Capitolo VII: Right or wrong?


Se esiste un modo per decretare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, io avrei tanto voluto conoscerne i parametri.
Ogni cosa ha il suo metodo di valutazione: siamo sempre pronti a dare la nostra sentenza sulle parole che spendiamo o che gli altri spendono per noi, osserviamo il mondo che ci circonda e imparando dalle nostre esperienze finiamo per formulare il giudizio finale.
Ma quanto sappiamo essere incapaci quando la razionalità collima col sentimento? O meglio ancora, quando una faccenda ci riguarda personalmente?
Erano state davvero poche le occasioni lungo il corso della mia vita che mi avevano portato ad aiutare qualcuno proponendo il mio pensiero esterno, eppure il più delle volte avevo avuto successo proprio perché ero stata estranea a qualsiasi tipo di coinvolgimento.
Ma in quel caso c'ero dentro fino al collo e a meno che qualcun altro non fosse accorso in mio aiuto per prendere il posto che, di tanto in tanto, avevo incarnato io, sarei stata presto inghiottita dalle sabbie mobili dei sensi di colpa.
Non c'era da domandarsi il perché, era chiaro che mi sentissi una maledettissima disonesta a causa di ciò che avevo combinato alle spalle di Jason, ma vuotare il sacco solo per liberarmi la coscienza mi sembrava una pessima idea, la peggiore di tutte, quindi la soluzione finale era rimasta il silenzio.
Giusto o sbagliato?
C'era un apparecchio, un'asticella, un monitor, qualcosa a cui potessi rivolgermi che mi avrebbe fornito la risposta che da sola non riuscivo a darmi?
Certo che no, ecco perché, se solo fosse esistita una scappatoia per differenziare il giusto dall'ingiusto, io avrei tanto voluto conoscerla.
Mya aveva preso la sua decisione: il mattino dopo quella strana "parentesi" a cui avevo deciso di non dare nome, era scomparsa portando con sé tutto quello che aveva lasciato in giro per il mio appartamento rintanandosi nella sala registrazioni per il resto delle due settimane seguenti.
Evitava la sala relax, la sala comune, la zona in cui tutti ci apprestavamo a consumare il nostro pranzo quando il lavoro ci richiedeva di restare sul set, e perfino la zona delle rulotte. Non riposava mai, non la vedevo per i corridoi, non veniva nemmeno a pranzo... Finii per chiedermi se stesse bene, se mangiasse, se si fosse licenziata, ma gli altri microfonisti continuavano a parlare di lei quando dovevano scambiarsi delle informazioni inerenti ai turni lavorativi, menzionando anche i suoi, tenendola in conto, quindi ebbi la conferma che ci fosse ancora e che avesse semplicemente deciso di scomparire.
Forse per evitarmi, forse non voleva né vedermi né parlare di ciò che era successo, ma ignorare l'accaduto era la scelta migliore?
Giusto o sbagliato?
Fingere di non esserci viste quella notte, di non essere andate a letto insieme e di non aver ceduto agli istinti era la cosa giusta da fare?
Non ero riuscita ad avere un confronto con lei, non avevo potuto chiederle perché fosse scappata, cosa aveva significato, perché mi aveva assecondato e se l'aveva fatto per pietà, per sentimento o in memoria di una storia ormai chiusa. Perché mi aveva sfilato l'anello? Perché mi aveva fatta sua "solo per una notte" se poi le ripercussioni dovevano essere quelle? E il ciondolo? Era stata sincera riguardo alla fortuna?
Le domande erano asfissianti come il mio mal di testa, cronico da tre giorni.
Sorseggiai il mio caffè finché una mano non si posò sulla mia spalla, facendomi trasalire.
Mi voltai, stupidamente piena di speranze, ma gli occhi ingranditi dalle lenti di Stacey mi puntarono con serietà:
«Hai una chiamata sulla linea otto, puoi raggiungere l'ufficio di Kamal».
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
Perché qualcuno avrebbe dovuto chiamarmi al lavoro e non al cellulare?
Annuii debolmente, ringraziai Stacey e mi diressi nell'ufficio del mio regista, accomodandomi.
Pigiai sul tasto otto della tastiera del telefono e poggiai la cornetta all'orecchio, curiosa.
«Pronto? Qui parla Ally Telesco».
«E qui un'amica abbandonata! Non avrò vinto il trofeo delle relazioni sociali, ma scomparire così dalla faccia della terra dovrebbe essere un crimine perseguibile!».
Spalancai la bocca e saltellai sulla poltrona.
«Non ci credo!».
«Credici, Dandelia».
«Shane!».
«Proprio io!».
«Come diavolo hai avuto questo numero?!».
Ero stupefatta. Avevo cambiato numero di telefono tante volte, sia per via della mia storia con Mya sia per evitare di essere contattata da fans o da persone conosciute in passato ancora in possesso del mio account, ma non ero mai riuscita ad avvisare tutte le persone con cui non avrei voluto troncare i rapporti del cambiamento, quindi alcune di loro si erano perse strada facendo... Shane, Alice e Dana erano tre di queste e mi era dispiaciuto da morire, ma recuperare i loro profili si era rivelato arduo e alla lunga avevo perso le speranze.
«Mi sono trasferita da poco, lavoro alla receptionist di una villa di lusso. Indovina come ho avuto l'incarico?».
«Una bella ragazza di mezzo?», ipotizzai ridacchiando.
«Bingo!», urlò, «E non appena scendo dal treno cosa vedo? Un enorme cartellone pubblicitario in movimento con metà del tuo viso che incontra l'altra metà di un vecchio ciccione cattivo! Il tuo nome era scritto a caratteri cubitali sotto il titolo del film, era una pubblicità da urlo! Sono risalita al regista e una volta concluse le mie faticose ricerche sono riuscita ad arrivare a questo numero. Non male, eh?».
«Sei una cazzo di stalker!».
«Oh oh! La Ally che mi ricordo non dice le parolacce! Siamo diventate delle ragazze cattive?».
Ridacchiai, annodandomi il filo della cornetta al dito.
«Nah, soltanto cresciute», conclusi, ascoltando la sua risata scemare.
Sospirai con un sorriso da ebete, mi sentivo lo stomaco pieno come dopo il pranzo di Natale.
«Come diavolo hai fatto ad infilarti nel cast di un film?!», esclamò sorpresa.
Roteai gli occhi al cielo e sprofondai sulla poltrona.
«Ho frequentato una scuola di recitazione, dato esami, partecipato a qualche piccolo spettacolo... Niente di serio finché non ho sentito parlare della pellicola. Non ero tanto convinta di provare, ma alla fine partecipare alle audizioni si è rivelato una fortuna!».
«E Mya? Siete rimaste in contatto?».
Drizzai la schiena ed aggrottai le sopracciglia.
«Che intendi?».
«Beh, è tornata in città dopo la vostra rottura... Era davvero devastata, sono stata l'unica persona che ha deciso di contattare. Pazzesco, non l'avrei mai detto, eppure mi sono ritrovata a condividere con lei più esperienze di quanto immaginassi...».
«Te l'ha detto lei che abbiamo rotto?».
Sospirò.
«Sì... Ma non siamo state insieme a lungo. E' partita per cercare i suoi genitori, diceva di voler ricreare un rapporto con loro».
Annuii, improvvisamente pregna di una curiosità sconosciuta.
«E li ha trovati?».
«Sì, alla fine sì. Poi è partita nuovamente per questioni familiari e da allora ci sentiamo raramente. Anche lei è nel cast di un film, lo sapevi? Ma niente gloria, se ne sta solo dietro le quinte a registrare dialoghi e suoni di scena».
Deglutii l'indecisione che fino a quel momento mi aveva bloccato le parole in gola.
«In realtà lavoriamo alla riuscita dello stesso film».
«Porca vacca! Vuoi dire che è lì con te?».
«Già... Cioè, non qui vicino a me, ma sì... E' lì fuori, da qualche parte», rimuginai, pregando Dio affinché non facesse domande sul perché avessi deciso di lasciarla, come fosse successo e quando.
«E come cavolo fa ad essere nello stesso cast in cui lavori tu?».
Quella era davvero una bella domanda.
«A questo non so risponderti...».
Shane fischiò di sorpresa, poi sospirò comprensiva.
«E com'è lavorare con lei? Ti fa male, anche se sei stata tu a lasciarla? Ma perché diavolo non me l'ha detto?!».
Battei le palpebre furiosamente mentre alcune immagini della notte passata insieme poche settimane prima tornavano a farmi compagnia: mi faceva male averla tra i piedi, sapere che nonostante avessi cercato di liberarmene stessi cadendo nuovamente nella tela del ragno, una tela che non feriva, che era disposta a darti l'anima, ma della cui sicurezza avevo deciso di fare a meno, nonostante riuscisse ancora a imbambolarmi. Giusto o sbagliato?
Era giusto che mi facesse male nonostante la decisione, anni prima, fosse partita da me?
Era sbagliato sentirmi in colpa nei confronti di Jason per le mie scelte, se poi, nell'ultimo periodo, anche solo parlarci mi avev a elettrizzato?
«Guarda che il silenzio è una risposta due volte più incisiva delle parole, Dandelia».
Scossi la testa.
«Che dici? Sono felice, fidanzata ufficialmente con un altro attore e prossima al matrimonio. Inoltre la mia carriera è in picchiata, quindi cosa potrei chiedere di meglio?».
Non mi aspettavo che la mia coscienza bacchettona se ne stesse in silenzio dopo quanto ero riuscita a fare per zittirla settimane prima, quindi era più che ovvio che tornasse all'attacco per difendersi dai miei sentimenti, suoi acerrimi nemici.
«Ah, sei tornata etero e addirittura ti sposi!».
Lo disse con un tono sarcastico che per un attimo mi lasciò perplessa. Era evidente che non mi credesse, ma non capivo come fosse possibile dubitare delle mie parole dopo sette anni di silenzio, dopo sette anni di distanza, senza guardarmi negli occhi, senza la piena certezza che stessi mentendo. Shane mi conosceva, ma il rapporto che avevo avuto con lei era sempre stato diverso rispetto a quello che avevo instaurato con le altre, più freddo, e non credevo possibile che invece tra tutte si sarebbe rivelata quella capace di stanarmi.
«Strano da sentire, eh? Un tempo il nostro unico problema era sopravvivere in mezzo ai bulli e oggi...»
«... oggi tu ti sposi e io comincio a credere nell'amore. A pensarci, la mia condizione è più paradossale della tua», concluse.
Risi di cuore trovando l'osservazione assai vera, felice del cambio d'argomento.
«Mi farebbe piacere vedervi. Che ne dici di uscire a cena stasera? Sei libera?».
«Io finisco alle sette, Jason dovrebbe essere libero quindi non...».
«... no, che Jason? Intendevo tu e Mya!».
Rimasi di sasso.
«Ah...».
«C'è qualche problema?».
"Qualche" non era il termine corretto. Come spiegarle che Mya era praticamente assente? Che nonostante lavorassimo assieme non la vedessi da due settimane neanche per sbaglio? Come potevo vestire i panni di un detective fino a che non l'avrei trovata solo per dirle che una vecchia amica ci voleva a cena? Era giusto ignorare tutto e uscire insieme come due vecchie spalle?
«No, assolutamente! La chiamo subito per dirle che sei in città, sarà contenta di cenare insieme!», mi finsi entusiasta mentre le budella mi si contorcevano nello stomaco a causa dell'ansia imminente.
«Pizzeria italiana sulla trentaduesima?».
«Quella piccola ad angolo?».
«Sì!».
«D'accordo, ci vediamo lì per le otto e trenta», le confermai.
Trillò dall'altra parte della cornetta.
«Vi farò il terzo grado, siete state delle stronze a scomparire così. Soprattutto tu!».
«Mi farò perdonare. A stasera!».
Riagganciai per paura di sentire nuovamente la parola "terzo grado". Sperai, anzi, di aver scambiato una parola per un'altra io.
Mi afflosciai sulla sedia, piena di pensieri. Dentro di me avevo già la consapevolezza che accettare quell'invito fosse stata una pessima idea, perché nonostante Dio non mi avesse fatto veggente ero certa che la curiosità di Shane nel vederci di nuovo dopo tanto tempo avrebbe scoperto degli altarini che invece avrebbero fatto bene a restare coperti. Non era il tipo di persona che si faceva gli affari degli altri, ed ero più che contenta di vederla e sentirla di nuovo dopo tutti quegli anni, ma dalle parole che ci eravamo scambiate era emerso con chiarezza che il rapporto tra lei e Mya, dopo la nostra rottura, si era evoluto trasformandosi in qualcosa di simile all'amicizia, e la sua ansia di vederci preannunciava un copione di domande a raffica a cui ero sicura non avremmo avuto la capacità di rispondere.
Eppure, come rifiutare? Probabilmente dire che lavoravamo entrambe fino a tarda notte sarebbe stato l'ideale, ma avrebbe semplicemente potuto cambiare la data dell'appuntamento, giusto?
Oppure stavo semplicemente diventando paranoica, il che non era da escludere.

La porta dello studio di Kamal si aprì improvvisamente, rivelando la figura di un microfonista. Mi salutò con un cenno della mano, poi si diresse verso una delle cassettiere di Kamal e ne estrasse un grosso filo elettrico e una cartelletta.
«L'hai trovata?».
La voce di Mya era inconfondibile.
Drizzai le orecchie e allungai il collo cercando di vedere oltre la porta dietro la quale si nascondeva, ma vedendomi impossibilitata girai l'angolo della scrivania mentre il microfonista rispondeva negativamente e mi parai di fronte l'uscio, guardandola dritta negli occhi.
Erano cerchiati da un filo di matita nero, le iridi erano più chiare del solito, la bocca scura, i capelli fissati in alto da un sottile strato di lacca, mentre dal lobo destro una piuma nera pendeva verso il basso.
Non appena mi vide increspò le labbra in un'espressione di rabbia, come se si stesse maledicendo per aver mandato all'aria il suo piano.
Incrociai le braccia al petto ostentando uno sguardo serio, esigente, pretenzioso.
Volevo delle spiegazioni e le volevo immediatamente.
Alle mie spalle il microfonista continuò ad armeggiare con altri cassetti, parlando con Mya ad alta voce e riferendole informazioni di cui non si curò affatto.
E mentre lui continuava a sbraitare senza riuscire a trovare l'oggetto del desiderio, io e lei non smettevamo di guardarci.
Quando il ragazzo trovò finalmente ciò che stava cercando si avvicinò a noi sventolando una cassa acustica vecchia di secoli tra le mani, soddisfatto.
«L'avevo detto io che c'era! Ci basterà smontare i condotti elettrici e montarli nelle Trust che abbiamo di là e vedrai che il gioco è fatto!».
Mya non lo degnò di uno sguardo, ma il mio pudore mi impose di abbassare la guardia. Gli fece un gesto con la mano che non colsi, come se volesse raggiungerlo in un secondo momento, e il microfonista scomparì un po' perplesso.
«Quindi?», chiese lei.
«Dimmelo tu», ribattei pronta.
Dietro le spalle di Mya il resto del cast continuava a trafficare; di tanto in tanto qualcuno lanciava un'occhiata curiosa e chiedeva al vicino come mai fossimo entrambe nell'ufficio di Kamal, ragion per cui, in un moto di coraggio, l'afferrai per la maglietta e la spinsi verso di me, chiudendo la porta con un calcio.
Me la ritrovai pericolosamente vicina, la mia pelle bruciava al contatto con i suoi vestiti perché conscia di avere la sua a pochi millmetri di distanza.
Il suo corpo, lo stesso che con passione mi aveva posseduta per poi scomparire nel nulla, era lì di fronte al mio ed emanava un calore così pressante, così invadente, da destabilizzarmi.
Battei le palpebre e cercai di ritrovare il contegno e la rabbia che per tutti quei giorni mi avevano avuta in pugno.
«Stai bene?», fu la prima domanda che il mio cervello riuscì a formulare.
«Perché dovrei stare male?».
Allargai le braccia e roteai gli occhi.
«E' una domanda lecita, vista la tua improvvisa sparizione».
«Tu invece camminavi avvolta da neon a forma di frecce».
La guardai sbalordita.
«Io ti ho perfino cercata! Non ho evitato io tutto e tutti pur di non avere un confronto con te!».
Rise.
«Hai pensato che avessi paura di parlare con te?».
«Sì!».
«Io non ho paura di niente».
«Che ti è successo?», le chiesi a bruciapelo. Il suo sguardo arrogante mutò, il sorriso falso che le increspava le labbra scemò del tutto e i suoi occhi si spostarono altrove. «Hai rimesso la maschera? Pensi di potermi prendere ancora in giro?».
«Pecchi di arroganza. Non ho messo alcuna maschera e non prendo in giro nessuno, sono esattamente ciò che vedi senza alcun filtro. Non so come spiegarti che tra le due quella che fa l'attrice sei tu».
Dal suo walkie-talkie una voce metallica richiamò Mya al reparto, ma lei la ignorò.
«Se questa è la vera Mya quella falsa deve avermi portata a letto due settimane fa», conclusi a mento alto.
Rimase stordita, incredula di fronte al fatto che avessi il coraggio di tirare in ballo l'argomento.
Eppure, per la prima volta, la vidi in difficoltà con le parole: aprì bocca per dire qualcosa, ma la richiuse prontamente.
Un filo di imbarazzo avvolse entrambe finché non fu lei a rompere il silenzio.
«Credo di aver fatto un errore».
«Lo credo anche io», eppure dire quelle parole ad alta voce faceva male, ammettere ciò che ammetteva lei per non apparire più debole feriva.
Il mio cuore aveva formulato la risposta opposta.
«Tu sei fidanzata, Ally. Non so nemmeno quando diavolo ti sposerai, ma lo farai. Quello che è successo è stato un errore madornale, che non mi perdono, e se non fosse che raccontando tutto a Jason lo perderesti andrei da lui oggi stesso per farmi prendere a pugni e chiedergli scusa per la vigliaccata che ho fatto. Lui ti ama davvero e non si merita di soffrire, inoltre tu l'hai scelto e hai accettato la sua proposta di matrimonio quindi... fingiamo che ciò che è accaduto nel tuo appartamento non sia mai successo. La nostra storia è finita da tempo, non c'è più spazio per noi e tu l'hai capito prima di me», terminò.
La gola mi si strinse in un nodo opprimente e mandarlo giù si rivelò arduo.
Abbassai lo sguardo pregna delle sue parole rassegnate, ricolme di una tristezza e di una malinconia repressa.
Mi accorsi di piangere solo quando una lacrima cadde sulla moquette rossa di Kamal, lasciando un leggero alone. Nascosi il mio improvviso e inspiegabile dolore dietro uno sbadiglio, quindi mi stropicciai gli occhi umidi e raccolsi ogni residuo di tristezza. Come faceva a dire quelle cose ad alta voce senza scomporsi minimamente? Forse aveva ragione lei, forse non c'era più spazio per rivangare vecchi sentimenti.
Feci spallucce, ostentando indifferenza.
«Ti ho cercata insistentemente in queste settimane per dirti la stessa, identica cosa. Sono contenta che la pensiamo allo stesso modo. Non voglio avere problemi con Jason e non voglio avere problemi con te, quindi concordo sul fatto di ignorare l'accaduto. Scusami, ma sono davvero molto stanca... Credo che tornerò a casa prima per riposare un po'».
Lanciai un'occhiata in giro per controllare che non mi fossi dimenticata niente, quindi racimolai la poca forza rimastami e la sorpassai.
«Ah, dimenticavo... Ha chiamato Shane e ci ha invitate ad uscire stasera. E' in città, ha trovato un nuovo lavoro».
Mi lanciò uno sguardo sorpreso.
«Shane? La tua compagna di liceo?».
«Sì, mi ha detto che avete stretto amicizia».
M'ignorò: rispondere alle mie provocazioni avrebbe contribuito a scatenare la guerra che faceva già fatica a rimanere ontenuta tra gli argini.
«Come faceva a sapere dove lavoriamo?».
«Lunga storia, anche un po' annebbiata. Non volevo sbattere la porta in faccia al suo entusiasmo, quindi ti converrà essere pronta per le otto e mezza. Scegli se portare la vera Mya o quella finta, per me non fa alcuna differenza visto che non so più distinguerle. Magari Shane riuscirà a darmi una mano».
Imitai il suo modo di trasformare il dolore in arroganza e, soddisfatta delle mie risposte, mi lasciai il suo silenzioso sbalordimento alle spalle.

~∞~

Non so perché ci misi così tanto a prepararmi. Non si trattava di una cena formale né di una festa, era solo una banale rimpatriata tra amiche facilmente consumabile in jeans e canotta, eppure il mio ego voleva risplendere, voleva attirare l'attenzione, e benché avessi tanto voluto dare la colpa al mio lato professionale il fatto che fossi un'attrice non c'entrava proprio niente.
Parte di me si sentiva respinta: la donna che ero diventata credeva nelle proprie capacità e sapeva guardare oltre le apparenze, avvertiva quando nella controparte nasceva il desiderio e sapeva alimentarlo, conosceva i punti deboli dell'avversario – se non tutti, la maggior parte – e provava a giocarsi le carte migliori del mazzo prima che la partita terminasse a suo svantaggio.
Mya aveva conosciuto questa parte, ma era stata l'unica capace di risvegliare l'altra.
Era bastata una notte per spegnere la donna di oggi e dare voce alla ragazzina di sempre, per abbassare le difese che avevo dovuto costruire per farmi spazio nel mondo dei grandi, con le unghie e con i denti, per ritornare ad essere ciò che avevo dovuto reprimere per sopravvivere.
Ma c'era qualcosa che mi infastidiva, che mi premeva sullo stomaco come un macigno: l'essermi sbagliata.
Per giorni e giorni ero rimasta sulle sue tracce come un cane da tartufo, convinta che ciò che avessi provato io fosse corrisposto e che fosse proprio quello il motivo della sua sparizione; nel mio cuore si era quasi sviluppato un sentimento di tenerezza, la mia mente mi aveva suggerito di essere matura e adulta abbastanza da prendere io per prima in mano la situazione ed affrontare un argomento che sicuramente la spaventava.
Invece mi sbagliavo, i miei castelli di carta erano stupidi castelli di carta, le mie supposizioni solo stupide supposizioni.
Mya, a suo dire, stava bene e tra le due l'unica che in quelle settimane era rimasta lì, a lambiccarsi il cervello su quel fatidico "errore", così come l'aveva definito lei, ero stata io.
Avevo dato per scontato il suo dolore solo perché aveva sofferto per me in passato, così come scontata per me era stata la felicità che sarebbe conseguita dopo quella notte insieme solo perché in passato avermi avuta tutta per sé l'aveva resa viva.
Mi sbagliavo.
Non c'era motivo eppure mi sentivo respinta, le mie aspettative erano rimaste deluse come se provare ciò che avevo provato io fosse d'obbligo.
Ecco perché il mio ego, quella sera, voleva rimanere in prima linea: voleva dimostrare di non essersi scomposto, di essere forte come sempre, forse di più, e di prevalere ancora una volta su tutto il resto. I miei sentimenti non avevano voce in capitolo quella sera, non le avrei dato la soddisfazione di notare che, al contrario suo, ciò che era successo tra di noi mi aveva colpito.

Indossai un paio di pantaloni beige, delle decoltè rosate e una camicia chiara e solo dopo essermi truccata e pettinata tutte le volte che ritenni necessario mi convinsi ad uscire di casa, a chiamare un taxi e a raggiungere la pizzeria. L'ansia mi fece sbagliare orario e rimasi ad aspettare le altre per più di mezzora da sola, maledicendo me stessa per il fatto di essere così volubile.
Alla fine Shane si fece notare per prima tra la calca di gente tutta vestita uguale, coi suoi jeans strappati e scuri e la camicia un po' slacciata.
Aveva i capelli più corti rispetto a quando frequentavamo il liceo e man mano che si avvicinò potei notare altri dettagli, come il fatto che portasse il rossetto, anche se scuro, e che avesse tentato di truccarsi un po'.
Tra le dita fumava ancora la cicca di una sigaretta che si premurò di spegnere in una pozzanghera non appena fu di fronte a me; il suo viso si aprì in un sorriso a trentadue denti, forse il più sincero che le avessi mai visto sfoderare, dopodiché allungò la mano e mi scompigliò i capelli che con cura ero finalmente riuscita a farmi piacere.
Se non avessi avuto autocontrollo l'avrei strozzata. Amichevolmente, si intende.
«Dandelia! Sei uno schianto!», mi fece fare una giravolta che assecondai, anche se un po' imbarazzata, poi fischiò. «E' pazzesco rivedersi davvero!».
Mi abbracciò ed io mi lasciai avvolgere, oltre che dalle sue braccia, dai pensieri: il tempo può cambiare le persone e i rapporti che tra di loro intercorrono più di qualsiasi evento.
«Tu non sei cambiata per niente, invece!», la rimbeccai e lei rise.
«Meglio così!».
Sembrava passata una vita, e invece erano trascorsi solo sette miseri anni. Mi vedevo profondamente lontana da lei, come fossi un fantasma, trasparente di fronte a tanta vitalità. Guardandomi alle spalle, la mia forza di vivere, la mia volontà di combattere quando ero solo un'adolescente mi aveva consentito di vincere una grande battaglia, mi aveva regalato nuove amicizie, una casa nuova, una nuova città e l'amore. Ma se tornavo a guardare di fronte a me, ciò che vedevo non era la stessa cosa.
Era come se fossi su un altro piano, diverso rispetto a quello su cui Shane – e anche tutti gli altri – vivevano, e ciò mi pervase di disagio.
Pochi attimi dopo anche Mya fece la sua comparsa, distraendomi: notai in lontananza come il suo viso fosse scuro di contraddizione e mi domandai perché, visto quanto avevo appreso sull'amicizia che intercorreva tra le due, ma poi pensai che forse il suo malumore riguardava me e nonostante fosse più che arduo cercai di non farmi coinvolgere...
Shane non la notò finché Mya non le riservò uno scappellotto e a quel punto lei, sorpresa e un po' dolorante, si voltò. Il viso di Mya si aprì in un mezzo sorriso e benché fosse tirato potei notare quanto amore e quanta sincerità ci fosse dietro, e Shane ricambiò quell'espressione in un abbraccio sincero.
«Ma che diavolo di fine hai fatto?», borbottò sulla sua spalla.
Mya la strinse più forte di quanto mi sarei aspettata e quel tipo di approccio mi diede la conferma del fatto che la sofferenza per l'allontanamento da me aveva reso Shane il suo salvagente.
Abbassai lo sguardo piena di sensi di colpa.
«Eri diventata una palla al piede e ho deciso di andarmene», scherzò e Shane le tirò un pugno giocoso, ridacchiando. Si voltò verso di me, lanciò uno sguardo ad entrambe, poi disse: «Dana ed Alice dovrebbero essere qui».
Annuimmo con nostalgia a quel pensiero: era come se quegli anni di liceo, e di amicizia, non fossero mai esistiti.
Perché era andata così?
Quella domanda fece capolino diverse volte nella mia testa, anche dopo esserci accomodate, anche dopo aver preso posto...
Dopo tutti quei mesi, quegli anni, cominciavo a chiedermi cosa mi avesse spinto a troncare qualsiasi tipo di rapporto senza provare nemmeno a salvare quelli a cui tenevo di più. Che avessi perso i numeri delle mie amiche era risaputo, ma a pensarci bene se solo avessi voluto davvero avrei sicuramente trov ato il modo di mantenere vivo il rapporto con chi amavo di più...
Sentivo che Mya continuava ad essere il filo conduttore di tutto, perché in fondo ero consapevole del fatto che rimanere attaccata alle mie radici cercando di allontanare soltanto lei prima o poi mi avrebbe ricondotto sulle sue tracce, anche servendomi di chi da sempre mi era stato accanto, in ogni battaglia...
Inutile negarlo: le mie scelte erano sempre state condizionate da lei e continuavano ad esserlo anche in quelle settimane.
«Ti dispiace lasciarmi i loro numeri?», chiesi dopo esserci appropriate di alcuni menù.
Mya cominciò a sfogliarne uno, Shane scosse la testa ed afferrò immediatamente il suo palmare, digitando qualcosa a caso, poi mi dettò con lentezza i recapiti di entrambe ed io mi premurai di memorizzarli come si deve.
Sapevo di essere con molto più che un piede solo nel passato, sapevo di star scavalcando a ritroso un punto che dolorosamente ero riuscita a lasciarmi alle spalle... eppure non m'importava.
C'era qualcosa che mi faceva male, come se dovessi chiedermi scusa io per prima, e solo poi passare agli altri.
Shane si schiarì la voce ma né io né Mya parlammo.
Allargò le braccia e roteò gli occhi al cielo.
«Allora? Non dite niente?».
«Dov'è la ragazza di cui ti vanti tanto?», esordì Mya.
Shane sollevò le sopracciglia e fece mezzo sorriso sghembo.
«L'ho invitata. Sarà qui a momenti!».
Sbalordimmo.
«Che cosa?!».
«Potevi avvisare...», commentò Mya.
Non che ci fosse qualcosa di male, ma la mia mente e quella di Mya volarono nella stessa direzione: uscita a quattro.
Non mi interessava quel genere di serata, io e Mya non eravamo più una coppia da tempo e in realtà, ripensando agli anni insieme, non eravamo mai riuscite nemmeno a fare quel tipo di uscite. Non avendone vissuta nemmeno una con lei l'ultima cosa che desideravo era ritrovarmici incastrata in mezzo adesso che non eravamo più nulla.
Strinsi le braccia al petto a disagio ed incrociai le gambe.
«Ho cambiato città, amicizie e lavoro. Voi due siete le uniche persone di cui continuo a ricordarmi quando mi succede qualcosa di bello, quindi non rompete le balle e fatevela presentare! Nemmeno per me è facile!», disse a bassa voce, come se volesse nascondersi da qualcuno che, scoprendo i suoi sentimenti, avrebbe potuto riderne.
M'ispirò un sentimento di tenerezza...
Mya, al contrario mio, rise reagendo esattamente come lei temeva.
«Guarda che io ti prenderò comunque per il culo fino alla morte».
«Grazie, eh, sei un'amica», le lanciò un'occhiataccia.
«La migliore che tu abbia mai avuto, lo sai».
Shane, benché scuotesse la testa, si fece trasportare dall'ilarità della sua risposta.
Improvvisamente un rumore di tacchi esordì in mezzo alla sala: Shane fece un gesto di richiamo con la mano, indicando qualcuno che stava alle mie spalle, e quando ci voltammo per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Conoscevo quella ragazza, sapevo come si chiamava, ci avevo perfino parlato e il nostro approccio non era stato decisamente uno dei migliori.
Battei le palpebre un paio di volte per assicurarmi di vederci bene, ma alla fine la figura di fronte ai miei occhi non mutò... era lei.
Costantine prese posto accanto a Shane senza metterci bene a fuoco, le diede un bacio sulla guancia e poi allungò la mano in mezzo al tavolo, presentandosi a Mya che stava al mio fianco.
Non appena capì bene di chi si trattava sbalordì, l'espressione festosa scomparì dal suo viso per lasciare spazio al pallore. Riuscì appena a dire: "piacere, Costantine" e la voce le morì in gola.
Mya, dopo un primo momento di sgomento, si lasciò andare sulla sedia in una posa scomposta, come soddisfatta.
«Etero, eh?».
«Ci conosciamo?», cercò di controbbattere lei, sulle labbra una risata nervosa.
«Vi conoscete?», interruppe Shane.
«Sì», rispose Mya contemporaneamente a Costantine che invece rispose: «No!».
Cercai di non ridere. Shane guardò entrambe, confusa.
«Hai una gemella?», chiese Mya, allungandosi sul tavolo di fronte a Costantine.
«Prego?».
«Una gemella etero, intendo. Conosco una ragazza uguale a te, ha perfino lo stesso abito che indossi stasera, ma non è lesbica», assottigliò lo sguardo.
Costantine scosse la testa, guardò Shane in cerca d'aiuto, poi fissò me come se avesse visto un fantasma.
Chiese spiegazioni con gli occhi a Mya che però sollevò un sopracciglio come a voler dire: "non ci provare, ci sei tu al centro dell'attenzione adesso, lascia perdere lei", infine provò:
«Potrei essere bisessuale!», una mezza risata nervosa e tremolante venne fuori dalle sue labbra, ma in assenza di nostre reazioni sbuffò ed incrociò le braccia al petto, scocciata.
«Non è un reato aver paura di fare coming-out!», confessò. Porca vacca, non mi sarei mai aspettata che anche lei giocasse nella squadra!
Nella loro, si intende...
Mya batté le mani una sola volta, mordendosi il labbro inferiore.
«Non ci posso credere che tu me l'abbia tenuto nascosto per tutto questo tempo!».
Shane s'intromise nuovamente.
«Ehm... A quanto pare vi conoscete».
«Ho conosciuto questa tipa sulla metropolitana, era seduta accanto a me ed era scocciatissima per il fatto che il suo autista avesse il giorno libero e che le toccasse andare in giro in metro», rise di cuore e Costantine si aprì in un'espressione tra un broncio ostentato e un sorriso sincero.
Shane ed io ascoltammo divertite.
«Mi ha strappato una cuffia dall'orecchio e mi ha chiesto: "spero che tu abbia della buona musica in quell'affare, questa giornata rischia di diventare la peggiore della mia vita". Non mi ha chiesto nemmeno il permesso! Adesso capisco perché ti sei seduta proprio al mio fianco, ti piacevo!».
«Ero attratta dalla tua aura misteriosa, ma quella di Shane batte la tua cinque a zero!», rispose e anche Shane, che fin dall'inizio era rimasta un po' perplessa di fronte al fatto che Mya conoscesse Costantine come ragazza etero e non come lesbica, si lasciò andare ad una risata.
«Perché hai avuto paura di dirmelo?», le chiese Mya.
Costantine sollevò le spalle ed accavallò le gambe.
«Avevo paura di perdere il mio fascino!».
«Sì, come no».
Shane cercò i suoi occhi: anche lei voleva assolutamente sapere. A quel punto Costantine sospirò.
«Beh, questa uscita serviva a conoscerci giusto? Dunque...», si sfregò le mani con nervosismo, «All'età di sedici anni m'innamorai di una ragazza della mia classe. Ero una cheerleader a quei tempi, tutti i ragazzi volevano avere una storia con me, altri volevano solo portarmi a letto, ero l'oggetto del desiderio e le ragazze m'invidiavano... Non era facile entrare nella mia cerchia di amicizie, mio padre mi aveva cresciuto dandomi solo il meglio e di conseguenza volevo al mio fianco solo persone cresciute con la stessa possibilità e mentalità. Ero viziata, lo ammetto... Le conseguenze di questo tipo di educazione me le porto dietro ancora oggi. C'era questa ragazza, però, si chiamava Alex. Lei non voleva avere niente a che fare con me, mi evitava come la peste, non incrociava nemmeno il mio sguardo, e se per caso provavo a sedermi accanto al suo banco lei cambiava addirittura posto. Fu la prima persona capace di farmi sentire insufficiente, come se mi mancasse qualcosa per essere al suo livello, non abbastanza. Da lì ho cominciato a capire che quando io scartavo le persone come fossero gusti in un pacco di caramelle miste, questa gente si sentiva esattamente come lei stava facendo sentire me... Quindi cambiai approccio. Lei mi attirava perché mi sembrava materia incompresa, non parlava spesso e sembrava vivere in un mondo a cui non potevi accedere se non avevi un privilegio speciale, per cui mi creai quel privilegio. Le piaceva disegnare, perciò chiesi a mio padre di pagarmi un insegnante di disegno, e quando fui brava abbastanza le regalai un dipinto che la ritraeva così come la vedevo io. A pensarci oggi mi viene da ridere, ero proprio un'imbecille...», si toccò i capelli a disagio, ma nessuno di noi osò fiatare.
La storia di Costantine ci stava riportando indietro tutte, era come essere lì dove era lei, nel bel mezzo dei corridoi del liceo, tra maschi che puzzano di ormoni e ragazzine che sognano di essere belle abbastanza da far colpo sul più carino della scuola.
«Riuscii a conquistarla, se è questo che vi state chiedendo! Ma Alex era una ragazza forte, indipendente, non aveva paura di niente né tantomeno di essere ciò che era. Voleva tenermi per mano nei corridoi, pretendeva di baciarmi in pubblico, ed io non ero pronta per far sapere a tutti di questa mia "tendenza"... I ragazzi sanno essere davvero cattivi, a quell'età. Ad ogni modo, Alex voleva vantarsi di essere la mia ragazza e visto che non poteva farlo alla luce del sole decise di confidare il nostro segreto a delle amiche, queste amiche lo confidarono alle madri che automaticamente lo dissero a mio padre, consigliandogli di "fare più attenzione" a sua figlia».
A quel punto Costantine interruppe il suo racconto e tutte noi capimmo che la parte dolorosa stava per arrivare. Da come si era presentata a me, durante l'inaugurazione del trailer, non mi sarei mai aspettata un trauma simile né tanta umiltà nel saper riconoscere le proprie lacune di fronte all'evidenza e sforzarsi di colmarle... Ma mai giudicare un libro dalla sua copertina, e questo ne era il caso vivente.
«Cambiammo città e mio padre mi fece giurare che non l'avrei mai più rivista. Scelse per me una scuola conservatrice, mi tenne sott'occhio per molto molto tempo, controllò le mie amicizie per più di due anni e si assicurò che stessi a contatto molto più coi ragazzi che con le ragazze. Una notte lo sentii parlare con alcuni degli uomini che lavoravano per lui e scoprii addirittura di essere pedinata sia all'entrata che all'uscita della scuola: mi seguivano e gli raccontavano tutto quello che facevo per rassicurarlo. Mi convinse di aver sbagliato, che si era trattato solo di una sbandata adolescenziale e che non c'era niente di omosessuale in me. Ci credetti anch'io, alla fine... Provai a stare con molti uomini ma nessuno di loro riuscì a darmi ciò che era riuscita a darmi Alex, finché non incontrai una donna di cui m'innamorai follemente, Judy. Pensavo sarebbe stata l'amore della mia vita, ma non appena si rese conto anche lei che la mia era una vita di sotterfugi, nascondigli e bugie scappò dicendomi che non riusciva a sopportare una storia vissuta di nascosto e che per essere felice aveva bisogno di qualcuno che riuscisse a viversi la sua condizione serenamente».
Fece spallucce e guardò Shane.
In quel momento la magia svanì e mi sentii improvvisamente fuori luogo, come se fosse sbagliato trovarsi lì.
«Adesso sai perché non l'ho detto a nessuno. Spero saprai darmi il coraggio di essere ciò che sono senza scappare via anche tu», terminò con serietà.
Non era triste o spaventata, il suo tono era piuttosto rassegnato. Shane le baciò la fronte e le disse qualcosa all'orecchio che né io né Mya riuscimmo a cogliere, qualcosa che la rassicurò e la fece sciogliere.
«Sei comunque una stronza, a me potevi dirlo!», Mya ruppe il ghiaccio e Costantine le diede ragione, insinuando tra le crepe di quel racconto spinoso un po' di leggerezza.
Da dietro la cucina sbucò un ragazzetto basso con la divisa da cameriere che ci chiese le ordinazioni. Ci lanciammo uno sguardo complice e provammo a non ridere: a forza di parlare c'eravamo dimenticate di scegliere.
«Una Quattro Formaggi, grazie», fece Shane.
«Per me una Margherita», dissi.
«Una Capricciosa», prenotò Costantine.
«Un nome, una garanzia...», la rimbeccò Mya, «Per me la pizza del giorno».
«Un'acqua naturale e una Coca grande, grazie», terminò Shane, passandogli i menù. Il ragazzo ringraziò e sparì nuovamente in cucina, mentre io fissavo Mya con stupore.
Anche quando si trattava di una stupida pizza doveva uscire fuori dagli schemi! La pizza del giorno?! Che razza di pizza era?
«Non potevi proprio fare la ragazza comune, eh? Pizza del giorno, tsè! Non ti andava bene, che so... Una pizza Primavera?».
«I piselli non mi piacciono, dovresti saperlo», m'incalzò, lanciandomi un'occhiata maliziosa che mi lasciò interdetta oltre che rossa di vergogna.
Shane fischiò dall'altro capo del tavolo, convintasi, dopo quella dimostrazione, che il rapporto che intercorreva tra di noi, passato il rancore, fosse quello.
In realtà non c'era niente di più sbagliato.
«Potevi anche toglierli», la scimmiottai, imitando il suo tono di voce basso e ignorando la sua malizia.
Fece spallucce: dai suoi occhi capii che mi stesse assecondando e che fosse disposta anche a fingere che tra di noi andasse tutto a gonfie vele di fronte a Shane pur di non avere problemi e di evitare eventuali spiegazioni su avvenimenti sconvenienti.
«Non sono una che si accontenta. O tutto o niente», terminò.
Sapevo che la maggior parte delle sue battute nascondevano un secondo messaggio indirizzato a me, ma finsi di non coglierlo. Shane le diede il cinque e un pugno sulle nocche, poi Costantine interruppe:
«E voi, invece? Dopo lo scandalo coi paparazzi siete tornate a parlarvi?».
Shane ci guardò curiose: ecco che cominciava il terzo grado.
I nostri buoni propositi svanirono via in una nuvola di fumo davanti ai miei occhi.
«Non siamo mica all'asilo. Ci parlavamo anche prima che accadesse tutto quel casino», asserì Mya, dicendo una mezza bugia.
«Che casino?», interrogò Shane.
«Breve riassunto per gli assenti: il ragazzo di Ally è andato via dalla festa d'inaugurazione del film, Ally si è ubriacata per la disperazione, io le ho salvato il culo e i giornalisti ci hanno assalite proprio mentre cercavo di trascinarla via. Fine».
«Aggiungo: la festa si è svolta nella villa di mio padre!», intervenne Costantine, bisognosa di stare al centro dell'attenzione nonostante l'occhio di bue fosse puntato solo su di me.
«Non mi sono ubriacata perché Jason era andato via!».
«Allora per cosa?», replicò ancora lei, mettendosi le mani a coppa sotto il mento con sguardo consapevole.
Aprii bocca per ribattere, stupita, ma mi trattenni: Mya conosceva Costantine da molto prima che la conoscessi io ed era probabile che le avesse parlato di me, delle sue preoccupazioni riguardo Jenna e il portarla alla festa come sua fidanzata, della reazione che avrei potuto avere e che difatti avevo avuto... Costantine sapeva il perché del mio disagio alla festa per il trailer, sapeva perché mi ero ubriacata, e per qualche strana ragione stava tentando di farmelo ammettere: era l'unica traduzione applicabile a quello sguardo.
«Mya continuava a sfidarmi e io non volevo dargliela vinta», conclusi.
«E perché ti interessava tanto? Siete buone amiche adesso. Avresti potuto riderci sopra!».
Cominciavo a sentirmi fastidiosamente in trappola.
Il cameriere portò le bevande al tavolo, chiedendoci scusa per aver interrotto il nostro dialogo, poi ci disse che le pizze sarebbero arrivate a momenti e sparì di nuovo.
Abbassai lo sguardo sul tovagliolo di carta di fronte al mio posto e racimolai tutte le mie doti per formulare delle risposte decenti.
«Beh, conosco Mya e la sua arroganza da molti anni, ormai. Se le avessi mostrato di avere ragione probabilmente non avrebbe smesso di prendermi in giro mai più, avrebbe continuato a tirare in ballo la questione della mia intolleranza all'alcol ad ogni occasione possibile... ragion per cui ho deciso di dimostrarle che si sbagliava ma mi rendo conto di non aver raggiunto l'obiettivo», ridacchiai.
Costantine assottigliò lo sguardo, insoddisfatta: quella fu l'ennesima conferma alle mie teorie.
Shane scosse la testa.
«Forse facevi meglio ad ammettere che sei astemia e basta».
«Già, mi sarei risparmiata anche lo scandalo», convenni.
Mya si versò un po' di Coca-Cola in un bicchiere ed osservò la schiuma svanire, non aggiunse nulla e la sua espressione non mutò; avrei pagato per sapere cosa le frullasse in testa.
«I paparazzi hanno rivenduto le fotografie ad un sacco di blog, per giorni non si è parlato d'altro che della sbronza di Ally e del "misterioso" salvataggio di Mya», spiegò Costantine a Shane che lanciò uno sguardo comprensivo all'amica.
«Purtroppo credo sia una delle clausule che si devono accettare quando si fa questo mestiere, non è vero Dandelia?».
Scrollai le spalle: Shane voleva evadere qualsiasi tentativo di mettere Mya al centro dell'attenzione per evitarle il dolore di rispondere.
«Non ci si può permettere di uscire fuori dagli schemi. A volte ho la sensazione che dall'altra parte ci sia chi non aspetta altro che un tuo passo falso per poterne parlare, per poterci scrivere sopra articoli, costruirci congetture... Non dirò che non è una bella vita, ma il rovescio della medaglia c'è sempre», argomentai.
«Come avere un armadio pieno di vestiti firmati: fantastico, certo, ma quando compri roba nuova dove la metti?».
Scoppiammo a ridere dopo un attimo di sgomento e non riuscimmo a fermarci finché il cameriere non portò le pizze. Costantine continuò a chiederci cosa ci fosse di tanto divertente, visto che il suo era un pensiero serio e concreto, ma nemmeno in quel caso riuscimmo a ritrovare un briciolo di contegno per risponderle.
Cominciammo a mangiare finché Shane non propose di far girare le fette di posto in posto, così da assaggiare più gusti, e nel frattempo Costantine prese a raccontare allegramente il primo incontro con Shane.
Lei non fece che arrossire ad ogni dettaglio in più riguardo la sua dolcezza, la sua accortezza e premura, e noi non perdemmo occasione per chiederle che fine avesse fatto la Shane dei nostri ricordi solo per levarla dall'imbarazzo.
Un po' la invidiavo: era sempre andata contro corrente, anche quando tutti le chiedevano di seguirne una, e ai sentimenti sdolcinati e stereotipati delle storie liceali aveva detto no, concentrandosi solo su se stessa e su quello che le importava di fare, indipendentemente dall'impegno scolastico.
Alla fine aveva ottenuto ciò che voleva senza bruciare le tappe, aveva conquistato un buon posto di lavoro e, probabilmente, anche il cuore di Costantine senza dover soffrire come un cane; nessuno l'aveva posta di fronte ad un bivio quindi non aveva dovuto prendere decisioni che le avevano complicato il futuro...
Probabilmente, se solo avessi avuto il senno di poi, anche io avrei fatto come lei. Avrei evitato Mya e qualsiasi storia simile a quella che avevo vissuto con lei come la peste, mi sarei concentrata solo sugli studi senza badare ad interferenze esterne, avrei vissuto dentro la gabbia che i miei genitori avevano costruito per me, forse, seguendo una strada già prefissata da loro, e poi, solo all'età che avevo in quel momento, avrei cominciato a scegliere per me. Scegliere bene, seguendo l'istinto, l'istinto di una donna che non sbaglia, che sa ciò che deve essere fatto per spiccare il volo, non quello di una ragazzina che pensa che l'amore sia tutto.
Ma ciò che era stato restava scritto e non si poteva far altro che rendere ogni occasione passata esperienza, senza rammarichi.
Mi domandavo soltanto se la luce brillante che vedevo in fondo alle iridi scure di Shane fosse patrimonio di tutte le persone felici, perché io, quando mi guardavo allo specchio, in fondo alle mie non la scorgevo...
Mya battè l'estremità di una forchetta contro un bicchiere di vetro, richiamando la nostra attenzione.
«Voglio fare un brindisi!», esclamò.
Shane sorrise e cominciò a riempire i bicchieri di tutte.
«Brindo ai ritorni, ai viaggi che si compiono che ti riportano alle origini anche quando la destinazione è tutt'altra. Brindo alle amicizie vere e a quelle che non ti aspetti. Brindo ai coming-out e alle finte etero...», ridacchiò e Costantine scosse la testa, sorridendo. «... alla paura di confidarsi e al coraggio di riuscirci. Brindo all'amore, perché non è mai troppo tardi per innamorarsi», Shane fece spallucce e borbottò qualcosa come "eh, chissà, amore è una parola grossa, si vedrà", «e brindo alla sensazione più bella del mondo: quella di essere a casa».
Annuimmo, colpite nel profondo da quel brindisi così vero e toccante.
Sollevammo i bicchieri e Mya li colpì uno per uno, ma senza incrociare il mio sguardo, poi li svuotammo tutti d'un fiato.
«Certo che brindare con la Coca-Cola è davvero da sfigati, eh!», Shane interruppe la magia del momento.
«Ti do ragione!».
«A proposito di casa! Devi raccontarmi del viaggio che hai fatto per trovare i tuoi genitori», suggerì Shane.
Drizzai le antenne e il mio cervello si mise automaticamente in modalità "in allerta". Finsi di non ascoltare, tagliando un altro pezzo della mia pizza a Costantine che nel frattempo si mostrava restia a contraccambiare.
Mya si schiarì la voce.
«Magari in un secondo momento», mormorò.
Costantine mi disse che non la faceva impazzire la Margherita ed io m'inventai una ragione per la quale invece fosse la migliore di tutte.
«Tutto bene con tua sorella? Tuo padre te l'ha lasciata vedere?».
Mi bloccai.
Una sorella? Mya non mi aveva mai parlato di una sorella, solo di un fratello.
Posai entrambe le posate accanto al piatto e lanciai un'occhiata a Shane, poi un'altra a Mya.
«Non voglio parlarne adesso».
Shane morse la sua fetta di pizza ed annuì, complice.
«Quale sorella?», interrogai.
«Nessuna sorella. Chiamo così una ragazza che abita vicino casa dei miei, perché siamo state cresciute come tali», rispose prontamente.
Spostai la mia attenzione da Mya e Shane, che nel frattempo, dopo la risposta della prima, aveva smesso di masticare e le aveva lanciato un'occhiata perplessa.
Shane sapeva la verità, e vista la sua espressione ciò che aveva appena detto non doveva avvicinarcisi nemmeno un po'.
Non appena notò il mio sguardo riprese lentamente a masticare, distogliendo gli occhi dai miei.
«Balle», decretai. «Me l'avresti menzionata almeno una volta».
Mandò giù un bicchiere d'acqua e si pulì le mani con un fazzoletto.
«Ti assicuro che è la verità. Col tempo non si è rivelata una persona affidabile e mio padre ha voluto allontanarmene, ma negli ultimi mesi ho cominciato a sentirne la mancanza e sono tornata da lei».
Lanciai uno sguardo a Shane, la quale continuava a mangiare nervosamente. Costantine si chiuse in uno strano mutismo: prese a piluccare il condimento dalla pizza rimanente e nessuna delle due osò fiatare.
Era l'ennesima balla, e in quel momento ebbi la conferma che perfino Costantine sapesse la verità riguardo a quella presunta "sorella" mentre io ero all'oscuro di tutto.
Sorpresa, annuii a me stessa e strisciai la sedia sul pavimento, mettendomi in piedi. In un attimo tutti gli occhi furono su di me, che chiedendo permesso mi spostai verso il bagno.
Mi sciacquai le mani con nervosismo, lo specchio di fronte al mio volto voleva i miei occhi. Glieli concessi, mi scavai dentro l'anima: qual'era il problema? Sarebbero potute venire a galla anche venti sorelle e quaranta fratelli, mille verità di cui non ero mai venuta a conoscenza, e non sarebbero dovuti essere fatti miei.
Non lo erano, non doveva fregarmene niente!
M'inculcai quell'ordine dritto nel cervello, come una nocciolina tra i due lati di una pressa. Doveva restare schiacciato nella mia volontà, incatenato come un prigioniero, non potevo permettermi che sfuggisse.
Mi stampai il sorriso più bello – e falso – che possedessi e tornai in sala.
Le trovai che parlottavano a bassa voce e qualsiasi cosa si stessero dicendo s'interruppe nel momento in cui tornai. Afferrai la mia giacca e me la posai sulle spalle, frugai nella borsa e tirai fuori dal portafogli una banconota da venti, spingendola sulla tavola.
«Scusate, credo di sentirmi poco bene», Costantine rivolse uno sguardo dispiaciuto a Shane.
Avrei preferito evitare quella scusa stereotipata da film, ma in quel momento non mi venne in mente nient'altro.
Shane insistette affinché restassi, ma mi rifiutai e dopo aver salutato in generale tutte mi avviai verso l'uscita.
Non mi stavo comportando in quel modo perché volevo attirare l'attenzione, non ci tenevo ad essere seguita come una bambina da accontentare che fa i capricci.
Stavo tentando di restare in piedi, intera, nonostante ci fossero tasselli del puzzle che da sempre ero stata convinta di possedere e che invece mancavano.
Salutai il padrone della pizzeria all'ingresso ed uscii in strada, chiamando un taxi.
Mi chiedevo cosa l'avesse spinta ad omettere certe verità, cos'altro ci fosse dietro la sua figura che negli anni insieme non ero riuscita a scorgere. A meno che la sorella non fosse motivo di vergogna o nascondesse dei segreti inconfessabili, non riuscivo a capire perché non me ne avesse mai parlato. Soprattutto quando i problemi ci avevano assalite, quando eravamo dovute fuggire... Se veramente esisteva, perché non appoggiarsi a lei nel momento del bisogno se questo legame di cui parlava, nonostante il padre non ne fosse mai stato entusiasto, le aveva unite da sempre? Ed era vero che suo padre non appoggiava il loro rapporto? O anche questa era una balla?
Dei passi calmi mi raggiunsero.
Non mi voltai per non avere la conferma che si trattasse proprio di lei, ma in pochi attimi Mya mi fu alle spalle e disse:
«Sei strana forte».
«Perché non mi piacciono le omissioni e le bugie?».
«Perché chiami un taxi se hai una macchina a disposizione».
Roteai gli occhi.
«Vattene, Mya».
«Ti do un passaggio».
Mi voltai di scatto, il mio respiro si condensò nell'aria fredda.
«Non voglio un passaggio. Pensi che mi calmerò solo perché mi offri un servizio?».
Fece spallucce.
«Devo averci sperato troppo».
Scossi la testa ed agitai una mano verso le auto che passavano veloci, attirando l'attenzione di un taxi dall'altra parte della strada.
Sospirai: qualche istante e me ne sarei andata via.
«Tu non puoi pretendere niente», osò.
Finalmente si sbilanciava, finalmente una frase seria su cui poter ragionare.
«La gente pretende sincerità. E' l'unica cosa che vuole in cambio della propria».
«Beh, tu non sei stata sincera con me. Hai detto che saresti rimasta per sempre ma mi hai mentito. Hai detto che avremmo affrontato tutto insieme, che i tuoi passi avrebbero sempre seguito i miei, ma sei scappata come una codarda. Tu non puoi criticare niente di tutto ciò che ho fatto, non puoi contestare le mie scelte e non puoi startene qui, impettita ed offesa, con la faccia di una che è stata ferita e a cui va chiesto scusa».
Rimasi impietrita: finalmente aveva avuto il coraggio di parlare, di dare voce ai suoi pensieri e alle sue emozioni.
Il taxi si fermò accanto al marciapiede, ma lo ignorammo. L'aria divenne insopportabilmente pesante, umida, odorava di terra bagnata.
Si puntò un dito al petto.
«Io sono stata lasciata. Io ho dovuto accontentarmi di un pezzo di carta! Ho cercato di spiegarmi il perchè delle tue scelte milioni di volte, ma non ho mai trovato delle spiegazioni valide. Mi sono chiesta se per caso avevo mancato in qualcosa, se ti avevo resa infelice, se stavi bene anche senza di me e se era meglio farmi da parte, e alla fine l'ho fatto! Sono tornata alle origini, mi sono ripresa in mano la mia vita mentre tu te ne creavi una nuova e costruivi i tuo castelli di gloria! E ora vieni qui, a farmi la paternale sulla sincerità e le omissioni? Smettila, Ally. Sei diventata la persona che mente e che omette di più tra tutte quelle che conosco. Sei l'ultima che può parlare di sincerità!».
S'infilò le mani nelle tasche della giacca e dopo quelle parole guardò altrove, verso le luci della città.
Il guidatore del taxi abbassò il finestrino e m'intimò a salire, dal suo tono di voce si deduceva impazienza.
Gli feci cenno di aspettare e rimasi ancora una volta scioccata, senza parole.
«Ti senti meglio adesso?», non mi rimaneva che attaccarla, comportandomi ancora una volta da codarda.
Allargò le braccia, esasperata.
«Cristo, no! Sto pure peggio di prima!».
«Perché non mi hai integrato con la tua famiglia quando stavamo ancora insieme se ti è bastato così poco per ritornare da loro?».
«Io non sapevo nemmeno di avercela, una sorella!».
«Signorina?», chiamò il tassista.
«Che hai detto?».
«Signorina, dovremmo andare».
«Non lo sapevi?».
«Signorina!».
Mya si affacciò al finestrino del tassista di scatto e gli posò trenta dollari sul cruscotto, esasperata.
«Bastano per il fastidio di essere rimasto ad aspettare?».
Il tassista annuì perplesso, poi ingranò la marcia e sparì.
Lei ritornò a me, ma nessuna delle due proferì parola.
Il fatto di non sapere nemmeno di avere una sorella era una confessione privata ed intima che non mi sarei aspettata di ricevere in dono, visto il rapporto che ormai correva tra di noi... Eppure si era lasciata andare a quella confidenza che sicuramente le pungeva e di questo non potevo che farne tesoro.
«Te l'hanno tenuta nascosta?».
«Quando avevo nove anni e mia madre era già incinta di mio fratello, mio padre la tradì e da questa relazione extraconiugale nacque la mia sorellastra. Ma non mi piace chiamarla così, perché sento che è un termine dispregiativo e lei non ha colpe per le circostanze in cui è nata. Non avendo avuto rapporti con loro per tutti questi anni non sapevo nemmeno della sua esistenza...»
«Ti hanno raccontato tutto soltanto adesso?», mormorai.
Qualche piccola goccia scese dal cielo e s'infranse sul marciapiedi, altre ancora ci bagnarono il viso finché quella pioggerellina leggera non divenne un vero e proprio temporale.
«Ho visto una foto di mio padre che l'abbracciava sul mobile dell'ingresso e ho chiesto a mia madre chi fosse... Mi ha raccontato dei tradimenti, della gravidanza dell'amante di suo marito e dell'intento di lei di mettere al mondo sua figlia solo per affidarla a mio padre, perché "troppo giovane per avere una mocciosa a cui badare". L'ha abbandonata», terminò.
I nostri giubbotti assorbirono l'umidità dell'acqua e dell'aria circostante, congelandoci le ossa.
La rabbia che mi aveva invaso dentro la pizzeria cominciò ad essere risucchiata via come l'acqua dentro una vasca da bagno a cui viene tolto il tappo.
Mya allungò la mano e puntò una scatoletta di plastica nera verso un'automobile, facendo scattare le sicure.
Nonostante fossi abbastanza riluttante, la seguii semplicemente per non beccarmi un malanno ed insieme ci accomodammo nella sua auto, accendendo i riscaldamenti. Ci togliemmo i giubbotti zuppi e li lasciammo nel sedile anteriore, provando a rilassarci.
«Mi dispiace, Mya... Non ne sapevo niente».
«Non mi ha fatto male sapere di avere una sorella fuori dal matrimonio dei miei. Mi ha ferito vedere mia madre chiudere gli occhi di fronte ai tradimenti continui di mio padre, fingere che non stesse succedendo niente, che Jenna fosse veramente figlia sua, solo per salvare un matrimonio che...».
«Jenna?».

Il sangue mi si gelò nelle vene, come se mi avessero iniettato del cemento nel cuore.


Mya si bloccò, chiuse la bocca in una morsa spaventosamente rigida.
«L'hai chiamata Jenna?».
I suoi occhi erano paurosamente esposti, potevo sentire il suo respiro impaurito condensarsi nell'aria.
Tutto ciò che era successo alla festa del trailer, gli sguardi di Costantine, le battute e le occhiatine di Shane, l'assidua presenza di Jenna al fianco di Mya, il racconto di Shane sul viaggio di Mya per "questioni familiari"... tutti i punti si collegarono tra di loro come un disegno numerato dei giornalini enigmistici.
E il disegno era una mano che puntava con un lungo indice me.
Io avevo tradito Jason.
Solo io avevo tradito la persona che amavo.
Mya non aveva tradito nessuno.
Jenna non era la sua ragazza.
Era sua sorella.
Sorella.
E io facevo schifo.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, la pelle cominciò a prudermi insistentemente come a voler essere strappata via. Un freddo inequiparabile mi avvolse le ossa, i capelli, e mille brividi mi pervasero la colonna vertebrale.
«Tu non hai tradito nessuno...».
«Ally...».
«E vieni a parlarmi di sincerità!».
«Possiamo parlarne?».
«Cosa c'è da discutere?! Io ho tradito il mio futuro marito nella convinzione che anche tu stessi tradendo la tua compagna!».
«E questo ti faceva vedere il tradimento sotto una luce migliore?!».
«Me lo faceva vedere come una necessità di entrambe! Io pensavo che...».
«Che...?».
Sentivo il viso bagnato da lacrime salate che ben presto si confusero con le gocce di pioggia che ancora non ero arrivata ad asciugare.
Mi ricomposi, nonostante l'anima a pezzi.
«Non importa».
«Dimmelo, Ally. Dimmi cosa pensavi quando l'hai tradito. Dimmi perché ti sei giustificata!».
«Per un solo istante ho pensato che provassi ancora qualcosa per me. Ti ho lasciato abbattere le mie difese e ho creduto di provare qualcosa anch'io. Ma non importa più adesso, perché la verità è che mi sbagliavo».
«Perché il pensiero che anch'io stessi tradendo ti ha dato la forza di tradire?», insistette cercando di ingoiare il mio precedente commento.
Rimasi ad ascoltare il suono del mio respiro spezzato, finché un singhiozzo non mi squarciò il petto. Ero stanca di essere forte per entrambe, di essere forte per tutti compreso il mondo dello spettacolo che mi metteva pressioni su pressioni addosso... Ero stanca di essere forte per Jason, di raccontargli e raccontarmi balle...
«Forse ho pensato che anche tu stessi cercando in me ciò di cui anch'io avevo bisogno...».
«E di cosa avevo bisogno?».
«Di me per essere ancora felice», sussurrai a bassissima voce.
Poi, visto il silenzio che ne conseguì, approfittai della sua incapacità di parola per scendere dalla macchina e correre in direzione della metropolitana prima ancora che riuscisse a mettere in moto.
Complice la nebbia, Mya non riuscì a seguirmi.  


ANGOLO AUTRICE:

Grazie a tutte voi che mi seguite con tanto calore. Spero che il continuo della prima storia sia degno della prima. Fatemi sapere che cosa ne pensate, mi fa sempre piacere un vostro parere. Vi abbraccio tutti! <3

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