2.1 // La Profezia
Il volto pallido del druido era chino su di lui e lo studiava con espressione concentrata. «Da quanto tempo hai detto che fai questi sogni?»
«Settimane» rispose Sigga, al suo posto. «Non dorme più, non può vivere così.»
Everard alzò gli occhi al cielo. Era avvampato e in imbarazzo, steso sul giaciglio che usava per dormire, gli occhi puntati sul soffitto, il druido e sua sorella inginocchiati accanto a lui, uno a destra e l'altra a sinistra, che lo fissavano. «In realtà ho sempre fatto questo sogno, solo che ora capita più di frequente. Era da tanti anni che non succedeva, e non l'ho mai fatto così spesso» spiegò, chiudendo gli occhi nel tentativo di rilassarsi.
«È cambiato qualcosa nella tua vita, di recente? Qualcosa che potrebbe spiegare il perché del ritorno di questi sogni?» incalzò Solomon, ed Everard sentì sulla pelle il peso del suo sguardo, anche se non poteva vederlo. Deglutì.
«A parte aver provocato una rivolta e incontrato un druido?» disse, e sentì la mano ruvida di Sigga stringere la sua. La accettò. «No, niente di che.»
«Si tratta di un incubo, non è vero? Per questo non vuoi dormire. Non è la ricorrenza del sogno a preoccuparti, è quello che sei costretto a vedere.»
«Più o meno» rispose alla cieca, gli occhi serrati. Si accorse che era più facile parlare se teneva le palpebre chiuse e fingeva di trovarsi da solo. «In realtà questo sogno che faccio... non è proprio un sogno. È più un ricordo.» Sentì Sigga trasalire e le strinse la mano più forte. «Almeno, credo che lo sia. Quello che vedo... è già successo, tanto tempo fa. Solo che i miei ricordi sono confusi. Per tutto questo tempo ho avuto ricordi sempre più vaghi che sfumavano nella mia testa... sapevo che avevo incontrato un druido, sapevo che avevo sentito, no, avevo visto mio padre poco prima che morisse, sapevo che erano state le guardie a bruciare tutto, ma non me lo ricordavo. Mi ricordavo di saperlo, ecco. Non so se mi spiego.»
«No» sbuffò Sigga. «Per niente.»
«Sì» disse Solomon. «Capito.»
«Ora quando sogno vedo le cose che pensavo di sapere, più o meno come me le ricordavo, ma con più chiarezza. Non so solo che mia madre mi ha svegliato in piena notte, so anche le parole che mi ha detto, l'aspetto che aveva la guardia che ha appiccato il fuoco, il colore del cavallo che ha rischiato di travolgerci. Però è pur sempre un sogno, e in qualche modo sento che è deformato dal tempo, sento che mi sta ingannando. È questo che mi turba. Non sapere di che parti del ricordo posso fidarmi. Vedere mia madre per l'ultima volta ancora e ancora, sentire mio padre morire e mia sorella piangere e non poter fare nulla per evitarlo, e in qualche modo avere questa strana sensazione di qualcosa che non quadra, di qualcosa di... sbagliato.»
Sentì Sigga mormorare un'imprecazione, poi sentì Solomon chiedere: «Posso?» e aprì gli occhi per controllare.
Il druido aveva alzato le mani come in un segno di resa, per fargli capire che non era minaccioso.
«Che devi fare?»
«Solo toccarti la testa. Posso non farlo, ma più le mani sono vicine più funziona, e non sono un esperto nella magia di Amma, voglio prendere tutte le precauzioni possibili. Quel marchio è quello con cui ho meno familiarità, purtroppo.»
Everard fece una smorfia. Immaginò cosa si potesse provare nel sentire qualcuno frugare nella propria testa, lui che non condivideva i suoi pensieri con nessuno, neanche con sua sorella. Immaginò cosa il druido potesse leggere nella sua mente mentre si trovava così vicino, qualcosa che aveva tentato di ignorare da quando erano entrati in casa e forse da prima ancora, e che davvero non aveva nessuna intenzione di fare uscire allo scoperto proprio in quel momento. Rabbrividì. «Potrai leggermi nel pensiero? Non voglio... non voglio che tu lo faccia.»
Il druido alzò le spalle. «Forse potrei, se mi impegnassi, ma non sono un granché bravo con la magia del pensiero. E comunque non ho nessuna intenzione di provarci, non mi permetterei mai. È una pratica molto invasiva e irrispettosa, non è affatto ben vista tra la mia gente.»
«E cosa gli farai, allora?» domandò Sigga, che sembrava quasi nervosa quanto lui. «Controllerò solo se il ricordo è stato contraffatto. Se c'è un'impronta magica da qualche parte, la vedrò. Non guarderò niente che non sia collegato al sogno, te lo prometto.»
Everard lasciò andare un lungo sospiro e annuì. «Va bene. Ma ti prego, non frugare nella mia testa. Davvero. Non sto scherzando. Non voglio che...»
«Te l'ho detto» rispose lui, «non mi permetterei mai. Quello che c'è nella tua testa non è affar mio.»
«E non bruciarmi i capelli, ci tengo, sai.»
Solomon sorrise divertito, poi scrollò le spalle. «Farò del mio meglio, ma non ti prometto niente!»
Everard si tese per un attimo, poi gli lesse negli occhi che stava scherzando e si rilassò. Chiuse di nuovo gli occhi e tentò di isolarsi, l'unica percezione del mondo circostante era il respiro ansioso di Sigga e la mano che stringeva nella sua.
Dopo qualche attimo la sentì contrarsi in una stretta più forte, e sentì un palmo sfiorargli la tempia. Trattenne il fiato, senza sapere che aspettarsi; dapprima non accadde nulla, poi arrivò il caldo, prima solo nel punto in cui il druido lo stava toccando, poi in tutta la testa, sul collo, nel petto, e infine in tutto il corpo.
Sino a quel momento aveva avuto paura che la sensazione sarebbe stata sgradevole, che si sarebbe sentito violato, ma non fu così; avvertire la magia scorrergli dentro fu naturale, come se fosse ciò di cui aveva sempre avuto bisogno ma non l'avesse mai saputo, come quando inizi a mangiare e solo allora ti accorgi di avere fame.
Dietro le palpebre chiuse vide le fiamme alzarsi verso il cielo, sentì nelle orecchie il pianto di sua sorella, raccolse di nuovo il sacchetto d'oro, la guardia stramazzò a terra morta e la donna, il druido dai capelli lunghi e bianchi, lo guardò e gli disse "Te l'avevo detto che mi avresti reso il favore. Vieni da me, Everard. Vieni."
Sentì la mano del druido lasciare la presa senza preavviso e l'energia che lo pervadeva si spense, come se qualcuno avesse chiuso d'un tratto la porta in una stanza senza finestre lasciandola piombare nel buio. Aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere, stava ansimando, non sapeva se avesse appena iniziato o se l'avesse fatto da quando era iniziato il contatto.
«Cos'è successo? Ha funzionato?» chiese Sigga, che aggiustò la sua posizione sul pavimento, in preda all'ansia. «Cos'è successo?»
«Non vi so dire se i ricordi sono stati contraffatti, ma posso portarvi da qualcuno che lo sa di sicuro» mormorò il ragazzo, anche lui sembrava avere difficoltà a respirare. «Però so uno dei motivi per cui il sogno è tornato proprio ora.»
Sigga non sembrava intenzionata a lasciar correre. «E chi è questa persona? E qual è il motivo?»
Il druido la ignorò, gli occhi fissi su Everard. «Tu come stai?» chiese, cauto. «Non faccio mai magie di Amma, ti ho fatto del male?»
«No» mormorò lui, si schiarì la gola e distolse lo sguardo. «Forse, non so. Non proprio. Non credo, almeno.»
«Che gli hai fatto?» chiese Sigga, sospettosa, avvicinandosi al fratello e studiandolo da vicino. Gli sfiorò la fronte con la mano. «È bollente. E confuso. Lo hai incasinato, vero? Gli hai incasinato il cervello.»
«Io non-»
«Non mi ha fatto niente. Mi ha solo colto di sorpresa, tutto qui» borbottò Everard, stanco di tutte quelle attenzioni. Fece un cenno di rassicurazione alla ragazza, poi chiese: «Cosa hai capito, dunque?»
«Il vecchio il nuovo uccide, il sangue del Re è l'inizio e la fine» sentenziò Solomon, come a pronunciare una cantilena imparata a memoria.
Sigga sembrava averne abbastanza di misteri. Esalò un sospiro seccato. «E questo ora che significa?»
«Non lo so. Pensavo di saperlo, ma forse sbagliavo. Forse abbiamo sbagliato tutti. Con le profezie a volte capita. In realtà è piuttosto frequente» cercò di spiegare.
«Non ti seguo» commentò Sigga, «ma tu non parli chiaro proprio mai?»
«Scusa» rispose il druido, «credo di non essere bravo a parlare con gli umani.»
«È la tua profezia?» li interruppe Everard. «La visione del futuro che hai avuto, quella di cui parlavi?»
«Oh, no, io non ho mai ricevuto una profezia, le visioni sono una cosa diversa. Questa è una vecchia profezia di mia madre, pensavamo che si fosse già avverata, ma forse non è così. Il tuo sogno è un messaggio, ci dice qualcosa che ancora non sapevamo.»
«E cosa?» domandò la ragazza, esasperata.
«Che il principe Richard è vivo, e che forse abbiamo un'altra occasione.»
«Il principe Richard? Nah. Lui è morto nella Notte delle Fiamme, insieme al resto della corte.»
«Anche io lo pensavo, ma non è andata così. Si è buttato nel canale ed è andato via. Almeno, questo dice la testa di tuo fratello.»
«Quel ragazzino...» sibilò Everard, «quel ragazzino era il figlio del Re?»
«Credo di sì. "Il vecchio il nuovo uccide", ma quale dei due uccide? E quale dei due è ucciso? Pensavamo che la profezia intendesse Jasper che assassinando Richard ha messo fine alla dinastia di suo fratello. Il sangue del Re è l'inizio e la fine. La discendenza di George si estingue, quella di Jasper inizia. Ma se fosse il contrario? Se Richard è ancora vivo la profezia potrebbe riferirsi a lui. Potrebbe essere lui che ucciderà Jasper, non viceversa. Potrebbe essere lui l'inizio, e Jasper la fine. Non è chiaro.»
«Niente di tutto questo è chiaro» commentò Sigga. «Quindi Re Jasper potrebbe aver ucciso il principe Richard, oppure Richard potrebbe ancora uccidere Jasper. Questa profezia è inutile, dice tutto e niente allo stesso tempo.»
«Tutte le profezie sono così. Dicono senza dubbio ciò che accadrà, ma spesso capisci cosa intendevano davvero solo dopo che si sono avverate.»
«Quindi il mio ricordo è tornato perché sapessi che Richard è ancora vivo?» chiese Everard, confuso. «Perché io? È una cosa che stanno sognando tutti?»
«No» rispose Solomon, paziente, «il tuo ricordo è tornato perché lo sapessi io e lo dicessi a mia madre. Dobbiamo andare a casa mia. Il sogno ha detto anche questo.»
Everard arricciò le labbra. «Tua madre? Cosa c'entrano i tuoi genitori adesso?»
«Il druido che vedi nei tuoi incubi, quello che vi ha salvato dalla guardia quindici anni fa... quella donna è mia madre.»
Calò il silenzio per un attimo, fu Everard a spezzarlo. «Va bene. Andremo stanotte, come programmato. Ora ho solo una ragione in più per venire con te.»
«Non credere di potermi lasciare indietro! Non ho nessuna intenzione di perdermi una gita nel covo dei druidi.»
«Covo?» domandò Solomon, sollevando un sopracciglio. «È un rifugio, non un covo. Non siamo criminali!»
«Stai calmo» liquidò la ragazza. «L'ho detto per dire, non volevo offenderti!»
«Non se ne parla neanche, mostriciattolo, non ci pensare proprio. Aspetterai qui e non uscirai di casa per nessuna ragione. Tornerò domani, al più tardi al pomeriggio.»
«Se te ne andrai senza di me passerò tutto il tempo fuori casa. Mi farò una bella passeggiata e ronzerò intorno alle guardie in attesa che mi riconoscano.»
«Non oseresti.»
Lei incrociò le braccia e gli lanciò uno sguardo di sfida. «Mettimi alla prova.»
Solomon sospirò. Non doveva essere abituato alle liti tra fratelli, o forse al contrario c'era abituato sin troppo. In ogni caso, non sembrava gli piacessero. «Nel rifugio c'è posto per tutti e due. Non è un luogo pericoloso, non c'è bisogno di discutere.»
«Vedi? Il druido vuole portarmi!»
«Lo giuro, Sigga, se per questa idea balzana ti fai ammazzare, cerco un incantesimo per riportarti qui e ammazzarti di nuovo io stesso.»
Lei sfoggiò un sorriso scintillante. «Sapevo che avresti capito. Sei il migliore!»
La giornata passò con straordinaria lentezza. Sapevano che nessuno di davvero pericoloso si sarebbe potuto introdurre in casa per via dell'incantesimo, ma non ci fu segno neanche di qualcuno che provò a entrare per venire respinto. Nessuno doveva aver detto alle guardie dove abitavano, a quanto pareva la gente in città era più stanca dell'operato del Re di quanto Everard avesse immaginato.
Dato che Solomon non poteva rivelare molto sulla vita dei druidi e che Everard non era mai stato un amante delle chiacchiere, fu Sigga a riempire i momenti di silenzio. Raccontò al ragazzo di come avessero perso tutto quello che avevano con la caduta di Re George, di come fossero vissuti per la strada insieme a Frederick e alla sua banda, di quando lei se l'era vista brutta ed Everard aveva deciso di trasferirsi nella casa abbandonata dal tetto bucato. Raccontò della sua insofferenza per la divisione tra i lavori da donne e quelli da uomini e del suo desiderio di esplorazione.
Di norma Everard non le avrebbe permesso di raccontare tanto a uno sconosciuto, ma lo sconosciuto in questione era un druido, perlopiù ricercato, non avrebbe certo potuto denunciarla per condotta sospetta. Li guardò, seduto a terra con la schiena appoggiata al muro, e fu felice che i loro cammini si fossero incontrati. Non avevano mai avuto nessuno oltre i ragazzi di strada che consideravano come una famiglia, e sentire Sigga condividere certi pensieri con qualcuno che potesse esserle amico lo fece sorridere.
Lei si accorse che li stava fissando, piegò la testa di lato e gli sorrise di rimando. Sembrava tanto serena che il cuore di Everard si allargò. Fare del bene era servito tanto a loro quanto al druido, a quanto sembrava.
Anche lui si voltò a guardarlo, era chiaro più che mai che facesse parte di un'altra specie, sembrava venuto da un altro mondo. I capelli bianchi riflettevano la luce che entrava dalla finestra e gli davano un'aria mistica. , la pelle pallida e gli occhi verdi e luminosi avevano un aspetto tanto alieno che a Everard sembrò di stare ancora sognando, come se non si fosse mai svegliato, e che quel momento non fosse reale.
Mentre il sole tramontava, decisero di cenare. Finirono tutto ciò che Everard aveva portato quella mattina, il cibo donato dagli abitanti del quartiere; Solomon diede loro una sistemata ai vestiti, e spiegò che sarebbero dovuti uscire dalle mura a sud della città e addentrarsi nel bosco.
Quando il sole fu calato da tempo e il riflesso degli ultimi raggi scomparso all'orizzonte, sgattaiolarono fuori dalla porta. Come al solito, le strade dopo il tramonto erano quasi deserte.
Everard teneva la testa bassa per non farsi riconoscere e lanciava sguardi di sbieco agli altri due per assicurarsi che fosse tutto sotto controllo. Solomon guidava il gruppo ma era più goffo dei due ragazzi, abituati a infilarsi negli anfratti cittadini alla luce della luna. Dove loro erano leggeri e sfuggenti lui camminava rigido dalla tensione, lo sguardo che saettava preoccupato da un angolo all'altro della via. Portava il cappuccio calato per nascondere il suo aspetto peculiare e voltava la testa con fare plateale ogni volta che incontravano qualcuno sul loro cammino.
Everard non poté fare a meno di chiedersi se era per questo che le guardie erano riuscite a sorprenderlo nonostante la magia.
Rivolse il suo sguardo verso la sorella, in pensiero. L'idea di entrare in una casa di druidi la elettrizzava, questo era chiaro, i suoi passi svelti e silenziosi a un occhio esperto tradivano la sua eccitazione. Per tutta la vita aveva sempre atteso che le capitasse qualcosa di davvero interessante, qualcosa di incredibile, e forse quel momento era arrivato.
Lui non era altrettanto convinto che ci fosse da festeggiare. Avrebbe voluto saperla a casa, al sicuro, e per quanto desiderasse seguire Solomon al suo rifugio, non gli piaceva l'idea di portarla con sé.
Svoltato l'angolo, dopo aver percorso poco più di metà della strada, si ritrovarono davanti due guardie di ronda che davano loro la schiena senza vederli. I tre ragazzi si congelarono sul posto per un attimo, e quello dopo Everard e Sigga erano già scivolati alla via successiva, dietro una fila di edifici. Solomon invece restò immobile, guardava i soldati allontanarsi come paralizzato.
Everard si voltò indietro e lo vide, ancora in mezzo alla strada. I due soldati si allontanavano nella direzione opposta, ma sapeva che in qualsiasi momento avrebbero potuto cambiare strada e allora l'avrebbero visto e riconosciuto.
Everard attese che riprendesse a camminare e si levasse da lì, non accadde. Uno dei due uomini si mise a ridere e ricordò di quando poche ore prima l'aveva trovato incatenato e legato a un palo, e un soldato proprio come quello aveva preso una torcia e l'aveva accesa ridendo allo stesso modo, come se fosse stato contento di farlo, contento di mettere fine alla sua vita nel modo più atroce.
Solomon era ancora là, a osservare le guardie come pietrificato. Everard decise che ne aveva abbastanza, saltò indietro e lo prese per la mano, strattonandolo verso una via più sicura.
Quando i due uomini furono spariti dalla loro vista, il druido sembrò riprendersi e tornare alla realtà. Everard lo tirò più a sé e continuò a camminare per allontanarsi il più possibile dal pericolo.
«Che cosa ti prende?» sibilò, anche Sigga si avvicinò ad accertarsi che fosse tutto a posto. «Vuoi farti ammazzare per caso?»
«Non ho bisogno che mi accompagniate» lo citò Sigga con un ghigno, quando si rese conto che era tutto sotto controllo. «Se qualcuno mi becca potrò sempre usare la magia! Le ultime parole famose...»
«Scusate. Non so cos'è successo. Li ho visti e d'un tratto...»
«Ehi» sussurrò la ragazza, addolcendo un po' il sorriso. «Stavo scherzando. Quei maiali volevano arrostirti solo stamattina, è normale essere nervosi. Stai tranquillo, non succederà niente. Vero, idiota?»
Everard annuì, solenne. «Certo. Nessuno brucerà nessuno oggi, men che meno te. Non lascerò che accada, è una promessa.»
Solomon sfilò di fretta la mano dalla sua e la usò per aggiustarsi la tunica. «Grazie» mormorò, il suo volto pallido si era arrossato sulle guance sino alle orecchie.
«Oh, cielo. Sei tutto rosso!» esclamò Sigga. «Ti senti male?»
«No» rispose, sbrigativo. «Sto benissimo. È del tutto normale.»
«Non perdiamo altro tempo» incalzò Everard. «Dobbiamo sbrigarci.»
«Ma l'hai visto? Sta male!» protestò Sigga.
«Ha detto di non stare male, dice che è normale.»
«A me non sembra normale. Prima era bianco, ora è rosso.»
«Sarà una cosa da druidi... andiamo.»
«È davvero meglio andare» liquidò Solomon, se possibile ancora più rosso di prima. «È solo aumentato il mio afflusso di sangue al volto. Capita anche agli umani, ma hanno la pelle scura e su di loro non si vede.»
Everard riprese a camminare e gli altri lo seguirono.
«Davvero?» chiese Sigga. «Capita anche a me?»
«Certo. Quando sei accaldata, per esempio. Come dopo una corsa.»
«Tu non hai corso, però» commentò Everard.
«Era solo un esempio. Si può arrossire per tanti motivi...»
Sigga accelerò il passo. «E perché sei arrossito tu?»
Non rispose. «Non ha senso parlarne. Mi passerà.»
«Meglio passare dall'uscita ovest» propose Sigga, la testa già altrove, «di solito lì la ronda passa più tardi, non saranno ancora arrivati sin là.»
«Buona idea, non si sa mai» confermò Everard, così svoltarono a destra per cambiare direzione.
Le uniche persone che incontrarono dopo l'incidente coi soldati furono i camerieri della taverna vicina, che tornavano a casa alla fine del turno e non li degnarono nemmeno di uno sguardo.
Quando furono fuori le mura, l'unico suono che riuscivano a sentire era quello dello scorrere del canale che diventava fiume in lontananza, anche se non potevano vederlo. Nessuno era fuori a quell'ora della notte, i boschi potevano essere pericolosi per via degli elfi scuri e delle bestie feroci, e il via vai di mercanti e messaggeri che coprivano le distanze tra una città e l'altra del Regno si sarebbe arrestato sino al mattino successivo.
Solomon sembrò riprendere a respirare a pieni polmoni, come se sino a quel momento si fosse trattenuto. Non intraprese la strada verso i campi come qualunque umano avrebbe fatto. Avanzò di qualche passo verso la distesa di faggi, e si voltò verso gli altri due con un sorriso rassicurante. Il colore dei suoi occhi riprendeva quello del bosco, al buio diventava di un verde scuro spettrale.
«Andiamo, forza! Non dovremmo metterci molto.»
«Quando hai detto "fuori città", non pensavo intendessi "dentro il bosco". Credevo ti riferissi alle case nella piana lungo il fiume. Non possiamo andare lì, sarà pieno di cinghiali, lupi, e chissà cos'altro» disse Everard, piantando i piedi per terra, e anche Sigga, l'impulsiva, coraggiosa Sigga, si era fermata e guardava il fratello a occhi sgranati in attesa di istruzioni.
«E non hai mai visto gli elfi» rispose il druido con un ghigno, «sono creature orribili dalla pelle del colore delle acque più profonde che popolano i boschi di notte. Sono ossessionati dalla magia e sempre a caccia di carne.»
«So cosa sono gli elfi, ho sentito le storie. Noi non entreremo lì dentro, non abbiamo eluso le guardie per morire nel bosco mangiati da qualche bestia, o abbindolati da chissà quale creatura» disse Everard, e Sigga gli afferrò il braccio in un gesto di appoggio silenzioso.
«Gli elfi non mi spaventano, al massimo sono loro che hanno paura di me, e gli animali di questa foresta si guardano bene dall'attaccare i druidi. Ci staranno lontani, potete fidarvi di me» disse Solomon. Rispetto a poco prima sembrava a suo agio, aveva le spalle dritte e un sorriso incoraggiante.
Per i due fratelli l'effetto era stato opposto. La città era il loro regno, le ombre lunghe degli alberi nel bosco li spaventavano.
«Forse staranno lontani da te» commentò Sigga, «ma da noi? Che garanzia abbiamo noi?»
«Quella della mia ospitalità» rispose Solomon, e la certezza nella sua voce iniziò a fare breccia nel cuore di Everard, a qualche passo di distanza. «Ho un debito di vita con voi, la foresta non vi toccherà. Non vi accadrà niente se resterete con me.»
I due si scambiarono un'occhiata in silenzio, poi Everard sospirò. «Se moriremo spolpati da un lupo spero che ti sentirai in colpa.»
«Oggi non morirà nessuno» rispose il druido, divertito, «o almeno... nessuno che ci riguardi» poi si infilò nel folto degli alberi senza assicurarsi che lo stessero seguendo.
Note autrice
Nel prossimo capitolo vedremo finalmente il rifugio dei druidi e arriveranno altri personaggi!
Sono molto curiosa di sapere che ne pensate, apparirà uno dei miei personaggi preferiti a cui sono molto affezionata.
Non vi spoilero nulla a riguardo, neanche il nome, ma dico solo che spero che imparerete ad amarlo almeno la metà di quanto lo amo io!
Ma che carino invece Solomon che arrossisce quando Everard lo tiene per la mano? Ed Everad e Sigga che non hanno mai visto nessuno arrossire perché gli umani hanno la carnagione molto scura, lol.
Buon weekend, buon ponte del 25 aprile, noi ci aggiorniamo martedì!
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