8.4 // L'Oracolo

Un raggio di sole trapelò tra le fronde e tutt'a un tratto Solomon dovette schermarsi gli occhi per non restare ferito dalla luce improvvisa.

Si trovavano tutti e tre nella foresta, stesi sullo strato di foglie come appena svegli dopo un lungo sonno. Erano tornati vicino al fiume, nella direzione da cui erano venuti, più vicini al rifugio.

«Ma che modi!» borbottò Clarice, che si stava sollevando a fatica. Tese una mano a Sigga per aiutarla a tirarsi su.

La ragazza la accettò, mormorando un sommesso: «Grazie.»

Lui restò immobile, steso sulle foglie cadute dagli alberi, a fissare le fronde sopra di lui.

«Solomon?» Sigga si sporse, turbata, entrando nel suo campo visivo. «Solomon, tutto a posto?»

Lui portò l'indice alle labbra per intimarle di fare silenzio e chiuse gli occhi. Esta gli aveva mostrato un futuro da rincorrere e un passato da aggiustare, lui aveva scelto il secondo.

Eppure...

Eppure magari si era trattato di un trucco. Eppure magari c'era speranza.

Localizzarlo fu più facile della prima volta che era stato in città per cercarlo. Se lui fosse- se fosse stato troppo tardi non ci sarebbe riuscito. Se fosse stato vivo, invece, Tanvar gli avrebbe suggerito da che parte andare.

Non ti farò del male, Solomon.

Sarò contento io per tutti loro. Sarò felice che ci sei.

La corda che teneva tesa nel petto pizzicò come quella di una cetra in una nota lunga e profonda, poi tirò con decisione verso una direzione precisa che puntava a nord-est.

Spalancò gli occhi, sopraffatto dal sollievo.

Vivo. Vivo, vivo, vivo.

Per il momento? Certo. In pericolo? Molto probabile.

Vivo. Tanto bastava.

L'attimo dopo fu in piedi. «Tanvar» sibilò, ripulendo la tunica dal terriccio con ampie manate. «Io non ci arrivo vivo al rifugio, di questo passo.»

Clarice non gli diede occasione di continuare a protestare. Aveva l'aria smarrita, lo guardò e gli chiese: «La profezia? Esta mi aveva promesso una profezia. Dov'è?»

La profezia. Chiaro. La profezia per cui aveva rinunciato a salvare la vita al suo futuro.

«Frugate nelle tasche» sospirò, «dovrebbe aver lasciato un biglietto.»

Infilò le mani nell'ampio tascone della tunica, ma Sigga fu più veloce. Estrasse una pergamena appallottolata, la stese svelta con le dita e... l'osservò.

Solomon sfarfallò le ciglia, impaziente. «Beh? Cosa dice?»

La vide affilare lo sguardo. «Funziona...?»

«Funziona cosa?» incalzò Clarice.

«Non so, credo ci sia la runa di funzionare tipo otto volte» sollevò gli occhi dal biglietto e rivolse uno sguardo rassegnato ai compagni. «Scusate, ho imparato a leggere da una settimana.»

«Tanvar misericordioso» mugolò Solomon. «Dammi qua.»

Glielo strappò di mano senza tante cerimonie, e... in effetti non aveva un granché senso. «Se non c'è modo in cui funziona, fai come non funziona. Funzionerà» recitò, perché le ragazze lo sentissero.

Ci fu un istante di silenzio, poi Clarice parlò. «Abbiamo davvero fatto tutta la strada e la fatica per questo

Solomon restò a osservare la scritta ancora per qualche istante. Dopo che l'ebbe studiata a sufficienza, concluse: «Mia madre saprà che farne. Tocca a te, Clarice.»

La ragazza obbedì, titubante. Gli porse la profezia senza neanche provare a decifrarla.

Solomon la prese, gli bastò un breve sguardo per capire. «Né destra né sinistra, ma sopra la testa» lesse, con voce bassa ma chiara.

«Per quel che l'ho pagato» borbottò Clarice, «mi pare un po' vago come consiglio.»

«Magari dobbiamo tornare al rifugio col naso per aria» azzardò Sigga.

«Per quanto mi riguarda» commentò Solomon, «posso anche non capire. Mamma capirà, lei lo fa sempre. Se ci ha inviati qui c'è una ragione.»

«Lo spero bene» sbuffò Sigga. «Questa roba non è mica gratis.»

Solomon si rigirò la sua pergamena nelle mani tremanti. L'ultima profezia dell'Oracolo, nella speranza che lo aiutasse a capirci qualcosa.

Confidava tanto in sua madre, eppure un po' di chiarezza non avrebbe potuto che fare del bene. Chiuse gli occhi un istante, poi li riaprì e li abbassò sul biglietto.

Al contrario degli altri due, riportava ben tre frasi, di cui una domanda. Si accigliò, studiandone il contenuto, e ritraendosi protettivo quando vide con la coda dell'occhio Sigga che si avvicinava.

Quand'è che avviene l'impossibile? Nascondi questo messaggio anche da chi ti fidi di più. Il motivo è una bugia.

Una frase simile di certo non aiutava a chiarire la situazione. E perché lui avrebbe dovuto celarne il contenuto? Osservò le due umane, lo sguardo adombrato dal sospetto. Di chi di loro non si sarebbe dovuto fidare?

Strinse il pugno e nascose il biglietto alla vista.

«Cosa dice?» domandò Clarice, stupita.

L'attimo dopo, la sua mano divampò in una fiammata alta che ebbe vita breve. Come fu svanita, aprì le dita e lasciò scivolare sul terreno del bosco la cenere rimasta.

«Niente» disse, soltanto.

Sigga sollevò un sopracciglio. «Niente?»

«Niente. Non ho superato la prova e dunque non ho nemmeno ricevuto una profezia.»

«Sì, invece» protestò lei. «Era proprio lì. E tu l'hai letta e distrutta.»

Solomon esalò un respiro tremante. «No. Io non ho letto niente, voi non avete visto niente. Abbiamo ricevuto due profezie, questo è tutto.»

«Solomon» la voce di Sigga era tesa al punto di tremare. «Devi dirci la verità. Abbiamo il diritto di sapere.»

Voleva la verità? L'avrebbe avuta. Non quella che aveva chiesto, ma una che l'avrebbe distratta e di cui le interessava anche di più. «Everard è vivo, ho controllato poco fa io stesso. Ho ragione di credere sia in grave pericolo, per cui torneremo al rifugio al più presto.»

Calò il silenzio. Solomon non aggiunse altro, si voltò e cominciò a camminare. Sigga si affrettò a seguirlo, sentì Clarice accelerare per arrivare al suo fianco e proseguire insieme.

Aveva barattato il suo futuro per il suo passato. Detta così pareva un'idea stupida, eppure non riteneva di essersi pentito di averlo fatto.

Lui era vivo, giusto? Non era tutto perduto. E che futuro sarebbe stato, vivere nascosti, in ogni caso?

Forse a breve avrebbe riprovato a localizzarlo e non avrebbe trovato nulla. Forse allora si sarebbe pentito.

Ormai aveva fatto la sua scelta, e se la sarebbe dovuta tenere.

Poi c'era la questione Oracolo.

Quand'è che avviene l'impossibile?

Quella era una domanda difficile. Avrebbe chiesto aiuto a sua madre, ma la profezia suggeriva di nascondere il messaggio anche da chi aveva la sua piena fiducia, Ingerid era una di questi. Era sicuro che rivelarle il contenuto di quel biglietto lo avrebbe aiutato a comprenderlo, ma non poteva permettersi di rischiare.

Se si fosse trattato di una prova? Forse non c'era nessuno da sospettare. Forse l'Oracolo intendeva testarlo, e aveva ordinato di tacere solo perché aveva bisogno che arrivasse alla soluzione da solo.

Ma se non fosse stato così?

Era convinto di fidarsi delle ragazze che erano con lui, ma non era più tanto sicuro. Del resto, a quanto pareva il pericolo si nascondeva proprio dietro qualcuno che la sua fiducia se l'era guadagnata.

Non avrebbe dubitato di sua madre, di Everard e di Hildebrand. Si sarebbe concesso di restare scettico su chiunque degli altri.

Nonostante l'Oracolo li avesse condotti a oltre metà della strada, il tragitto di ritorno parve infinito.

Solomon non pronunciò parola sino all'arrivo, e neanche Sigga parve sentirsi troppo incline alle chiacchiere. Giunsero a destinazione dopo quella che parve un'eternità, e quando il rifugio apparve per magia, voci confuse e il suono di una colluttazione animarono il silenzio della foresta.

«Sono tornati» sibilò Clarice, nell'istante in cui passarono l'arco di ingresso.

«Sono tornati!» Sigga esultò e iniziò a correre.

Tornati? Era stato davvero così facile? Si rese conto che aveva iniziato a correre a sua volta solo perché, quando giunse all'origine del fermento, aveva il fiato corto e si teneva il fianco per il dolore.

Erano tornati davvero! Richard, Emeline, gli ostaggi, e-

Un ragazzo alto dall'aspetto smagrito teneva Richard per la gola. Il principe stava immobile, senza forze, e benché avesse il doppio della sua stazza non provò ad allontanarlo.

«Freddie!» Sigga gli fu accanto. «Che succede? Dov'è Everard?»

«Guardala negli occhi» ringhiò il ragazzo, che strinse la presa. Richard boccheggiò. «Guardala negli occhi e dille che hai ammazzato suo fratello. Poi io ammazzerò te.»

La voce di Sigga arrivò in un sussurro. «Cosa-»

«Non è come pensi» rantolò, a fatica. «Non volevo questo.»

«Non puoi fargli del male» si inserì Michael. «Non dopo tutto quello che abbiamo fatto per andare a recuperarlo. Ci serve.»

«Non mi interessa» il ragazzo, che doveva essere Frederick, era tanto rigido che stava tremando. «Deve ammettere quello che ha fatto e poi deve morire.»

Sigga restò immobile, poi Solomon la vide scivolare in ginocchio. Le voci si accavallarono, in una discussione che aumentò di volume molto in fretta.

Non era vero.

Non poteva essere vero, aveva controllato appena un'ora prima. O forse due.

Quanto tempo era passato? Per quanto avevano camminato in mezzo al bosco?

Non abbastanza da cambiare qualcosa.

Hildebrand gli si avvicinò, apprensivo, ma lui non lo considerò neppure. «Silenzio» sibilò invece, per fermare la discussione e fare ordine nella sua testa. «Vi prego, silenzio.»

«Solomon, non so cosa dire, io-»

Il cuore gli martellava nel petto, i suoni ovattati si confusero. C'era qualcosa dentro di lui che montava, il senso di colpa e la rabbia e un dolore che si irradiava dal fondo dello stomaco e saliva sino alla gola.

Strofinò le mani tra loro per calmarsi. «Ho detto: silenzio

Il botto che seguì fece tremare la terra, e ferì i timpani in una frustata improvvisa. Qualcuno gridò, lo sentì appena, ancora assordato dal tuono provocato dal fulmine che aveva appena fatto abbattere fuori dal rifugio.

La mano di Hildebrand gli afferrò la spalla e la strinse. La reazione drastica aveva sortito il suo effetto, gli sembrò che i presenti avessero smesso di litigare.

«Solomon. Solomon, calmati adesso. Ci farai crollare il palazzo addosso.»

Prese una boccata d'aria tagliente, gli occhi gelidi del fratello fissi nei suoi. Nell'espirare, le sue palpebre si chiusero oscurando il resto del mondo.

Nessuno brucerà nessuno oggi, men che meno te. Non lascerò che accada, è una promessa.

Gli occhi scuri che aveva visto da sopra la pira lampeggiarono nella sua mente, nel momento in cui aveva compreso che sarebbe sopravvissuto.

L'attimo dopo, l'incantesimo tirò le corde sino a farle sanguinare. Riaprì gli occhi, le gambe molli dal sollievo.

«È vivo.»

Non sprecò tempo a guardare nessuno in quella stanza se non chi aveva bisogno di quell'informazione più di chiunque altro.

Sigga era ancora in ginocchio, senza forze, lo sguardo vacuo e priva della capacità di proferire parola. Non aveva fatto una piega al crollo del fulmine o al rombo del tuono, ma alla sua affermazione trasalì, animata di nuova vita.

«Sei sicuro?» La mano di Hildebrand non l'aveva ancora lasciato, forse per accertarsi che non gli scappasse un altro incantesimo avventato.

«Localizzalo tu, se non mi credi. È vivo, quando mamma tornerà lei... lei lo aiuterà. È tutto sotto controllo. Ormai è partita da ore, sarà qui domattina al più tardi.»

«Non possiamo lasciarlo nelle loro mani tanto a lungo» commentò uno degli ostaggi, che Solomon non conosceva. «Potrebbe rivelare dove ci troviamo.»

Frederick, che aveva lasciato Richard al cadere del fulmine, si infiammò di nuovo. «Come osi? Non lo farebbe mai.»

Gli animi accennarono ad agitarsi ancora, Solomon si irrigidì. «Silenzio» ordinò ancora, tra i denti.

Non alzò la voce, non ne aveva più bisogno. Del resto, aveva imparato a farsi ascoltare da sua madre.

Con Ingerid via, toccava a lui la guida del rifugio. Con Ingerid via, era lui che avrebbe deciso cosa fare.

Tutto quello che voleva era uscire da quell'inutile ammasso di roccia e andarsi a riprendere il suo futuro. No, non solo il suo futuro. La persona che gli aveva salvato la vita, aveva aperto le porte della sua casa e gli aveva dato da mangiare quando non aveva niente.

Non avrebbe lasciato il rifugio incustodito tutta la notte, era stato investito di una responsabilità e se ne sarebbe fatto carico.

«Dameta solleverà gli schermi sino a domattina. Se qualcuno si presenterà qui, anche se conoscerà il passaggio il rifugio non potrà mostrarsi.» Sì rivolse a Richard, per la sala era calato il silenzio. «Ora tu racconterai cos'è successo nei dettagli. Se mentirai lo saprò, e quello che farò non ti piacerà. Quando avrai finito tornerai nelle tue stanze e non metterai piede fuori sino a nuovo ordine. Domattina, all'arrivo di mia madre, decideremo il da farsi.» Affilò lo sguardo. «Prega che ritorni. Non possiamo liberarci di te, ma non ti occorrono le gambe per essere Re. Capisci quello che dico?»

Lui resse il suo sguardo, ma incurvò le spalle per farsi piccolo. Sembrava davvero mortificato per ciò che era successo, ma saperlo non placò la rabbia che pulsava nel petto.

Il futuro re schiuse le labbra tremanti e fece un cenno d'assenso. «Capisco.»

Note autrice
Richard ha confessato che ha spinto Everard a buttarsi dalla finestra, perché ormai non aveva via di fuga e non c'era modo di scappare.
Frederick e Sigga non sembrano averla presa troppo bene, mentre Solomon sembra essere entrato in modalità AMMAZZO TUTTI.
Per quanto riguarda i messaggi invece, ancora non si capisce il loro significato. Non temete, tutto sarà chiaro e capirete a cosa si riferiscono, prima o poi. Diciamo più poi, ahah.
Nel prossimo capitolo scopriremo com'è andato a finire il salto di Everard, finalmente.
Certo, se fosse finito bene comunque non potrebbe tornare al rifugio perché Solomon ha sollevato gli schermi, il che potrebbe renderlo preda delle creature del bosco. Ops (?) con questo aggiornamento serale chiudo e a presto!

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