domenica di pioggia.
O almeno, così credevo.

Il bar maledetto distava qualche isolato dal mio appartamento striminzito.

Vivevo da solo e si trattava semplicemente di una mia ragionatissima e attenta scelta.

Non avevo mai il pasto pronto a tavola, ma almeno potevo scopare quando e con chi cazzo volevo.

Non che me ne fregasse più di tanto del sesso, in ogni caso.

Preferivo la mia moto.

Che per inciso non si accendeva da quella mattina.

Porca troia.

Proprio in quel momento però, l'illuminazione sgommò a pochi centimetri dalla fermata del bus, sotto la quale stavo attendendo invano un autobus che non avrei mai preso, bagnato e decisamente incazzato.

Maledettamente giallo e salvifico, un taxi si piazzò al centro esatto del mio campo visivo.

Eureka.

Perché cazzo non ci ho pensato prima?

Se avessi minacciato a dovere l'autista, molto probabilmente sarei addirittura riuscito ad arrivare in tempo per l'apertura.

Niente ritardo, niente ramanzina, niente rotture di cazzo.

Perfetto, no?

Decisamente troppo perfetto.

E se c'è una cosa che ho imparato nella vita, è che dietro alla perfezione si nascondo sempre le peggiori inculate.

Per inciso, avevo ragione.
Anche quella cazzo di volta.
Soprattutto quella cazzo di volta.

Con un balzo un po' troppo euforico per i miei standard, mi fiondai all'interno della vettura, sedendomi nel sedile posteriore e scostandomi con un gesto i capelli bagnati dalla fronte.

Ero salvo.

In quell'esatto istante, la porta opposta al lato da cui ero seduto si chiuse rumorosamente, facendomi sobbalzare.
Un coglioncello era appena entrato nel MIO taxi, poggiando il culo bagnato di fianco al mio.

Il sangue mi schizzò immediatamente al cervello.

"C'ero prima io." ringhiai a denti stretti, alzando finalmente gli occhi sulla sua figura, deciso a inquadrare il deficiente che pensava di fottermi il posto e uscire indenne dall'impresa.

Aveva i capelli rossi come l'inferno e puzzava di benzina e fallimento a chilometri di distanza.

Quello, di tutta risposta, ridacchiò beffardo, coprendosi le labbra con una mano.

"Veramente siamo entrati insieme." sghignazzò, ignorando con la sua sfacciata cafonaggine tutta la mia rabbia.

Mi sta sfidando?

Cercai di mantenere la calma.
Non avevo tempo per i battibecchi.

"Scendi dal mio cazzo di taxi, pivello dai Capelli di Merda".

Quello continuò insolente a ridere, accrescendo la mia rabbia in una manciata di fottuti secondi.

"Te lo scordi, bro. Siamo entrati insieme. Giusto, signor tassista? E comunque i miei capelli non sono poi così diversi dai tuoi".

Ti piacerebbe, coglione.

E quel mentecatto al volante, inaspettatamente, gli diede ragione.

In un altro momento vi avrei riempito entrambi di botte.

Respira, Katsuki.

"Cercate di trovare un compromesso, ragazzi, altrimenti non posso partire." ci ammonì l'uomo, dotato di un cappellino ridicolo e dalla barba scura, voltandosi verso di noi e alzando le spalle in segno di totale impotenza.

Rammollito del cazzo.

"Non esiste." protestai, ma l'autista mi ignorò, continuando a cercare di trovare un'alternativa.

"Dove dovete andare?"

"Al bar di Aizawa." grugnii spazientito, digrignando i denti.

Conoscevano tutti quel locale, in pieno centro città. Era uno dei più rinomati della zona, per essere precisi.
Io l'odiavo, ma per ovvi motivi.

Una volta trovato un impiego in grado di garantirmi un degno stipendio, avrei sicuramente preso in considerazione l'idea di appiccare il fuoco e di guardarlo bruciare di fronte ai miei occhi.

Avrei rischiato la galera? Forse.
Ma indubbiamente lo avrei fatto con il sorriso e senza rimpianto alcuno.
Se fossi riuscito a farlo saltare in aria con quel maledetto di Izuku Midoriya dentro sarei addirittura riuscito a prendere due piccioni con una fava ed abbrustolire in un colpo solo le peggiori seccature della mia vita.

Il Rosso interruppe in quel momento i miei deliri di gloria, con la sua voce roca e fastidiosa, come quella di un fottuto grillo parlante un po' troppo cresciuto e un po' troppo irritante.
"Oh, perfetto! Anche io sono diretto in quella zona. Proseguo poi ancora per un po'".

Ma porca troia.

"Beh, direi che è deciso. Potreste condividere la tratta, che ne dite?" propose il tassista.
Ma io non ne volevo sapere.

Quello era il MIO viaggio e la testa di cazzo rossa seduta al mio fianco mi stava arrecando soltanto fastidio.

"Fuori dal mio cazzo di taxi." intimai stringendo gli occhi a due fessure sottili.

Il decerebrato non mollò la presa, ridacchiando ancora di più.
"O tutti o nessuno, biondino".

Biondino?! Come cazzo ti permetti?!

Decisi per un momento di assecondare i miei istinti omicidi.
L'ora segnata dalle lancette del mio orologio scelse però di intervenire al posto mio, prima del massacro.
Non potevo permettermi di arrivare in ritardo.

"Fate come cazzo volete." bofonchiai allora, rannicchiandomi irritato nel mio posto, e sbuffando sonoramente.

"Bene, partiamo." pronunciò il tassista, e finalmente cominciammo a muoverci verso il bar.

"E abbassi un po' quest'aria condizionata merdosa, siamo bagnati fradici." aggiunsi, convinto che quella sarebbe stata la mia ultima sentenza.

Ovviamente non fu così.

Il decerebrato, molesto e rumoroso, si ficcò le mani in tasca, estraendo un pacchetto di gomme da masticare, anche quelle fradice, dalla tasca dei pantaloni.
Se ne ficcò una in bocca, per poi rivolgermi un sorriso e allungandone una verso di me.

"Ne vuoi una, bro?"

Sbuffai irritato, indeciso tra la non risposta e l'insulto diretto.
Optai per una via di mezzo.

"Che schifo".

Quello ridacchiò ancora, ignorando le mie provocazioni e guardando dritto verso la strada.

"Che vai a fare all'Aizawa con questo tempaccio?"

A quanto pare il buffone non era molto perspicace.
E non riusciva a tenere la fogna chiusa per più di dieci miseri secondi.

"Gli affari miei".

Di tutta risposta, il Rosso esibì un altro fugace sorrisetto, che io scorsi con la coda dell'occhio e al quale non diedi particolare importanza.

"Io sto andando a casa invece. Ho finito adesso di lavorare e sono stanco morto!" esclamò, ed io non riuscii a capire se fosse rivolto verso me o verso il tassista di merda.

Nel dubbio non risposi.

Che cazzo me ne frega di dove sei diretto?

Non riusciva proprio a stare fermo, quel terremoto. Sputò infatti la gomma messa in bocca cinque dannatissimi minuti prima all'interno di un fazzoletto, che ripiegò meticolosamente e ripose in tasca.

"Avevi ragione, bro, fanno dannatamente schifo queste gomme!"

Grazie al cazzo, le hai annacquate, idiota.

Avevo i nervi a fior di pelle.
I miei occhi continuavano a passare veloci dal seccatore all'orologio, ed io ero terrorizzato all'idea di varcare per la prima volta nella mia vita le porte del ritardo.

"Potrebbe andare un po' più veloce, maledizione?" grugnii al limite della pazienza.

"Faccio quello che posso, ragazzo." rispose l'autista secco, alzando le spalle una seconda volta.

Ad aumentare le mie pulsazioni ci pensò il traffico all'interno del quale ci imbottigliammo, e fu proprio allora che l'idiota al mio fianco decise di dare sfoggio di tutta, ma davvero tutta, la sua stupidità in un colpo solo.

Dalla tasca estrasse un maledetto pacchetto di sigarette.
Ne prese una e la strinse leggero tra le labbra rosse.

Ha intenzione di fumare nel taxi, questo screanzato?

"Che cazzo fai, razza di idiota? Non osare accendere qui dentro quella merda." ringhiai secco, assottigliando lo sguardo e fissandolo torvo.

Quello, senza muoversi di un millimetro, accentuò il suo sorriso, riponendo il pacchetto e tenendo la sigaretta tra le labbra.

"È spenta, sclerato, non lo vedi? L'accendo appena scendo".

Fu il tassista a impedire al mio istinto di staccargli a mani nude la giugulare.

"Non dovresti fumare, ragazzo. Quella roba ti va dritta nei polmoni e ti accorcia la vita".

Una risatina soffocata uscì dalle sue labbra.
Era diversa dalle precedenti.

"Morirò comunque, prima o poi, signor tassista. In ogni caso è spenta adesso, la tengo solo tra le labbra".

Nessuno osò più ribattere.
E la testa calda rimase finalmente in silenzio, desistendo dall'impresa di conversare di cazzate inutili ed irritanti insieme al sottoscritto.

Quando arrivammo di fronte al bar ero in anticipo di ben cinque minuti.

Ghignai soddisfatto davanti alla mia ennesima vittoria.
Nemmeno il Demonio poteva nulla contro di me.

"Sono 800 yen a testa, fino a qui." sentenziò l'autista con un sorriso.

Misi le mani nel portafogli ma il Rosso allungò al vecchio in fretta e furia una banconota da 5000 yen.

"Va bene così." asserì con voce calda e la sigaretta spenta ancora stretta tra le labbra.
Alzò lo sguardo verso di me, e mi rivolse un luminoso sorriso. Aveva dei canini davvero appuntiti.

Voleva pagare anche la mia parte?

Io ero Bakugo Katsuki, e mai e poi avrei accettato una condizione di debito nei confronti di un altro essere umano.

"Te lo scordi." ringhiai cupo, tirando fuori il denaro e porgendolo al tassista, un po' perplesso di fronte al teatrino.

Quel maledetto Rosso però, più testardo di un mulo, mi spinse amichevolmente fuori dall'auto, ridacchiando e chiudendo in fretta la portiera.

"Grazie per aver accettato di condividere la tratta!" esclamò a finestrino abbassato, riprendendo a ridere come un perfetto coglione, e lasciandomi solo e incazzato nero sul ciglio della strada, con una banconota in mano e un debito impossibile da saldare sulle spalle.

Non avrei  mai più rivisto quel coglione.

Ed ovviamente mi stavo sbagliando.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top