Capitolo 9 - Il risveglio


La donna dai lunghi capelli scuri riemerse con un gemito sommesso dall'oscurità in cui era sprofondata quando era svenuta nella piazza del villaggio di Yalidu.

Scosse il capo e respirò piano, accorgendosi immediatamente che il dolore al fianco e al braccio erano quasi completamente spariti, poi aprì piano gli occhi. La prima cosa che vide fu il soffitto bianco e tondo sopra la sua testa. Non sapeva ancora dove si trovasse, ma sembrava un luogo calmo e pulito che non aveva niente a che fare con le strade caotiche e semidistrutte dove lei e gli altri membri del Primo Ordine avevano fatto irruzione.

Come sempre, lei aveva seguito Kylo Ren in una delle sue missioni e non aveva esitato a eseguire i suoi ordini pur di compiacerlo e mostrarsi degna della sua fiducia. Era da tanto che voleva essere notata dal generale Ren e quella volta era stata quasi sicura di poterci riuscire. Invece poi tutto era fallito, quando lei era stata ferita.

Aveva combattuto, ma poi tutto si era confuso, davanti ai suoi occhi, in una macchia indistinta, quando era stata colpita e il dolore l'aveva sopraffatta.

Non era riuscita a portare a termine la propria missione.

Aveva fallito!

Stringendo con forza i pugni sulle coperte sulle quali era adagiata, chiuse di nuovo gli occhi, cercando di non urlare per la frustrazione. Rimase per un istante così, cercando di scacciare la rabbia che quella constatazione le portava. Poi, cautamente tornò a riaprire gli occhi.

Fu allora che si ritrovò a fissare due enormi occhi scuri e tondi, che la osservavano a pochi centimetri dal suo viso. Sobbalzando, allarmata, la donna si tirò su immediatamente a sedere sul letto, dove fino a un attimo prima era stata distesa, e si guardò attorno con aria stralunata.

Intorno a lei erano radunate un sacco di donne yaliduniane che la guardavano con interesse e curiosità.

Alcune di loro si aggiravano per la stanza indaffarate, ognuna a svolgere un suo personale compito, ma la maggior parte di esse era assiepata attorno al letto dove lei era seduta.

Alcune fra esse, stavano toccando il suo corpo con mani sapienti e delicate, senza farle alcun male, e la guardavano in un modo strano che lei trovò immediatamente insopportabile.

La osservavano come se lei fosse una debole, con pietà, e questo era qualcosa che lei detestava.

Nessuno doveva pensare di lei una cosa simile, nemmeno quelle aliene dall'aria bonaria che si muovevano attorno a lei con fare laborioso.

«Che state facendo?! Che cosa volete da me?» domandò, quasi con rabbia, la donna scoccando occhiate roventi alle abitanti del posto che la circondavano.

«Ferma, ferma» le rispose la yaliduniana più vicina a lei, sollevando le sue mani con quattro dita verso l'alto come per farle segno che non voleva farle nulla di male. «Noi curato te.»

«Tu ferita» aggiunse un'altra, più esile e giovane della precedente. «Tu bisogno di molte cure.»

Nell'udire quelle parole, nella mente della donna, iniziarono a susseguirsi domande confuse. Davvero erano state loro a curarla? A curare lei: una di quelli che avevano attaccato il loro villaggio e sparso il caos nel loro mercato. Le pareva tutto talmente irreale. Perché quelle donne l'avevano curata? Stavano forse mentendo? Tutto quello non aveva alcun senso!

«No! Non ho bisogno di cure. Sto bene» scosse in fretta il capo, con la mente ancora confusa.

«Tu ferita» ripeté la donna più anziana, cercando di metterle uno straccio sulla fronte.

«Toglietevi di torno!» urlò allora la donna, agitando le braccia per scacciare quelle fastidiose yaliduniane e le loro cure indesiderate. «Non ho bisogno delle vostre cure!»

Voleva solo andarsene e tornare al Primo Ordine: da Kylo Ren, per dirgli che non era morta; per chiedergli perdono per non essere stata capace di portare a termine l'incarico che le era stato affidato, per chiedergli di concederle un'altra possibilità. Dirgli che anche se aveva fallito era già pronta per affrontare una nuova missione.

Con questi pensieri per la mente, la donna balzò giù dal letto, affrontando le yaliduniane lì riunite con un'espressione irata in volto.

Se per andarsene da quel luogo avrebbe dovuto combattere, lo avrebbe fatto, anche a costo di ferire quelle sciocche guaritrici.

Non le importava!

Rapidamente afferrò una scopa che aveva intravisto poggiata alla parete accanto al letto e iniziò a maneggiarla come se si fosse trattato di una spada.

«State lontano da me, piccole creature insignificanti!» minacciò, agitando la scopa davanti al volto della yaliduniana più vicina.

Questa balzò indietro, spaventata, e tutte le altre iniziarono ad agitarsi per la stanza schiamazzando come oche impazzite.

Solo una non si mosse; e anzi, con un coraggio davvero inaspettato, si fece più vicina a lei. Era la donna più anziana, quella che le aveva parlato per prima quando lei si era svegliata. Teneva il viso alto e sembrava quasi sfidare la donna a fare qualche mossa; a colpirla se davvero ne avesse avuto il coraggio, se davvero sarebbe stata così crudele.

«Noi vogliamo solo aiutare te» mormorò con assoluta calma, fermandosi a pochi passi di distanza da lei. «La tua rabbia non è giusta. Non proviene da te.»

Per un breve attimo, la donna venne pervasa da una strana sensazione, come se davvero ci fosse qualcun altro al posto suo a decidere quello che lei doveva fare. Come se quell'odio non appartenesse realmente a lei, ma provenisse da qualcun altro.

Poi però, quell'attimo di smarrimento svanì e lei, indurendo il proprio cuore e la propria voce, sibilò: «Levati di torno!»

E senza lasciare nemmeno il tempo alla donna yaliduniana di capire quello che lei voleva davvero fare, sollevò la scopa per aria, pronta ad abbatterla senza più alcuna esitazione, sulla ostinata guaritrice.

Proprio nel momento in cui lei però si stava accingendo ad abbassare la scopa con forza, qualcun altro si frappose tra lei e la vecchia donna yaliduniana e una mano andò a bloccare il manico della scopa all'estremità opposta di quella dove lei lo impugnava, fermando il colpo a mezz'aria.

«Che stai facendo?» le chiese immediatamente una voce maschile, che lei era certa di non aver mai sentito in precedenza.

Sbalordita da quell'inattesa intrusione, la donna sollevò il proprio sguardo verso il nuovo venuto, trovandosi a osservare non un altro coraggioso abitante del posto, non uno yaliduniano e nemmeno un altro tipo di alieno, ma un umano come lei. Era un uomo alto un po' più di lei, con i capelli neri e ricci, il volto abbronzato e il mento scurito dall'ombra di una barba appena accennata.

Mentre lo osservava lei si accorse che aveva una fasciatura sulla gamba sinistra e una sul braccio destro e l'aria di chi ha passato gli ultimi giorni di fretta, senza una pausa.

Sembrava stare bene adesso, ma anche lui doveva essere stato ferito, forse nello stesso scontro al mercato dove anche lei era stata colpita.

In volto aveva l'espressione di un tipo deciso, di chi non ha voglia di problemi e la guardava dritta in viso con determinazione, le sopracciglia scure leggermente inarcate.

Al suo fianco ruzzolava un droide astromeccanico del tipo BB che lo seguiva da vicino, come un animaletto fedele.

E poi lei notò un'altra cosa che la lasciò allibita: su entrambe le maniche della giacca che l'uomo indossava c'erano i simboli rossi della Resistenza.

I simboli dei suoi nemici!

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