All Comes Down
Peter guarda il buffet imbastito per l'occasione. Ha lo stomaco gonfio da quando Tony è morto. Non tocca cibo dal giorno prima. Ogni boccone messo sotto ai denti sembra un masso di marmo e lava che scende a fatica nell'esofago. Ogni micro frammento di cibo lo riempie e lo annienta, come se il suo apparato digerente avesse smesso improvvisamente di funzionare. È la tristezza, lo sa. È la voglia di cedere; di crollare. Di lasciare che la vita smetta di fare il suo corso, siccome senza Tony niente ha più uno straccio di senso. Niente. Nemmeno quel suo caro e puerile proposito di salvare tutti. Proprio tutti. Nessuno escluso.
Non ha salvato Tony? Bene, allora non tenterà di farlo più con nessun altro. Non ne è in grado; sebbene ha sempre preteso di poterlo fare.
Ignora il tavolo dei dolci. Solo l'odore gli fa salire la bile sotto al palato. Si volta disgustato e incontra lo sguardo di Stephen Strange. Da quando sono arrivati a casa Stark, non ha fatto altro che lanciargli occhiate comprensive e colpevoli. Peter ce l'ha a morte, con lui, per averlo tenuto all'oscuro che, l'unico modo per vincere, era quello di perdere tutto. No, non è vero, non ce l'ha con lui. Non abbastanza. Non così tanto. Gli fa un cenno con la testa e prosegue la sua camminata verso il nulla. Non sa dove andare. Ignora Pepper, ignora Happy, ma soprattutto ignora Morgan. Lei cerca il suo sguardo, e lui fugge. Non le permette di entrare nel suo mondo, sebbene Peter vorrebbe tanto ma non è ancora il momento. Non riesce a guardarla. È troppe cose; è troppo Tony, per non lacerarsi l'anima a guardarla. Fa ancora troppo male. È ancora tutto troppo fresco, troppo vicino a qualcosa che era e non sarà più.
Prosegue il suo cammino. Il ragazzo che gli si è presentato prima, Harley Keener – di cui ricorda il nome, siccome Tony gliene ha parlato in un particolare momento che Peter non riesce proprio a ricordare – gli regala un sorriso. Un malinconico, distrutto, ma luminoso sorriso. Ha la sua età, forse un anno o due in più, e Tony è stato importante anche per lui, sebbene sia cosciente che, con molta probabilità, non è stato lo stesso, con Harley. Non è arroganza, la sua, solo consapevolezza. Per Tony, Peter sa che è stato importante, in un modo troppo intimo per poterlo confrontare con quello degli altri. Troppo speciale. Troppo doloroso. Cerca di rivolgergli lo stesso gesto, ma lo nasconde subito dietro al bicchiere di succo di frutta che tiene in mano. Ne butta giù un sorso e gli brucia lo stomaco. Fa male. Tanto male.
Happy gli posa una mano sulla spalla e lo fa sussultare. Quasi il succo gli cade dalle mani. Stringe il bicchiere tra le dita, per non lasciarlo scivolare via come invece sta succedendo alla sua vita. L'uomo indica dietro di sé col pollice. C'è un tavolo, alle sue spalle, che Peter – nel marasma infinito della sua confusione, non aveva nemmeno notato. Ci sono un mucchio di cose, sopra. Scatole, attrezzi, computer, hard disk. Persino un lettore MP3 e una saldatrice. Tante cose mischiate, che anche solo guardarle ricordano Tony. Commemorano la sua vita, le sue gesta, la sua persona e i suoi sbagli. Persino quelli che è riuscito a rimediare fino all'ultimo secondo della sua straordinaria vita. Peter trattiene il magone. Ricaccia indietro lacrime amare e annuisce. Ha capito. Ha capito tutto. È il momento di rubare le sue cose, farle proprie. Infilarle in casa per non dimenticarlo mai. Solo per guardare quegli oggetti, una volta privi di significato ma che ora vogliono dire tutto.
«Pepper ha scelto per tutti. C'è qualcosa anche per te. Dice che Tony ti avrebbe di sicuro regalato una cosa del genere.»
«Non voglio niente.» Si passa un dito sotto al naso e serra la mascella. Sa che, da adesso in poi, ogni tentativo di parlare lo farà esplodere. Piange da quando è successo. Nessun sonnifero accompagna il suo sonno inesistente. Le mani gli tremano, la testa gli scoppia. Sempre. Perennemente. Una sensazione di impotenza e di chiusura. La vita non gli appartiene più e non vuole che lo faccia. Fa troppo male vivere. Così male che non vuole più farlo. Happy gli fa cenno di avvicinarsi al tavolo, insieme a tutti gli altri. Peter, a differenza di tutti, si volta e raggiunge il muro, dove si poggia con la schiena e osserva. Guarda le persone scegliere i propri doni. C'è chi trova un cartellino col suo nome e chi riceve il proprio da una Pepper sorridente, ma sfinita. Una Pepper con gli occhi rossi e il trucco del giorno prima ancora addosso, ma immensamente forte.
Lui non vuole niente per davvero. Ha avuto troppo da Tony, forse abbastanza, e non vuole altro che i ricordi che ha, impressi nella testa. Impressi nella mente come un'incisione a fuoco. Vividi, vivi. Profumano, friniscono e parlano di Tony e di tutti quei momenti che Peter non vuole dimenticare. Sa che stingeranno, ma non vuole dimenticare. Non vuole dimenticare; non vuole dimenticare! Gli si chiude il naso e gli scende una lacrima. Si affretta ad asciugarla e osserva ancora il mondo che si prende pezzi di Tony e li guarda come se lui potesse tornare.
I doni finiscono, ne rimane uno solo. Il suo. È al centro del tavolo, abbandonato. Harley Keener si avvicina. Scruta l'oggetto curioso e Pepper gli posa una mano sulla spalla. Gli sorride e lui la guarda, enigmatico, mentre lei scuote la testa e Peter la vede alzare il dito verso di lui. «È suo», legge sulle sue labbra, e Peter abbassa la testa. Non vuole più ascoltare, anche se non lo sta facendo davvero. Sta leggendo le sue labbra che sorridono, e poi se la ritrova a due centimetri dalla faccia, e non può scappare.
«Ti ha lasciato questo», dice Pepper e lui le incastra gli occhi nei suoi. Non piange. Vorrebbe ma non lo fa. No, in realtà non vuole. Non vuole più.
«Perché? Non mi ha dato già abbastanza?»
«Non abbastanza. Non tanto quanto gli hai dato tu, Peter. Se siamo salvi, è anche grazie a quello che tu hai dato a lui. Una possibilità.»
«Una possibilità? Non a lui. No di certo.»
«No, forse a lui no. Ma ha fatto quello che ha fatto, anche – e soprattutto, per te.»
È una responsabilità troppo grande, quella che Tony, Pepper, Happy, Zia May – tutti, gli stanno gettando sulle spalle come un mantello di ferro. Credono tutti che, quel fatto, sia incoraggiante, quando invece Peter si sente responsabile. Se non fosse stato per lui, per la sua salvaguardia, Tony non avrebbe mai infilato quel guanto e non sarebbe morto per recuperare tutti e lasciare una voragine nel mondo. Una voragine troppo grossa, per essere colmata. Nessun uomo sarà più come lui. Nessuno. Nessuno, nessuno, nessuno! Peter si sente l'ingranaggio che ha dato inizio a tutto questo. Tony non voleva risolvere, non voleva mettersi in gioco, non voleva far tornare nessuno, solo per non perdere ciò che finalmente era riuscito a guadagnarsi. Poi Tony si era ricordato di lui, di quanto gli mancasse, e aveva cambiato idea. Se solo avesse continuato a fingere che non erano stati niente... se solo avesse ignorato la sua esistenza, lui non sarebbe tornato, ma Tony sarebbe ancora qui, con la sua famiglia, a godersi quella vita che per tanto tempo ha sognato. Aveva la sua possibilità di vivere ancora a lungo, circondato da chi amava e invece Peter ci si era infilato nel mezzo, in quel piano a lungo termine, e Tony aveva deciso di riportarlo indietro, e poi abbandonarlo. E poi morire.
Pepper gli spinge sul petto una scatola. Una custodia. È nera, semplice. Ha il nome di Tony ricamato sopra con un filo d'oro. Peter la guarda, quella cosa, e non la vuole. Non vuole niente. Non vuole più niente da Tony. Non merita regali, doni, pezzi di lui che non ha mai meritato. Anche da morto, continua a pensare a lui e a riempirgli la testa di dolore e sensi di colpa.
«Peter... sarebbe morto comunque.»
«No. No, non è detto» risponde, laconico. Lapidario. Quasi l'ha interrotta, e lei scuote la testa. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E invece Peter sa di aver innescato qualcosa di distruttivo, inconsapevolmente, solo perché Tony ha deciso, in passato, di innamorarsi di lui.
«Voleva la pace e la salvezza di tutti più di ogni altra cosa. È sempre stato così, anche prima di te. Non lo avresti fermato. Non ci saresti mai riuscito. Lo conosci... come lo conosco io.» Pepper gli lascia un sorriso, e gli pianta in mano la custodia e un vuoto nel cuore, quando se ne va, senza dargli modo di replicare ancora e di distruggersi da solo. Di denigrarsi, di odiarsi, di mortificarsi come se solo questo possa cancellare ogni cosa e riportarlo da lui. Stringe la custodia tra le dita. Fugge, fa zig zag tra la gente, e cerca un rifugio. Cerca la solitudine, quella che ora come ora è l'unica cosa che gli dà un immenso sollievo. Che lo fa sentire meno sbagliato, solo perché non ha gli occhi della gente puntati addosso, costantemente giudiziosi, sebbene Peter sappia perfettamente che nessuno lo ha mai incolpato di nulla. Che è sparito ed è riapparso, dopo aver lasciato un vuoto per cinque anni, nel cuore di un uomo che ha amato e che lo ha amato a sua volta. Ha bisogno di lui. Non vuole la sua figura rassicurante, vuole addosso il suo profumo e le sue ciglia lunghe. Vuole carezze, baci, premure e dolorose notte d'amore, celate al mondo. Vuole un amante, non un mentore. Vuole Tony Stark e non Iron-Man. Vuole baci, e non pacche sulla spalla.
Si chiude in bagno. Poggia la schiena alla porta e si lascia andare. Piange coperto dal brusio incessante di chi, fuori da quella stanza, sta parlando ancora di lui; ancora di Tony. Come se non fosse già abbastanza doloroso, tenerlo nella testa, costantemente, come un tarlo che proprio non vuole dargli pace. Apre la custodia. Singhiozza come un bambino impaurito, non riesce a smettere. Il petto gli brucia, le mani gli tremano. Stringe gli occhi e piangono tristezza, rabbia, paura e solitudine. Piangono amore. Piangono ricordi. Piangono una vita che non torna. Mai più.
Sfila un paio di occhiali da sole. Semplici, grigi, di ferro e di Tony. Sono i suoi. Glieli avrà visti addosso un milione di volte almeno, se non di più. Tony non li sta indossando. Nemmeno ora che è avvolto, coperto e sepolto in troppa terra che lo schiaccia. Nemmeno ora che il suo cuore galleggia su una corona di fiori, portato via dalla corrente di un lago così profondo da inghiottire ogni speranza. Mormora il suo nome. Lo chiama come se potesse rispondergli. Si lascia scivolare lungo la schiena, su quella porta di legno che lo separa dal mondo intero e ignora il suo dolore. Il suo dolore incomparabile. Incomprensibile, solo perché deve celarne una natura che agli altri non è permesso conoscere, di ciò che lui e Tony sono stati. Di ciò che potevano essere, ancora e ancora.
Li inforca. Si sente così stupido... raccatta le ginocchia e le stringe al petto. Piange ancora, ma i singhiozzi sono cessati. Il freddo delle stanghette sulle orecchie è quasi folgorante, per un attimo. Si sente spaesato, poi sfinito. Vorrebbe dormire e sparire. Vorrebbe svegliarsi in un mondo dove Tony Stark è vivo e gli promette la luna, anche se Peter non la vuole. Ha solo un paio di occhiali sopra al naso e la sensazione nel cuore di aver perso molto più di quanto possa credere. Si alza in piedi e mormora il suo nome, rivolto al nulla. Gli manca una risposta, che in passato ha sempre trovato, in quell'uomo incredibile che gli ha salvato la vita troppe volte. Posa una mano sulla maniglia, pronto a tornare tra i vivi; pronto ad abbandonare i fantasmi e a fingere di non soffrire così tanto.
Gli occhiali tremano, e lui si blocca. «Buonasera, signor Parker.» La voce irrompe dal nulla e gli mozza il respiro. Peter resta fermo, con la mano stretta intorno al pomello d'ottone un po' rovinato, e il cuore gli si blocca tra lo stomaco e i polmoni. Gli vibra un sorriso sulle labbra; una lacrima torna di corsa a accarezzargli una guancia. Si sente morire, ma è più vivo di quel che possa credere, anche se sa che quella voce non potrà mai sostituire l'eroe che ha amato, sebbene sia la sua. Sebbene sia dolorosamente la sua. Poggia la fronte alla porta. È fredda.
«Ciao, Tony.» Dice, e quel caldo abbraccio, dato da chissà dove, Peter lo sente. Non è reale, è solo un'illusione, ma l'AI negli occhiali è vera, autentica, palpabile e necessaria. Non è come avere Tony con lui. Non è la stessa cosa, ma è un conforto. Minimo, ma dannatamente necessario. Se lo farà bastare per sempre, perché è più di ciò ha mai potuto desiderare. Ha un pezzo di Tony con sé, un'eredità che gli ha voluto lasciare, ben sapendo quanto avrebbe ancora avuto bisogno di lui. Peter soffre e soffrirà ancora quella perdita, ma di quella premura, gli è infinitamente grato.
Fine
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Note:
L'idea che gli occhiali di Tony siano in realtà una sorta di Jarvis con la sua coscienza, non è del tutto casuale. Nel canone Marvel ci sono dei fumetti dove Tony Stark, in coma, diventa un'intelligenza artificiale come il caro vecchio Jarvis, come Friday ecc. ecc. Dopo il trailer di Far From Home ci ho pensato e ho buttato giù qualche idea. Questo breve excursus è in realtà una pillola di qualcosa di molto più grande e complesso, alla quale sto lavorando da quando è uscito End Game. Sono bloccata. Dall'uscita di End Game, lo dico col cuore che sanguina, non riesco a scrivere, quella storia più di tutte. Questa mi è servita un po' da balsamo, da unguento, per cercare di sbloccarmi. Spero di esserci riuscita, perché altrimenti io non so proprio più cosa fare, per ricominciare a scrivere di loro, anche solo per renderli felici. Lo so, sembra una stupidaggine, ma Thanos me li ha divisi due volte, e questa è stata definitiva. Non ci riesco. Non riesco a trovare la forza di vederli in maniera diversa. Vedo solo Peter che soffre, che sta male, che è spento, finito e morto. Sto cercando di aiutarlo e di aiutarmi e so che queste parole non hanno senso, che sembro una cretina, ma davvero... ho le mani legate. Peter soffre la morte di Tony e io non riesco ad andare avanti, a rifarli miei e aiutarli. Non ci riesco. Voglio riuscirci.
Grazie per essere arrivati fin qui. Chiedo scusa per il delirio. Chiedo davvero scusa.
Miry
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