Epilogo

L'occhio di bue puntava su di me, accecandomi. Il pubblico al di là del palco applaudiva: acclamava un'attrice che altro non era se non una farfalla che un tempo aveva sofferto la sua condizione di bruco.

Eppure, a distanza di anni, mi sentivo di dire che non esisteva arco di tempo migliore di quello speso ad imparare l'uso corretto delle ali.

Non riuscivo a riconoscere i loro volti; a seconda del tavolo che avevo appena lasciato, provavo ad intuire dove stessero seduti tutti gli altri. Le mani mi sudavano fastidiosamente e sentivo lo stomaco contorcersi, motivo per il quale tirai un grosso sospiro e provai a rallentare volontariamente la tachicardia che mi affliggeva ormai da ore.
Non l'avrei mai detto, ma niente sembrava essere più preoccupante di una premiazione. L'espressione del conduttore pareva muoversi a rallentatore, così come le mani di chi mi osservava al di là della coltre accecante. I rumori arrivavano ai timpani in modo soffocato, come se tra me e tutta quella gente ci fosse una parete su cui i suoni rimbalzavano.
Mi chiesi per un attimo come fossi riuscita ad arrivare dov'ero arrivata, con quanta forza avessi combattuto e quanta determinazione avessi aggiunto ogni mattina al mio caffè per permettermi di tagliare il traguardo che avevo sempre desiderato di raggiungere; quanta fiducia riponesse in me tutta quella gente che applaudiva e quanto amore avessi ricevuto in tutti quei mesi, rendendomi tanto sicura di me stessa da essere invincibile.

Quando un tecnico sbucò fuori da dietro le quinte ed avvicinò la targa argento al conduttore, la mia mente formulò una risposta ben precisa.
Io dovevo ringraziare me stessa. Per non essermi arresa, per essermi dedicata a ciò che di più amavo nonostante il periodo di sofferenza, per aver stretto i denti anche quando non ne avevo la forza, per essermi ascoltata ed infine per essermi data un'altra possibilità.
I lustrini che mi impreziosivano l'abito mi conferivano un'aspetto pregiato, unico, brillante. La luce che rifletteva sulle sfaccettature iridescenti del capo mi rendeva caledoscopica.
Sfoderai il mio sorriso migliore, quello vero, e voltai il capo giusto in tempo per intercettare lo sguardo fiero di Kamal.

   «Per centosettantamila dollari al botteghino in sole due settimane, il premio per la "Migliore attrice Esordiente" va ad Ally Dandelia Telesco!», esclamò il conduttore al microfono.
Sui monitor alle mie spalle, alcuni stralci delle scene più salienti del film vennero improvvisamente proiettati con tanto di file audio.
Il pubblico esplose in un altro applauso e per poco non scoppiai a piangere.
Mentre il conduttore si dirigeva verso di me, rivolgendomi uno sguardo a metà tra l'ammaliato e il devoto, gli zeri che completavano la cifra dei centosettantamila dollari cominciarono a girarmi intorno.
Avevamo davvero incassato tutti quei soldi? Ed io ero davvero parte di tutto quel grosso progetto?
I miei occhi osservarono in breve tempo tutti i dettagli della targa, l'intestazione ben intarsiata, i dettagli scavati nella cornice, il corsivo elegante dell'appellativo "Migliore", e mi dissi che in fondo non ero l'unica persona a cui era giusto rivolgere dei ringraziamenti.
Là fuori c'era gente che aveva speso dei soldi per osservare la mia faccia sul grande schermo, donne che magari si erano ritrovate nel personaggio che avevo interpretato, critici e benefattori, studenti e insegnanti, forse intere scolaresche... Se il mio nome stava inciso su quella targa e se tutti quegli zeri non smettevano di girare in tondo era anche e soprattutto grazie a tutti loro.
Presi il premio tra le dita e saggiai coi polpastrelli la misura degli angoli, lo spessore dell'argento, il peso della vittoria. Il mio sguardo corse agli altri colleghi attori, a chi aveva già vinto un altro premio e a chi attendeva ancora il suo; a chi per l'ennesimo anno se lo vedeva soffiare da sotto al naso, a chi applaudiva fiero, a chi aveva il coraggio sincero di ammettere il proprio svantaggio.
Me lo meritavo? Sarei stata in grado di non deludere in futuro?

Un tecnico sistemò un'asta con un microfono davanti a me e mi fece cenno di avvicinarmi.
Senza sapere cosa dire e con i pensieri ancora sottosopra, lanciai uno sguardo nell'unica direzione sicura di cui fossi a conoscenza, tralasciando tutti gli altri sguardi.
Nonostante i fari accecanti, gli occhi di Mya si rivelarono essere ancora una volta l'unica luce capace di riportare la mia nave in porto.
Stringeva il collo di un bicchiere tra le dita, facendo ondeggiare con grazia il liquido bordeaux al suo interno, e non la smetteva di sorridere a mezza bocca.
Perché in fondo lei sapeva, l'aveva sempre saputo.
Mi fece un cenno d'incoraggiamento ed io divorai il coraggio che era stata capace d'infondermi, schiarendomi la voce.
   «Non sono molto brava coi discorsi, questo è bene che lo sappiate...», ridacchiai a disagio, contagiando gli altri invitati.
   «Sarebbe fuoriluogo negare di aver sperato con tutta me stessa in un premio come questo, ma in egual misura posso dirvi che non mi sarei mai aspettata alla fine di ottenerlo davvero. Insomma, c'è gente più qualificata di me, con un'esperienza ventennale, eppure qualcuno là fuori ha deciso che quest'anno fosse un'attrice inesperta al suo primo film, a meritare di vincerlo!».
Cercai di calmare il tremore alle mani, lasciando che il pubblico sorridesse ancora rumorosamente e prendendomi qualche secondo per tirare un lungo respiro.
   «Battute a parte, vorrei davvero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la riuscita di questo film dal profondo del mio cuore. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno speso un minuto del proprio tempo per dedicarlo a questa votazione, per dedicarlo a me. Vi ringrazio per avermi scelto, per aver visto questo film, per aver creduto in me, nella pellicola, in Kamal e nel resto del cast come attori e come uomini. Grazie davvero per questa opportunità».
A quel punto la voce mi s'incrinò e capii che era giunta l'ora di lasciare il microfono.
Un altro boato esplose tra il pubblico e il conduttore venne a stringermi la mano, acclamando per l'ennesima volta il mio nome mentre altre scene del film si diramavano alle mie spalle, e un tecnico mi accompagnava gentilmente per mano lungo la scala che conduceva agli altri commensali.
Respirai profondamente, stringendomi forte al petto la targa come un salvagente.
Seguii i sorrisi degli altri attori ad uno ad uno, perdendomi nelle espressioni di ciascuno senza mai farmi rubare la felicità di quel momento.
Kamal batteva le mani lentamente e mi guardava con un'ammirazione tale da mettermi in imbarazzo.
Quando mi accomodai nuovamente tra lui e Mya, Kamal si sporse per dirmi all'orecchio:
   «L'ho sempre saputo che avevi la stoffa».

Al centro del tavolo, accanto ad un vaso di cristallo con pochi fiori coloratissimi e pietre rubate ai fondali più ricchi, l'argento di una seconda targa scintillava con trionfo: "Migliore pellicola Drammatica".
Le dita di Mya mi sfiorarono con delicatezza la pelle di una gamba.
   «A che stai pensando?», mi sussurrò all'orecchio, mentre dall'altra parte della sala il conduttore premiava il miglior film fantasy dell'anno.
Feci spallucce senza staccare gli occhi dal premio, ignorando i brividi che puntualmente sapevano raggiungermi quando la distanza tra i nostri corpi si riduceva così tanto.
   «E' iniziato tutto come un gioco, dopotutto... Ho fatto l'audizione solo per dimostrare a me stessa di potercela fare, non avrei mai pensato minimamente di poter arrivare a questo».
Mi voltai in sua direzione e i suoi occhi catturarono i miei alla velocità della luce.
   «Sono felice che tu abbia fatto quell'audizione, quel giorno», disse, rivolgendomi uno sguardo fiero.
Le afferrai una mano e le strinsi le dita forte tra le mie, sorridendole.
   «Ci ha permesso di ritrovarci», conclusi.
Annuì, ma poi scosse la testa subito dopo.
   «Ti ha permesso di capire che nella vita puoi fare ed essere ciò che vuoi. Che non è né la persona che hai scelto di viverti né la città in cui hai deciso di farlo che possono influenzare ciò che sei, il tuo talento o le tue capacità. E poi sì... Sono tornata a far parte della tua vita, ma non per questo sei stata costretta ad abbandonare i tuoi sogni o hai rinunciato nuovamente a noi per rincorrerli», fece una pausa e i suoi occhi si persero nel liquido scuro del bicchiere, tra chissà quali riminescenze.
   «Ti ha fatta crescere. Forse questo è davvero il nostro momento», concluse e mi rivolse uno sguardo timido, quasi spaventato.
Disinteressata alla presenza degli altri invitati, mi sporsi verso di lei e le mie labbra sfiorarono le sue.
Tremarono, sorprese dal fatto che mi stessi lasciando andare senza pensare di dovermi contenere davanti agli altri colleghi; le sue dita affondarono nella stoffa del vestito, sopra le gambe, e la sua lingua cercò automaticamente la mia come il più naturale dei gesti.
Rabbrividii e la mia mente urlò di gioia.
E' questo che sei e non c'è nulla che non va in te.
Era questo ciò che volevi, ciò che hai sempre voluto.
Mya prese le distanze dalle mie labbra per prima, ma i suoi occhi rimasero imbrigliati nelle sfumature del mio rossetto cremisi.
   «Ringrazia di non essere sola».
Deglutii il tizzone ardente che mi si era appena arrampicato lungo l'esofago e sorrisi, scuotendo il capo.
Sì, era decisamente ciò che ero. Era decisamente ciò che volevo, ciò che avevo sempre voluto.

L'errore più grande che avevo potuto commettere in tutti quegli anni, era pensare di poter coinciliare il mio modo di essere a quello degli altri; il mio modo di pensare al pensiero altrui.
Avevo puntato tutto sull'ipotesi di dovermi adattare alle persone che amavo di più sacrificando un pezzetto di me, in modo tale da non perderle. Ma gli anni erano avanzati, e più avevo amato più avevo perso me stessa; più ero cresciuta, più ero diventata codarda.
Ma poi la mia strada si era intrecciata nuovamente a quella di Mya e, in principio come allora, era stata capace di essere la sferzata d'aria gelida che ti intirizzisce e ti schiaffeggia i nervi esposti.
Si era comportata con me come io non avrei mai fatto con nessuno, non aveva mai riservato trattamenti di favore, era semplicemente stata se stessa senza mai avere paura di perdere qualcuno durante il suo percorso.
L'opposto di ciò che avevo fatto io, in pratica.
Lei era fatta così: o la odiavi, o l'amavi. Non c'erano vie di mezzo, nessuna tonalità di grigio a cui poter fare appello.
L'avevo ammirata per questo coraggio e mi ero nutrita del suo essere per diventare grande anch'io, per crescere, per essere donna come lei. Una di quelle con le palle, che non hanno alcun timore di rivelare al mondo intero come sono fatte e perdersi le teste di mille alleati lungo il tragitto.
Ed eccocì lì, sedute allo stesso tavolo, sette anni a dividere i nostri corpi ormai adulti e un anno di riprese a rimodellarne gli spigoli. Pochi centimetri di diverso ossigeno e mani pronte ad azzerarli tutti.

Dopo tutto ciò che avevamo attraversato, eravamo davvero pronte per non lasciarci andare mai più?
Il conduttore sul palco scenico elencò i candidati al premio "Miglior Attore Protagonista" nella sezione "Drammatico" e Mya si perse tra le luci del grande schermo, contemplando le foto degli attori e i loro nomi scorrergli alle spalle. Quando finalmente, dopo un lungo rullo di tamburi, il conduttore pescò dalla busta il nome del vincitore, il pubblico si perse in un caloroso applauso ed io mi permisi di chiudermi in un silenzio assorto.
Le luci colorate che saettavano su di noi conferivano agli invitati un aspetto brillante, ci illuminavano i visi e ci rendevano molto più perfetti di quanto in realtà fossimo. I vestiti da sera delle star più in voga sembravano prendere fuoco ogni volta che uno di quei faretti roteava soffermandosi su di essi.
Osservai il gioco di ombre che una luce gialla conferiva al viso scuro di Kamal, a come la sua bocca sembrasse disegnata a mano, a come i capelli di Savannah paressero scolpiti sapientemente nella pietra.
Poi una sfera di luce rossa mi colpì gli occhi, le clavicole, l'avambraccio, e si posò su Mya.
Illuminarono i pantaloni bianchi eleganti, i mocassini neri di vernice lucida, la giacca traslucida e il top aderente di velo nero.
Sotto il reggiseno di pizzo, i miei occhi catturarono una nuova ombra. Sembrava un disegno... forse no. Una scritta, sì.
Allungai una mano per saggiarne i contorni umidi ma mi accorsi si trattasse di un semplice strato di pellicola solo quando Mya captò i miei movimenti e mi rivolse uno sguardo dubbioso.
Era ancora fresco.
   «Un nuovo acquisto?», le sorrisi maliziosa.
Fece spallucce e vagò tra i dettagli del mio viso, lungo l'acconciatura poco elaborata, scivolando per la curva del naso.
   «Il promemoria di un momento estremamente speciale», ammise dopo un attimo di esitazione.
Battei le palpebre un paio di volte e Mya incalzò:
   «E' la traduzione ad una richiesta che mi hai fatto tempo fa, comunque. D'altronde, tutti i miei tatuaggi parlano di noi».
Schiusi le labbra e il mio cuore perse un battito: nonostante stessimo di nuovo insieme, non mi ero ancora abituata a certe dichiarazioni da parte sua. Oltretutto, era chiaro che parte dell'inchiostro con cui si era sporcata la pelle si riferisse a me – benché nel periodo della "negazione" avessi consciamente deciso di ignorare questa consapevolezza – , ma non per questo era scontato che anche tutto il resto parlasse di noi.
Allungai il collo quel tanto che bastava, finché un'altra luce non illuminò saggiamente i tratti di quel corsivo color tenebra.

Il flashback di una notte d'inverno mi fece trasalire; sembrò di poter essere ancora lì, tra le pieghe del fuoco, in mezzo alle coperte vecchie, sul possente tappeto persiano del salotto. Potevo ancora sentire il calore dei tronchi arroventati sfiorarmi la pelle, la paura abbandonare il mio corpo per far spazio all'accettazione, il vento soffiare gelido contro le imposte vecchie e gli spifferi fischiare una sorta di melodia tutta nostra, solo nostra...

L'inchiostro citava: "Take my soul and fix it".







La voce di Dam:
Allora... Non so dove sbattermi la testa prima. Sono distrutta per la fine di questa storia, ma non poteva durare per sempre ahimé, altrimenti avrebbe cominciato a perdere tutta la sua bellezza (UN PO' COME THE VAMPIRE DIARIES CHE DOPO LA QUARTA/QUINTA STAGIONE HA COMINCIATO A FARE SCHIFO). Questi personaggi sono cresciuti con me, sono parte dell'evoluzione del mio essere e di quello della mia donna, sono pezzi della mia vita e per questo saranno sempre due colonne portanti per i miei personaggi e per le mie storie future. Era iniziato tutto come uno sfogo, una storia dove trascrivere ciò che mi stava accadendo, e ad oggi è diventato... un qualcosa a cui non so dare un nome. Questa storia non ha definizione. E' una casa per qualcuna di voi, un rifugio per chi ha bisogno di aiuto, un conforto per chi ha bisogno di un esempio, uno schiaffo per chi ha bisogno di forza, di prendere posizione... Insomma, ognuna di voi sembra aver preso ciò che le serviva da queste righe e io sono davvero GRATA E FELICE di aver scritto qualcosa che (per quanto non mi renderà mai soddisfatta abbastanza) vi ha dato l'aiuto di cui necessitavate, di qualsiasi genere esso sia! So che questo capitolo è breve e forse anche meno intenso rispetto ai precedenti, ma va bene così... era il capitolo di chiusura. Mi fa tanto pensare al finale di Harry Potter:  "La cicatrice non gli faceva più male da diciannove anni. Andava tutto bene".
E anche qui, andava tutto bene. Meglio di ciò che avrei potuto sperare per loro e per noi.
Nel mio piccolo SPERO di non avervi mai deluso, di aver sempre scritto al meglio di me anche quando non avevo ispirazione, e con la stessa intensità SPERO seguiate anche le mie prossime storie in evoluzione.

Siete state delle compagne di avventura fantastiche, delle lettrici calorose, a volte perfino delle amiche a cui fare affidamento. Grazie a chi mi è venuto a trovare perfino in città, a chi mi ha lasciato un pezzo di cuore in posta, a chi ha messo se stessa nelle mie mani.
Grazie, grazie sempre. Mi avete fatta sentire speciale, speciale davvero.

Alla prossima storia, sempre vostra, Dam. <3
I

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