5.1 // Tanto per essere sicuri

Proprio come previsto, tra il caos dell'incendio e la folla che si accalcava, i fuggitivi riuscirono a far perdere le loro tracce.

Everard si ritrovò a farsi strada a gomitate, una mano in quella di Sigga per non perderla nella confusione e gli occhi puntati sulla testa bianca di Solomon, che apriva la strada guidando gli ostaggi verso il rifugio.

Incrociarono un altro gruppo di guardie che spintonavano la fiumana di persone nel tentativo di risalire la corrente e raggiungere l'incendio.

Concentrate sull'isteria collettiva che si stava propagando più veloce delle fiamme, non tentarono neanche di fermarli né si accorsero della loro fuga.

Il portone a ovest delle mura era già stato sbarrato a quell'ora tarda, sigillando la città fortificata. Non bastò a fermarli. Everard strinse la mano della sorella con il cuore che gli martellava nel petto, le grida concitate della calca e il fiato corto per la corsa.

I suoi occhi restarono fissi su Solomon, che corse verso le grandi ante e vi appoggiò i palmi. L'attimo in cui restò immobile, dandogli le spalle, premuto contro la porta in silenzio, si spezzò e quella si spalancò con un botto assordante.

Alcuni dei presenti si ritrassero, intimoriti dall'incantesimo. Non Everard. Lui vide Solomon vacillare, come avesse perso le forze qualche istante, lasciò la mano che teneva nella sua e saltò in avanti, superando Hildebrand.

Giunse accanto a lui in tempo per vederlo recuperare l'equilibrio. Gli occhi chiari guizzarono su di lui, quando lo riconobbero si illuminarono con tutto il volto. «Tranquillo, sto bene.»

La mano di Sigga lo trovò di nuovo, e si diressero fuori le mura.

Una volta all'esterno, stanchi ma più sicuri, non rallentarono il passo neanche quando gli ostaggi videro che i druidi prendevano la direzione del bosco. Everard e Sigga attesero che tutti ebbero passato il folto degli alberi, per controllare che non fosse rimasto indietro nessuno, poi si addentrarono a loro volta.

Una nube di fiammelle bianche, opera di Solomon, volteggiò intorno a loro illuminando la foresta; Sigga sorrise, incantata, e ne sfiorò una con la mano, ma non si bruciò. Una di queste svolazzò intorno a Everard, danzando davanti ai suoi occhi festosa, come per salutarlo. Un angolo delle labbra del ragazzo si piegò all'insù senza che riuscisse a evitarlo.

«I druidi hanno evocato i fuochi fatui! Stanno arrivando gli spiriti!» esclamò una voce alla testa del gruppo.

Sentirono il sospiro esasperato di Hildebrand sin lì.

«Eccovi di nuovo!» una ragazza spuntò tra la piccola folla, infilandosi affannata tra i due uomini che stavano davanti a loro.

Aveva l'aria stravolta, le sue treccine erano legate in una coda dietro la testa e sembrava che non dormisse da troppo tempo. Era la loro Clarice, con quell'insieme di stracci che aveva a mo' di vestito, i piedi nudi e il suo solito sorriso contagioso.

Everard percepì Sigga rilassarsi accanto a lui. «Clarice! Allora eri davvero tu, ti ho intravista prima ma pensavo di essere pazza.»

«In carne e ossa» rispose la ragazza. Passò il braccio attorno alle spalle di Sigga e le stampò un bacio sulla tempia.

«Come ti senti?» incalzò Everard, mentre continuava a procedere a passo sostenuto.

«Bene. Ce la siamo vista brutta, ma ora è finita. Siamo insieme, giusto?»

«Già» commentò Everard, asciutto. «Questo non è di conforto per tutti, mi pare.»

Gli ostaggi parevano diffidenti nei riguardi dei druidi, camminavano a diversi passi di distanza e stavano ben attenti a non arrivare troppo vicino a nessuno di loro.

Il volto di Clarice si arricciò in una smorfia. «In realtà capisco se hanno paura, neanche io sono tanto convinta. Voi vi fidate davvero di questi druidi?»

«Sì» rispose Everard, senza neanche aspettare la fine della frase. «Ci fidiamo di loro.»

Lei aggrottò le sopracciglia e spostò lo sguardo su Sigga per avere conferma.

«Non vogliono farci del male, non lo faranno. Ti puoi fidare» concordò la ragazza.

«Se lo dite voi io certo che mi fido» mormorò Clarice, «il problema sono gli altri. Il mercante è ancora convinto che ci stiano portando via per sgozzarci in chissà quale sacrificio umano.»

«Che sciocchezza» commentò Sigga, «i druidi non fanno sacrifici umani. Io sono stata nel loro rifugio per più di tre giorni, anche di notte, e non ne hanno fatto nemmeno uno.»

«Ho più paura che sia tutta questa gente a voler fare del male a loro» disse Everard, «non credo sia stata la migliore delle idee quella di portarli qui.»

«Non potevamo farli tornare a casa, sarebbe stato come non salvarli affatto, le guardie li cercheranno al più tardi domattina» intervenne Sigga.

Sentirono la voce di Hildebrand dire "mostrati", e capirono di essere quasi giunti a destinazione.

«Sì, ma per quanto potremo tenerli con noi?» chiese Everard, che si sentì a un passo dal lasciarsi prendere dallo sconforto. «E se loro non fossero disposti a restare? Non possiamo tenerli qui per sempre, quando andranno via che succederà? Diranno alle guardie dove ci troviamo, e allora sarà finita.»

«Nella giornata che abbiamo passato insieme alla Guardia ho fatto amicizia con alcuni di loro. Posso provare a portarli dalla vostra parte, ma non posso promettere molto» suggerì Clarice.

«È più che abbastanza» la rassicurò Sigga, «grazie per quello che fai. Neanche tu ci devi niente, lo sai.»

Clarice fece un gesto distratto come per scacciare le sue argomentazioni. «Sono sempre felice quando posso darvi una mano. E poi negli ultimi tempi con Frederick era una vera noia...»

«E quello cos'è?» esclamò una voce di donna, distogliendoli dai loro pensieri.

«Dev'essere il loro covo! È una trappola, torniamo indietro!»

«Il nostro covo?» domandò oltraggiato Hildebrand. «Come ti permetti?»

Sigga alzò gli occhi al cielo. «Chiama la nostra casa una topaia e poi si offende per "covo".»

Everard si strinse nelle spalle. «In sua difesa c'è da dire che casa nostra è una topaia.»

«Io là non entro. Ci tengo alla vita» disse allora il mercante.

«Fai come ti pare» intervenne il sarto. «Se ci tieni a essere spolpato da un lupo o squartato da un elfo scuro per le tue viscere sei il benvenuto, io dormo coi druidi.»

«Siamo venuti sin qui» esclamò Clarice a voce alta per farsi sentire da tutti i presenti, «non ha senso fermarci ora. E se queste persone avessero voluto farci del male l'avrebbero già fatto.»

Everard sentì qualcuno dire «Queste non sono persone» ed era già pronto a saltargli al collo per la frase insolente e offensiva, quando Solomon sgomitando li raggiunse in coda.

«Questa gente sta ricostruendo in un'ora tutti gli stereotipi sugli umani che voi avete distrutto in tre giorni» si lamentò.

Fu Clarice a intervenire, a quelle parole. «Chiedo scusa da parte di tutti. Io sono Clarice, amica di Everard e Sigga. Siamo cresciuti insieme.»

Pronunciò quell'ultima frase come se ne andasse fiera, come se il ribadire che avessero un passato in comune la rendesse felice.

«I loro amici sono anche miei amici» rispose Solomon, tendendole la mano. La strinsero. «Sono contento che non tutti siano terrorizzati da me, qua in mezzo.»

«Dai loro un giorno e si accorgeranno che non faresti male a una mosca» esclamò Sigga, dandogli un buffetto sul braccio.

Un lupo ululò in lontananza, e il brusio dei presenti che discuteva sul da farsi si chetò.

«Allora?» domandò il mercante, con la sua voce strascicata e il suo accento spigoloso, «chi fa gli onori di casa? A me i lupi non piacciono.»

«Quel tizio sì che farebbe bene ad avere paura» commentò Everard, gelido, mentre osservavano gli umani oltrepassare l'ingresso guidati da Dameta e Hildebrand. «Hildebrand ha già pensato di ucciderlo in almeno dieci modi diversi, sono sicuro.»

«Sì, sta per esplodere» concordò Solomon, «se Dameta non lo stesse guardando con rimprovero, a quest'ora lo avrebbe già incenerito.»

Clarice si accigliò. «Può davvero farlo?»

«Con la giusta motivazione c'è poco che un druido non possa fare» rispose lui, con il solito sorriso enigmatico che ogni tanto lo faceva sembrare un animale pericoloso.

Gli umani e i druidi si stiparono tutti nella sala del pozzo, e il brusio crebbe a dismisura. Sigga ed Everard si scambiarono uno sguardo teso, quando Ingerid fece il suo ingresso a testa alta nel salone.

«È lo Spirito della Foresta!» esclamò la donna anziana, che sembrava sul punto di accasciarsi a terra in preda alla stanchezza. «Inchinatevi, presto!»

«Non ce ne sarà alcun bisogno» esordì il druido in abito bianco.

La sua voce era chiara ma non tanto alta da suonare intimidatoria, il tono all'apparenza caldo e morbido lasciava dentro una sensazione di gelo.

«Non sono nessuno stasera se non il vostro ospite. Ho mandato i miei ragazzi da voi e loro vi hanno condotti qui, sarò ben felice di ospitarvi per la notte. Domattina discuteremo sul da farsi, sinché sarete qui non vi sarà fatto alcun male, né da noi né dalle guardie reali. Siete al sicuro.»

Il gruppo tacque, gli ostaggi intimoriti titubavano, quando Clarice fece un passo in avanti e parlò. «Grazie della vostra ospitalità, signora. Saremo lieti di sistemarci dove riterrà più opportuno.»

«Sono così contenta che l'abbiamo trovata» sospirò Sigga, rivolta a suo fratello. «La sua presenza mi conforta molto.»

«Sì, anche a me» disse Everard, guardando la ragazza voltarsi verso i compagni con aria incoraggiante, le treccine e i lembi del vestito che ondeggiarono al movimento. «Una faccia amica è quello di cui avevamo bisogno, credo. È tutto così... folle.»

Ingerid si voltò verso Solomon e gli fece cenno di andare. «Mio figlio vi scorterà nel giardino, ho già allestito uno spazio per tutti voi.»

Il ragazzo annuì, e si diresse diligente verso il luogo in cui di solito consumavano il pasto, il cortile interno con il soffitto aperto sul cielo notturno. «Seguitemi» disse il ragazzo, e, seppur riluttanti, gli altri obbedirono.

«Come faceva a sapere che saremmo arrivati?» domandò Sigga a Everard, mentre seguivano il gruppo. «Come faceva a sapere degli ostaggi, che li avremmo liberati e che li avremmo portati qui stasera?»

«La signora sa tante cose, più di quelle che potresti mai capire» intervenne la voce di Hildebrand, facendoli sobbalzare. «Questo tuo stupore è oltremodo offensivo.»

«Oh, scusate» rispose lei, alzando gli occhi al cielo. «Non intendevo sottovalutare il vostro grande potere!»

Quando sfociarono nel giardino Everard si accorse che era diverso da come lo ricordava.

L'ampio quadrato erboso era tappezzato di coperte di lino; le fronde della quercia a un angolo del giardino erano state orientate all'occorrenza e nascondevano buona parte del cielo, coprendo la luce della luna per conciliare il sonno; i denti di leone sul prato erano spariti, forse per non venire schiacciati sotto il peso dei corpi addormentati; il tavolo dove mangiavano non era più al centro del giardino, non si vedeva da nessuna parte; non c'erano torce accese in quella parte del rifugio, la penombra era piacevole.

Mentre il mercante e un altro signore discutevano su dove fosse più sicuro stendersi e gli altri si sistemavano dove preferivano, Everard scelse con Sigga due giacigli in un angolo, e lei si buttò per terra sopra un lenzuolino fresco di quelli posati sull'erba.

Everard aggiustò quello più vicino, spostandolo accanto a quello della sorella, poi si sedette accanto a lei.

«Che state facendo?» chiese una voce alle loro spalle, ed Everard intravide Solomon che si avvicinava con sguardo perplesso.

«Ci mettiamo comodi, è ovvio» rispose Sigga, «sono esausta.» Si stiracchiò sdraiata per terra e assunse un'espressione beata. «Spero che nessuno faccia chiasso, ho proprio voglia di dormire.»

«Volete dormire qui? Insieme agli altri?» chiese, con una smorfia.

«E dove altro? È stata tua madre a dire che ora questa è la stanza degli ospiti» commentò Everard, acchiappando un cuscino e sdraiandosi a sua volta. «E poi è comunque meglio del pavimento di casa mia.»

«La prossima volta che vado a casa vostra dovrò farvi un letto come si deve» borbottò il druido, come se stesse riflettendo a voce alta. «E comunque, questa è la stanza dei suoi ospiti. Voi siete miei ospiti e io non voglio che dormiate per terra.»

«Non possiamo prendere di nuovo camera tua, Solomon» protestò Sigga, «è la tua stanza, è giusto che ci torni.»

«Torno a dormire in camera con Hildebrand come i giorni scorsi» insistette «Voi potrete tenere la mia.»

«Non penso che lui farebbe i salti di gioia. Questa cosa sta andando avanti un po' troppo, non credi?»

«Vorrà dire che dovrà arrangiarsi. Non voglio che dormiate in mezzo a questa gente, potrebbero avercela con voi» si avvicinò a loro e abbassò la voce, guardando Everard con severità. «Richard ha cercato di tagliarti la gola solo qualche ora fa! Non puoi dormire con lui!»

«Non ha tutti i torti, sai. Forse stare qui non è molto saggio» sospirò Sigga, alzandosi sui gomiti. «Qualcuno potrebbe cercare di farti la pelle un'altra volta.»

«No, voglio restare» concluse lui, e si alzò di nuovo a sedere con riluttanza. Era stanco, ma non gli andava di sembrare maleducato. Solomon si era avvicinato per fare loro un favore, dopotutto, gli doveva almeno qualche risposta. «Ho paura ad andare a dormire di là.»

Il druido sbatté le palpebre, confuso. «Hai paura di dormire nella mia stanza?»

A giudicare dall'espressione e dal tono di voce, Everard ebbe la netta impressione che fosse offeso. Ricordò le sue parole di poco prima, quando stavano entrando al castello.

Sono contento che non tutti siano terrorizzati da me, qua in mezzo.

«Certo che no, sarebbe ridicolo» si affrettò ad aggiungere. «Ho paura di lasciarli soli, voglio restare qui. Queste persone non si fidano di voi, potrebbero fare qualcosa mentre dormite. Qualcosa di brutto. Vorrei restare a sentire nel caso in cui a qualcuno venisse in mente un'idea balzana.»

«Tu non hai paura di noi, hai paura... per noi?» domandò, le labbra socchiuse dallo stupore.

«Certo che sì» commentò Sigga, alzando gli occhi al cielo. «Avrei dovuto capirlo prima.»

«Ovvio che ne ho. Sono tutti spaventati, e pensano che la loro situazione sia colpa dei druidi, soprattutto tua. Non posso andarmene a dormire in un'altra stanza lasciandoli soli rischiando che...» esitò per un attimo. «Che provino a farti del male.»

Sigga guardò Solomon con aria rassegnata. «Ti avevo detto che i miei genitori avrebbero dovuto chiamarlo "tanto per essere sicuri". Il suo pessimismo può essere molto irritante, ma non migliorerà. Ormai è un caso perso, farai meglio ad abituarti.»

«Tu puoi andare a dormire sul suo letto se vuoi, posso stare anche da solo» borbottò Everard. «Fai un po' come ti pare.»

La ragazza sorrise, ributtandosi di schiena. «Sì, ti piacerebbe.»

«Immaginavo» mormorò lui, con una punta di rassegnazione. «Ma se scegli di restare con me allora non ti lamentare, sei stata tu a volerlo. Non ho intenzione di ascoltare nessun "oh, se solo avessimo un letto" di sorta, sappilo.» Si voltò verso Solomon e sorrise. «Grazie, davvero, è stato carino da parte tua, ma così mi sento più tranquillo.»

Lui lo studiò con attenzione per qualche secondo, Everard si sentì esposto a quello sguardo che lo pietrificò in un lungo attimo, poi il druido si strinse nelle spalle senza aggiungere nulla. Tese la mano verso un punto imprecisato del giardino, fece un minuscolo cenno con le dita e una coperta di quelle ancora libere gli volò sul palmo, lui l'afferrò.

Evevrard l'osservò perplesso mentre la stendeva davanti alla sua, con la testa rivolta dalla sua parte, e si toglieva i sandali.

«Che fai adesso?» domandò Sigga, alzando un sopracciglio.

«Anche io posso avere paura per qualcuno, sai» liquidò lui, senza nemmeno guardarli in faccia. «Se sapessi che passate la notte qua in mezzo non riuscirei a chiudere occhio.»

Anche Hildebrand, che dava informazioni al sarto dall'altra parte del giardino, vide che Solomon si sdraiava in terra e si accomiatò, avvicinandosi con aria contrariata. «Che accidenti stai facendo?»

«Resto di guardia, è ovvio. È stata un'idea di Everard.»

Il ragazzo osservò la disposizione delle coperte e gli rivolse un'occhiata scettica. «Resti di guardia, proprio qui, vedi un po' il caso. Com'è nobile da parte tua sacrificarti in questo modo» commentò, in tono piatto.

Solomon lo fulminò con lo sguardo. «Stai per caso insinuando qualcosa, Hilde?»

Hildebrand cacciò indietro un sorriso compiaciuto, «non mi permetterei mai.»

«Sarà meglio» lo ammonì, «perché se lo facessi ne sarei parecchio infastidito.»

«Meglio che vada, allora» concluse l'altro, «a domani. Se succede qualcosa vieni a chiamarmi. Se non morissi te ne sarei grato.»

«Farò il possibile» rispose Solomon, poi si schiarì la gola imbarazzato. Era buio, ma a Everard sembrò intravedere che fosse diventato tutto rosso di nuovo.

Che strano.

Nel frattempo il brusio si era calmato. La maggior parte dei presenti si era messa a dormire, sembrò che Sigga decidesse di imitarli, perché si accomodò.

Clarice si avvicinò, portandosi dietro la coperta che stese accanto alla sua.

Sigga le fece spazio con un sorriso e chiuse gli occhi.

«Buona notte, ragazzi» mormorò, avvicinandosi al corpo di Everard per sentirlo accanto. Lui intrecciò le gambe con le sue, e lei si portò ancora più vicino.

«Buona notte» rispose Clarice a mezza bocca, raggomitolandosi su sé stessa come un fagotto.

Everard teneva gli occhi aperti, guardò verso il druido e vide che anche lui non si era ancora messo comodo. «Buona notte» gli disse, «grazie di essere rimasto qui.»

«Grazie di, beh, tutto il resto» rispose lui con un mezzo sorriso, gli occhi annebbiati dal sonno. «A domani» disse, per poi lanciargli un'ultima occhiata esitante e chiudere gli occhi abbandonandosi a un sospiro.

«A domani.»

Evevrard restò a guardarlo mentre, con le palpebre chiuse, Solomon si sistemava nel tentativo di addormentarsi.

Era sereno, il rossore andava sbiadendo, i tratti del volto eleganti e aggraziati erano sereni; lasciò che lo sguardo indugiasse sul suo corpo rilassato e le sue labbra.

Sin dal primo momento che l'aveva visto, sin da quando era stato solo un ragazzo spaventato sulla catasta di legna ad attendere il fuoco, non era più riuscito a smettere di gravitare intorno al druido come un insetto attratto dalla luce di una candela.

Si convinse addirittura che, se anche ci fosse riuscito, non avrebbe voluto sottrarsi a quell'attrazione così istintiva, viscerale.

Si concentrò sul peso della gamba di Sigga contro la sua e ascoltò il respiro regolare di Solomon poco sopra di lui, continuando a guardarlo.

Aspettò qualche minuto che il suo cuore si calmasse, senza stare troppo a pensare al perché era agitato, poi decise di contare le foglie sopra di lui sulla quercia, per perdere tempo nel mentre che passava la notte, per non restare troppo a rimuginare su quanto accaduto.

Il brusio dei presenti si chetò, tutti si addormentarono, e lui restò sdraiato e immobile in attesa.

Note autrice
Gli ostaggi sono arrivati sani e salvi al rifugio. Come andrà la convivenza tra umani e druidi? Riuscirà Hildebrand a evitare di fulminare il mercante fastidioso?
I ragazzi si sono sistemati tutti insieme con gli ostaggi, per evitare che succeda qualcosa di brutto.
Nel prossimo capitolo, vedremo un po' l'organizzazione di questo bislacco gruppo di persone male abbinate l'uno con l'altro, e la loro convivenza.
Vi ricordo che ogni feedback è ben accetto e vi saluto, al prossimo capitolo!

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