♟ fifth

Osservò il vino vorticare all'interno del calice e arrampicarsi lungo le pareti del bicchiere. Le luci che illuminavano la sala si riflettevano sul vetro e nel liquido cremisi. Esso brillava di smagliature luminose, ipnotiche; eppure -si ritrovò a pensare- quel colore sanguigno non valeva nemmeno la metà delle iridi di Jude.

Erano appena le otto, ma tutto era pronto. Gli invitati sarebbero giunti a breve.

Mancavano cinque ore al 14 aprile.

Jude gli si avvicinò in silenzio. Avvolto nello smoking bianco, con i dread raccolti all'altezza della nuca, aveva un aspetto regale -era un principe, quella sera, la sua sera. Un fermacravatta d'oro, con un diamante incastonato, splendeva sul petto.

  «Mio padre ha voluto anticiparmi il suo regalo» spiegò, lapidario, notando dove l'occhio del moro si era posato. Caleb riconobbe una nota di astio nella sua voce; Jude era sempre di quell'umore, dopo aver parlato con il genitore.

  «Vedi di non bere troppo»

  «Non ne avevo intenzione» poggiò il calice nuovamente sul tavolo imbandito, come a conferma delle proprie parole.

  «Allora smetti di giocare con il vino»

  «Ok ok, ma datti una calmata»

Non era solo il padre, intuì.

Non poteva percepire le sue emozioni, ma bastava osservare i lineamenti tesi del viso per comprendere l'ansia che lo attanagliava. Dopotutto, era la stessa sensazione che Caleb percepiva minacciare di soffocarlo. Il tempo stava per scadere, su di loro ne gravava l'amara consapevolezza.

Andrà tutto bene. Promise, giurò.

Andrà tutto bene.

Ma non riuscì a dirlo ad alta voce.



La sala si riempì di uomini e donne di ogni età; sfavillanti di prestigio e ricchezza nei loro abiti da festa. La musica sovrastava il fitto brusio, il tintinnio dell'argenteria, le risa.

Dall'angolo che si era riservato, munito unicamente di una sedia e qualche stuzzichino come cena, Caleb aveva una buona visuale dell'intera scena.

Jude vagava senza meta, rimbalzando da un ospite all'altro, portando i propri saluti e ricevendo auguri. Agli occhi del moro egli non era altro che un candido spettro -superiore, divino- in mezzo a quel mondano disordine.

Ad accompagnarlo vi era la sorella. Meravigliosa nell'abito blu notte, Celia dava sfoggio di una bellezza matura e fiera. Guardandola, nessuno le avrebbe attribuito sedici anni: ella era diversa dai suoi coetanei, era già una donna.

Caleb non le aveva mai prestato attenzione, forse perché era troppo concentrato sul primogenito degli Sharp, sapeva poco di lei. Aveva un potere utile, avrebbe sposato il figlio di LaChance. Dopo averla così etichettata si era limitato a sigillare quell'informazione da qualche parte nella sua testa. Ora si accorgeva di quanto Celia fosse forte.

Per un istante, gli occhi chiari di lei -illuminati dalla stessa scintilla che apparteneva al fratello- cercarono quelli di Caleb. In una sola occhiata vi erano mille significati, che la ragazza si aspettava lui recepisse. Era il segnale. Celia si lasciò inghiottire dalla folla e scomparve all'occhio vigile di Stonewall.

Si alzò -le gambe erano pesanti- e si destreggiò come meglio poteva tra gli invitati, tentando di raggiungere la figura di Jude che appariva e scompariva in mezzo ad un oceano di stoffa colorata e profumi costosi.

Egli parve notarlo in mezzo a tutto quel disordine e a propria volta gli si fece incontro. Lo afferrò per la manica della camicia -come se avesse paura di separarsi da lui- e avvicinò il viso al suo orecchio.

«Andiamo» le labbra di Jude gli sfiorarono la guancia ed una scarica elettrica percorse ogni cellula del suo corpo. Lì, davanti a tutti quegli sguardi, la paura di essere notati si presentò prepotente nella sua mente.

Eppure nessuno li vide.

Accadde in fretta, confuso come in un sogno. Fuggirono nel pieno dei festeggiamenti e fu semplice come Jude aveva predetto.

«Si accorgeranno della mia scomparsa solo a mezzanotte, quando vorranno festeggiarmi»

Abbandonarono la cerimonia sotto gli occhi di tutti, ma nessuno prestò attenzione ai due giovani che fuggivano lontano da quella vita ricca e falsa.

Scivolarono come ombre lungo le pareti dei corridoi deserti, attraversarono veloci il giardino e giunsero al cancello. Ad attenderli vi era una figura femminile, appena visibile nel buio della notte, una fanciulla in abito da sera.

E, ai piedi di Celia, una guardia tramortita.

Caleb si fece da parte, mentre Jude stringeva la sorella per l'ultima volta.

  «Fa attenzione» mormorò lei, sciogliendo l'abbraccio.

Jude si tolse il fermacravatta e lo appuntò sulla spallina di seta blu della ragazza

«Anche tu» la baciò sulla fronte e si voltò verso Caleb «Andiamo»

Scavalcarono il cancello facilmente -giacché Celia si era occupata del sistema di sicurezza- e si immersero nella vita notturna di New Orleans, proseguendo con grandi falcate per le strade bagnate di pioggia.

Aveva piovuto fino a tarda sera, lasciando il cielo carico di nubi a riflettersi nelle pozzanghere scure. Pregò che quella calma perdurasse, non gli piaceva l'idea di trovarsi su un aereo in mezzo ad una tempesta; peggio ancora, non potevano rischiare che il loro volo venisse cancellato.

Riconobbe il suo palazzo, e le persiane malconce del proprio appartamento al terzo piano. Non gli sarebbe mancato, quel posto, nonostante fosse pieno di agrodolci ricordi. Una malsana idea gli si presentò alla mente, il pensiero che a breve se ne sarebbe potuto creare di nuovi assieme a Jude, ma riportò l'attenzione sulla realtà, per i sogni ad occhi aperti avrebbe avuto tempo una volta al sicuro sul volo New Orleans-Chicago.

Joe e David li attendevano nell'auto già in moto a pochi metri da loro, pronti a partire. King non attese nemmeno che avessero chiuso le portiere, premette il piede sull'acceleratore e si infilò nel traffico notturno.

Jude si abbandonò contro lo schienale del sedile, stanco per la corsa -dopotutto era il meno allenato tra loro- con il fiato grosso e il volto arrossato.

David, dal posto del passeggero, gli lanciò un'occhiata divertita attraverso lo specchietto retrovisore ed allungò dei fogli di carta lucida.

  «I biglietti. Dovremmo fare due scali: New Orleans-Chicago, Chicago-Londra, Londra-Mosca. In questo modo sarà anche più difficile seguire i nostri spostamenti»

  «Bene» Jude trovò una bottiglietta d'acqua sotto al sedile e se ne scolò metà in un solo sorso.

Il silenzio che si creò era stranamente tranquillo, portava con sé la consapevolezza di ciò che stavano facendo e la speranza di una vita nuova.

Poi Joe battè entrambe le mani sul clacson, squarciando l'aria con il suono assordante e con un grido di gioia che sembrava un ruggito.

  «Sì, cazzo, non vedo l'ora!»

E Caleb lo vide sorridere come un bambino, e poi vide David scoppiare a ridere e rimproverare scherzoso il castano. E poi vide Jude, alla sua sinistra, fissarlo attento.

  «Sei silenzioso» gli fece notare, il rasta.

  «Che ti aspetti? Che mi metta a urlare come King?»

  «No...» rispose, ovvio. «Sono felice che tu sia con me»

Si allontanarono dal centro città. Le strade ora erano vuote, Joe accelerò. Nei posti davanti quei due continuavano ad urlarsi conto, facendo finta di litigare e cercando di trattenere le risate. David esclamò qualcosa riguardo ai pinguini e alla vodka. Si fermarono ad un semaforo.

  «Non potevo mica lasciarti andare così» parlò piano, sperando che Jude fosse l'unico a sentire. Sarebbe stato imbarazzante.

  «Sono felice che tu abbia fatto la tua scelta»

I fari di una macchina dietro di loro illuminarono l'abitacolo e metà del volto di Jude fu bagnato dalla luce dorata. Le sue labbra, no, il suo intero viso era disteso in un sorriso lieve. Il suo sguardo, più ardente del fuoco, più rosso del vino, era colmo di amore. Amore per lui.

Caleb si sporse verso quel viso.

E David urlò. Più forte, con un tono completamente diverso da quello spensierato di poco prima.



Rinvenne a causa di un colpo secco sulla guancia. La prima cosa che vide furono le iridi grigie di Joe. Con il suo aiuto si tirò a sedere sul ciglio del marciapiede; ingoiò e la sua saliva aveva il sapore del sangue.

  «Ma che cazzo...?» osservò due carcasse di automobili, in mezzo alla strada deserta, avvolte dalle fiamme. Il suo ultimo ricordo era il volto dolce di Jude.

  «Ci sono venuti addosso, ma David ha reagito in tempo» sospirò, gli angoli della bocca si piegarono all'insù «Come sempre»

Le punte dei capelli di King ed i suoi abiti erano bruciati, ma la sua pelle non presentava neanche un graffio.

  «Jude?»

  «Ora lo sveglio» Joe lo indicò di fianco a lui. Era ancora svenuto e gli usciva sangue dal naso, ma pareva stare bene.

  «Non c'è bisogno di prendere a schiaffi anche lui, ci penso io»

E mentre Jude riacquistava pian piano conoscenza, avvolto dall'abbraccio protettivo di Caleb, David li raggiunse uscendo dalle fiamme. La benda era scomparsa e si copriva l'occhio destro con una mano.

«È stato un attacco suicida. In pratica non gli interessa che il figlio del boss torni a casa sano e salvo» strofinò la mano libera sui jeans come per pulirla dallo sporco, nonostante anche i pantaloni fossero bruciati e pieni di fuliggine «Le nostre valigie sono andate, spero non ci fosse dentro nulla di importante»

«Mah, solo vent'anni della mia vita ed il mio computer, cose che capitano» ironizzò Caleb.

«Ci hanno già scoperto? Speravo avessimo un po' più di tempo» Joe strappò l'orlo della propria maglietta e l'avvolse attorno alla testa di David come bendaggio improvvisato. L'occhio doveva rimanere al buio.

Non era possibile -pensò- né Amadeus Sharp né Roger LaChance potevano essere a conoscenza delle loro trame. Erano stati molto più che discreti, Jude lavorava a quella fuga da anni ed in soli tre giorni aveva messo in atto un piano perfetto.

Però...

«Celia...» fu un soffio, ma venne udito come se fosse stato un urlo, sopra il crepitìo delle fiamme.

«No! Non osare!» Jude si dimenò dalla sua presa, lo graffiò e scattò in piedi, per poco non cadde «Non osare neanche pensarlo! Lei non lo farebbe mai!»

David afferrò l'amico per un braccio, tentando di farlo calmare.

«Non ha senso preoccuparcene ora, ciò che serve sapere è che continuano a volerci morti. Ignora quel cretino»

«Sinceramente è l'unica opzione che mi viene in mente. Avrà fatto la spia e mandato qualcuno ad accertarsi che non cambiassi idea e tornassi a reclamare il trono» si rimise in piedi anche lui, le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti. Fece per avanzare, ma Joe lo bloccò, un ghigno esasperato sul volto.

«Sul serio, voi due litigate sempre e solo nei momenti peggiori!»

Le loro ombre danzavano al ritmo delle fiamme e nessuno le notò prendere vita, staccarsi dalla strada e dai muri. Tre figure nere come pece si stagliarono, mentre solo l'ombra di Jude -immune a quella forza che aveva animato le altre- rimaneva fedelmente al suo posto.

E come sempre fu David a percepire per primo il pericolo. Si voltò, portando gli altri a fare lo stesso, osservando con orrore la propria ombra immobile davanti a lui.

Caleb si congelò. Riconobbe quell'incubo ricorrente in cui era costretto a scontarsi con un altro sé stesso, più forte, più crudele, imbattibile -eppure solo una marionetta. Trattenne il fiato finché i polmoni non iniziarono a fare male, e desiderò nascondersi, sparire.

Arrivava. Arrivava.

Lui.

Avevano mandato lui ad ucciderli.

Lui che era il re delle ombre delle persone, della parte buia della luna. Lui che aveva insegnato loro ogni cosa: a combattere e ad uccidere, a eseguire gli ordini, a temerlo.

  «È Lui» piagnucolò David, come un bambino che ha paura dell'uomo nero.

  «Cosa? Lui chi? È un Anormale? Lo conoscete? Ragazzi!» e Caleb invidiò Jude che non aveva mai avuto a che fare con il mostro.

  «Lui, Jude, l'Istruttore» la voce di Joe era secca, come se non bevesse acqua da anni «L'Istruttore» ripeté piano.

E l'Istruttore si mostrò alla luce del fuoco.

Non era cambiato, era lo stesso uomo che ancora perseguitava le loro menti. Alto, dai lineamenti affilati come coltelli, gli occhi nascosti dietro un paio di lenti scure ed i capelli raccolti in un elegante coda adagiata sulla spalla sinistra.

La presenza di Ray Dark era opprimente. Caleb non era in grado di controllare la paura che gli suscitava nell'animo, davanti a lui i suoi poteri non gli rispondevano più. Era come un bambino impaurito, che nulla poteva contro l'atrocità di un adulto.

Senza rendersene conto afferrò la mano di Jude, e la strinse forte.






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Note: [2045 parole]

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