13.2 Epilogo // La serpe in seno

Quando Everard ebbe modo di ritirarsi per tirare un sospiro di sollievo, riuscì ad avere l’accortezza di chiedere a Solomon di venire con lui. La sua magia non era tornata, ci avrebbe messo un po’ a ricaricarsi, e non aveva intenzione di lasciarlo solo in quel momento di debolezza.

Gli era stata assegnata la stanza in cui si era vestito, ma odiava stare lì. Più si guardava intorno più era chiaro che quel posto non faceva per lui. Niente di quell’ambiente austero e opulento gli si addiceva.

Si slacciò il mantello e lo gettò sul letto, poi si sedette sul materasso in un sospiro. Sollevò lo sguardo su Solomon, che si guardava intorno con gli occhi verdi luccicanti di curiosità.

S’immaginò di svegliarsi accanto lui su quel letto spazioso il mattino seguente, passare insieme pigramente una giornata, e svegliarsi accanto a lui anche la mattina dopo di quella. E quella dopo ancora. E ancora, e ancora, e ancora sinché avesse avuto voglia di farlo, perché quella era la sua stanza ed era lui a decidere chi sarebbe andato e quando.

Beh, forse alla fine avere un posto tutto per lui non era poi così male.

Allungò la mano verso di lui, perché l’afferrasse, e il druido lo fece. «Non parli da un po’. Qualcosa non va?»

«Sto bene» rispose Solomon, tanto fretta da fare una smorfia, stupito da solo della sua stessa risposta. «Scusa» aggiunse, con un sospiro. «Abitudine. In realtà sono preoccupato.»

«Va bene» concesse, gli strinse la mano più forte in segno di supporto. «Vuoi parlarne? Sigga pensa che parlare delle preoccupazioni aiuti a superarle. Io non ci credo molto, ma possiamo provare.» 

Il druido chiuse gli occhi e si avvicinò il tanto che bastava perché Everard potesse allargare le gambe e tirarselo contro. «Non posso aver ucciso Jasper, c’è qualcosa di sbagliato in quello che è successo.»

«È quello che hai fatto, però. Io l’ho visto. Hai detto anche tu che delle profezie non c’è da fidarsi.»

Scosse la testa. «Non così. Sono fatte per essere ambigue sino al momento in cui si avverano, ma ora che è successo continua a non avere senso.»

«È morto ormai, che ti importa? Un giorno ci penserai meglio e capirai cosa voleva dire. Non mi sembra questo gran problema, no?» 

Il ragazzo restò con gli occhi serrati, le labbra pallide torturate dai denti. «Non è tutto, però. C’è anche un’altra cosa. Ma devi giurare che non la dirai a nessuno.»

Lui drizzò il busto, interessato. «Certo. Certo che la terrò per me. Che succede?»

«Qualunque cosa accada, Everard. Promettilo.»

Sentì il cuore che iniziava a correre. I timori di Solomon non promettevano nulla di buono. Non lasciò la sua mano, anzi, continuò a stringere. «Promesso.»

Il druido aprì gli occhi e, come ogni volta, si ritrovò a fissarli come ipnotizzato.

«C’è stato un terzo biglietto dell’Oracolo, un biglietto che ha dato a me.»

Everard inclinò il capo, con aria interrogativa. «Pensavo ci fossero solo due biglietti dell’Oracolo.»

«Già, lo pensavi perché non ho detto a nessuno che esisteva quest’altro.»

«E perché?»

Conosceva Solomon da appena qualche settimana. Era un druido abile e – bisognava ammetterlo – talvolta sinistro. Era più che in grado di uccidere con un’occhiata, poteva capire quando lui mentiva ma non funzionava al contrario, e aveva tenuto nascosta per tutto quel tempo un’informazione importante.

Non impiegò neanche un istante a sospettare che stesse tramando qualcosa di losco.

Si fidava. Lui sapeva che Solomon non gli avrebbe mai fatto del male. Sapeva che se Solomon aveva tenuto un segreto aveva anche avuto un ottimo motivo per farlo, sapeva che era una persona buona che agiva per il bene, sapeva che era più che consapevole di come fosse meglio agire perché era amabile, colto, brillante, potente, bellissimo.

Ottar, che si stesse innamorando? No, era impossibile. Lo conosceva ancora poco. Eppure… eppure avevano vissuto abbastanza avventure insieme per una vita intera, e aveva rifiutato delle avances di Freddie – il suo Freddie – perché immaginava non avrebbe gradito, e stava già pensando di chiedergli di trasferirsi nella sua nuova stanza, e – insomma – doveva avere senso per forza? Del resto, innamorarsi non era mai razionale. Di sicuro non lo era in quel momento, eppure si stava innamorando lo stesso.

«Perché… perché tra le cose che dice il biglietto, dice anche di non rivelarlo. Dunque non l’ho fatto. Dice di non rivelarlo neanche alle persone di cui mi fido.»

Everard accennò un sorriso. «Dovrei offendermi? Significa che non ti fidi?»

«Significa che…» la sua voce si perse in un sospiro. «Significa che non posso credere che tu mi tradirai, neanche se l’Oracolo lascia intendere il contrario.»

Everard restò in silenzio il tanto giusto da assorbire quelle parole e da decidere che sarebbe stato in grado di meritarle. «Infatti non lo farò mai» rispose, soltanto.

La smorfia tesa di Solomon si sciolse in un sorriso dolce, poi prese fiato e parlò: «Quand’è che avviene l’impossibile? Nascondi questo messaggio anche da chi ti fidi di più. Il motivo è una bugia

«Oh» commentò Everard, confuso. «E che significa?»

Lui si abbandonò a un sospiro. «Non lo so ancora. Immagino che l’impossibile si riferisca al fatto che sono stato io a uccidere Jasper, e non Richard. Quando avviene l’impossibile? Mi ci arrovello giorno e notte, ma non ho ancora trovato risposta. Il motivo è una bugia è meno chiaro. Motivo di cosa? Bugia prevede un’intenzione, qualcuno sta mentendo perché intende farlo… ma chi?»

«Caspita, avrei voluto tranquillizzarti, ma in effetti è piuttosto allarmante» fu costretto ad ammettere. «Che facciamo?»

Lui gli restituì un’aria afflitta. «È per questo che te ne ho parlato. Io… non lo so.»

Everard gli fece cenno di sedersi sulle sue ginocchia, Solomon obbedì. Quando il druido gli si strinse contro, lo abbracciò e strofinò il volto al suo. «Facciamo così: teniamo gli occhi aperti e non abbassiamo la guardia. Tu continua a ragionarci su, se l’Oracolo ha scelto te significa che sei in grado di decifrarlo. Non diciamolo a nessuno per ora, ma se le cose si mettono male decideremo insieme a chi chiedere aiuto, e comunque vada…» gli stampò un lento bacio sul collo, che lo fece sciogliere tra le sue braccia. «Comunque vada, ora siamo in due. Non devi più preoccuparti di questo da solo.»

Iniziò a mordicchiare la pelle liscia, Solomon sospirò più forte. Si abbandonò alla sua presa e buttò indietro la testa per rendergli le cose più facili.

Adorava quando era piccolo e maneggevole e, dèi, adorava anche quando faceva saltare in aria cose e persone dimostrando di poterlo sopraffare in un attimo, se solo avesse voluto.

Ogni parte di lui sembrava fatta apposta per piacergli, così come ogni verso che gli sfuggiva dalle labbra quando lo baciava in quel modo. Si spinse indietro per sdraiarsi sul letto, e lo portò con sé. Li ribaltò, schiacciandolo sul materasso, e decise che era un buon momento di finirla di parlare e dedicarsi alle sue labbra.

Le leccò perché le schiudesse in un mormorio di piacere, poi le morse e infine le baciò. Solomon rispose con trasporto, allacciò le braccia salde intorno al suo collo e mugolò di gioia quando approfondì il bacio e gli insinuò la lingua in bocca.

Si separò da lui per prendere fiato e lo vide abbandonare la testa all’indietro, esponendo la gola, per offrirsi al suo tocco.

Dèi. In breve non avrebbe più risposto delle sue azioni.

Lo sentì sfregarsi a lui per un po’ di attrito, gli scappò un gemito soddisfatto ed Everard ne approfittò per far scivolare le mani sotto la tunica, contro la pelle candida.

Il druido parve gradire, inarcò la schiena per avvicinarsi ancora, anche se era impossibile. «Everard» lo chiamò, aveva gli occhi socchiusi e liquidi di desiderio. «Ti prego, non smettere.»

Come se avesse voluto. Come se avesse potuto.

La sua pelle era calda, la percorse con le dita, riuscì a percepire il brivido che l’attraversava, e anziché rispondere tornò a occuparsi delle sue labbra.

🔥🔥🔥

Più di un’ora più tardi erano senza vestiti, stanchi ma felici, a scambiarsi baci e carezze sul letto sfatto. Solomon stava ridendo di gusto, perché lui aveva appena fatto una battuta che non era nemmeno così divertente, ed era splendido.

Poi qualcuno bussò alla porta.

Everard arricciò il naso. Chi si era preso la briga di venire a disturbarlo sin lassù? Che andasse a farsi un brodo e lo lasciasse in pace.

Tornò con gli occhi sul compagno, quando bussarono di nuovo.

«Oh, Tanvar» sospirò Solomon, rotolando via dal suo petto. «Continuerà così ancora per molto?»

«Everard!» la voce di Richard gli provocò un’altra smorfia. «Avanti, apri la porta! Lo so che sei lì dentro!»

«Che vuoi? Se Jasper non è risorto, nessuno ci sta attaccando, e il sole è ancora al suo posto non mi interessa.»

«Non avrai intenzione di startene lì tutto il giorno!»

Everard occhieggiò verso Solomon, che annuì con entusiasmo. Erano sulla stessa lunghezza d’onda, ottimo.

«In realtà è proprio quello che intendo fare!» gridò di rimando.

«Non puoi non presentarti alla festa, sei il consigliere del Re!»

«Già, e ti consiglio vivamente di toglierti di torno!»

Un attimo di silenzio. «Beh… beh, io ti ordino vivamente di trascinare il tuo culo qui subito!»

Si portò le mani al volto con fare teatrale. «Ottar misericordioso, dammi la pazienza perché se mi dai la forza l’ammazzo.»

Solomon ridacchiò. «Posso sempre dare fuoco a qualcosa, lo terrà occupato.»

«Sarebbe inutile, poi toccherebbe a noi spegnerlo.»

«E se lo trasformassi in una rana?»

A quella proposta, si illuminò. «Puoi farlo davvero?»

«Provare non costa nulla.»

Everard restò fermo immobile per qualche attimo. In effetti, la proposta di Solomon era parecchio allettante, doveva ammetterlo. Gli passò una mano sulla guancia e lo vide accompagnare il gesto con un versetto soddisfatto.

Dèi, certe volte odiava davvero sé stesso.

Accettando l’incarico aveva accettato delle responsabilità. Sapeva che sarebbe stato difficile, che avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, eppure aveva accettato comunque.

E aveva sbagliato, cazzo.

Sospirò. «Penso proprio che dovremo andare.»

Solomon sembrava deluso. «Hai ragione, andiamo.»

Fantastico, prefetto, stupendo, encomiabile. Era un dignitario da meno di un giorno e il suo ruolo aveva già rovinato un bellissimo momento.

Doveva mantenere la calma. Avrebbe avuto tantissimi altri momenti, ancora migliori di quello, proprio su quel letto.

Il druido si alzò in piedi, agitò la mano e quando non successe niente si accigliò, per poi imbronciarsi. «Ancora niente magia. Molto seccante.»

Si infilò la tunica stropicciata mentre Everard si rivestiva. Non l’aveva notato sino a quel momento, ma non era più nera com’era sempre stata. Era diventata una ricca tunica dorata, del colore del grano.

«Come mai è così?» domandò, confuso.

«Beh, non è fatta per certe cose, sai» mormorò lui, mentre la allisciava con le dita. «È normale che si spiegazzi un po’.»

Richard bussò più forte e Everard urlò «Arrivo!» per poi tossicchiare. «Uhm, mi riferivo al colore.»

Solomon sorrise di nuovo, con fierezza. «Ah, è così per i druidi affiliati ai membri della corte.»

Ghignò a quelle parole. «È così che si dice adesso? Affiliati

«È uno dei modi per dirlo, immagino» rispose a mezza voce, nel farlo era arrossito.

Quando entrambi si furono dati una sistemata e spalancarono la porta, Richard era al varco ad attenderli. «Ce l’hai fatta, finalmente. Pensavi di cavartela così? Non mi puoi lasciare da solo il mio primo giorno! Non puoi andare a dormire e fregartene di tutto quando là sotto–»

Vide Solomon e si bloccò di colpo.

«Non stavo dormendo. Mi devi un favore, altezza» borbottò, e cominciò a camminare. «Forza, ormai è fatta. Muoviamoci.»

«Ma si può sapere che cosa–» iniziò Richard, per poi scuotere la testa, sconfitto. «Lasciamo stare, non sono affari miei.»

«State imparando, vostra magniloquenza.» 

Richard affilò lo sguardo, anche Solomon cominciò a camminare annoiato dietro di loro. «Dovresti smetterla con questi nomignoli.»

«E tu dovresti smetterla di venire a molestarmi quando ho cose migliori da fare, eppure eccoci qui.» 

Il piano terra del palazzo reale era più stipato di un’ora prima, molti iniziavano ad arrivare dai paesi limitrofi, altri uscivano per portare il messaggio alle città più lontane. Suonatori di liuto, sparsi nelle varie stanze, diffondevano nell’aria musica popolare, e i fiumi di vino che continuavano a scorrere facevano apparire il castello come il centro della città durante le feste per il nuovo anno, quando i giovani di ventitré anni diventavano uomini, e i prodotti del raccolto del giorno venivano radunati e poi bruciati in delle pire in piazza.

La differenza era che l’unico sacrificio che sarebbe stato bruciato quel giorno, erano le pire di corpi dei caduti in battaglia.

Solomon aveva individuato Hildebrand nel bel mezzo di una discussione con due druidi dei dintorni di Beltann che conoscevano appena, aveva l’aria stravolta. Avvisò Everard con un cenno del capo e si avvicinò a loro. 

Gli occhi di Everard ci misero poco a trovare chi stavano cercando. Sigga parlava con Amrit a un angolo del salone centrale, aveva indosso degli abiti maschili che Solomon e Dameta avevano fatto per suo fratello con la magia, e attirava più di qualche occhiata perplessa.

Everard si avvicinò. Essere nelle grazie del Re e chiacchierare con un principe le davano un’immunità sufficiente da permetterle di andare in giro vestita come voleva, ma questo non gli impedì di sentire una fitta di preoccupazione al vederla.

Si avvicinò, abbandonando Richard a parlare con Emeline, e le cinse le spalle con le braccia. La sentì appoggiarsi a lui e rilassarsi nella sua stretta, così le stampò un bacio affettuoso sulla tempia.

Gli occhi sottili e attenti del principe di Armiral si spostarono su di lui, e gli sorrise enigmatico come un gatto.

Che dire… forse Frederick non aveva poi tutti i torti. Forse Amrit era un tipo carino… ma comunque niente di che. Solomon di sicuro era meglio, ecco.

«Che si dice?»

«Mi scusavo con tua sorella per i malumori che ho creato durante la mia presenza al rifugio. Non sono mai stato un cuor di leone, e avevo paura che la mia identità saltasse fuori. Penso abbiate fatto un lavoro eccellente, non intendevo sembrare un ingrato, davvero.»

Pure educato! Guadagnava altri punti!  Inopportuno e insopportabile.

«Nessun rancore» borbottò. «Anche tu ci hai dato una mano, alla fine. Hai salvato Clarice e Freddie, per esempio.»

«Già» commentò, sornione. «Salvare bei ragazzi in pericolo è una delle cose che so fare meglio.»

Everard affilò lo sguardo. Cosa credeva di dimostrare? Lui aveva salvato la vita a Solomon quando era stato condannato, e comunque per essere precisi aveva anche salvato Frederick, sia in quel castello che anni prima.

«Abbiamo qualcosa in comune, allora.»

«Amrit diceva anche che sarebbe felice di ospitarmi a corte per la prossima stagione! Riprenderanno le vie diplomatiche, potrei iniziare anch’io!» cinguettò Sigga, del tutto estranea alla tensione che si era creata, gli occhi luccicavano dall’emozione. «Che ne pensi? Sarà solo per qualche luna, sarò qui non più tardi del nuovo anno.»

Lui non avrebbe mai voluto vederla andare via. Sorrise. «Vedo che ti fa felice, dovresti andarci.»

Saltellò sul posto senza riuscire a contenere la sua eccitazione. «Lo dirò a Clarice! Magari vorrà venire con me! Oh, sarebbe un sogno…»

«Sono sicuro che ne sarà entusiasta» assentì, e la ragazza gli rivolse un ultimo sorriso abbagliante e corse ad avvertire l’amica, impegnata a discutere con Frederick e George, la gamba fasciata ma l’espressione distesa.

«Crescono in fretta, eh?» domandò Amrit, con quella sua voce spigolosa e il tono basso, come se gli stesse confidando un segreto.

Everard si imbronciò. Quel principe dal sorriso perfetto gli aveva portato via sorella e migliore amico in un colpo solo. «Non si può fermare il vento che cambia» sospirò, amaro.

«Si troverà bene da noi, e i miei l’adoreranno. La tratteremo come merita, non devi avere paura.»

Everard si mordicchiò il labbro. Molti credevano che fosse Sigga quella che aveva bisogno di lui, ma non era più vero da tanto tempo. Aveva avuto bisogno di lui quando stava ancora imparando a stare al mondo, da bambina, quando lui l’aveva nutrita e protetta, ma quei giorni erano finiti. Era lui che aveva paura di vederla andare via. 

Ingoiò questi pensieri perché non erano giusti. «Ne sono certo. Ha davvero bisogno di cambiare un po’ aria.»

Il sole superò lo zenit e dopo si abbassò, ognuno ebbro della libertà ritrovata. Richard presentò a Everard decine di volti che si sarebbe dimenticato nel giro di qualche minuto. Rinunciò quasi subito all’idea di farsi un giro là sotto e di tornare di sopra con Solomon, anzi, riuscì a malapena a incrociare il suo sguardo a distanza una manciata di volte e sorridergli con aria di scuse.

Che rabbia. Magari sarebbero riusciti a passare la notte insieme da soli… quello sì che sarebbe stato un bel traguardo.

Una brezza incalzante cominciava a sollevarsi dai campi, quando Richard lo strattonò verso l’uscita.

«Che ti prende?»

«Ho bisogno di un po’ d’aria, vieni con me.»

Il cortile interno era deserto. Dal portone principale e quelli laterali filtrava la musica dei liuti che intonavano le ballate più famose. 

«Sono contento» sospirò Richard, che camminava al suo fianco.

Everard voleva chiedergli perché lo stesse dicendo proprio a lui, dato che lo conosceva appena e pensava anche di non stargli troppo simpatico, poi ricordò quanto doveva essere solo e non disse nulla.

«Sei diventato Re, certo che sei contento.»

«Come se non sapessi che di questa corona non mi importa niente…» la sfilò, gliela porse quasi per gioco, Everard fece segno di no con la testa e se la ripose in capo facendo spallucce. «Ci ho provato. Però sono contento lo stesso, credo che mia madre sia fiera di me. E spero che riuscirò a fare meglio di mio zio.»

Certo che avrebbe fatto meglio di suo zio. Altrimenti Everard l’avrebbe ammazzato con le sue mani e poi si sarebbe fatto bruciare come aveva promesso.

Non lo disse.

«Non è finita, sai» borbottò. «Ci sono ancora tante persone da convincere, questa è solo una città.»

«Questa è la capitale. Jasper è morto. Io sono il Re. Dovrà pur contare qualcosa.»

Everard fece una smorfia. «Inizia con smantellare la guardia reale, poi vedremo.»

«Smantellare?» gli chiese, perplesso. «Sarà pure corrotta, ma come si può stare senza?»

Ecco, a quella domanda sì che sapeva rispondere. «Oh, non preoccuparti per quello. Ho varie idee messe da parte, una che funzionerà la troverò in fretta.»

Richard scosse la testa. «Quale tipo di individuo fa progetti su come sostituire la guardia del Re?»

«Il tipo di individuo che la guardia del Re ha cercato di arrestare solo per il fatto che esiste, per esempio» spiegò, e Richard non poté controbattere, così continuò. «La mia stanza non mi piace.»

L’altro aggrottò la fronte e lo guardò, incredulo. «La tua stanza non ti piace?» ripeté. «È la più grande dopo la mia! Vuoi la mia?»

«Se la volessi me la daresti?»

Richard parve pensarci un attimo. «Non so, può darsi. Dici che dovrei?»

Everard sospirò, con un’alzata d’occhi. «Non voglio la tua stanza. Voglio una sala adibita a ospitare i cittadini senza più un tetto. Avrà posti per dormire, cibo, acqua, coperte e tutto quello che serve. Potrei stare lì, ogni tanto.»

«Vuoi dormire con i ragazzi di strada?»

«Io sono un ragazzo di strada.»

«E la tua stanza? Devo darla via?»

Scosse la testa, fermo. «No, meglio tenerla. Sai, nel caso mi serva del tempo da solo… credo che mi stabilirò anche lassù, a preferenza.»

Richard lo scrutò, un sopracciglio alzato. «Da solo in due, immagino.»

«Questi non sono affari tuoi» replicò, freddo.

Richard schiuse le labbra per rispondere, poi il suo sguardo si adombrò e restò in silenzio. Smise di avanzare e si fermò in mezzo al vialetto.

«Che ti prende?»

«Niente, un po’ di mal di testa» gli lasciò il braccio e si massaggiò le tempie con una smorfia. «Cazzo, mi sta uccidendo.»

Everard sospirò. «Devi aver bevuto troppo vino. Che figura ci farai, là dentro? Forse è meglio se aspettiamo un po’ qui…»

«Non ho bevuto… mi gira solo la testa.» 

«Aspetta, chiamo qualcuno» liquidò. Solo che… solo che iniziava a essere confuso anche lui.

Si guardò intorno, i contorni del giardino si confondevano nebbiosi nella sua mente in tumulto. 

«Qualcosa non va…» rifletté, la bocca impastata. 

Dov’era Richard? Non riusciva più a sentirlo e neanche a vederlo, ma il mal di testa era venuto anche a lui.

La musica… sentiva ancora la musica? Forse no. Oppure sì? Non se ne rendeva conto.

«Everard» chiamò una voce, l’unico punto fermo in mezzo a una realtà che si andava disfando. «Vieni qui.»

Certo che sarebbe andato. Del resto, la parte di lui che provò a opporsi lo trovò impossibile.

«Porta l’idiota con te e fai presto, non ho tempo da perdere.»

Idiota? Quale idiota? Richard, forse. Andare dove? Con chi? Per quanto?

«Fai troppa resistenza» incalzò la voce, appena un sussurro eppure assordante. «Non pensare a nulla. Ora sei mio e farai quello che dico io. Hai capito?»

Non sembrava un ottimo consiglio, ma continuare a protestare gli faceva male. Immagini, suoni e colori si ingarbugliarono nella sua testa, e quando annuì sprofondò nel buio.

Note autrice
Oh, cosa di meglio per finire un primo libro di trilogia che un bel cliffhanger?
Everard ha avuto giusto il tempo di un po’ di sesso e due coccole e adesso... adesso boh. Eheh, sì, lo so, sto dicendo “boh” molto spesso. Però non posso mica farvi spoiler così.
Come ho accennato, nell’epilogo c’è un indizio abbastanza importante su un risvolto di trama, che si può decifrare solo confrontandolo con altri due indizi in altri due capitoli. Quali?
B O H.
Comunque bando alle ciance! La storia è tutta revisionata, quindi tolgo la spunta dai capitoli.
Grazie di essere stati sin qui, e ci aggiorniamo il più presto possibile con Amma della Mente, la dea più inquietante che ci sia!
Accetto teorie e, soprattutto, opinioni sulla storia. È la più vecchiotta di tutte, vorrei sapere se si nota ancora tanto o se la revisione funziona, e anche cosa ne pensate della storia in generale. Senza obblighi, ma ci sto lavorando da un po’ e mi sarebbe di certo utile, oltre che vitale per decidere quanto sbattermi con la revisione dei prossimi libri xD
Nel prossimo capitolo trovate una fanfiction che una lettrice tra voi ha scritto per me, rendendomi molto fiera, e in quello dopo la trama del sequel! Seguitemi per sapere quando inizierò a postare anche quello e baci :*

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